Colori, storia, sorrisi e spiritualità
E forse, è per questo motivo che i ricordi di emozioni, di paesaggi e di sguardi solamente incrociati, restano indelebilmente impressi nella memoria.
Dopo due anni di attesa finalmente tocchiamo il suolo messicano, ma per il momento è ancora difficile rendermi conto che sto realizzando un sogno che accarezzavo da tempo. A Cancun ci accoglie un’aria pesante, umida e fastidiosa che per qualche tempo ci fa rimpiangere l’aria pressurizzata che ci ha avvolto per le dodici ore della trasvolata atlantica. Ma bando alle ciance ci dirigiamo immediatamente a ritirare la nostra Hunday Dodge di colore azzurro cielo che ci porterà a zonzo per questo bellissimo paese. Ci dirigiamo immediatamente verso Playa del Carmen e, non appena usciamo dall’aeroporto, ci rendiamo conto di cosa siano i topes e i vibradores messicani. Altro che cordoli! … se presi a velocità elevata potrebbero farci decollare immediatamente verso l’Italia .. Per non parlare dei vibradores che non sono oggetti erotici, bensì mezze sfere di metallo ben piantate a terra e della dimensione di un buon palmo, i quali hanno innanzitutto la funzione di farti rallentare ed in secondo luogo, di sostenere la categoria dei meccanici. Anche i cartelli indicanti i limiti di velocità meritano una nota … passano da 90 Km/h a 40 e poi ancora a 60l tutto nell’arco di 4/5 Km e senza un’apparente logica … Almeno per noi …Quindi tanto vale tenere un andatura piuttosto tranquilla. In un’oretta circa, comunque, raggiungiamo Playa del Carmen e, senza grosse difficoltà, troviamo anche la pousada che avevamo prenotato per questa prima notte. Maria Bonita, è davvero una pousada carina, dipinta di giallo, azzurro, rosso, arancione e verde, è affacciata su una piccola piscina al centro del giardino. Dopo una rapida doccia iniziamo la ricerca del villaggio che ci ospiterà alla fine del nostro tour ed al quale vogliamo lasciare le valigie grosse, ma probabilmente la stanchezza comincia a farsi sentire e non lo troviamo. Giriamo un po’ lungo la V Avenida che è davvero molto carina e decidiamo che è ora di cena. La nostra scelta ricade su un localino situato proprio davanti ad un coloratissimo negozio di souvenir del Chiapas – nostra prossima meta – e iniziamo la nostra “dieta messicana” con due enchiladas deliziose. Ormai però, il sonno sta prendendo il sopravvento, così, dopo aver acquistato qualche provvista per l’indomani, torniamo nella nostra coloratissima pousada e cadiamo beati tra le braccia di morfeo.
Ci svegliamo all’alba – com’era prevedibile – ed è già ora di riorganizzare le valigie … Il cielo non promette nulla di buono: densi nuvoloni neri annunciano pioggia. Un poco delusi restiamo in attesa che apra il bar della pousada per fare una colazione mentre facciamo due chiacchiere con un ragazzo del posto. Naturalmente le mezz’ora messicana non è proprio mezz’ora … è un po’ di più ma non si sa quanto, quindi ce ne andiamo nella V Avenida a fare colazione, consegniamo le valigie al villaggio – che stavolta troviamo senza problemi – e .. .Via!! Si parte alla scoperta del Messico.
Tra topes e vibradores – sempre presenti ed in quantità massicce – in un’oretta arriviamo a Tulum, ma visto il tempo pessimo decidiamo di non fermarci e di proseguire direttamente per Bacalar. Sono un po’ delusa da questo Messico … Insomma… Sono anni che sogno di venirci e lui mi accoglie così … nuvoloni grigio topo e pioggia!! Battente per di più!!! Questa tempo mi fa dubitare un po’ sulla fattibilità dell’itinerario che abbiamo previsto di intraprendere e temo seriamente di doverlo modificare.
La carretera che porta a Bacalar è una lingua di asfalto che taglia in due una foresta impenetrabile, le cui pareti, verde intenso, si stagliano ai lati della strada, … la percorriamo un po’ mosci attraversando qualche piccola cittadina malmessa … ma a poco a poco la pioggia diminuisce e all’orizzonte si cominciano ad intravedere dei piccoli ritagli di azzurro. Al nostro arrivo a Bacalar (300 Km in circa 4 h) il sole farà riuscirà addirittura a fare capolino tra le nubi!!! Individuiamo subito l’hotel Laguna Bacalar dove avevo previsto di soggiornare. L’hotel è ben visibile dalla carretera grazie anche alla struttura un po’ kitch dipinta di verde e bianco e con i tetti rosa. Ci danno subito una camera semplice (690 pesos) che si affaccia direttamente sulla famosa laguna dai sette colori e, dopo esserci rilassati un po’, partiamo subito in esplorazione. Ci dirigiamo subito verso Cenote Azul e da una piccola collinetta possiamo ammirare la Laguna dall’alto. Viene definita un paesaggio maldiviano, forse è un paragone un po’ eccessivo, ma comunque è davvero bellissima!!! Scattiamo qualche foto e poi proseguiamo per il cenote. Il Cenote Azul è davvero molto ampio e le sue acque scure e profonde 90 mt contrastano con i toni più chiari della laguna, dal quale è diviso solamente da una sottile striscia di terra. Pranziamo e poi andiamo a visitare la cittadina di Bacalar ed il forte di San Felipe. Venne costruito nel 17° secolo come difesa contro i pirati ed ancora ben conservato, gironzoliamo un poco attorno e poi, non avendo null’altro da fare, andiamo a mettere un po’ i piedi a mollo in questa acqua tanto cristallina. Il cielo si sta di nuovo coprendo, ma tutto sommato ci è andata bene! Alle 18 io sono già in stato comatoso e fatico a stare sveglia fino all’ora di cena, così per ingannare il tempo gironzoliamo per tra le varie scalette dell’hotel che ha un accesso diretto sulla laguna ed anche una cappelletta. Regna una pace assoluta e, dopo aver cenato, ce ne andiamo a dormire … Anche volendo comunque, non ci sarebbe molto altro da fare.
Ore 05:15 siamo già in piedi. Mio marito non mi ha mai visto così sveglia a quest’ora (ma il fuso orario è mio complice) e, incredibilmente, non ho nemmeno voglia di azzannare chiunque mi rivolga la parola. Oggi ci aspetta una tratta lunga e, se saremo fortunati, anche le rovine di Palenque!!! Chiudiamo le valigie e, prima che sia sorto il sole, siamo già in macchina. Mentre facciamo colazione con patatine, biscotti al cioccolato e coca cola, incontriamo il primo posto di blocco. Ci fermiamo ed il poliziotto ci chiede con aria truce di aprire il baule. Sembra tutt’altro che simpatico ma, non appena ci sente parlare in italiano, cambia completamente atteggiamento. Non gli interessa più nulla del baule, si stampa un sorriso sul viso, e scambiando due parole ci augura buon viaggio! Dopo un paio d’ore buone tocca a me prendere il volante. La foresta impenetrabile ha lasciato gradatamente il posto al bosco prima ed a campi coltivati e haciendas poi. La strada è poco frequentata e tutto sommato, ben percorribile. Sinceramente mi aspettavo strade molto più malconce.
