1900 km di Marocco del sud
Il panorama che da Boulmane sale verso le gole è di una bellezza violenta e primordiale. Rocce ocra levigate in forme che sembrano plasmate dalle mani di un gigante. Ma non vogliamo perdere le più rinomate gole di Todra, quindi, appena arrivati in cima facciamo dietro-front, torniamo sulla strada principale e a Tinerhir saliamo verso il Todra. Onestamente, pur se bellissimo con queste vertiginose pareti che quasi si toccano, il paesaggio del Dadès ci è parso ancora più bello e unico. Riscendiamo e ci avviamo verso il deserto. Ma che buona scelta è stata quella di mantenere l’orario italiano! Qui non c’è certo vita notturna e alzarsi presto senza sforzo ci permette di avere molte ore di luce a disposizione. La fame però si fa sentire.I rifornimenti di carburante sono relativamente frequenti, ma il cibo? Km e km senza anima viva.. Arriviamo in una specie di agglomerato di case e notiamo del fumo. Arrosto! Il signore del chiosco, facendosi strada tra nugoli di mosche, molto cortesemente ci pulisce un tavolino con lo straccio del pavimento e ovviamente con le stesse mani prepara spremute che poi verserà in bottiglie di plastica da esporre al sole, infine toglie pezzi di carne da una marinata e ci prepara degli spiedini. Ottimi, forse per il composito condimento. Speriamo che la cottura abbia ucciso tutto e osserviamo i vasetti di jogurt accatastati sotto un sole implacabile. Ma quanti anticorpi possiede questa gente ?! Acquistiamo arance e banane e ci riavviamo. Da Tinejad tagliamo verso Erfoud. Siamo nel deserto. Sabbia, vento, palmeti, dromedari che la fanno da padrone al centro della strada e poi terra nera, grigia, rossa. Da Erfoud la strada ci porta, bellisima e sconfinata, passando per Rissani, fino ai piedi delle enormi dune di Merzouga. Solo qualche cumulo di sabbia sulla carreggiata ci costringe a qualche zig-zag, ma la piccola Peugeot si sta comportando alla grande. A Merzouga veniamo praticamente assaliti da chi vuole offrirci alloggio. Torniamo indietro di un paio di km (a Merzouga la strada finisce) e deviamo per una specie di pista ben battuta dove ci sono indicazioni di hotel. Un tipo in bici ci propone di seguirlo. Ci fidiamo, e tra buche e sassi arriviamo alla Kasbah Mohayut (www.Mohayut.Com): una vera kasbah costruita col metodo tradizionale, accogliente, fresca, con giardino interno e piscina. Mezza pensione per 600 dh in due (55 euro). Il trattamento è eccellente, forse un po’ turistico, con camerieri in pieno travestimento berbero. Ma dopo la notte a El Kelaa ci voleva questa stanza con doppio bagno e terrazzino sul deserto. Facciamo una passeggiata tra le dune prima di sera e ci perdiamo. Mio marito è furioso, anche perchè non abbiamo nemmeno memorizzato il nome dell’hotel e lì intorno ce n’è una sfilza tutti uguali. Io non posso smettere di ridere correndo con le scarpe piene di sabbia prima che la notte abbia il sopravvento, ma un ragazzo che evidentemente ci teneva d’occhio, ci viene per fortuna in aiuto. La cena, tutta a base di cucina tradizionale, è ottima Domenica 13 aprile Dopo il tramonto, non posso perdermi l’alba nel deserto, ed eccoci, ancora al buio, aggirarci tra le dune. Di nuovo tante foto, ma sono esperienze da vivere, non da raccontare. Dopo la colazione si riparte col rammarico di non aver tempo per visitare il deserto nero, dal lato opposto del paese: il deserto vulcanico dove ci sono laghi non sempre asciutti e fenicotteri.
Arriviamo a Rissani e prendiamo la lunghissima e deserta strada verso Agdz. Intorno a noi il paesaggio è mutevole e surreale: sembra lo scenario di un film sui dinosauri. Rocce nere gigantesche, praterie, palme, rovine di kasbah, ma soprattutto solitudine sconfinata. Solo ogni tanto, emersi dal nulla, vediamo correre piccoli pastori di greggi di pochi animali. Sono laceri, sporchi, spesso piccolissimi, e agitano bottiglie di acqua vuote. E’ un gesto di richiesta che spesso abbiamo incontrato e accontentato, così come assai spesso frotte di bambini ci hanno circondato chiedendo bon-bon, penne, vestiti o spiccioli, ma mai come questi ci hanno strappato il cuore. Ci chiediamo come possano vivere qui e dove, visto che a perdita d’occhio non ci sono case né ripari. Siamo in aprile ma il sole a picco è una lama.
