Riga e Vilnius
Passeggiando per i musei della storia nazionale è viva la sensazione della volontà da parte del popolo lituano, come di quello lettone, di rimarcare tale passaggio, e di sottolineare i loro sforzi per raggiungere la loro indipendenza. La logica sottesa è quella che si riscontra in tanti altri paesi invasi e/o annessi ad altri. Mi affascina scorrere le foto dei partigiani e vedere tante donne, e mi viene da sorridere pensando che forse quando gli eserciti sono clandestini si rispettano le pari opportunità. La logica della forza è rimpiazzata da quella della strategia e della massimizzazione delle risorse disponibili da investire in campo, riconoscendo ad ognuno, nel rispetto delle proprie differenze le diverse capacità. Insomma il principio del rispetto delle minoranze sembra trovare nella logica dell’utilizzo delle quote rosa in rivoluzione una valenza simbolica che invece nelle società dello status quo occidentale e liberal-democratico ci ha messo secoli a realizzarsi e a volte ancora stenta ancora a farlo. E’ questo che mi affascina del ruolo delle donne nelle rivoluzioni. L’ho riscontrato anche in molti paesi dell’America centrale, in particolare a Cuba. “La Mujer es hoy, un simbol de la revolution. Viva el 8 de Marzo!” Ma abbandonando questa nota di sano cinismo rivoluzionario femminista, e ritornando alla disquisizione sulla collocazione geo-politica delle repubbliche baltiche, la terronia sta alla Lituania, come la Scandinavia sta all’Estonia. Mi spiego. Sembra proprio che delle tre repubbliche la più ancorata al sud-est europeo ante-transizione, e pertanto con venature balcaniche, sia proprio la Lituania. Vilnius, nonostante la sua eleganza preserva tratti di un est europeo contadino e autentico. Per contro l’Estonia, a detta anche di una delle nostre amiche incontrate durante il tragitto, è invece proiettata tutta verso nord, è più ricca, più tecnologica, maggiormente all’avanguardia. E la Lettonia? Che dire di Riga? Beh, forse è la terra di mezzo, ed è per questo che è forse territorio di battaglia. Contesa tra chi vi cerca ancora l’atmosfera della vecchia Europa oltre la cortina prima della caduta del muro, e chi invece ci ricrea le occasioni orgiastiche incagliate in una massificazione del sesso. Nelle quattro viuzze principali che caratterizzano il centro storico di Riga, tra un ristorante medievale ed uno mittleuropeo si alternano night club per turisti che arrivano dal di qua dell’ex border line. E la cosa che incuriosisce è che a fare la parte dei babbei affamati di sesso a buon mercato siano proprio i maschioni italiani. Chissà perché? Forse per l’irrigidimento delle regole sulla prostituzione in Italia? Ma un passaggio veloce in uno di questi locali mostra la “sobrietà” dei gestori, capaci di sguinzagliare giovani e avvenenti ragazze da compagnia per le strade e di condurre i turisti nei locali facendosi offrire da bere, magari nella parte dance del locale, una specie di retro bottega con le luci soffuse, divanetti e musica a basso volume, e di lasciare disilluso il povero turista che si trova a pagare 60 euro per due drink…E basta, nemmeno una strusciatina. E magari 200 se invece della birra per drink in seconda ci va un bel bicchierozzo di champagne. Non ho avuto la fortuna di testimonianze vive di ciò che più esserci dopo il terzo, quarto drink e cosa ci preservano i meandri della parte dance, di sicuro è una compagnia a caro prezzo. Del resto si stanno affacciando all’Europa e allineando alla moneta. E poi è una terra di mezzo, che però al momento ha mantenuto dal punto di vista del turismo “sessuale”, o forse meglio dire al “testosterone”, un po’ quella prerogativa che sta scivolando via a Budapest. Staremo a vedere. Per il momento mi complimento con le giovani donne da compagnia che nonostante i meno 15 di temperatura esterna e un terreno scivoloso e dissestato per la neve continuano a zompicchiare in stivaloni con tacchi a spillo lungo le stradine del centro storico, sempre