NORMANDIA E BRETAGNA, una fiaba da vivere
Il clima nel nord della Francia è bizzarro ed imprevedibile. In agosto, quando siamo stati noi, non faceva mai molto caldo (in ogni caso un caldo molto lontano da quello conosciuto alle nostre latitudini) ed i venti, in generale di ponente, portano aria fresca. La Bretagna in particolare, è spazzata dal vento, a volte anche molto forte. Dunque, l’abbigliamento deve essere quello di ogni buon viaggiatore: pratico e versatile. Non devono mancare scarpe confortevoli e robuste, dei maglioni se dovesse fare un po’ più freddo ed una leggera giacca impermeabile con cappuccio, se dovesse piovere o tirare vento (tipo i giacconi che si usano in barca a vela). Utile avere dei cappelli contro il vento, presenza costante, specie nelle zone costiere. Una nota molto positiva è che la Francia, nonostante la sua posizione, aderisce al fuso orario dell’Europa centrale. Questo, unito alla latitudine, fa si che faccia buio molto tardi in estate(dopo le 22.00). Dunque, le ore di luce a disposizione sono tante.
Il cibo è generalmente ottimo, anche se i ristoranti sono talvolta cari. Tutti, però, espongono fuori i loro menù con i prezzi e, dunque, potrete sempre regolarvi in anticipo. Di solito, le Brasserie assomigliano (per offerta e prezzi) ai nostri ristoranti, mentre le Creperie sono più simili alle nostre rosticcerie e paninoteche, con offerta di cibo più modesta e limitata, e decisamente più economiche. Quello che non manca mai, specie in Bretagna, sono le “moules”, le cozze. Vengono servite in pentoloni dedicati, con porzioni abbondanti (circa 500 gr.), accompagnate da patate fritte. Noi ne abbiamo fatto strage! In particolare, quelle cucinate “a la creme” che avevamo visto a Parigi anni prima e, da buoni napoletani abituati alla “impepata”, avevamo pregiudizialmente bollato come una “ignobile porcheria!”. Niente di più sbagliato! A parte la scelta di accompagnarle con patate fritte, sono una delizia assoluta. Tant’è che abbiamo preso a cucinarle così anche a casa. Il vino è praticamente sostituito dal Sidro, molto apprezzato in special modo dai Bretoni. Noi lo abbiamo ordinato spesso, ma, per quanto ci riguarda, non si può preferirlo ad un buon vino, bianco o rosso che sia. Il caffè è quasi sempre imbevibile, con qualche modesta eccezione e sempre a patto che lo si chieda “serrè”, mimando con le dita la piccola quantità desiderata. Anche così, talvolta vi troverete davanti dei disgustosi beveroni. Dunque, conservatevi questo desiderio per il ritorno. Per noi, pizza e caffè sono stati motivo di grande conforto dal mal di viaggio che ci ha preso al rientro. Il sistema stradale è ottimo ed alla guida i francesi sono correttissimi. Le strade, dalle carreggiate ampie, sono solitamente poco trafficate, con chiara ed abbondante segnaletica. Sperando di non avere annoiato, descriviamo ora le varie tappe del nostro itinerario. Abbiamo scelto di iniziare il percorso dalla Normandia, per poi spostarci gradatamente verso la Bretagna. E’ stata una scelta dettata per lo più dallo svolgersi ideale del viaggio, così come ce lo eravamo immaginato. Abbiamo, però, letto di soluzioni diverse. Quindi, è questione di scelte personali. 9 agosto, sabato. Partiamo da Napoli verso le 8.00 del mattino. E’ necessaria una tappa intermedia prima di arrivare a Rouen, la nostra prima sosta in Francia. La scelta è ricaduta, in maniera quasi scontata, sulla Valle d’Aosta, avendo amici proprietari di un castello ad Introd, dividendo, così, i km di avvicinamento alla Normandia quasi in due perfette metà. Ad ogni buon conto, avremmo comunque scelto la valle d’Aosta, per la sua bellezza e la vicinanza al confine francese. Arriviamo in Valle d’Aosta verso le 19.00 e ci sistemiamo in albergo. Subito dopo, andiamo al castello, dove siamo attesi per cena. Verso le 22.30 salutiamo gli amici e facciamo un giro nel circondario (St. Nicolas, Aosta, Cogne), prima di ritirarci in albergo a St. Pierre.
10 agosto,domenica. Sveglia presto, colazione e si riparte. Attraversato il vicino traforo del Monte Bianco, siamo entrati in Francia in poco tempo. Infatti, non abbiamo trovato code verso la Francia, mentre – al contrario – c’erano diverse ore di fila dal piazzale francese verso quello italiano. Imbocchiamo l’autostrada, in direzione Parigi, costeggiando il confine svizzero, e guidiamo tutto il giorno, fino alla capitale. Nel prendere la “Route de Normandie”, passiamo sul limitare di Parigi. In alto, imponente, svetta la Tour Eiffel e c’è voluta una forza di volontà per non deviare per la città. Superata indenne la “Sirena” Parigi, continuiamo verso la Normandia e nel tardo pomeriggio, siamo nei pressi di Rouen. Mettiamo sul navigatore l’indirizzo del primo di alcuni alberghi individuati in internet, l’Hotel S. Severe in Place de l’Eglise n°20. Non è malvagio ed è abbastanza centrale (pochi minuti a piedi dal centro storico e dalla cattedrale). Così prendiamo una stanza per poco più di 70 €. Ci mettiamo del tempo a trovare il garage dell’albergo, situato alle spalle dell’albergo e per nulla segnalato. Sono necessari alcuni giri dell’isolato. Nelle poche ore del giorno rimanenti, non perdiamo tempo e, nonostante la stanchezza dei due giorni di viaggio, facciamo un giro fino alla piazza della cattedrale. Assistiamo ad una suggestiva proiezione di effetti speciali sulla facciata principale della cattedrale medesima. Subito dopo mangiamo un boccone e torniamo in albergo. 11 agosto, lunedì. Sarà un giorno molto intenso. Abbiamo in programma la cd. “Route des Abbayes”. Si tratta di un percorso che si snoda lungo la riva nord della Senna, attraverso fitti boschi e terreni coltivati ad alberi da frutta, in visita alle molte abbazie medioevali sparse nell’area. Alcune di queste sono perfettamente conservate, altre in rovina e dal fascino sinistro. Imboccata la D982, inseriamo sul navigatore St. Martin de Boscherville, paese dove c’è la prima abbazia da visitare, quella di St. George. E’ bellissima! Ancora integra, con i suoi giardini ed il suo orto è un oasi di pace. Andando in direzione Duclair, costeggiando a tratti la Senna, imbocchiamo la D 143 e arriviamo all’abbazia di Jumiéges, davvero imponente, ma in buona parte crollata. E’ quella che ci è piaciuta di più. Fondata nel 654 d.C. Fu più volte saccheggiata nei secoli; nel periodo di massimo splendore ospitava più di 2000 anime. La terza tappa è l’Abbazia di St. Wandrille, dove ancora opera una grande comunità benedettina. Può capitare di assistere (come è capitato a noi) a qualche suggestiva funzione religiosa, con tanto di canti gregoriani. Ultima significativa tappa di questo giro è Villequier, poco avanti St. Wandrille imboccando la D81. Si tratta di un delizioso borgo sulla Senna dove è possibile visitare la casa di Victor Hugo, oggi museo. Per completare il giro e tornare a Rouen abbiamo utilizzato una variante molto suggestiva. Anziché tornare indietro, abbiamo continuato in direzione del ponte di Tancarville. Attraversato il grande ponte sulla Senna, abbiamo proseguito lungo la A13 fino all’uscita per Bourneville, proseguito sulla D139, passando così attraverso la Foresta del Parco Nazionale di Bretagna ( a tratti fittissima) in direzione Mailleraye sur Seine e, seguendo le indicazioni, siamo scesi verso il fiume e giunti al traghetto. Imbarcata la macchina, (la traversata è gratis) in poco meno di un minuto siamo sulla riva nord della Senna, di nuovo nei pressi di Jumiéges. Così facendo, si allunga il percorso di rientro a Rouen, ma ne vale assolutamente la pena. Facciamo una breve sosta in albergo verso le 16.00, per lasciare l’auto in garage. Attraversato il ponte sulla Senna, ci dirigiamo verso la pedonale Rue du gros Horloge fino a Place du Vieux Marché, dove il 30 maggio 1431 fu bruciata sul rogo Giovanna D’arco. La piazza è bellissima, molto meno la moderna chiesa eretta in onore della santa. Alle spalle della chiesa, nel posto dove fu rinvenuta la pira del rogo, vi è una targa commemorativa. Torniamo su Rue du gros Horloge, dove ci fermiamo a fotografare il grande orologio medioevale (ricorda vagamente quello della Piazza della Città vecchia di Praga). Facciamo un giro per le botteghe e ci fermiamo a mangiare un boccone nei pressi della piazza della cattedrale. Ormai è sera avanzata, siamo stanchi e torniamo in albergo.