Arriviamo alla valle del Draa, ma decidiamo di non arrivare a Zagora e proseguiamo verso l’oceano. La strada è lunga, rovente, monotona e piena di curve. Al tramonto siamo costretti come al solito a fermarci e lo facciamo a Taznakhte all’hotel Taghdaoute, dove per una piccola stanza con bagno e una cena a base di ottime, solite brochette e patatine spendiamo 240 dh. Non per nulla l’hotel è pieno di ciclisti tedeschi! Inoltre, incredibile, in uno dei bagni esterni alle camere, c’è addirittura un bidè!! Il paesino polveroso e maleodorante non offre molto, ma è una valida tappa.
Lunedì 14 aprile Dopo circa 3 ore siamo a Taroudant, la “piccola Marrakech”. Dopo un rapido giro delle mura e della medina si riparte verso Agadir, dove arriviamo nel pomeriggio. Ne abbiamo un’impressione sgradevole di luogo turistico e senza sostanza e tiriamo diritto. Siamo stanchi e ci fermiamo poco fuori Agadir, sul litorale verso Essaouira, all’hotel Littoral (www.Hotellittoral.Com) dove spendiamo circa 30 euro per una bella camera. Andiamo in spiaggia, tra rifiuti di varia origine, a vedere il tramonto sull’oceano e a rilassarci un po’.
Martedì 15 aprile Siamo in viaggio verso Essaouira. Abbiamo l’oceano alla nostra sinistra. Più avanti la strada si fa più interna ed ecco la zona della coltivazione delle bellissime piante di argan, da cui si estrae l’olio milleusi (alimentare e cosmetico) e sui cui rami vediamo brucare appollaiate le famose capre.
All’orizzonte finalmente le torri di Essaouira,la mitica, bianca Mogador. Ci sistemiamo in un grazioso e pulito riad (il riad Souiri www.Hotelriadsouiri.Com) alle porte della città per circa 30 euro. Essaouira al porto, al tramonto, tra gli effluvi del pesce e le planate dei gabbiani è incantevole, così come è incantevole la sua tranquilla e “salottiera” medina, così diversa da tutte le altre. Qui nessuno ci importuna o vuole vendere ad ogni costo. Ma nulla, dopo i panorami del deserto, ci esalta più di tanto. Ci esalta invece, e da sola vale la tappa ad Essaouira ,la cena di freschissimo pesce alla brace in uno dei numerosi baracchini nella piazza vicino al porto, anche se piuttosto cara.
Mercoledì 16 aprile All’alba si riparte verso Marrakech, con la netta percezione che questo bel viaggio stia finendo. Ci annuncia la città una bassa, enorme nube di polvere rossastra. E poi di nuovo il caos, il traffico sregolato, il rumore dopo tanto silenzio… Non senza difficoltà troviamo e visitiamo il grazioso giardino Majorelle (entrata 30 dh) e alle 11 in punto stiamo riconsegnando la mitica Peugeot 206 che ci ha portato per quasi 2000 chilometri. Pranziamo ancora in una specie di ristorante-bar vicino al noleggio, dove gustiamo un ottimo pollo alla griglia intero, brochette, patatine e birra gelata (100 dh in 2) e poi siamo pronti per un ultimo giro per la città. Ci muoviamo a piedi e arriviamo fino ai giardini della Menara, per poi chiederci se ne valesse la pena. Sicuramente si, per poter dire di no. Stremati e parzialmente rifocillati da un chilo di datteri, ci ritroviamo per il tramonto sulla terrazza di uno dei tanti bar intorno alla piazza Jemaa El Fna per un ultimo té alla menta.
Giovedì 17 aprile Alle 6 di mattina siamo sul pulmino che ci riporta in aeroporto, e lo fa con una lentezza estrema, nonostante la totale assenza di traffico, come per farci salutare la città.
Dopo un interminabile controllo passaporti, che ci farà ritardare il rientro di 2 ore, siamo sull’aereo che ci riporterà in Italia. Viaggio splendido, ma un po’ troppo concentrato. Avremmo avuto bisogno di almeno il doppio del tempo.