Nei pressi di un villaggio veniamo nuovamente fermati da un solitario e gioviale agente che, probabilmente, vuole solo ingannare la noia. Ci chiede infatti dove siamo diretti – non che ci siano molte alternative – se siamo sposati ecc. Alla mia domanda se la la strada per Palenque è in buone condizioni dopo l’alluvione del mese precedente, mi risponde con un galante “Seria mentiroso si le decia que no” (più o meno ha detto così … ma il mio spagnolo ha un po’ di lacune). Beh … non diamo molto peso al fatto che la strada potrebbe non essere in buone condizioni e arriviamo a Escarcega dove facciamo una breve tappa. Sono solo le 09:30 e Palenque non manca poi moltissimo.
In realtà un poco “mentiroso” lo è stato davvero infatti, la strada per Palenque si rivela in buone condizioni, salvo numerosi cantieri aperti. Questo tratto di strada è decisamente molto più trafficato. Grossi bilici di stile americano sfrecciano a velocità sostenuta, infatti riprende la guida mio marito.
Poco dopo mezzogiorno siamo a Palenque (490 Km tempo 6,5 h). Purtroppo, per un mio errore di valutazione, andiamo a cercare il nostro hotel dirigendoci verso il centro della città …Non l’avessimo mai fatto …Questo errore ci fa perdere oltre tre quarti d’ora … C’è una festa e molte strade sono bloccate al traffico. Ci troviamo dietro ad un super autobus turistico che praticamente si incastra tra le macchine in una via piuttosto stretta. Con manovre da ricamatrice, l’autista riesce a districarsi senza rovinare nessuna delle auto che erano parcheggiate. Come abbia fatto ancora non me lo spiego.
Non appena riprendiamo la strada principale … a poche centinaia di mt troviamo il nostro hotel (Maya Tulipanes – 690 pesos la camera). Facciamo check in in fretta e furia, scarichiamo le valigie e ripartiamo alla volta di Palenque. Le rovine chiudono alle 16:30 ed abbiamo ancora tempo a sufficienza per visitarle.
Arriviamo all’ingresso del sito e decidiamo di prendere una guida che ci accompagni. In effetti ci chiede un prezzo molto elevato (50€), ma non contrattiamo più di quel tanto innanzitutto perché abbiamo fretta di entrare nel sito ed in secondo luogo perché si vede lontano un Km che io voglio la guida. La scelta si dimostrerà, in effetti, azzeccata e le spiegazioni di Nilo ci saranno utili anche nei siti che vedremo in seguito armati solamente di LP.
Palenque è circondata dalla foresta tropicale, alla quale è stata strappata con grandi lavori ed alla quale sembra voglia ritornare alla minima distrazione dell’uomo. Si dice che il momento migliore per visitarla sia al mattino quando la nebbiolina mattutina la avvolge creando un effetto particolare. Noi invece la vediamo nel pomeriggio ma è comunque ammantata di un alone particole: il sole, calando molto presto (intorno alle 17:00), avvolge i templi ed i palazzi in toni caldi e luminosi. Non sarà la magia della mattina, ma è un incanto. Per mio marito è un ritorno , infatti in Messico c’era stato già 10 anni fa, ma allo stesso tempo è una nuova scoperta in quanto, la visita scorsa fu molto frettolosa.
Ci inoltriamo addentriamo nel sito e Nilo ci racconta la storia di Pacal, il signore di Palenque: incoronato Re dalla madre a soli 12 anni governò sulla sua città per parecchi decenni. Sorridiamo alla descrizione fisica di questo re tanto importante, strabico, claudicante e con la tipica testa schiacciata e restiamo stupefatti per la sue conoscenze architettoniche e cosmologiche nonché per la sua intelligenza. Dopo una breve pausa Nilo ci mostra la “mimosa pudica” un erbetta che solo sfiorandola chiude le foglie e l’albero di ceiba – pianta sacra ai Maya – che c’è di fronte al palazzo di Pakal. A questo punto iniziamo la scoperta vera e propria del sito. Palenque è uno dei pochi siti dove è ancora possibile salire sui palazzi e sui templi. Visitiamo il Tempio delle Iscrizioni, dove venne trovata la bara della regina rossa (regina stranamente alta per la media dell’epoca e della razza maya) e subito dopo ci dirigiamo al Palazzo.
Un particolare architettonico che non passa inosservato è l’arco maya e solo a Palenque se ne trovano anche a doppia fila. E’ incredibile come alcune parti di questi “archi” siano ancora in piedi, sfidando tutte le leggi di gravità. Troviamo stemmi dei rei dell’epoca erosi dal tempo e distrutti dalle successive conquiste ed addirittura i bagni, femminili e maschili, collegati direttamente alla rete fognaria della quale è possibile vedere un parte scoperta.
Un particolare da non sottovalutare è che tutte le costruzioni e le sculture vennero eseguite senza conoscere il metallo ed avvalendosi semplicemente di attrezzi in pietra.
Un’altra particolarità che ci spiega Nilo è che Pacal viene spesso raffigurato seduto nella posizione del loto, tipica postura che ricorda le meditazioni buddiste. Viene davvero da pensare che ci sia un filo invisibile che unisce culture tanto lontane nel tempo e nello spazio.
Mentre gironzoliamo per il Palazzo, Nilo ci spiega che nella cultura Maya erano i re ed i nobili a sottoporsi a pratiche sacrificali che prevedevano il versamento del sangue agli dei ed al sole, mentre le uccisioni in massa, quelle maggiormente note, furono effettuate in periodi successivi durante la dominazione atzeca. Terminata la visita al palazzo saliamo sul Tempio della Croce, da dove è possibile ammirare l’intero complesso di Palenque, la distesa della foresta che lo circonda e che protegge e nasconde il mitico uccello quetzal dalle piume coloratissime.
La Croce e la Croce Fogliata (una stilizzazione della pannocchia di mais) sono altri due elementi della simbologia spirituale Maya che ritroveremo spesso nei siti e in Chiapas.
Terminato il giro ci fermiamo ad acquistare uno dei tanti calendari maya dipinti su pelle che vendono all’interno del sito, ma Nilo freme … Prima che della chiusura del sito vuole assolutamente portarci per un po’ nella foresta intorno. Umidità e zanzare la fanno da padroni ma è comunque interessante. Coperte dalla vegetazione ci sono ancora numerose costruzioni semidistrutte che forse non vedranno mai la luce, ma che servono a dare l’idea di quanto il complesso di Palenque fosse esteso. Durante questa passeggiata ho l’occasione di chiedere infomazioni su una particolare pianta che avevo notato prima e che ha il tronco tirato a lucido e di colore bronzato. Viene chiamata scherzosamente la “pianta del turista”, infatti ha proprio la particolarità di essere rossa e di spellarsi al sole.
Ma ormai è tempo di andare, più che soddisfatti diamo un’ultima occhiata al palazzo e ci dirigiamo all’uscita, dove di nuovo mi incanto ad ammirare splendidi croton fiammati.
Adesso che siamo usciti dalla magia di Palenque ci accorgiamo di avere anche una fame da lupi, per non perdere tempo, infatti non abbiamo proprio pranzato. Così ci concediamo uno spuntino a base di tacos al ristorante fuori dal sito.