sorridenti e senza rischiare nemmeno una piccola slogaturuccia alle caviglie. Verso Est e ancora oltre, il turismo al testosterone Non mi sconvolge più di tanto che ci siano uomini in cerca di donne straniere, l’altrove non è solo un luogo lontano da casa, ma anche scoprire qualcuno diverso da noi , e lo spirito del marinaio che conosce donne in ogni porto non è certo una novità. Ciò che è strano è la nascita di queste nicchie del piacere. E’ un po’ come andare al supermercato del sesso, avere tutto a disposizione nel raggio di pochi metri, fa parte dell’ era dei grandi centri commerciali. Le mete del turismo al testosterone, città come Riga, Amsterdam, o paesi come la Thailandia o Cuba, sono tappe per un assaggino veloce e a portata di mano. Scelgo e pago quello che desidero avere. E poi c’è la componente della trasgressione. Faccio sesso a pagamento lontano da casa, per cui è come se non lo facessi, nessuno lo sa, nessuno mi vede, se non i miei amici che poi mi considerano un figo. Girare invece per i mercati delle medine, permette di farci imbattere in odalische misteriose e forse difficili da conquistare, ma soprattutto richiede tempo e pazienza. E spesso per questo turista non c’è ne l’uno ne l’altra. Ma finchè sono tutti grandi e vaccinati allora siamo tutti contenti, da una parte e dall’altra. Da quando è mondo è mondo la prostituzione, dopo lo sciamanesimo, è il mestiere più vecchio del mondo. Il problema nasce quando le finte odalische dei centri commerciali stranieri sono delle giovani ragazzine. Allora lì cadiamo in un girone dell’inferno dei lussuriosi a cui non bisogna dare tregua. Se ogni cosa è lecita sul campo di battaglia e tra le lenzuola, il limite sta nel riconoscere all’infanzia la prerogativa del sogno. E invece capita proprio che è in guerra e tra i magnate del sesso che i bambini vengono arruolati. Mi scorrono velocemente come fotogrammi le immagini dei bambini soldato del Congo, e delle ragazzine thailandesi. E allora ripenso alle facce invece di tutti quei bambini che ho incontrato a Kinshasa e di quanti ne ho fotografati nei villaggi attorno a Chang Mai, e mi passa un brivido a pensare che per loro tutto questo è a portata di mano, e come un sorriso può diventare sogghigno. Tra ghiaccio e luppolo Camminiamo lungo le strade delle due città baltiche, e il freddo è davvero insopportabile. Arriva da ogni parte, si insinua, ti toglie il respiro. Fa freddo ai piedi, per la neve che copre i marciapiedi, fa freddo alle gambe per quel fottutissimo venticello gelido che arriva da qualche paese artico lì su. Un soffio di Babbo Natale che ti ricorda che siamo in un paese dell’estremo NORrrrrDDDD. Fa freddo alle mani, soprattutto quando timidamente tiriamo fuori le dita dai guanti per scattare una foto, o quando mi ostino a fumare la mia sigaretta. Fa freddo alle orecchie quando spostando il capo il cappellino lascia l’aggancio e il lobo spunta fuori rischiando di congelarsi e di fare la fine degna dell’anonima sequestri. Fa freddo al naso, quando per non far appannare gli occhiali con un lento movimento alzo leggermente il capo e una boccata di aria ghiacciata penetra le narici, si mischia a quello calda prodotta dal respiro sulla sciarpa, e fa condensa tra le vie respiratorie. Insomma fa freddo, freddo freddo. E allora ogni percorso lungo queste strade è gioco forza intervallato da innumerevoli tappe salvavita. Un thè caldo, un punch, un caffè, fintanto che il sole tramonta, e qui non ci mette tanto in questo periodo, per poi passare alla classica birretta accompagnato da tipiche leccornie locali. In pol position troneggiano le coscettine di pollo fritto, che tanto hanno allietato soprattutto i miei compagni di viaggio. E come rinunciare alle succosissime cipolle fritte che restano nella mia top ten, e ancora alle fettine di salamino all’aglio, al prosciuttino all’aglio, ai crostini all’aglio, al formaggio all’aglio in un turbinio di calorosissime alitate condivise tra un brindisi e l’altro, nelle