12 agosto, martedì. Al mattino, lasciamo Rouen, in direzione della ormai vicina costa. La nostra intenzione è quella di visitare Honfleur, Deauville e Trouville per e poi dirigerci nel tardo pomeriggio verso le spiagge del D-Day. Arriviamo verso le 10.30 ad Honfleur: un incanto!!! Dobbiamo dire che rimarrà uno dei posti più affascinanti da noi visitati in tutto il viaggio. Tutto ruota attorno al delizioso porto alla confluenza tra le foce della senna e l’oceano. Le banchine della darsena sono animatissime, con tanti ristoranti e bar, e le molte barche, quasi tutte a vela, ondeggiano in attesa di riprendere il mare. Nelle viuzze che si aprono ai lati è tutto un brulicare di botteghe artigiane e negli Atelier si perpetua sfacciatamente l’amore per la pittura impressionista, che ha portato qui artisti del calibro di Monet o Boudin. Da visitare, la chiesa di St. Caterina. Del XV secolo, interamente in legno, compare in alcuni famosi quadri di Monet. Lasciamo Honfleur verso le 14.00 e ci dirigiamo verso due altrettanto rinomate località: Deauville e Trouville. Più sviluppate di Honfleur, Deauville e Trouville sono due attigue ed apprezzate località balneari, con un porto canale commerciale. Vale la pena passarci qualche ora, vagare tra le viuzze affollate di ogni tipo di botteghe e negozi. A noi è piaciuta la passeggiata sui due pontili in legno che conducono ai due fari segnale del porto di Trouville. Di li, sulla destra si apre una lunga spiaggia sull’oceano dove passeggiare o prendere il sole…Quando c‘è! Dopo un orribile caffè, verso le 17.30, torniamo a prendere l’auto al parcheggio, per dirigerci verso un B&B del nostro elenco in zona Omaha Beach. Vogliamo trovare presto una sistemazione confortevole e rimanere in zona un paio di giorni. Arriviamo all’auto appena in tempo! Si scatena un violentissimo temporale che si attenua lungo la strada e pian piano svanisce non appena siamo in zona Omaha Beach. Il B&B è, purtroppo, al completo. Ne vediamo tanti altri, a volte all’interno di ville mozzafiato, ma tutti al completo. Scartiamo un albergo perché costoso, a fronte del modestissimo aspetto. Siamo in una zona priva di grandi centri abitati: campagna a perdita d’occhio e piccolissimi borghi. Per fortuna che è ancora pieno giorno e le nubi hanno sgombrato il cielo, lasciando posto ad un bel sole. Decidiamo di cercare una sistemazione nella vicina Arromanches, sede del più importante museo dedicato allo sbarco. E’ un paesino delizioso e risulta piuttosto difficile immaginare l’inferno scatenatosi sessantaquattro anni fa, proprio qui davanti. Qui abbiamo molta fortuna. Dopo alcuni tentativi falliti, leggiamo il solito cartello “Chambre d’Hotes” ed imboccato un vialetto in leggera salita, arriviamo ad una grande casa a due piani, recante una data: 1860. Cani abbaiano. Da una finestra del cortile, ci scruta un uomo biondo, alto e dalla corporatura massiccia. Ci fa cenno di dirigerci verso l’ingresso. Gli chiediamo, in uno stentato francese, se ha una stanza libera per due notti. Ci scruta impassibile per qualche secondo, poi ci fa cenno di entrare. Attraverso una scala di legno, ci conduce al primo piano e poi lungo un breve corridoio. Apre una porta e ci mostra una sorta di mini appartamento, con una grande anticamera, una deliziosa camera con letto a baldacchino ed un grande bagno con cabina doccia e idromassaggio. Il tutto costa 80 € al giorno, compresa prima colazione. Accettiamo con grande gioia: siamo stanchi morti e la sistemazione ci piace tantissimo. Nella stanza da letto c’è una grande foto, che ritrae il Principe Carlo d’Inghilterra salutare un gruppo di militari in alta uniforme. Incastrato nella cornice, il biglietto della Parachute Regimental Association. Ci viene quasi scontato pensare che questa villa deve essere stata muta spettatrice di avvenimenti straordinari. L’atmosfera della vecchia casa è davvero intrigante. Facciamo conoscenza con la padrona di casa, il figlio ed un enorme iguana terrestre, posta in un terrario, nel salone dove viene servita la prima colazione. L’arredamento è assai bizzarro. Scopriamo che nella villa, oltre all’iguana, ci sono anche un meraviglioso gatto dal lungo pelo rossiccio, tre cani ed un pappagallo assai loquace ma, purtroppo, di lingua francofona. Vogliamo dare riferimenti di questa dimora, per chi vorrà venirci: “Le Manoir”, Rue Charles Laurent, Arromanches. Siamo ad un passo dal museo dello sbarco e dalla spiaggia, che qui si chiamava in codice “Gold”. Così, a piedi ed in pochi minuti, siamo lì. Il museo a quest’ora è chiuso, ma tutt’intorno ci sono relitti dello sbarco. Poco al largo si vede la linea di grandi cassoni, affondati per garantire riparo alle navi alleate e alle operazioni di sbarco, avvenute in condizioni di mare in burrasca. Cerchiamo un posto per cenare e troviamo una serie di piccole locande, poco distante dalla spiaggia. Ne scegliamo una ed ordiniamo due monumentali porzioni di Moules, alla crema ed al curry, accompagnate da vino rosso della casa. Ed è proprio qui che crolla la nostra granitica convinzione che le cozze debbano essere cucinate all’impepata. Prendiamo due Gaufres lungo la strada e torniamo alla villa.