Si torna in hotel e facciamo una rapida perlustrazione. E’ un hotel molto carino, la camera è ampia e accogliente, ma adesso ci serva una doccia e un po’ di relax prima della cena.
La sera nel giardino una combriccola festeggia, non sappiamo cosa. Musica tipica messicana e addobbi a tema, tutto bianco, rosso e verde, i colori del paese… è un peccato pensare che in Italia il tricolore- salvo occasioni ufficiali – sventola quasi esclusivamente durante i mondiali mentre qui – come in altri paesi dell’America Latina – lo si ritrova praticamente sempre e ovunque.
Rapido giretto e poi a nanna, la giornata è stata lunga e intensa … domani San Cristobal! Oggi ci concediamo un po’ più di sonno, anche se la strada per San Cristobal è tutta curve, sono “solo” 200 Km! Partiamo subito dopo colazione ed in breve raggiungiamo le cascate di Misol-Ha. E’ presto è c’è pochissima gente. Le cascate sono carine, ma nulla di che, non fosse per il fatto che il sole sta ancora sorgendo e ci regala immagini molto belle dei suoi raggi che spuntano dalla sommità della cascata e si infilano in mezzo agli alberi.
Ci fermiamo il tempo di un po’ di foto e poi ripartiamo alla volta di Agua Azul. Questa mattina ci sono io alla guida e, tra gli sberleffi di mio marito, riesco ad essere superata da ben due bus. La cosa potrebbe non stupire, ma la strada per San Cristobal è composta da una serie interminabile di curve ed larga quanto basta per far passare due auto, figuriamoci se è così normale essere superata da un bus turistico. Provo per un po’ a stare dietro a questi pazzi che conoscono a memoria ogni topes, buca e curva, ma desisto molto presto. Sono dei folli!! Finalmente arriviamo ad Agua Azul. Anche qui c’è pochissima gente perché è piuttosto presto ed anche oggi è una giornata splendida. Agua Azul è davvero incantevole con le sue acque turchesi, e ci fermiamo quasi un’oretta a fare foto ed a rilassarci. Compriamo due banane da un bimbo simpaticissimo e riprendiamo la strada per San Cristobal.
Passiamo da Ocosingo, cittadina nota per essere la base dei ribelli zapatista e prende il posto di guida mio marito.
Mi posso rilassare un pochino, perché tra curve e topes, la strada è parecchio impegnativa e necessita di attenzione costante Nel frattempo la vegetazione attorno a noi è cambiata, così come l’abbigliamento delle donne. Dalle camicette “huipiles” bianche dai ricami coloratissimi e gonne scure con cinture anch’esse colorate, si passa ad un abbigliamento tipico degli indigeni della montagna.
Il tempo sta cambiando e sta volgendo al brutto, ma pazienza. L’ultimo tratto di strada è davvero pesante. Ci troviamo davanti grossi camion di giostrai che vanno a San Cristobal – si festeggia qualche santo – ed è davvero impossibile superarli. La velocità di crociera è ovviamente bassissima e ci chiediamo quanto tempo ci metteremo ad arrivare a destinazione. Fortunatamente i ragazzi appollaiati in cima a questi grossi rimorchi, non appena si presenta la possibilità, si improvvisano agenti del traffico e ci fanno capire che è possibile superarli. Dopo circa 4,5 h (soste escluse) e sotto una pioggia intensa, arriviamo a San Cristobal. La foresta tropicale ha lasciato il posto a boschi di conifere e l’aria è decisamente frizzante, d’altra parte siamo a 2100 mt di altitudine! La periferia di questa città così famosa, mi delude. Pompe di benzina e rivenditori di auto …Non era così che me l’aspettavo!! Non appena entriamo in città però, scopro che è davvero quel gioiellino tanto decantato … peccato per la pioggia.
Ci mettiamo subito alla ricerca dell’Hotel dove mio marito aveva soggiornata 10 anni fa. Nella sua memoria è una tappa irrinunciabile anche perché, dopo aver dormito male e mangiato peggio per vari giorni, questo hotel, per lui ed i suoi amici, aveva significato la rinascita fisica e morale. L’Hotel Catedral è, neanche a dirlo, a pochissimi minuti dalla cattedrale, ha il parcheggio custodito e coperto e sebbene sia un 5* ci offrono la scelta tra la camera doppia e, per una differenza irrisoria, la suite presidenziale. Guardo mio marito ed è come vedere un bambino davanti ad un vaso di nutella …Senza neanche chiederglielo so quale sarà la sua scelta (in effetti due notti nella suite con colazione compresa ci costano meno di 90,00 € peccato rinunciare).
La nostra “suite Chamula” è davvero molto bella! Grandissima, con tre finestre che danno sulla strada principale, ovviamente il bagno è adeguato al resto. Nonostante ciò … tempo di togliere qualcosa di un po’ più pesante dalla valigia e siamo già in strada. Nel frattempo ha smesso di piovere e, sebbene ci siano ancora nuvoloni neri, si può passeggiare tranquillamente. Raggiungiamo la cattedrale e, come prima cosa … cerchiamo Calle Adelina Flores. Il mio interesse per questa calle è interamente dovuto ad un libro della scrittrice Marcela Serrano – “Quel che c’è nel mio cuore” – che ho letto più volte. E’ ambientato a San Cristobal ed è in questa calle che abita Reina, la donna intorno alla quale si snoda l’intera vicenda narrata. Una volta trovata, è una parallela della principale, ci facciamo una passeggiata – e sbirciamo nei vari patii che si nascondono numerosi dietro le facciate della case variopinte. Non so cosa spero di trovare, se la casa di Reina o chissachè .. Certo è che scopriamo hotel con patii splendidi e quasi mi spiace un po’ essere subito approdata al Catedral. Passeggiando raggiungiamo la splendida chiesa di Santo Domingo, dove tutti i giorni si tiene il mercato degli indigeni Chamula. Una cosa è certa, so che domani farò acquisti … E anche parecchi. Il mercato è un tripudio di colori: huipiles, serape, maglioni di lana, pochos, tovagliette ricamate, cinture in pelle e non … insomma impossibile non comprare. Chi pensa a San Cristobal si immagina immediatamente la famosa Cattedrale gialla e bordò che al tramonto, quando il sole la colpisce direttamente, si accende di giallo oro. In realtà la Chiesa di Santo Domingo è forse ancora più bella con la facciata rosata ed interamente “ricamata” a intaglio.
La Chiesa vicina è parata a festa, aghi di pino ricoprono i gradini dell’ingresso e un arco floreale sovrasta il portone. Si celebra la “Virgen de la Caridad” e quindi si fa festa! Gironzoliamo per un po’ tra le bancarelle e nei vari negozietti. San Cristobal offre ottimi prezzi un po’ ovunque ed il cambio migliore che abbiamo trovato in tutto il nostro viaggio.