gioiose serate baltiche in cui l’aperitivo non può che iniziare alle quattro del pomeriggio, vuoi il freddo, vuoi il buio, vuoi insomma che fa atmosfera. E poi perché in fondo il momento conviviale è importante quando si viaggia, andare è conoscere quello che c’è in un posto ma in fondo è anche un po’ conoscersi in un dimensione di totale leggerezza, privati da quei soccombenti impegni quotidiani, ci ritroviamo a tracannare litri di birra, con la scusa del troppo freddo fuori, e se poi il ghiaccio raffredda, la birra rallegra. Nel locale tipicamente folk, una giovane trentenne sofisticata e accorta bevitrice di the corretto ci interroga sull’utilità di bere birra quando fino ad allora ci siamo lamentanti per il freddo. Embè? “E che la birra locale è davvero buonissima!”. Ci sorride con un sguardo di finto intendimento, celando malamente un certo senso di superiore comprensione di come vanno le cose al mondo. Al momento della ricerca sul menu del piatto tipico lituano, indico con sicurezza della viaggiatrice esperta e informata un buon piatto di zeppelin, dei mega gnocchi dalla tenacia consistenza, imbottiti di una specie di carne chiara e tenera. Il tutto cosparso di una densa salsa bianca ai funghi. Insomma un vero mattone, che bene però si sposa con la saporita birra, che sorseggiamo allegramente dai boccali a forma di scarpone, e che una volta raggiunta la metà del recipiente, rigurgita indietro, e trasale spruzzandoci in modo inatteso il naso che teniamo immerso nella cavità dello stivalone di luppolo. Anche in tal caso la nostra sicura accompagnatrice lituana ci risponde con una smorfia e in un impeccabile inglese da donna in carriera in una potente multinazionale e ci invita a desistere da quella specie di “cibo spazzatura”, troppo pesante per il suo delicato pancino. Pensando che probabilmente i grossi gnocconi troverebbe maree di the in cui galleggiare rendendo lo stomaco colmo di alta marea e detriti, a dispetto del tosto intestino da caparbi bevitori di sana e gustosa birra, alla fine decidiamo quanto meno di assaggiarli ‘sti zeppelin, e ordiniamo due piatti “to share”, tanto per gustare un’altra pietanza locale. Ma, forse per assecondare la delicatezza della donna sofisticata, i miei compagni di viaggio, di fronte al piattone degli gnocconi esprimono apprezzamento ma concordano sulla eccessiva pesantezza della pietanza. Eh certo, fino ad allora hanno assaggiato piatti tipicamente leggeri, tra vampate di aglio e fritture varie, come potrebbero i loro delicati pancini accettare uno gnocco di patate con un po’ di carne? Secondo me è l’effetteo bumerand dei fiumi di birra che hanno fatto scorrere nelle loro viscere in questi lunghi giorni di inverno baltico. Ma non faccio una piega, mangio la mia parte, soddisfatta e discretamente ingolfata. Ma felice. Per la birra andiamo in seconda aspettando il piatto di carne mista, mentre le nostre simpatiche amiche baltiche aggiuntesi alla longilinea ingegnera scampata all’anoressia d’alta quota ci allietano con informazioni su usi e costumi locali. Ascoltando con discreto interesse, spero che il gruppetto folk che sta suonando nella stanza accanto da un’ora “Oh sole mio” in un misto di neologismi italo-lituani, giunga ad allietare la mia seppur difficile, ma soddisfatta digestione. Finchè arriva il momento della sigaretta, esco dal locale, e al rientro mi imbatto proprio nei miei musicisti, che da repertorio ci cantano proprio la canzone sperata, che seguiamo inneggiando acuti con venature melodrammatiche dell’italiano all’estero. Che soddisfazione: digerire zeppelin ascoltando “oh sole mio”, tra un ruttino al luppolo e il freddo glaciale che di fuori ci aspetta. La serata si conclude al meglio, con i nostri amici che si dedicano ad un paio di ore danzerine accompagnate da una amica lituana e noi altri che torniamo a riscaldarci nel nostro meraviglioso ostello, con le pareti di cartapesta e le passerelle del corridoio dissestate. Verso le 4 di mattina tutti