13 agosto, mercoledì. Giornata dedicata interamente al D-Day, che aveva come punto cruciale proprio Arromanches, il paese in cui ci troviamo. Il 6 giugno 1944 gli alleati sbarcarono su cinque diverse spiagge. Ad ovest di Arromanches sono situate le spiagge americane, Omaha e Utah Beach, mentre ad est si trovano Juno Beach dove sbarcarono i canadesi e Sword Beach dove sbarcarono gli inglesi ed il Cd. Commando Kieffer (divisioni francesi). Arromanches era cruciale poiché è sulla sua spiaggia, in codice Gold Beach, che doveva essere installato un porto artificiale. Un porto era indispensabile per il rifornimento delle truppe e lo sbarco dei carri e mezzi pesanti. L’esperienza dell’operazione “Jubilee” del ’42 insegnava che era impossibile utilizzare un porto esistente, a causa della massiccia difesa tedesca. Così il comando alleato, Churchill in testa, decisero che era di importanza vitale costruire un porto in Inghilterra, trainarne i pezzi attraverso la Manica e installarli mentre infuriava la battaglia. La struttura di Arromanches, soprannominato Port Winston, resistette alla tempesta che si scatenò nei giorni dello sbarco ed ebbe un ruolo determinante nella riuscita delle operazioni. Il D-Day è molto ben descritto attraverso plastici, fotografie, filmati multilingue e numerosi cimeli nel Museo dello Sbarco, situato proprio davanti alla Gold Beach. E’ oltremodo emozionante poter osservare, dalle vetrate che danno sulla spiaggia, le strutture del porto ancora ivi esistenti. Ed è li che, appena finita la prima colazione, siamo andati. La visita, compresa la visione di un paio di filmati proiettati ad intervalli regolari ed in varie lingue (anche in Italiano), richiede un ora e mezza circa. Terminata la visita al museo ci dirigiamo ad Omaha Beach, nei pressi di Colleville sur Mer, dove infuriò una battaglia tremenda, tra i tedeschi ed i marines americani, che stroncò migliaia di giovani vite. Sul terrapieno che domina Omaha Beach si può visitare il Normandy American Cemetery and Memorial. E’ una esperienza molto intensa. Si cammina attraverso un’ infinita distesa di croci bianche, che rendono tutto il senso della tragedia consumatasi a poca distanza, sulla sottostante spiaggia. Ad Omaha Beach si può accedere attraverso una scalinata ed un sentiero nei pressi del grande emiciclo. Sulla spiaggia tira un forte vento, una leggera pioggia si alterna al sole. Così, dopo un po’ risaliamo per una visita (la merita) al Memorial Center, dove sono continuamente proiettati dei filmati d’epoca. Nel Memorial è accessibile un database informatico, mediante il quale si può conoscere il settore di sepoltura di ogni singolo caduto, il grado e gruppo militare di appartenenza, e la sua storia personale. E’ ormai ora di pranzo. Ci dirigiamo verso la punta estrema di Omaha Beach , sempre in direzione Colleville sur mer, in visita al Pointe Du Hoc, un’alta scogliera a picco sul mare, scalata e attaccata dal secondo battaglione dei Rangers per neutralizzare l’artiglieria pesante tedesca che colpiva incessantemente le spiagge di Utah ed Omaha. Qui sono ben visibili i segni del violentissimo scontro che oppose le truppe Usa alle divisioni naziste. Si possono visitare i tanti bunker dove erano piazzati i cannoni e le mitragliatrici tedesche. Lasciato Cap du Hoc, vogliamo visitare anche il cimitero tedesco, più austero e defilato. Sui semplici pilastrini a doppio che indicano le sepolture leggiamo più volte un semplice “Ein Deutscher Soldat”. Tuttavia, quello che tocca il cuore è la data di nascita e morte impressa sui pilastrini suddetti, che rivela l’età giovanissima di molti soldati, in alcuni casi poco più che scolare. E’ tardo pomeriggio, decidiamo di andare nella vicina Bayeux. E’ una cittadina deliziosa, tranquilla ed ordinata. Visitiamo la gotica cattedrale Notre dame e la sua cripta. Purtroppo, arriviamo tardi per il famoso arazzo lungo settanta metri, conosciuto col nome di la tapisserie de la Reine Mathilde e custodito in un museo nella vicinanze della cattedrale. Sono le 18.55 ed il museo chiude alle 18.30. Allora, nelle vicinanze ci concediamo la vista del fiume e di un meraviglioso mulino. Facciamo un’eccellente cena in una locale Brasserie e torniamo ad Arromanches. 14 agosto, giovedì.
Dopo la colazione, lasciamo Arromanches. Ci spostiamo al confine tra la bassa Normandia e la Bretagna, verso la baia di Mont Saint Michel. Abbiamo i nomi di due B&B in zona, Estival e La Maison Neuve, entrambi in una località chiamata Miniac Morvan. Mettiamo sul navigatore l’indirizzo del primo, che purtroppo è al completo. Proviamo con il secondo, La Maison Neuve. E’ una tenuta bellissima. Ci viene incontro un vivace cucciolo di Boxer. Purtroppo, anche questo B&B è al completo. La proprietaria,Nicole, ci fa entrare e si offre di cercare un’ alternativa in zona per noi. Dopo alcune telefonate, ci informa che in una vicina fattoria, di nome “la Pahorie”, hanno una stanza libera e la fissa per noi. Vi arriviamo in una ventina di minuti e scopriamo con piacere che è molto vicina alla Baia di Mont Saint Michel, in una località chiamata St. Meloir des Ondes. La sistemazione che ci offre è economica (50 € al giorno)e molto semplice, comunque di nostro gradimento. Madame Parnot, la padrona di casa, si affanna a farci vedere la fattoria e a rendere una buona accoglienza. Ci sistemiamo in fretta e partiamo subito alla volta dell’abbazia di Mont Saint Michel. Il cielo è coperto e l’aria è fresca. Arriviamo alla baia con la bassa marea. Ora l’aria è più mite e splende il sole. C’è molta confusione. A questo punto, ci sentiamo in dovere di dare alcuni utili suggerimenti. Il momento giusto, secondo noi, per visitare l’abbazia è il tardo pomeriggio, nelle ore in cui il giorno sta per cedere il passo alla sera, si allungano le ombre, la luce è morbida e si gode appieno della magica atmosfera che questo posto sa regalare. E, incredibile a dirsi, l’abbazia si svuota! La confusione delle ore centrali della giornata, che violenta la quiete e l’austerità di Mont Saint Michel, gradualmente svanisce e l’imbrunire regala momenti di intensa emozione a quanti sono rimasti sull’isola. E, in definitiva, è anche il momento migliore per scattate belle fotografie. Altra cosa assai importante: quando parcheggiate nella baia, fate attenzione alle indicazioni sulla marea (le troverete, chiare ed esaustive, anche all’ingresso dell’abbazia), e prendete dei riferimenti visivi per tornare all’auto. Capirete il perché, proseguendo nella lettura! Parcheggiata l’auto, ci incamminiamo verso l’abbazia. Percorse poche decine di metri dopo il portale d’ingresso, sulla sinistra si incontra la famosa locanda