Sulla strada di ritorno verso il nostro hotel scopriamo un usanza un po’ bislacca che ci fa scoppiare a ridere. Entriamo a prenderci una coca in un localino e ci chiedono se ci fermiamo a berla sul posto o la portiamo via. Quando dico che intendiamo portarla via, compare un sacchetto trasparente – tipo quelli per surgelare – e la coca cola passa direttamente dalla bottiglietta al sacchetto che viene chiuso con un nodo nel quale la ragazza infila una cannuccia. Il mio stupore è tale che comincio a sghignazzare cercando di non scoppiare platealmente a ridere … ma è più forte di me. Cercando di trattenere le lacrime pago e quando esco con il mio sacchettino di coca cola le lacrime mi rigano le guance. Mio marito ci mette qualche secondo a realizzare perché sto ridendo … e quando vede il sacchetto fatica a collegarlo al fatto che la coca cola sia lì dentro… il vetro è a rendere .. Ecco svelato il mistero. Questa sera non usciremo a cena, sono stanchissima e così decidiamo di approfittare della cucina dell’hotel. La scelta si rivela tutt’altro che azzeccata, ma pazienza. Facciamo due passi fino alla cattedrale e per le strade sfila una processione, preceduta da mariachi in tenuta di gala, dedicata a Santa Cecilia … che sia vero il detto che in Messico si festeggia sempre? La sera, la piazza della cattedrale illuminata è molto suggestiva, così come i portici accanto, ma la nostra passeggiata dura poco e, dopo una breve tappa in uno degli innumerevoli interpoint di San Cristobal, finalmente nanna!! Ci svegliamo presto e, prima di presentarci all’appuntamento con la Senora Mercedes, abbiamo tempo per passeggiare in questa splendida cittadina. Mi sembra davvero incredibile di essere proprio qui a San Cristobal e sono contenta. Si respira un aria particolare in questa mattina di sole. Le case dipinte a colori vivaci spiccano nell’aria ancora immobile, tersa e frizzante; il traffico è ancora limitato e lontano si scorge una nebbiolina leggera che sembra appoggiata da qualche parte come un cappello dimenticato. Anche Marcos e l’Ezln sono stati qui e, sicuramente, non sono nemmeno tanto lontani neanche adesso… Continuerei a passeggiare per ore nei vicoli colorati ma alle 09:00 abbiamo appuntamento allo zocalo con la Senora Mercedes. Non tardiamo ad individuarla, perché, come indicato nella guida LP, ha con se l’immancabile ombrellino colorato. Acquistiamo l’escursione di mezza giornata e attendiamo che arrivi il pulmino (180 pesos a testa) che ci porterà ai villaggi di San Juan Chamula e Zinancantan.
Purtroppo la Senora Mercedes non viene con noi e ci affida ad un’altra guida. Mi dispiace perché ne avevo sentito parlare molto bene ed ormai sembra essere un’istituzione a San Cristobal, ma pazienza. Il villaggio di San Juan Chamula … Beh, non è esattamente un villaggio ma è una piccola cittadina che vive seguendo riti e ritmi arcaici. A San Juan la gente è vestita con i tipici costumi indigeni:gli uomini indossano delle specie di ponchos sopra a dei normali calzoni, mentre le donne delle camicette e una gonna nera di pelo di pecora, sia in estate che in inverno. I Chamula non amano farsi fotografare, quindi se si vuole farlo è necessario chiedere il permesso, ma raramente viene concesso.
Facciamo una passeggiatina per il villaggio e davanti ad una croce verde adornata di rami di pino, la nostra guida spiega la simbologia della croce / croce fogliata nella religione cristiana/maya. In effetti qui, le due religioni si sono fuse in modo tale da creare una mescolanza armoniosa tra cultura antica e religione nuova. Questo concetto un po’ complesso, lo capiremo meglio più avanti quando visiteremo la chiesa di San Juan. Non vedo l’ora di visitare questa chiesa che tutti indicano essere molto particolare. Esternamente la chiesa di San Juan è estremamente semplice: tre archi verdi dai motivi floreali adornano il portone di ingresso, il resto è tinteggiato di bianco candido che spicca sotto i caldi raggi di sole che oggi la illuminano.
L’ingresso in chiesa però ti trasporta in un’altra dimensione, in un altro mondo. Entrando in chiesa si ha, in un certo senso, la sensazione di entrare in un bosco di conifere in una giornata di sole. La chiesa è, in effetti, abbastanza in penombra ed all’ingresso ti assale l’odore degli aghi di pino sparsi per terra a ricordo delle preghiere precolombiane fatte nei boschi, mescolato a quello del fumo di centinaia e centinaia di candele accese davanti ai vari santi.
Sebbene sia una chiesa cristiana è assolutamente diversa dall’immaginario comune che si ha di una chiesa ed è intrisa di una spiritualità forse diversa, ma molto sentita e concreta.
Non ci sono panche, ne inginocchiatoi, ne confessionali ma si prega seduti a terra sugli aghi di pino. Ci sono alcune famiglie, numerose donne, a gruppetti, con i bambini o da sole, e mentre pregano appiccicano sul pavimento, per mezzo della cera che cola, altre candele lunghe e sottili.
Raccolta davanti ad uno dei tanti santi, c’è un intera famiglia che, con l’aiuto di una specie di officiante che fa da intermediario con quel particolare santo, chiede la grazia per uno dei suoi componenti ammalato. Questi rituali, ci spiega la nostra guida, sono particolarmente costosi per i Chamula, i quali devono pagare, non solo l’officiante ma anche le bottigliette di coca-cola ed il pollo che verrà sacrificato al santo interpellato. L’utilizzo della coca-cola come dono ai santi ha sostituito l’utilizzo del posh, una bevanda alcolica e scura che ha un costo molto più elevato.
I polli da sacrificare oggi sono più di uno, ma se non si pone attenzione, quasi non ce se ne accorge. Tutto il rituale viene effettuato in maniera molto sommessa e la sensazione è quella di essere degli intrusi, ammessi per grazia o necessità, ad assistere a ciò che riguarda intimamente la vita di queste persone. Un’altra particolarità è che sull’altare, la posizione centrale è occupata da San Giovanni Battista, mentre il Cristo crocefisso sta alla sua sinistra, come una figura in secondo piano. Anche Gesù Bambino è visto in maniera un po’ diversa, infatti non viene adorato come il bambino che fu Cristo, ma come figura a se stante.
Difficile è lasciare questo luogo di culto un po’ atipico, un po’ magico e così profondamente carico di spiritualità, ma penso di aver già approfittato abbastanza della disponibilità di poter accedere a questo luogo e così raggiungo mio marito all’esterno.
Mi arrabbio un po’ quando lui mi confessa di aver filmato di nascosto qualche minuto all’interno della Chiesa. E’ espressamente vietato e l’avevo pregato più volte di non fare il furbetto … tuttavia non riesco a non provare un moto di gioia, qualche immagine di questo posto la potrò portare con me non solo nella memoria.
Sul piazzale esterno un’altra croce adorna di aghi di pino alla cui base sta un’iscrizione a ricordo della visita del Papa Giovanni Paolo II. Già, durante il suo apostolato è arrivato anche qui! Dopo aver fatto un po’ di acquisti al mercato di San Juan – che è più caro di quello di San Cristobal – ripartiamo per il villaggio di Zinancantan. Ci fermiamo per una breve sosta al cimitero di San Juan Chamula, che sorge nei pressi di una chiesa che andò a fuoco .. E qua scopriamo il motivo per il quale alcuni santi nella chiesa principale non avevano candele accese. Erano i Santi che avrebbero dovuto proteggere la “vecchia” chiesa, ma non avendolo fatto in maniera adeguata, sono in una sorta di punizione, quindi niente lumini e preghiere … Anche questo è Messico.