siamo alla base e dormiamo quando sentiamo trottare su e giù per il corridoio qualcuno. Scopriamo l’indomani che questo qualcuno era una giovane donna straniera alloggiata nell’ostello, che si era rintanata tra le pareti dell’ostello alla ricerca disperata di una dimora in cui assopire la sua immane sbornia. In questo irrequieto vagare si era imbattuta nella porta dei miei compagni di viaggio. Così il mio amico se la era ritrovata tra le braccia che gli pregava di invitarla a dormire da lui, con suo stupore e divertimento la invitava a sua volta gentilmente ad andare da un’altra parte a rompere le palle. Chissà poi dove è crollata a dormire.
Ritmo lento e chiacchiere Ci svegliamo sempre più tardi, a dispetto del ritmo calzante che generalmente tengo quando faccio la turista, sempre attenta a massimizzare tutte le ore della giornata, in un incessante turbinio di visite e giri tra le strade dei nuovi luoghi da scoprire. Ed invece stavolta ho rallentato. La sveglia sempre spenta, quando fastidiosamente suonava, e suonava la seconda volta. Fuori dal letto: freddo. La doccia nel bagno: freddo. E poi una volta fuori: freddo. E come se il clima …Freddo, ma soprattutto le poche ore di luce, abbiamo totalmente mandato in stand by il mio bioritmo, che ha deciso di farmi andare come una vecchia chiocciola, rotolarmi per le strade, arrotolata nello sciarpone. Dopo quattro giorni di cappa, finalmente mi sveglio sempre ad orario da nobiltà, verso le 11 scendo a fumare la mia prima sigaretta nel cortile dell’ostello, e come per incanto vedo un angolo di cielo azzurro, e poi le nuvole che scorrono velocemente, e le strisce del sole riflesse sulle finestre del palazzone di fronte. C’è il sole. E come essere stati 4 giorni chiusi in una sfera di neve, con qualcuno che ci shakerava, e poi finalmente si è deciso a toglierci il tappuccio e a farci vedere quello che c’è oltre le finte pareti, e su di noi. Ho detto “su di noi?”. Certo è che mentre descrivo questo che avevo già pensato di fissare quando l’ho provato, non avrei mia creduto di ritrovarmi a fare alcun riferimento al minuto cantautore partenopeo. E che mi diverte come un giullare diverte il suo re. E per rispetto nei confronti del suo romanticismo melodrammatico e pateticamente divertente non posso non pensare a lui. Per cui, sì quel giorno su di noi nemmeno una nuvola. Grazie pupo! Ci siamo trascinati lungo le strade, e abbiamo visitato quello che c’era da visitare, sia a Riga, che ha Vilnius. Abbiamo trascorso un ultimo dell’anno decisamente fuori dalla nostra norma. Niente musica a palla, niente cenone iper sofisticato e bottiglie di spumante. Il freddo quello si, non siamo andati in piazza Unità a vedere i fuochi, ma su un colle cittadino dove troneggia un monumento e da cui si vede tutta la città. Vi ci siamo arrampicati verso le 11, dopo essere stati un paio di ore a mangiucchiare e a chiacchierare con alcuni lituani in una sala da biliardo in cui poi avremo da spendere le nostre ore del nuovo anno almeno fino alle 5 del mattino giocando e sfidandoci in un torneo. Tra uno stuzzichino all’aglio e l’altro, assistiamo incuriositi alle disquisizioni dei giovani emergenti lituani sulla situazione attuale nel loro paese. La nostra amica ci spiega che stanno parlando della “crisi”, che è molto sentita tra i suoi coetanei connazionali. Poi il contesto in cui ci troviamo è anche fertile, in quanto il proprietario del locale, è un trentenne emergente nel mondo della politica locale. Non capisco però se sono i suoi amici per simbiosi interessati alla politica e pertanto alla crisi, perché condividono lo stesso humus, o se in genere i giovani lituani sono così recettivi a questi temi. Non riesco tuttavia ad approfondire, non avendo ancora maturato un grado alcolico tale da permettermi di interloquire con una certa disinvoltura in idioma britannico, per cui, un po’ per sana pigrizia metereopatica, un po’ anche per non interferire lo scambio interculturale tra italia-lituania