Un viaggio nell’incanto di Prima parte

Dedicato alle persone a me care che in questo periodo della mia vita, hanno avuto la costanza d’essermi vicino incoraggiandomi a proseguire nella mia strada personale e professionale con motivazione e ottimismo facendomi sempre mantenere una visione volta al futuro con obiettivi e scopi, ma sopratutto con tanta energia positiva che è la...
Scritto da: lelebanfi
un viaggio nell'incanto di prima parte
Partenza il: 09/10/2007
Ritorno il: 23/10/2007
Viaggiatori: in gruppo
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Dedicato alle persone a me care che in questo periodo della mia vita, hanno avuto la costanza d’essermi vicino incoraggiandomi a proseguire nella mia strada personale e professionale con motivazione e ottimismo facendomi sempre mantenere una visione volta al futuro con obiettivi e scopi, ma sopratutto con tanta energia positiva che è la capacità mentale di migliorare e migliorarsi.

Raffaele Banfi Il programma turistico Martedì 9 ottobre Roma / San’à Partenza con volo di linea Alitalia da Milano Linate. Arrivo a Roma e proseguimento con volo di linea Yemen Airways diretto a San’a. All’arrivo disbrigo delle formalità doganali, trasferimento in hotel, sistemazione nelle camere. Cena e pernottamento.

Mercoledì 10 ottobre Sana’à / Bayt Bows / Sana’à Pensione completa. Intera giornata dedicata alla scoperta della città. Partenza per BAYT BOWS, un bellissimo villaggio, quasi completamente abbandonato, posto sulla sommità di un piccolo affioramento roccioso verde. Pranzo in hotel e nel pomeriggio visita alla splendida capitale dello Yemen, che conserva l’aspetto di un borgo medioevale con le mura di fango, che racchiudono le stupende costruzioni in pietra e mattoni decorate da arabeschi e stucchi bianchi. Le caratteristiche finestre sormontate da lunette con vetri colorati o di prezioso alabastro, donano un aspetto fiabesco a tutto l’insieme. La vecchia città, con il colorato souk ricco di mille mercanzie e il brulicare di gente dal tipico abbigliamento, crea con le fantastiche costruzioni un insieme di perfetta armonia tra l’uomo e l’ambiente. Cena e pernottamento in hotel.

Giovedì 11 ottobre San’à / Seyun / Shibam / Seyun – km 100 Pensione completa. In mattinata trasferimento all’aeroporto e partenza con volo per SEYUN. Arrivo, inizio della visita alla città, tra le più importanti dell’Hadramout, immersa in una grande oasi con oltre 1 milione di palme. E’ l’ultima città del sud. La zona dell’Hadramout, stupisce per il contrasto tra il colore della terra, la montagna, il cielo blu e il verde delle palme. In quasi tutte le città del sud, i colori maggiormente usati e, che ritroviamo sulle case o sulle cupole delle Moschee, sono i colori naturali del paesaggio, il verde, il blu e la terra. Uno splendido e unico esempio di architettura in fango, rivestito di intonaco bianco, è il grande Palazzo del Sultano, attualmente accoglie 2 musei, uno etnografico, interessante poter osservare i costumi, gioielli, armi, attrezzi che ancora attualmente vedremo usare; l’altro Museo, archeologico, con dei pezzi importanti trovati a circa 100 Km da Seyun da missioni russe e yemenite. Interessanti i cimiteri, che a differenza di quelli arabi dove troviamo un insieme di pietre, questi hanno al loro interno piccoli mausolei, e tombe simili alle nostre. Visita al souk e al piccolo mercato dell’artigianato locale. Rientro in hotel per il pranzo. Pomeriggio dedicato a SHIBAM, la famosa “Manhattan del deserto”, la stupenda città è racchiusa da mura, un blocco di 500 grattacieli di fango che sembrano toccare il cielo. Splendide le porte e finestre intarsiate. Molto interessante l’urbanistica della città, suddivisa tra piazze, vicoli e palazzi armoniosamente inseriti. Rientro in hotel, cena e pernottamento.

Venerdì 12 ottobre Seyun / Tarim / Inat / Seyun – km 140 Pensione completa. Tra paesaggi di oasi, di donne dagli alti e caratteristici cappelli a punta che coltivano i campi, si visita la tomba di Bin Isa, un Santone venerato dagli abitanti dell’Hadramaut. Proseguimento per la città santa di TARIM caratterizzata dalla grande moschea bianca e dall’altissimo minareto quadrato, da grandi e splendidi palazzi con influenze architettoniche orientali. Proseguimento per INAT attraverso oasi, forni per la calce, orti coltivati, castelli di fango. Inat è un’ interessante cittadina con belle case e cimiteri con Marabut. Rientro in hotel, cena e pernottamento.

Sabato 13 ottobre Seyun / Al Hajjarin / Wadi Doan / Al-Mukalla – km 420 Pensione completa. In mattinata partenza per MUKALLA sul Mar Arabico. Sosta a AL HAJJARIN, una città di fango posta su due colline in pieno deserto, definita “la piccola Shibam” per le sue case a torre che s’ innalzano verso un cielo blu cobalto. Proseguimento lungo il WADI DOAN, su una pista che corre sul letto del Wadi, tra oasi di palme di datteri, aspre montagne, incredibili paesaggi dove la natura crea infiniti quadri naturali, tra canyon, villaggi immersi nel verde con le case ricoperte da un sottile intonaco bianco pitturate con dolci colori e disegni naif. Si attraverseranno i villaggi di Sif, Beda’a, Rashid. Lo spettacolo prosegue per molti chilometri fino a Arhab. Proseguimento per MUKALLA. Arrivo e sistemazione in hotel. Cena e pernottamento.