Il villaggio di Zinancantan dista circa 7 Km da San Juan Chamula, ma l’abbigliamento degli indigeni cambia totalmente. Le donne infatti indossano abiti finemente ricamati nei toni del celeste, blu e turchese. Veniamo accompagnati da una famiglia che è disponibile a mostrare la sua casa ai turisti. Le donne in abito tradizionale stanno tessendo una delle tante tovaglie che si vendono ovunque e un’altra ci offre dei tacos appena preparato e una assaggio di posh.
Sulla via del ritorno ancora in Zinacantan incrociamo l’ennesima processione a qualche santo.
Nel pomeriggio, una volta tornati a San Cristobal, ci dedichiamo allo shopping. Acquisto parecchie cose per me e gli amici, da un Crocefisso in legno dipinto a motivi floreali ad un copriletto tessuto con i colori tipici del Guatemala ad un alberello di Natale tessuto a telaio … insomma … per fortuna che le valigie non erano troppo pesanti quando siamo arrivati … Quello che non compro lo fotografo, perché anche le bancarelle sono un tripudio di colori che merita di essere immortalato.
Questa sera riusciamo ad ammirare la Cattedrale in tutto lo splendore che le regalano i raggi del sole al tramonto. Gironzoliamo ancora un po’ per il centro e dopo una tappa in hotel, che ci permette di farci una doccia, LP alla mano usciamo a cena.
Ci dirigiamo da Emiliano’s Mustache, è consigliato dalla guida che non si smentisce mai, infatti mangiamo benissimo carne e tacos, spendendo circa 16,00 €.
Ci accomiatiamo da questa bellissima cittadina con un ultima passeggiata alla cattedrale ed ai portici, domani purtroppo è già ora di ripartire.
Lasciamo San Cristobal all’alba, cerco di memorizzare il più possibile di questo luogo, dalle pinete alla vallata ancora avvolta nebbiolina mattutina … per me è sempre faticoso staccarmi dai posti che mi colpiscono profondamente. Mio marito invece è già proiettato verso la prossima tappa: Campeche … ma ci vorranno parecchie ore prima di arrivarci.
A Ocosingo prendo di nuovo io la guida dell’auto e, poco dopo, ci fermiamo ad un negozietto di souvenir sulla strada che ha anche dei bagni. Anche in questa occasione abbiamo modo di fare due chiacchiere con la proprietaria, alla quale, chiediamo un caffè, associando la nostra idea di bagno + souvenir = “autogril”. In realtà la signora non offre questo tipo di “ristoro”, comunque va a prepararci un caffè direttamente in casa. Siccome non vuole essere pagata, compro un paio di borsettine per ringraziarla della sua gentilezza.
Dopo le solite 4 ore e mezza di viaggio arriviamo a Palenque dove facciamo una breve sosta per mangiare qualcosa. Al prezzo di circa 6 € pranziamo più che discretamente con mezzo pollo allo spiedo, coca cola e purea di fagioli e due banane. Ripartiamo alla volta di Campeche alla guida si mette mio marito. Messico e nuvole, mai canzone fu più azzeccata …Infatti le nuvole, nel complesso, ci accompagnano in ogni spostamento. Ma non sono i nuvoloni alti, chiusi e cupi che siamo abituati a vedere da noi. Nuvole basse, chiare appoggiate qui e là o meglio … Sospese a mezz’aria. E’ un fenomeno che non mi è mai capitato di vedere in maniera così evidente ed davvero piacevole osservarle mentre maciniamo chilometri verso la nostra nuova tappa. Ad Escarcega ci fermiamo per una breve sosta e riprendo io la guida. Tra Palenque e Campeche si incrociano numerosissimi truck in stile americano, spesso con due rimorchi e non possiamo fare a meno di fotografarne qualcuno. Gli autisti sfrecciano a velocità decisamente elevate, va bene che le strade sono completamente dritte per lunghi tratti … ma insomma sono davvero dei folli. D’altro canto loro sembrano avere protezioni particolari dal Buon Gesù, visto i numerosi santini e adesivi – “Dio mi ama” o “Dio mi protegge” – che vediamo spesso su auto e camion. Sicuramente avrà il Suo bel da fare a proteggere questa masnada di aspiranti Schumacker…!! Lo stato del Campechè è visibilmente più ricco di quelli attraversati fin’ora, quali il Quintana Roo o il Chiapas. Lo si avverte subito dalla condizione del manto stradale e dai paesi che si attraversano, molto più ordinati e ben tenuti.
Giungiamo a Champoton e, per la prima volta, avvistiamo il Golfo del Messico. Champoton è una cittadina che attraversiamo velocemente, ormai manca davvero poco a Campeche. Facciamo benzina ed io cedo il volante … sono ormai esausta. Arriviamo a Campechè e troviamo abbastanza in fretta uno dei vari alberghi che sul quale mi ero documentata. E’ il Francis Drake, albergo molto carino in stile coloniale, con parcheggio coperto, ma caro rispetto allo standard messicano (cica 900 pesos la doppia), comunque va bene così, sono davvero stanchissima e non ce la farei a cercare un’altra sistemazione, siamo partiti all’alba ed abbiamo macinato circa 570 Km in circa 9,5 h … direi che per oggi può bastare!! Mio marito però freme … vuol vedere Campeche … così dopo circa un’ora di relax siamo di nuovo in strada. Nel pianificare il viaggio avevo considerato Campeche solo per un sosta per spezzare il viaggio, in realtà mi regalerà una bella sorpresa. Usciamo dall’Hotel che è già calata la sera e scopriamo di essere davvero a due passi dallo zocalo, infatti dopo pochi minuti giriamo un angolo e ci troviamo dinnanzi alla cattedrale splendidamente illuminata. Non me lo aspettavo e devo dire che ne resto entusiasta. Gironzoliamo un pochino ma comincia a piovigginare, così ci ripariamo nel patio al centro della piazza e aspettiamo che passi sfogliando la guida. Leggiamo che proprio lì di fronte c’è un piccolo museo dove viene riprodotta una tipica casa coloniale d’epoca e così andiamo a dargli un occhiata. Questo museo è piccolino, ma merita una visita veloce, per fare un giro nel passato di questa bella cittadina. Andiamo a cena alla Parroquia, un ristorante a conduzione familiare consigliato da LP,a due passi dallo zocalo dove io assaggio il famoso “Pan de Cazon”, tipico piatto del Campeche. Anche mio marito decide di assaggiare un tipico piatto messicano cioè … la cotoletta alla milanese. Stavolta lo invidio un po’ però … il Pan de Cazon (una tortilla ripiena di squalo e annegata ne pomodoro) non è proprio di mio gusto, ma almeno l’ho assaggiato! (Spesa 330 pesos).