de la Mére Poulard, molto suggestiva ma piuttosto cara. Ci inerpichiamo per le stradine affollatissime di gente, fermandoci nelle tante botteghe. La salita verso l’abbazia è ripida. Anche per questo le ore meno indicate per la sua visita sono quelle centrali del giorno. Le stradine ed i bastioni hanno punti di osservazione che offrono panorami mozzafiato sulla lontana distesa di sabbia, lasciata scoperta dalla bassa marea e piena delle scritte di turisti. “Monique, Je t’aime”, “hello Mont Saint Michel” e molte altre frasi svaniranno, pian piano, col salire della marea, quando il mare si riprenderà questi immensi spazi, fino circondare l’isola in un gigantesco abbraccio liquido. L’abbazia è sontuosa ed austera al tempo stesso. Il tempo vola mentre attraversiamo il chiostro, il refettorio (davvero belli i pavimenti), le sale dei commensali con gli immensi camini in pietra ed altre sale. Terminato il giro dell’abbazia, proseguiamo ancora nel borgo sottostante e passeggiamo nei tanti giardini. Ora il cielo è nuvoloso e qualche goccia di pioggia cade di tanto in tanto. All’esterno dell’abbazia, sulle ripidissime ed inaccessibili mura, notiamo lo scivolo e la carrucola destinati in passato al carico e scarico delle merci, ora sostituiti da un tecnologicamente più avanzato, marchingegno. Arriviamo, infine, ad una piccola cappella, sulle rocce, che guarda il mare aperto. Tornati lungo la via d’accesso, mangiamo in una creperie. Ormai è quasi buio, l’abbazia sta per chiudere i battenti e noi vogliamo scattare qualche foto di Mont Saint Michel di notte, illuminato da potenti luci dalla temperatura-colore calda, simile alla luce delle torce. Un consiglio: appena arriva l’imbrunire, trovate un appoggio e mettete al sicuro qualche scatto, finché potete. Ad un certo punto, sorpresa: si spengono tutte le luci e piomberà l’oscurità più completa! L’abbazia, infatti, non resta illuminata tutta la notte, come si sarebbe portati a pensare. Ed è qui che richiamiamo l’attenzione su quanto detto in precedenza. Chi non avesse, come noi, preso dei riferimenti precisi per tornare all’auto vagherà sulla sabbia nel buio, ogni tanto rischiarato dai fari delle altre auto che vanno via, alla ricerca affannosa della vettura. E se la stessa non è stata parcheggiata sotto l’istmo che porta a Mont Saint Michel, la ricerca sarà veramente difficoltosa. Inoltre, la visuale dell’area di parcheggio è coperta dai camper che giungono numerosissimi per la notte in un’area loro riservata. Dopo la vana ricerca durata una trentina di minuti, dobbiamo ricorrere all’aiuto dei guardiani. Basandosi sulla nostra ora di arrivo e con l’aiuto di potentissime torce che, come lame iridescenti, fendono l’oscurità in profondità, trovano la nostra auto. Compriamo dell’acqua lungo la strada e, ridendo per la grottesca disavventura, torniamo alla Pahorie. 15 agosto, venerdì.
Sono le 8.00 ed il grande tavolo per la prima colazione è già tutto occupato. Siamo gli unici italiani. Attendiamo che si liberino due posti guardando le olimpiadi di Pechino in tv. Terminata l’ottima ed abbondante colazione, servita da Madame Parnot in persona, ci dirigiamo verso Saint Malò, dove arriviamo verso le 10.00. Contrariamente a quanto detto per Mont Saint Michel, a Saint Malò è consigliabile arrivare presto. Arrivando di buon mattino si trova più facilmente posto per l’auto. Ad ogni buon conto, basta aspettare poco che si liberi un posto nei tanti parcheggi alla base della città fortificata. Inoltre, a Saint Malò ci sono molte cose da vedere e conviene dedicargli tempo. Il nostro giro lo abbiamo cominciato dalla città fortificata, detta Intra Muros. All’interno delle mura, si può fare shopping nei numerosi e caratteristici negozi, o sorseggiare una buona bevanda nei tanti bar, prima di dedicare una visita alla cattedrale di St. Vincent. Dalla Cattedrale, andando in direzione nord, si può accedere, attraverso una scalinata dai bastioni, ad una bella spiaggia, con vista su numerosi isolotti, uno dei quali, la Grand Bè, è collegato da un istmo alla terra ferma ed accessibile con la bassa marea. Sulla Grand Bè, si può visitare la tomba dello scrittore Chateaubriand, godere dello spettacolo panoramico di tutta la Baia e dell’insieme della città, nonché scattare belle foto. A noi è piaciuto anche fare una lunga camminata sulla spiaggia del lungomare cittadino che, con la bassa marea, ha regalato molto spazio ai vacanzieri per il sole o attività ludiche sulla sabbia. Tutto il mare del nord è decisamente condizionato dalle maree, che da queste parti sono particolarmente imponenti. Non possiamo, inoltre, fare a meno di pensare che al di sotto del parapetto del lungomare, protetto da altissime palizzate in legno, sulla sottostante spiaggia dove stiamo pacificamente camminando, infuriano tempeste tremende. Verso le 13.00 decidiamo di andare a visitare l’acquario. Non è molto lontano da Intra Muros, ha un suo parcheggio gratuito e dopo la visita, si può fare uno spuntino in santa pace nel bar, appena dopo l’emporio dei Gadget. Vale la pena farci una visita. Verso le 17.00 lasciamo Saint Malò per andare nella vicina Dinan. Si tratta di un antico borgo, con uno stupendo centro storico che si allunga fino al mare. Sarebbe un vero delitto ignorarla. Una lunga strada in discesa conduce al porticciolo, al termine di un profondo fiordo, e li si può mangiare del buon pesce o crostacei. Scegliamo una locanda ed ordiniamo due porzioni di “Moules a la creme”, una “Galette au champignons”, del dolce e vino. Il cibo è ottimo, come l’accoglienza. Ci intratteniamo a parlare con una simpatica comitiva mista di bretoni e irlandesi. Ci chiedono dell’Italia, che alcuni di loro hanno visitato. Al ritorno, lungo la strada, in una traversa di cui purtroppo non ricordiamo più il nome, scopriamo una bottega strabiliante, che vende fossili, minerali e molte sculture in vario materiale. Alcuni enormi agglomerati di ametiste mandano in visibilio Anna. Mentre lei si dedica ai minerali, io mi intrattengo nella sala dei fossili e delle sculture. Rimango ammaliato da alcuni Cobra scolpiti in pietra nera e da un enorme dente di Megalodon. E’ ormai tardi. Torniamo alla fattoria per trascorrervi l’ultima notte. E’ buio pesto. Appena arrivati nella corte interna, ci viene incontro armata di lanterna Madame Parnot che ci raccomanda silenzio. Nella camera a fianco alla nostra è arrivata una famiglia con bambino piccolo e stanno già riposando. Purtroppo, non potremo cantare a squarciagola “o’ sole mio” e suonare i mandolini tutta la notte! Saliamo la grande scala di legno facendo attenzione a non fare il minimo rumore e andiamo a dormire.
16 agosto, sabato.