che si sta imbastendo tra uno dei miei compagni e una delle nostre amiche locali, decido di mantenere questo dubbio per me, e di farmene una ragione. Spunta anche un autoctono con troppo entusiasmo per il mio attuale livello di euforia, e ci invita a intervenire sulla “crisi”. Che dire? Non so se non ho voglia, o non ho idee, fatto sta che lo ringrazio e continuo a imbottirmi di cibarie, curiosando quello che accade attorno a me, come una mucca guarderebbe un treno che passa, tanto per fare un citazione degna a pochi intenditori. Insomma tutto scorre, ma è uno scorrimento piacevole. Prossimo giro Abbiamo percorso strade ma ancora di più abbiamo vissuto ognuno il proprio percorso, perché alla fine una trasferta è una parentesi che ognuno riempie come meglio crede. Fatta di sensazioni condivise, ma anche pause e silenzi. Al rientro mi chiedo quanto a volte si parli di tutto ma non si parli mai di niente. Quattro amici che hanno discusso, scherzato, si sono incazzati a volte confrontandosi sulla “crisi”, tema tanto a cuore dei giovani lituani, ma soprattutto sulle proprie impressioni lungo le strade battute dalla neve. Tra disquisizioni sullo stato per qualcuno troppo “pirata”, e le idee sulle giovani donne baltiche, sul cibo eccessivamente speziato, sulla fine dei lituani durante l’occupazione, sulle cause di destra, di sinistra, che poi si rischia di perdere le coordinate e nessuno sa più dove stiamo andando. Sulle date storiche ricordate argutamente dal nostro amico intellettuale, sulle mie divagazioni no sense da sociologa da sobborgo di cosa ne pensa chi sta di qua e chi sta di là. Da dove? E ancora birra, e poi commenti sulle inquadratura, immortalare momenti di totale svacco mirando il magnifico panorama luccicoso da sopra la torre, verso la distesa città di Vilnius, riprendere i giochi di riflessi delle luci psicadeliche del locale e quelle della città che si intravedono oltre i vetri. E ancora un autoscatto, reso difficile non solo dalla poca luce, ma anche e soprattutto dal fatto che il locale è in movimento in quanto la torre gira, e noi con lei dentro, allora “metti là, metti qua la macchina”, prova uno scatto, provane un altro, “dai ora muovi le mani, che ti faccio le foto tipo karatè”, e ancora “fammi una foto con la birra”. E via di seguito in un turbinio di scatti, che si aggiungono a tutti quelli che lungo le strade abbiamo fatto, ognuno per sè, ognuno vedendo e vivendo il viaggio. Quattro amici che hanno condiviso alla fine pochi scatti, ma ne hanno fatti tanti, quasi per custodire ognuno il proprio percorso. Dribblando tra i più vari contenuti la conversazione che non ci ha mai toccato da vicino, abbiamo parlato come gli spettatori commentano un film, nessuno però ne è stato protagonista. Se forse ci fossimo collegati anche per soli 10 minuti a facebook (o fessbook) forse sapremmo di più gli uni degli altri di quanto non ci siamo detti in 6 giorni trascorsi insieme. E’ strano come nell’era dell’informazione siamo tutti collegati con il mondo, e spesso a volte un po’ lontani da tutto ciò che ci circonda. Siamo partiti con aspettative diverse, ognuno con le proprie poesie e bestemmie nel cuore, sereni e un po’ irrequieti, ma sperando ognuno di noi di ritornare a casa con qualcosa in più da raccontare, da condividere o semplicemente da ricordare, e ognuno portando lungo il percorso compagni diversi per riempire le parentesi lungo la strada: la musica dell’ipod, l’enigmistica, il libro di inglese “learning in 30 giorni”.
Così al ritorno scarico canzoni che scandiranno il mio prossimo tragitto, e rivedendo le foto. Cari compagni di viaggio, quando cresceremo, perché ormai siamo già un po’ grandi, bamboccioni e non, come sarà difficile ricreare questi momenti di condivisione, sempre così più presi da altri impegni, altre necessità. Come sarà diverso il gusto della birretta e del pollo fritto? E questo senso di spensieratezza misto all’incertezza di ciò che stiamo aspettando, o semplicemente arriverà.