Una volta cenato facciamo due passi fino al mare e poi torniamo subito in hotel, la stanchezza adesso ha preso il sopravvento su entrambi …Tanta nanna!! Come al solito ormai, ci svegliamo piuttosto presto e ci dirigiamo al ristorante Marganzo per fare una tipica colazione messicana (E dai … non mi è bastato il Pan de Cazon) .. A base di frittata, tortillas, fagioli, cipolle e pomodori. Questa volta però sono più che soddisfatta della scelta, … pensare che a casa bevo giusto giusto un po’ di te con qualche biscotto! Il ristorante è davvero molto carino e spendiamo 130 pesos in due. La giornata di oggi prevede la visita ad Uxmal e poi trasferimento fino a Merida, così abbiamo tempo per fare quattro passi in città. La cattedrale vista di giorno è …Davvero bruttina! Nulla a che vedere con l’effetto della sera. Facciamo qualche foto allo zocalo e poi ci dirigiamo verso il mare. Frequentemente visitata dai pirati – non a caso alloggiamo al Francis Drake – era stata circondata da bastioni di protezione ed anche le abitazioni conservano l’abitudine delle inferiate alle finestre un po’ come la cittadina di Trinidad a Cuba. Passeggiamo un po’ e non mi stancherei mai di farlo, amo molto queste cittadine di case basse e coloratissime.
Per dover di cronaca, non posso tralasciare una nota sull’abbigliamento tipico femminile di questa zona. A causa del clima caldo e umido le gonne di lana di pecora delle indigene del Chiapas hanno lasciato il posto a degli huipiles lunghi fino a sotto il ginocchio freschi ariosi (quasi delle camicie da notte insomma), ma cià che accomuna questi hupiles a quelli del Chiapas …Sono i ricami colorati, che non mancano mai.
A Campeche mi concedo un piccolissimo souvenir che ben rappresenta questa città. Un piccolo ventaglio in paglia, con la stampa della cattedrale…Forse a causa del piccolo museo visitato, delle tradizione corsara, delle inferiate alle finestre, per me Campeche è la città dove, un tempo, fanciulle viziate, figlie di facoltosi commercianti, oziavano in giardino sventagliandosi pigramente in attesa delle fresca brezza serale … ecco il perché di un ventaglio! In un paio d’ore circa arriviamo a Uxmal … il famoso sito della Piramide dell’Indovino. La Piramide è davvero una costruzione imponente, non è possibile non restare affascinati e colpiti dall’abilità degli antichi Maya e tutto il sito si rivela essere estremamente interessante. Qui predomina, insieme al serpente piumato, la figura mitologica del dio della pioggia Chaac Mol, caratterizzato una una specie di proboscide. Il “Quadrilatero delle Monache” si rivela essere una costruzione veramente molto bella e raffinata; costruita in pietra rosata, è riccamente decorata con innumerevoli maschere del dio e motivi romboidali che richiamano le squame del serpente, difficile credere che, anche in questo caso, questi abili artisti e architetti non conoscevano l’uso dei metalli! Splende il sole e fa molto caldo ma, fortunatamente, c’è sempre qualche nuvola che ogni ci permette di non dare completamente arrosto. Il sito di Uxmal è davvero incantevole, ci sono molti alberi, parecchie iguane che prendono pigramente il sole ed i turisti non sono moltissimi, si respira una pace ed un silenzio difficilmente immaginabili in altri siti. Le foto, ovviamente, si sprecano.
Dal Quadrilatero delle Monache passiamo al nostro primo campo della pelota – come diavolo avranno fatto a giocarci, Dio solo lo sa! – e da lì saliamo sul Palazzo del Governatore, anch’esso imponente e riccamente decorato.
Dal retro del Palazzo del Governatore è possibile salire sull’unica facciata visibile della “Grande Piramide”. Non sono molto convinta di questa ascesa … ma soprattutto, non sono convinta di come farò a scendere!! Quello che mi convince è vedere una giapponese di una certa età …Se ce l’ha fatta lei … anche io ci posso andare! Appena raggiunta la sommità mi pento della mia “audacia”, anche se lo spettacolo del sito immerso nella foresta e visto dell’alto in tutta la sua completezza, ripaga il pensiero di dover scendere. Ci siamo … e adesso? Guardando giù dalla piramide si ha l’impressione che i gradini siano praticamente messi in verticale come una scala a pioli. In realtà non è proprio così e se non si soffrono di vertigini, la discesa è più che fattibile. Tuttavia non mi fido troppo e adotto il metodo della discesa a quattro zampe con il viso rivolto alla piramide. Così è molto più semplice … mio marito ride e mi filma … io un po’ meno, sono concentrata e, naturalmente, brontolo.
Gironzoliamo ancora un po’ per questo splendido sito e poi ci dirigiamo all’uscita, dove ci fermiamo a mangiare.
Ripartiamo poi per Merida, che raggiungiamo in poco più di mezz’ora (totale Km 235 tempo 3,5 h). L’albergo che abbiamo scelto è il Dolores Alba, piuttosto famoso tra chi viaggia col fai-da-te. E’ abbastanza vicino al centro della città e visto dal fuori è piuttosto decadente. L’interno però è completamente diverso. Ha un ampio patio coperto con un albero in mezzo, è arredato in stile vagamente coloniale ed è addirittura dotato di una piscina. Per 459 pesos abbiamo una camera doppia con aria condizionata, molto semplice ma più che decorosa.
Merida è una città caotica che non ci attira particolarmente, decidiamo quindi di concederci un po’ di relax nel patio superiore dell’hotel, tranquillo e isolato dai rumori esterni.
Usciamo poi per perlustrare un po’ la città, che essendo sabato sera, si sta preparando ad una notte di festa, con canti e balli per la strada. A Merida c’è solo l’imbarazzo della scelta di ristoranti, così per la cena optiamo per in un patio a luci soffuse … il contorno ideale per una cenetta romantica … anche se il nostro abbigliamento è più in tema con Indiana Jones che con il romanticismo del luogo.
Andiamo a visitare una delle varie “Casas de Artesanias” – a Merida chiunque vi ferma ha una casa de artesanias da consigliarvi – dove acquistiamo un piattino in ceramica, tipico souvenir di questa città e dopo aver gironzolato un po’ nel caos dello Zocalo, ci ritiriamo nella quiete del nostro hotel.
In mattinata diamo un’occhiata alla città che è molto più tranquilla e poi partiamo abbastanza presto per visitare la famosissima Chichen Itza (130 Km tempo 1.5 h), prima dell’arrivo della massa dei turisti provenienti dalla Riviera Maya.
E’ ancora presto e possiamo goderci il sito in tutta tranquillità. La Piramide di Kukulcan ci colpisce per la sua perfezione ed imponenza anche se mi accorgo di preferire gli edifici di Uxmal, ma è ancora presto per dare giudizi. Possiamo fotografarla a nostro piacimento, e con le nuvole che corrono veloci nel cielo, ogni foto è un po’ diversa e un po’ simile alle molte che si trovano in giro. Imitando dei bambini presenti scopriamo che se si battono le mani di fronte, si sente un’eco tipo quello che fa una corda tesa che viene fatta vibrare, peccato non sia più possibile visitare la sala del trono che si trova all’interno della piramide.