Presto al mattino lasciamo St. Meloir des Ondes, in direzione di Perros Guirec, villaggio affacciato sul tratto più significativo della Cotè de Granite Rose, caratterizzata da rocce scolpite in forme bizzarre dal vento. Al largo, le “Sette Isole” formano un fantastico santuario marino. Lì, è possibile ammirare una nutrita colonia di Sule, Cormorani neri, pulcinella di mare e, con un po’ di fortuna e con l’alta marea, le Foche Brune. Arriviamo in breve tempo a Perros Guirec. Inseriamo nel navigatore il nome di un albergo della lista, Les Sternes. Mentre aspettiamo che le informazioni vengano elaborate e creato il percorso, ci accorgiamo di esserci fermi proprio davanti all’albergo. Purtroppo, è al completo. Poco più avanti, vicino al porto, troviamo un delizioso alberghetto dotato di parcheggio privato. Prendiamo una stanza per la notte che, con tasse, prima colazione e parcheggio, costa circa € 76. Riprendiamo l’auto in direzione della attigua Ploumanache. Nella sua baia, sulle sue scogliere si snoda il cd. Sentier des Douaniers, il sentiero dei doganieri, dal quale si gode della vista delle Sept Iles e di una costa modellata dal vento in forme stravaganti e selvagge. Giunti alla baia di Ploumanache, compriamo un giro in barca alle sette isole. Si parte alle 15.30. Così, abbiamo il tempo di mangiare un boccone in una locanda al porto e fare un giro in paese. Attraversiamo un animato mercato ed arriviamo ad una spiaggia, dalla quale si ammira un promontorio con un bel castello di granito rosa vicino un faro. Uno scorcio familiare, poiché lo abbiamo visto in molte riproduzioni. All’ora stabilita, ci troviamo al molo di imbarco. In mare tira un vento freddo. Il giaccone e lo zuccotto sono benedetti. Le isole hanno un aspetto selvaggio. Su una di esse c’è una colonia di Sule, tanto nutrita da farla apparire la roccia bianca. Il barcone, magistralmente condotto dal capitano, manovra pericolosamente vicino alle rocce, per farci ammirare meglio i possenti uccelli marini. Lo stridore è enorme. A turno, volano in mare in cerca di pesce da portare ai piccoli. Mischiati alle sule, cormorani neri e gabbiani. Uno spettacolo potente! Abbiamo modo di ammirare anche delle foche brune; purtroppo, nemmeno l’ombra dei simpatici Pulcinella! Il giro dell’arcipelago è terminato. Sono trascorse due ore e mezzo, ma per noi che amiamo stare in mare, sopra e sotto, il tempo è volato. Siamo di nuovo a terra. La marea è salita senza che ce ne accorgessimo, il mare ha invaso la baia e rimesso a galla le tante barche che, prima, erano in secca. Ci addentriamo nel sentiero dei doganieri e per un tratto e godiamo, stavolta da terra, della vista delle isole e della costa. Sulla via del ritorno scopriamo un antico mulino a vento. Decidiamo di passare la sera a Paimpol, sulla costa e distante da Perros Guirec una cinquantina di chilometri. Anche in questo piccolo villaggio, la vita si concentra nei pressi del porto, testimonianza dell’importanza vitale che il mare ha per i Bretoni. Troviamo una locanda rustica ed allora ci mescoliamo alla folla, bevendo Sidro ghiacciato, mangiando Galettes a la Bretonne e cantando a squarciagola (facendo finta di conoscerle) le canzoni di Gilles Servat. Il trucco viene scoperto presto. La padrona ci sorride divertita e offre, alla fine della cena, due caffè , “espresso italiano” ci assicura. Non so proprio cosa ci fosse nelle tazzine, ma l’espresso, di sicuro, non ci è mai entrato! Rientriamo in albergo che è già buio, piove leggermente ed, in alcuni tratti, incontriamo banchi di nebbia. Dopo la doccia, sul letto invaso di carte stradali coadiuvate dal fido TomTom, studiamo il percorso del giorno dopo. Quimper è una deliziosa cittadina, capitale dell’antico ducato di Cornovaglia (il nome deriva dal bretone Kémper), attraversata dal fiume Odet. La sua posizione la rende una base ideale per visitare molte località interessanti della costa occidentale della Bretagna, come il promontorio di Point Du Raz, Carnac o la penisola di Quiberon. Ed è a Quimper che ci dirigeremo domani. 17 agosto, domenica La mattina presto lasciamo Perros Guirec. La regione della Bretagna che attraversiamo è il Finistére. Deliziosi borghi, fiumi e boschi, questo è il paesaggio che scorre avanti ai nostri occhi. Arriviamo in breve a Quimper. E’ all’altezza di ciò di cui avevamo letto, ma per una serie di circostanze non ci fermeremo qui. Diamo fondo a tutta la lista di alberghi in nostro possesso. Scartiamo il primo perché un po’ fuori mano. Il secondo ha ancora una stanza libera, è molto bello e centrale, ma non ha parcheggio ed abbastanza più caro della media. Ne proviamo altri due, scadenti e anch’essi fuori mano. Un ultimo ha la reception chiusa fino alle 17.00. Così, decidiamo di non perdere altro tempo e spostarci verso Pointe de Penmarc’h. Siamo venuti fin qui in cerca della bellezza dell’oceano selvaggio, dei paesi fuori delle rotte turistiche classiche e dei fari, di cui tutta la costa abbonda. In zona è presente un grande faro, segnalato anche da cartelli stradali, che tuttavia non riusciamo a trovare. Passiamo per il paese di Penmarc’h, dove vediamo uno dei tanti “complessi parrocchiali”, caratteristici di questa regione. Ci fermiamo a scattare qualche foto e proseguiamo. Nella ricerca del faro, finiamo in una località sulla punta del promontorio, con una splendida spiaggia e l’ingannevole nome di Le Torch. Sole e vento deliziano i tanti surfisti e bagnanti. Ci fermiamo a mangiare un boccone e poi ripartiamo alla volta del faro. Non può essere lontano; lo avevamo notato da lontano percorrendo la strada, prima di perderne le tracce. Infatti, presa una lunga strada laterale, arriviamo infine al faro di Eckmuhl. Si può visitare, ma a gruppi limitati e ci sono già diversi gruppi di ragazzi in fila. Così, dopo un piccolo alterco con una signora che sostiene che abbiamo attraversato il suo prato, torniamo all’auto e ci dirigiamo verso Pointe Du Raz. Non avendo ancora una base, continuiamo a cercare una sistemazione alternativa a quella mancata a Quimper. Arrivati in uno splendido borgo con la solita rada gremita di splendide barche a vela, di nome Audierne, entriamo in diversi alberghi: tutti al completo. Proseguiamo verso la punta del faro. Lungo la strada, in una località chiamata Primelin, notiamo una grande casa bianca, con una evidente scritta in blu “Le Dolmen” ed il cartello “chambre d’Hotes”. Ci fermiamo e bussiamo alla campanella. Si sente un cane abbaiare, ma non arriva nessuno. Stiamo per perdere la speranza, quando ci apre una donna. Gli chiediamo se ha una stanza. Dice che deve controllare sull’agenda. Entriamo e conosciamo l’entità abbaiatrice: uno splendido labrador. I padroni di casa sono irlandesi e così abbandoniamo un improbabile francese per l’inglese. Ci fanno visitare la casa: è bellissima (non manca nemmeno la sala da biliardo!). Prendiamo una stanza, purtroppo c’è solo per la notte; prezzo 55 € con prima colazione. Al piano superiore ci sono 5 stanze, ognuna è indicata con il nome di un colore. A noi tocca