Il Tempio dei Guerrieri con annessa la sala dalle mille colonne attira la mia attenzione in maniera particolare, mi chiedo come avrebbe potuto essere all’epoca dei maya… Il campo da gioco della Pelota è davvero imponente e se a Uxmal mi sono chiesta come potevano riuscire a far centro, qui mi sembra particolarmente impossibile. Il cerchio è posto, infatti, ad un altezza tale da risultare alquanto improbabile riuscire a centrarlo senza l’ausilio delle mani e, soprattutto, se si considera l’altezza, non proprio da giocatori di basket, dei maya dell’epoca. Ma forse era meglio così, visto che il giocatore che riusciva nell’impresa era premiato con l’onore di essere decapitato in sacrificio agli dei, come indicano le scene scolpite ai lati del campo. Come davanti alla piramide di Kukulcan, anche qui è sufficiente battere le mani per produrre un sonoro eco. Inizia a fare davvero molto caldo e il campo della pelota è il luogo meno adatto dove sostare. Non c’è assolutamente ombra, così ci dirigiamo al Cenote Sacro attraverso un strada ombreggiata nella foresta.
Nel Cenote Sacro, si narra vennero trovati numerosi resti di ossa umane a testimonianza del notevole numero di sacrifici agli dei, che avvenne nell’epoca atzeca.
Sulla strada per il cenote nel frattempo sono state allestite numerose bancarelle di artigianato di prodotti locali a prezzi di poco superiori a quelli trovati in Chiapas. Sono talmente belle da vedere e talmente colorate, che anche se non compro, le fotografo: la più bella è quella che vende i piatti di ceramica. Facciamo gli ultimi acquisti, tra cui un serape arancione che non so nemmeno dove metterò, ma è troppo bello per lasciarlo lì… Spero di non dover affittare un cargo per il rientro in Italia…
E’ quasi mezzogiorno è fa davvero molto caldo, ci avviamo verso l’uscita e incrociamo file lunghissime all’ingresso. Sono arrivati i bus delle escursioni dalla riviera, non li invidio proprio, vedere Chichen Itza sotto il sole del mezzogiorno è assolutamente sconsigliabile.
La prima impressione avuta si è poi dimostrata reale: preferisco il sito di Uxmal a quello di Chichen. Sicuramente la notorietà della Piramide di Kukulcan ha giocato a sfavore contro la sorpresa assoluta del sito di Uxmal. Sorpresa anche per mio marito, che nella sua visita precedente non lo aveva visto … o almeno così lui credeva! Al ritorno a casa, infatti, scopriamo da un suo compagno di viaggio molto più attento, che avevano visitato anche questo sito. Dove a volte mio marito abbia la testa, proprio non so! Lasciato Chichen ci dirigiamo all’hotel che dista solamente circa 3 Km. E’ sempre Dolores Alba e lo abbiamo prenotato direttamente da Merida (595 pesos la camera). Questo hotel semplice e carino è composto da una serie di bungalow rosa disposti intorno a due piscine ed è situato esattamente di fronte al Cenote Ik-Ill.
Posate le valigie andiamo subito in perlustrazione del Cenote. Dopo un breve tratto di strada in mezzo ad un bellissimo giardino tropicale arriviamo all’ingresso e, cominciamo a scendere. Il Cenote di Ik-Ill è molto bello ed è molto frequentato dai turisti perché è possibile anche farci il bagno. E’ a cielo aperto e le radici dei ficus intorno scendono fino a toccare l’acqua. Rimaniamo un per un po’ in questo luogo fresco, ma non facciamo il bagno, per mio marito l’acqua è troppo profonda ed io … non ho il costume!!! Me tapina! Risaliamo in superficie e dopo aver pranzato ci rilassiamo un po’ in piscina in attesa di tornare a Chichen per lo spettacolo di luci della sera. Prima di entrare non manchiamo di lasciarci tentare nuovamente da un acquisto: non poteva certo mancare l’amaca, no? …Per un corrispettivo di circa 10 € abbiamo la nostra bella amaca sintetica, ovviamente, anche se il clima di dove abitiamo ci permetterà di usarla si e no quattro mesi l’anno.
Di fronte alla piramide di Kukulcan sono state piazzate una serie di sedie per assistere allo spettacolo e salvo quel punto, tutto il resto è avvolto dalle tenebre. Mentre attendiamo l’inzio dello spettacolo, è possibile sentire in lontananza i rumori della foresta e mentre la luna sorge all’orizzonte, mio marito traffica con macchina fotografica e cavalletto. Quando la macchina è piazzata per bene, arriva un cane un po’ dispettoso che, nonostante intorno ci sia spazio per una mandria di elefanti, gli si sdraia proprio davanti!! Riusciamo a farlo spostare e poco dopo inizia lo spettacolo durante il quale viene raccontata una parte della storia maya; intanto sulla piramide di avvicendano colori sgargianti e cupi, che riproducono artificialmente anche ciò che accade durante gli equinozi quando, per un gioco di luci, il serpente piumato sembra scendere da uno dei lati dell’edificio.
Mio marito non è minimamente interessato alla storia, innanzitutto perché è raccontata in spagnolo ed in secondo luogo perché è impegnato a scattare foto artistiche alla piramide ed alla notte.
Dopo circa una mezz’ora lo spettacolo finisce e ce ne torniamo in albergo. Siamo agli sgoccioli della nostra vuelta, l’indomani faremo tappa fino a Playa del Carmen dove ci fermeremo qualche giorno per un po’ di relax.
Partiamo alla volta di Valladolid e lungo la strada ci fermiamo per visitare il Cenote Dzinup. Il Cenote Dzinup e completamente diverso da quello di Ik-Ill, assomiglia in tutto e per tutto ad una grotta riccamente decorata di concrezioni calcaree e con un laghetto. La comitiva che è entrata con noi se ne va in pochi attimi e così restiamo soli ad ammirare questo luogo. Torniamo in superficie tramite una scaletta scivolosa – questi cenote non sono attrezzati come l’altro e ci accorgiamo che a meno di 200 mt c’è il Cenote Samulà. Andiamo a visitare anche questo che si rivela essere molto particolare. Anche qui non c’è assolutamente nessuno e possiamo godercelo in santa pace. Il cenote Samulà assomiglia molto al precedente, ma è dotato di una piccola apertura sul tetto, dalla quale entra un cascata di radici della pianta che sta sopra, e viene usata come porta da piccoli stormi di uccellini o pipistrelli. Non riesco ad identificarli e forse è meglio così! All’uscita ci accorgiamo di aver forato: primo e unico imprevisto del nostro viaggio. Così mentre mio marito si improvvisa meccanico, io do fondo alla scorta di cracker per sfamare un cagna magrissima ed il suo cucciolino vispo e grande come topolino. Certo che in Messico i cani sono proprio poveracci, spelacchiati, magri e tristi sono l’esatto opposto delle mie tre viziate bestiole.
A Valladolid, anche se ormai mancano poco circa 200 Km, facciamo riparare la gomma in una baracca, non si sa mai, e qui vedo il primo cane ben tenuto, ma altrettanto antipatico e rabbioso.
Dedichiamo a questa proprio poco tempo. Qualche foto sulle sempre belle panchine dello zocalo, cambiamo ad un ottimo prezzo un po’ di soldi e ripartiamo. Per arrivare a Tulum passiamo davanti all’ingresso delle rovine di Cobà, sono molto tentata, ma purtroppo non abbiamo tempo per entrambe, quindi vada per Tulum che ha la caratteristica di essere affacciata sul mare.
L’ingresso di Tulum assomiglia molto all’ingresso di un parco di divertimenti: ristorante, negozi di souvenir a iosa e tutto a prezzi decisamente superiori a quanto ci eravamo abituati.
Venendo da siti con la maestosità di Uxmal o Chichen o con la magia di Palenque, Tulum è una grande delusione. L’unico edificio che desta in noi un poco di interesse è il Castillo, ma senza lo splendido mare turchese perderebbe buona parte del suo fascino. Interessante è comunque leggere la sua storia e la funzione per la quale fu costruito ed ebbe importanza. Vuoi per il stanchezza, vuoi per aver visto siti molto più importanti gironzoliamo un po’ senza troppo entusiasmo, salvo che per il colore del mare che è veramente splendido.
Dopo un pranzo veloce si parte … ultimo tratto con la nostra mitica Dodge azzurra fino a Playa (totale Km 210 tempo 3,5 h), dove la riconsegniamo senza problemi dopo aver scaricato bagagli e souvenir, giusto qualcuno, al villaggio dove resteremo per qualche giorno di riposo.
Il villaggio è piuttosto carino anche se non da direttamente sulla spiaggia. In ogni caso non è un grosso problema, visto che nei giorni a venire non avremo molto da fare, tranne che mangiare dormire,bagnetto, sdraio e 4 passi… Dopo una breve passeggiata lungo la V Avenida … nanna! L’indomani abbiamo modo di apprezzare il nostro primo bagno in un mare dallo splendido color smeraldo… E’ piuttosto mosso, ma il colore è impagabile… e mentre passeggiamo lungo la spiaggia decidiamo che domani, una gita alla Isla de Las Mujeres non sarebbe poi tanto male.
Detto fatto, appunti alla mano, dopo colazione ci dirigiamo al “terminal” dei collectivos per Cancun. Dobbiamo arrivare a Puerto Juarez per le nove .. Tempo ne abbiamo, ma i collectivos partono solo quando sono pieni, per fortuna non dobbiamo aspettare molto ed in un’oretta arriviamo a destinazione.
Scendiamo al terminal a Cancun e subito dopo passa il colectivos che in pochi minuti ci porta a Puerto Juarez. Appena scendiamo veniamo praticamente presi in ostaggio da un gioviale messicano di un’agenzia locale che ci offre una giornata in barca all’Isola del Las Mujeres per un prezzo davvero molto conveniente (circa 300 pesos a testa con pranzo incluso).
Sulla barchetta siamo solo in 9: noi e una famiglia messicana composta da nonni, figli e nipotina. Si parte! …Il tragitto dovrebbe durare circa una mezz’ora … Già dovrebbe …Quando siamo a metà strada tra Cancun – che da lontano si vede coperto da una nuvoletta di pioggia stile Fantozzi – e l’Isola, la barchetta si ferma … abbiamo quasi esaurito la benzina e il motore pesca residui che lo hanno fatto fermare … O bella e adesso? Vabbè … Il tratto è molto trafficato, sicuramente in qualche modo si farà. Il nostro pilota non si perde d’animo, armeggia con i due motori e, con la massima calma, dopo un buon quarto d’ora e una buona dose di fortuna, uno dei due motori riparte. Raggiungiamo così Isla de Las Mujeres, dove facciamo la prima sosta in città… Mentre il nostro “capitano” fa benzina! Mentre a Cancun piove, il tempo che ci accompagna è invece splendido: cielo limpidissimo e sole che spacca le pietre. Isla de las Mujeres è la classica isola caraibica: sabbia bianca e sottile, acqua cristallina, palme e tranquilla rilassatezza.
Dopo una breve passeggiata in “città!” si riparte verso la zona hotelera, dove ci fermiamo per un bagno rinfrescante. Oggi è davvero caldissimo!! Ci gettiamo direttamene dalla barca in un mare incantevole e ci godiamo questi momenti di relax puro! Da lì ci dirigiamo verso Playa Tiburon dove in un ristorantino alla buona ci verrà preparato il pranzo a base di riso pasta e pesce alla griglia decisamente ottimo.
A Playa Tiburon è possibile fare le foto con uno squaletto tenuto in cattività in un recinto talmente angusto che mi fa pena. E’ talmente stufo di farsi tocchettare e fotografare che appena può si nasconde sul fondo.
A pochi minuti a piedi, invece è possibile visitare un centro dove vengono raccolte e curate le tartarughe ferite nonchè le uova per proteggerne la schiusa ed aiutare i nuovi nati a sopravvivere in maggior numero una volta in mare aperto.
La giornata scorre piacevole e tranquilla e non appena la simpatica famigliola messicana finisce di pranzare … Operazione che nonostante l’unica portata richiede un paio d’ore … partiamo per il Parco Naturale del Garrafon. Qui l’acqua assume colori di blu intenso per passare poi a chiazze verdissime. C’è tempo per un altro bagno in mezzo ai pesci colorati … ma ormai la giornata volge al termine. I colori si fanno più caldi e dorati mentre ripartiamo – con il serbatoio pieno – alla volta di Puerto Juarez.
Riprendiamo il collectivo per il terminal di Cancun e da lì quello per Playa. Su quest’ultimo salgono due musicisti diretti ad uno dei grandi hotel di Playa per un concerti serale, ed hanno con loro un charango e un flauto andino. Facciamo due chiacchiere sulla musica andina e mi improvvisano “Alturas” degli Inti Illimani, una tra le mie canzoni preferite (costo totale giornata circa € 50,00 in due).
Anche questa giornata volge al termine, le prossime saranno dedicate al relax ed alla spiaggia con l’unica variante di una mezza giornata al Cenote Giardino dell’Eden, escursione offerta dal T.O. Al momento della prenotazione. E’ un cenote all’aperto e l’acqua è decisamente freddina, però ci godiamo il bagno e la vista delle profondità di queste pozze di acqua semidolce.
Arriva il giorno della partenza … fare le valigie si rivela un impresa da equilibrista. Ci dicono infatti che all’aeroporto sono molto fiscali per quanto riguarda il peso delle valigie e noi, con tutti gli acquisti che abbiamo fatto, saremo certamente fuori dal consentito. Acquisto una borsetta da spiaggia con l’unico scopo di riempirla dei souvenir fragili e pesanti (tanto non la pesano) e cerchiamo di distribuire al meglio gli acquisti nelle due valigie e nei trolley. In effetti siamo bravissimi, le valigie sforano ognuna di un solo Kg (che comunque ci toccherà pagare) e questo ci permette di non dare troppo nell’occhio con i trolley, che in realtà sono abbastanza pesanti… Con la consapevolezza di aver solamente assaggiato solo un po’ di questa terra di colori, di musica, storia antica e spiritualità ci imbarchiamo per il rientro in Italia con un po’ di nostaglia per tutto quanto visto e soprattutto per quello ancora da vedere… …A casa in Italia: si aprono le valigie ed il salotto di casa diventa un piccolo mercato indigeno: sparsi in bell’ordine sul nostro divano ci sono tutti i nostri acquisti e, nella macchina fotografica, qualche centinaio di fotografie a ricordo di uno splendido viaggio in un paese che ti riempie gli occhi di colori e bellezze ed il cuore di emozioni … que VIVA MEXICO!