la Fucsia. E’ arredata con gusto, rustica ed essenziale. Pavimento di legno, un grande letto di ferro battuto nero, tende color lavanda, un tavolino di ferro battuto nero, ed una cabina armadio. Il bagno ha una grande cabina doccia, un lavabo, una sedia e lo stesso caldo pavimento di legno. Siamo felici di non aver trovato posto a Quimper e della nostra, anche se precaria, sistemazione. Per chi volesse andarci: Le Dolmen, località Rugolva, Primelin. Continuiamo verso Pointe Du Raz. Arrivati nei pressi, si lascia l’auto e ci si incammina su un promontorio spazzato da un forte vento e attraversato da stretti sentieri. Alcuni lungo lo strapiombo, altri più interni, conducono al faro. Distese di vegetazione, per lo più lavanda selvatica, ricoprono le rocce. Percorrendo il sentiero esterno sinistro, si gode di panorami mozzafiato della selvaggia costa tormentata dal mare, oggi tranquillo; ma i segni delle violentissime tempeste che spazzano questo promontorio sono evidenti. Gabbiani, cormorani bruni ed albatri sono i padroni assoluti di questi luoghi. In lontananza si distingue già il faro in mare, La Vieille, circondato da gorghi e forti correnti. Il faro di terra e la grande statua di Maria dei naufraghi sono dritti davanti a noi. Al termine dei sentieri, come adepti di qualche antico culto, una muta folla contempla il sole rossastro abbassarsi sempre più sul mare. Noi vogliamo di più! Scendendo, giù nella sella che separa il belvedere dall’ultimo grande sperone di roccia verso la punta estrema, c’è un cartello: au de là de cette limite, vous engagez a vos risques et perils, sur un espace accidentè qui presentè de réelles difficultès de progression. Seppure inquietante, questo cartello suggerisce una cosa: accidentata e insidiosa che sia, esiste la possibilità di andare oltre, verso la punta e la vista diretta dei fari e del mare aperto. Ed, infatti, seguiamo un percorso segnalato con piccole frecce di colore rosso dipinte sulla roccia. Così, con molta attenzione, aiutati da robuste corde fissate nei tratti difficili e pericolosi, arriviamo sul punto più estremo dove oltre proprio non si può andare. La Vieille è davanti a noi, con la grande Ile de Sein all’orizzonte. Uno spettacolo mozzafiato! In una posizione non troppo comoda, scattiamo alcune foto. Purtroppo, non possiamo trattenerci a lungo. Il sole è già basso all’orizzonte. Il percorso è reso pericoloso dalla roccia alquanto friabile. Inoltre, alcuni passaggi, pur se brevi, sono a strapiombo sul mare. Dunque, tornare con poca luce sarebbe oltremodo pericoloso. Ci fermiamo a cena in una locanda vicino al punto di informazione. Ordiniamo zuppa di pesce alla bretone, Galettes ai funghi e del sidro ghiacciato. Il caffè è la solita porcheria. Plogoff, ultimo avamposto umano a Pointe du Raz, offre uno spettacolo struggente. Il vento teso fischia attraverso i massi e l’erba alta. Il giorno ha ormai ceduto il passo alla sera e gli ultimi sprazzi di luce radente conferiscono a tutto il villaggio fiabesche tonalità color pastello. Torniamo in pochi minuti a Primelin e andiamo a dormire esausti. 18 agosto, lunedì.
Al mattino, scendiamo nel grande salone al pian terreno e terminata la prima colazione, portiamo i bagagli nell’auto parcheggiata nello spiazzale di fronte. Abbiamo rinunciato a trovare una sistemazione in zona, anche se la penisola di Pointe du Raz ci è piaciuta moltissimo. Infatti, abbiamo deciso di spostarci di nuovo verso nord e andare a Brest. Ci arriviamo in poco tempo. A Brest fa decisamente più freddo. Arriviamo subito al primo albergo della nostra lista, l’Abalys, in Avenue de Clemenceau n°7. Siamo fortunati! E’ un albergo dall’aspetto pulito, centrale ed abbastanza economico (circa € 86,00 con prima colazione). Il personale dell’albergo è estremamente cortese, c’è un internet point gratuito per i clienti e si può parcheggiare l’auto nel parcheggio pubblico fronte all’albergo, al prezzo di soli € 3,00 al giorno. Ci sentiamo di consigliarlo. Avendo trovato sistemazione in fretta, abbiamo molte ore da dedicare alla città. Approfittiamo qualche minuto dell’Internet Point per visionare la nostra posta. Abbiamo in programma di andare ad Oceanopolis, dove contiamo di poter anche pranzare. Abbiamo intravisto, nella zona del porto commerciale e non lontano da Oceanopolis, un enorme capannone con la scritta: Scubaland – tout pour la plongee et la chasse sous-marine. Ed è li che vorremmo andare subito dopo. Buona parte del pomeriggio, invece, la dedicheremo alla visita della parte della città concentrata tra la fortezza e il sovrastante quartiere, soprattutto la sua strada più famosa: Rue de Siam. Oceanopolis è decisamente l’attrazione principale di Brest, almeno dal punto di vista turistico. Situato in riva al mare (Port de Plaisance du Moulin Blanc), si tratta di una stazione di ricerca oceanografica, con annesso un importante – per dimensioni e cura – acquario. Sistemata l’auto, scattiamo qualche foto della baia di Brest spazzata dal vento e di un uniforme color grigio piombo. Pioviggina e ci avviamo alle biglietterie. Nello spiazzale esterno c’è un batiscafo per ricerche. L’acquario è diviso in ambienti: temperato, tropicale e mari freddi. La visita impegna per qualche ora, ma dobbiamo dire che ne vale assolutamente la pena. Verso le 15.00 andiamo allo scubaland: una vera cuccagna per due subacquei incalliti come noi. Trascorriamo un ora circa nell’enorme store. Troviamo, nel reparto mute, una semistagna da donna in offerta. Anna la prova e, fortunatamente, risulta calzarle a pennello. Così, la acquistiamo (prezzo 150 €) insieme ad una custodia stagna per strumenti da regalare ad un amico. Chi ci lo volesse visitare, il centro subacqueo è in Rue Amiral Troude, Port de Commerce- Brest. Lasciamo Scubaland sotto una pioggia torrenziale, che fortunatamente dura poco, per dirigerci verso il vicino albergo. Lasciata di nuovo l’auto, ci incamminiamo verso la fortezza, che è sede anche del Museo della Marina. Visitiamo la antichissima Torre de la Motte Tanguy che è sede di un piccolo, ma interessantissimo, museo storico (ingresso gratuito). Attraversato il ponte della Recouvrance, ci troviamo a ridosso dei quartieri militari. Da un belvedere ammiriamo, nella grigiore della pioggia, due unità militari (una portaerei ed un incrociatore) alla fonda. Torniamo in Avenue de Clemenceau e, dopo un giro in cerca di un posto carino per cenare, ci infiliamo in un locale turco alquanto minimalista. Scambiamo quattro chiacchiere col proprietario, al quale brillano gli occhi quando gli parliamo della sua terra e del nostro lungo giro attraverso le meraviglie della Cappadocia. Ci serve uno strepitoso Kebab, con patatine fritte e birra ghiacciata. Un po’ di profondo meridione, dopo tanto selvaggio nord, ci voleva! Salutiamo il fratello ottomano e andiamo in albergo. Prima di andare a dormire, ci colleghiamo dal computer dell’albergo. Dopo molti tentativi, troviamo e prenotiamo con la carta di credito una stanza a Carnac, dove intendiamo andare domani. 19 agosto, martedì.
Lasciamo Brest, per dirigerci di nuovo verso sud. Destinazione Carnac, dove arriviamo a metà mattinata. E’ una cittadina deliziosa! Troviamo subito il nostro albergo, l’Hotel Restaurant Lann Roz in Rue de la Poste. Ha un aspetto familiare, più simile ad una vecchia casa di campagna. Due piani senza ascensore, parcheggio nel cortile di ciottoli sul retro, lungo la scala di legno foto d’epoca del villaggio. Lasciamo i bagagli nella stanza (il bagno, separato dal resto da una porta a soffietto, è orrendo) che ancora non è preparata e andiamo in paese. Entriamo nella cattedrale. Meritevole di una visita, ha una bella navata dalla volta di legno, dal profilo a botte e finemente decorata. Appena usciti, la chiesa viene chiusa. Appena in tempo! Un’estemporanea e fastidiosa telefonata di lavoro non riesce a rovinare l’entusiasmo di una giornata di sole in un posto magico, nel cuore della Bretagna più misteriosa. Torniamo all’albergo a prendere l’auto. Ci dirigiamo verso la vera attrazione di questa regione: i siti megalitici. Uomini di antiche e misteriose civiltà, risalenti al neolitico, hanno lasciato numerose strutture di pietra, dal significato probabilmente magico religioso, come Menhir, Dolmen, “Passaggi Coperti”, Tumuli etc. Appena fuori Carnac, vi è un’immensa distesa di Menhir, divisa in cinque aree principali, da ovest verso est, conosciute come gli allineamenti di Le Menéc, Toul Chignan, Kermario, Le Manio e Kerlescan. Arriviamo in un pochi minuti a Le Menéc. Parcheggiata l’auto, facciamo un giro nella Maison de Megalites, per poi percorrere l’intero perimetro del sito. Uno spettacolo grandioso! Menhir allineati, in file quasi parallele, per circa un chilometro. Il sito di Toul Chignan, sebbene a se stante, è praticamente un piccolo prolungamento di Le Menec. All’interno degli allinemanenti di Kermario vi è un Dolmen, facilmente visibile perché sul perimetro esterno, dal lato della strada carrabile. Le file di menhir, dopo aver attraversato la parte bassa di Petit Metairié, risalgono sul pianoro di Le Moulin de Kermaux e si arrestano temporaneamente di fronte allo stagno di Kerloquet. Tra Le Manio e Kerlescan, seguendo le indicazioni nel bosco, si arriva ad un gruppo di menhir, alti un metro e disposti in quadrilatero, conosciuti – appunto – come il “quadrilatero di Le Manio”. Poche decine di metri vicino, il cosiddetto “gigante di Le Manio”, un Menhir di oltre 6 metri, il più alto ancora in piedi. Ci facciamo una foto con il gigante e proseguiamo verso Kerlescan, il sito con gli allineamenti meglio conservati, a detta degli esperti. Visitata l’area di Kerlescan, riprendiamo l’auto. Esistono una serie di luoghi di minore richiamo turistico, ma non per questo meno coinvolgenti, che vale la pena vedere. Nei pressi della Piazza della Cattedrale, a Carnac, avevamo – infatti – notato una mappa del territorio, con indicazione di isolati monumenti di pietra, sopratutto Dolmen, sparsi nel territorio circostante. Ma non è facile trovarli, poiché, anche quando sono indicati, la segnaletica non è molto evidente. Sono spesso nascosti nei boschi, in un territorio di diverse decine di chilometri; tuttavia, danno il gusto magico della scoperta. Conviene inserire sul navigatore il nome della località e, una volta giunti, vedere cosa si riesce a trovare. Noi abbiamo fatto così. E dopo alcuni tentativi a vuoto, a Noterio, nei pressi di Keriaval, scoviamo nella boscaglia quello che non è proprio un dolmen, ma un complesso di dolmen ravvicinati, a formare una sorta di tempio. E’ bellissimo e ci ripaga della fatica della ricerca. Sono le 17.00. Decidiamo di andare nella vicina penisola di Quiberon, fino alla punta, dove c’è un faro, e fermarci a cena in qualche posto. Lungo l’itinerario, dove il promontorio si stringe, incontriamo due grandi spiagge, una a destra della strada e l’altra a sinistra. Quella a sinistra è ridossata e col mare perfettamente calmo; quella a destra è spazzata da un vento fortissimo, con grandi cavalloni affrontati con maestria da surfisti e Kitesurfisti. Sullo sfondo, una imponente fortezza abbarbicata sulle rocce. Il sole basso è accecante ed il vento molto teso. Visitiamo uno store con prodotti tipici. Arriviamo a Quiberon poco dopo; è un villaggio che merita, senza dubbio, un visita. Ci fermiamo a fotografare un piccolo castello nella baia, in riva al mare. La staticità della costruzione, con le sue torri e le sue guglie, contrasta con la vitalità del mare solcato da grandi onde, che si infrangono imbiancando di spuma le rocce. Proseguiamo verso la punta del promontorio. Ad un certo punto, va lasciata l’auto, per percorrere un breve tratto tra bassa boscaglia e spiaggia, fino all’estremità. Di fronte, in mare, il faro. Ci godiamo in silenzio la pace e la bellezza di questo angolo sperduto di Bretagna. Il nostro viaggio è quasi giunto al termine. E’ la nostra ultima sera in Bretagna. Domani, inizieremo il lungo rientro verso l’Italia. Non abbiamo ancora deciso l’itinerario e la tappa intermedia da fare. Tornati a Quiberon, parcheggiamo l’auto e ci incamminiamo sul lungomare, animato da molti locali. Sono ormai le 20.30, siamo piuttosto affamati ed entriamo in una brasserie. Ordiniamo due monumentali porzioni di Moules a la Creme, innaffiate da Bordeaux Rouge. Usciamo barcollando. Compriamo due gelati che ci andiamo a mangiare in spiaggia. Lasciamo Quiberon sotto una leggera pioggia e rientriamo a Carnac. E’ buio pesto in albergo. Per entrare, dobbiamo usare i codici di accesso che ci hanno fornito. In stanza, riordiniamo i bagagli e pianifichiamo il rientro in Italia. Abbiamo due alternative. La prima è fare a ritroso lo stesso itinerario percorso, per riprendere l’autostrada che da Parigi scende dritta verso l’Italia; ed è anche il percorso segnalato dal navigatore. La seconda è scendere giù dritti per Nantes, Bordeaux, poi Tolosa e via verso la Provenza, rientrando in Italia dalla Costa Azzurra. Ed è quello che abbiamo deciso di fare, spinti da una considerazione pragmatica e da un desiderio di vecchia data. Dovendo fare una sosta, riteniamo cosa intelligente fermarci in un luogo significativo, che non sia solo un posto dove dormire; ed al contempo una piccola località, che possa essere visitata sufficientemente nel breve tempo di una sosta tecnica. E questo ci porta al desiderio di vecchia data. Notiamo che lungo l’itinerario prescelto, senza fare deviazioni rilevanti, c’è un piccolo villaggio in Provenza, vicino Avignone, chiamato Fontaine Vaucluse, che da molti anni volevamo visitare. Ed ora se ne presenta l’occasione. Un’esigenza trasformata in opportunità di scoperta inaspettata. Un viaggio nel viaggio. 20 agosto, mercoledì.
La colazione è servita in un rustico e bizzarro salone, pieno di strani oggetti; e questo rafforza la nostra convinzione che il Lann Roz sia un’ antica grande casa arrangiata, poi, in Hotel. Presi i bagagli, terminato il check out, partiamo alla volta della Provenza. Secondo il navigatore, saremo a Fontaine Vaucluse, soste escluse, nel tardo pomeriggio. La strada scorre veloce e così il tempo. Tuttavia, i chilometri sono tanti e la stanchezza comincia a farsi sentire quando, usciti dalla autostrada, arriviamo, ormai a sera inoltrata, nei pressi di Avignone, diretti nei Pirenei. A Fontaine Vaucluse arriviamo verso le nove di sera. Qui la temperatura è sensibilmente più mite che in Bretagna. E’ un posto bellissimo, persino oltre la nostra immaginazione. Un villaggio di meno di mille anime chiuso in una valle tra le montagne, attraversato da un torrente limpidissimo, alimentato da una misteriosa fonte che sorge dalle viscere dell’alto costone roccioso che domina il villaggio. Purtroppo, i non molti alberghi sono al completo. Proviamo nelle campagne circostanti, dove avevamo scorto dei B&B, senza trovarli. In un paese limitrofo troviamo un grande albergo, anche questo al completo. Ormai sono oltre le 22.00, siamo stanchi e frustrati dal fatto di non riuscire a trovare una stanza. Chiediamo al portiere di notte se può aiutarci a trovare una sistemazione in zona. Dopo alcune telefonate, ci indica un albergo che ha camere libere, in un paese ad una decina di chilometri, di nome Cavaillon. Arrivati a destinazione, appena fuori del piccolo centro abitato, ci troviamo di fronte a due alberghi attigui, di due catene diverse: Mercure e Ibis. Scegliamo il secondo, più carino ed anche più economico. La nostra stanza è grande ed accogliente. Dopo una rilassante doccia calda, che lava via i quasi 1.100 Km. Percorsi, andiamo a dormire.
21 agosto, giovedì.
Ci alziamo presto. Facciamo colazione e lasciamo l’albergo. Ci siamo riservati la mattina per visitare Fontaine Vaucluse. Dopo una breve sosta per rifocillarci, ripartiremo alla volta dell’Italia. Riguardo al nome Fontaine Vaucluse, l’originale latino “Vallis Clausa” è translitterato nel provenzale “Vau Cluso”e, infine, nel 1789, con l’annessione della contea Venaissin alla Francia, nel francese “Vaucluse”. Tuttavia, quello che caratterizza maggiormente il villaggio è la “Fonte” e, dal momento che l’intero dipartimento fu chiamato Vaucluse, il nome del villaggio mutò nell’attuale Fontaine Vaucluse. Infatti, quello che attira qui milioni di persone dai tempi dell’impero romano è questa sorgente misteriosa e capricciosa che sgorga dalle viscere della montagna. Se si osserva la vallata dall’alto, si noterà un’altissima cresta di roccia calcarea che incombe sulla valle e sul villaggio, attraversato da un impetuoso e limpidissimo torrente. Alla base di tale cresta, in una sorta di profondissimo pozzo, vi è la fonte celebrata dal Petrarca, ma ricordata anche da storici dell’antichità come Strabone, Seneca e Plinio il Vecchio. Nei tempi antichi, la fonte veniva celebrata come una divinità. All’equinozio di primavera, quando il sole si alza proprio al di sopra della sorgente, venivano compiuti riti sacri dai druidi. Nella valle si possono notare i resti di antiche fortificazioni. Le acque del torrente, alimentato dalla fonte, furono sfruttate prima dai Romani (si vedono ancora dei blocchi della diga), e poi dai cartai, nel 1700. L’ultimo mulino ancora attivo, oggi è una sorta di museo visitabile lungo la via che porta alla fonte. Sono le 8.30, il paese si sta appena risvegliando. Lasciamo l’auto, in un piccolo parcheggio a pochi metri da una piccola chiesa, che scopriamo essere molto antica: la chiesa di Notre Dame. Vi entriamo, non c’è nessuno. Ha la particolarità di non avere finestre, illuminata solo dalla luce filtrante da un rosone e da candele. E’ davvero bella nella sua semplicità. Interamente distrutta nell’anno 1034, conserva all’interno il sarcofago merovingio di San Verano, i cui resti furono traslati nella vicina Cavaillon nel 1321. Arriviamo in piazza, dove c’è il monumento a Petrarca. Proseguiamo il nostro itinerario e andiamo al museo dedicato al celebre poeta trecentesco. E’ un piccolo casolare sulla riva destra del torrente, in un’area di proprietà del poeta aretino e dove presumibilmente dovesse essere la sua casa. Più che il museo, a noi è piaciuto passeggiare nei giardini, risalendo la riva di questo fresco, limpidissimo corso d’acqua e ci vengono in mente i versi: “Chiare fresche dolci acque!”. Tornati indietro alla predetta piazza, si passa sul lato sinistro del fiume e ci si può incamminare verso la “fonte”. Lungo la strada, visitiamo il mulino cartaio e all’interno, al di la della grande ruota, il museo e un suggestiva galleria di botteghe. Tornati sulla via della fonte, ci incamminiamo sempre più verso la montagna. Arrivati li, scendiamo negli inferi! La fonte, in realtà, è uno spaventoso baratro, riempito con acque sotterranee che quando sono in secca, come ora, formano un placido laghetto verdastro dentro la montagna. Il sorgometro incassato nelle rocce vigila sul mostro che, in inverno e in primavera, senza che se ne conosca il perché ed il come, vomita le sue acque con violenza al di sopra del piano di sbocco, nel letto del torrente che scorre più in basso. Il fenomeno è talmente singolare da aver coniato il termine “sorgenti vauclusiane”, per indicare non risorgenze, bensì emersioni di corsi d’acqua che si formano sottoterra. E possiamo ben immaginare quale impatto emotivo potesse avere questo fenomeno sulle antiche popolazioni del luogo che, come detto, consideravano questo un posto magico. La sorgente è oggetto, fin dal 1869, di molteplici esplorazioni subacquee, tra cui quella di Jacques Cousteau nel 1946, che ancora non hanno svelato il suo mistero. Le esplorazioni si sono fermate a quota – 308 mt. , quando il Modexa, un modulo telecomandato, incontrò delle forti correnti che gli impedirono la prosecuzione. Non sono mancate scoperte archeologiche, come il ritrovamento nel pozzo di centinaia di monete antiche, di bronzo, argento ed oro, risalenti al III e IV sec. D.C.. Tutto questo ha alimentato le leggende che circolano intorno ad un favoloso tesoro all’interno della sorgente, custodito dal mostro cui le leggende medesime attribuiscono i fenomeni emersivi. Risaliamo all’aria aperta e scendiamo verso il paese. E’ ormai mezzogiorno. Abbiamo il tempo per una visita, in un borgo vicino, al “Museo della Lavanda”. Ex stabilimento per la distillazione dell’essenza di lavanda, oggi è un ben organizzato museo, dedito alla preservazione della tradizione di questa antica arte. La visita inizia con un breve filmato introduttivo con l’ausilio delle audioguide in varie lingue e prosegue con la sala espositiva, dove si possono ammirare gli alambicchi originali, dai più antichi ai più recenti e sofisticati, e tutto ciò che è legato alla tradizione della coltivazione e lavorazione di questo splendido fiore, vero simbolo della Provenza. Non manca un meraviglioso negozio dove riempire il cestino degli acquisti con lavanda nelle più diverse forme. Sono le 13.30. E’ ormai, ora di riprendere il cammino. Siamo ancora molto lontani da casa. Usciamo dalle valli, in direzione di Marsiglia, poi della Costa Azzurra, per rientrare, infine, in Italia da Ventimiglia, in Liguria. Il nostro racconto finisce qui. Noi siamo arrivati a Napoli nella notte, ma siamo ancora in viaggio con la nostra mente, nei ricordi di migliaia di chilometri percorsi attraverso una terra di superba bellezza che consigliamo a tutti di visitare. Giovanni e Anna per ogni ulteriore approfondimento, info o semplicemente per fare quattro chiacchiere contattateci a:giovanni.Filangieri@tin.It