Domenica 14 ottobre Al-Mukalla / Habban / AZAN / Bir Ali / Al-Mukalla – km 400 Pensione completa. In mattinata partenza in Toyota lungo il Mar Arabico, tra dune di sabbia, zone desertiche, coltivazioni si raggiungerà AZAN e HABBAN. Interessanti paesi con tradizionali case di mattoni in fango di 4/5 piani, immersi in un’oasi e circondati da maestose montagne che corrono lateralmente. Posto nel Wadi Habban, il paese era conosciuto per gli artigiani ebrei che lavoravano magistralmente l’argento. Ritorno lungo la strada che costeggia la splendida spiaggia di Bir Alì affacciata sul Mar Arabico, il primo porto dello Yemen costruito nel 1000 a.C. Dove venivano sbarcate le spezie dall’ India e punto di partenza per le carovane che trasportavano i preziosi carichi, compreso l’incenso verso la Palestina attraverso l’Hadramout e la Giordania. Cena e pernottamento.

Lunedì 15 ottobre Al-Mukalla / Hadibu / Delisha / Dihamri / Hadibu Pensione completa. In prima mattinata, trasferimento all’aeroporto e partenza con volo per SOCOTRA. Arrivo e trasferimento in hotel, sistemazione. Partenza verso la Valle di Dehazhafig, nelle vicinanze di Hadibu, tra palme di datteri e le piante tipiche dell’isola, si scoprirà una piccola sorgente dove gli abitanti della zona vanno ad attingere l’acqua o ad abbeverare il bestiame. Mezza giornata di relax al mare sulla splendida spiaggia di DELISHA. Nel tardo pomeriggio, ritorno ad Hadibu. Cena e pernottamento.

Martedì 16 ottobre Hadibu / Wadi Ayhaft / Daksem / Hadibu Pensione completa. Partenza verso il WADI AYHAFT, una Valle che s’inoltra lungo un greto di un Wadi, generalmente asciutto disseminato da grandi e bellissime pietre. La vallata è definita anche “la foresta di Socotra”, perché in questa zona, si trova una fitta vegetazione di alberi endemici. Lungo il sentiero, che si percorrerà fino alla grande cisterna che raccoglie le acque dalle montagne circostanti, si trovano dei piccoli e particolari alberi di Adenium Obesum, con forme rotondeggianti e incastrati tra le rocce. Proseguimento per DAKSEM. Lungo la strada ci si può fermare per ammirare gli stupefacenti panorami che l’Isola di Socotra sa offrire: le sue baie incontaminate e le barche dei pescatori disseminate nel blu profondo del mare. Si sale sull’altopiano fino a superare i 1000 mt di altitudine; qui si osservano gli Alberi del Drago, anche detti Alberi Sangue di Drago per la resina rossa che stillano, e che viene usata come inchiostro dagli abitanti. Questa resina viene anche utilizzata come medicamento contro gli ascessi e altre malattie. Nella zona si visita anche il piccolo e caratteristico villaggio di Muri. Discesa verso la costa, arrivo ad HADIBU. Cena e pernottamento.

Mercoledì 17 ottobre Hadibu / Spiaggia delle tartarughe / Qalansia / Hadibu Pensione completa. Di prima mattina partenza verso la regione di Qalansia, probabilmente la più bella di tutta l’isola. Tra dune di sabbia bianca alte anche oltre 40 mt e l’acqua di un cristallino turchese, si prova davvero la sensazione unica di essere i primi a godere di un luogo assolutamente incontaminato, quasi paradisiaco. Lungo la strada asfaltata, sosta alla splendida spiaggia delle tartarughe. Una spiaggia lunghissima, sabbia impalpabile dove le tartarughe vengono a deporre le uova durante l’estate. Proseguimento e arrivo a Qalansia. Salendo sulla montagna che domina la splendida spiaggia di Qalansia, si gode di un panorama mozzafiato della costa. Sosta per un bagno tra le splendide acque e relax sulla bellissima spiaggia. Ritorno verso Hadibu. Lungo la strada ci si ferma ad ammirare alcune delle piante più tipiche dell’isola, come il Fico di Socotra (Dorstenia gigas) simile ad un piccolo baobab, e la Rosa del Deserto dagli splendidi fiori rosa. Cena e pernottamento.

Giovedì 18 ottobre Hadibu / Yos Beach / Dedom / Irsel / Hadibu Pensione completa. Partenza verso la costa di Hala e le incontaminate spiagge di Dedom e Irsel. Si arriva su una meravigliosa spiaggia bianca punteggiata di piccoli ciottoli rossastri che la trasformano in un naturale gioiello d’alabastro incastonato di corallo. Ci si sposta quindi sulla YOS beach, un’altra incantevole spiaggia di sabbia così fine e candida da sembrare borotalco. Da qui si può partire alla scoperta delle bellezze dei dintorni: la moltitudine di uccelli che si alzano in volo al minimo rumore, le sorgenti di acqua dolce che sgorgando dalle montagne scendono come miraggi fino al mare, ed in cui è possibile rinfrescarsi. Nel pomeriggio partenza alla volta di Hadibu; lungo la strada sosta nei villaggi per ammirare con un ultimo sguardo la particolarissima e florida vegetazione dell’isola, e per conoscere meglio la cultura dei pacifici abitanti di Socotra. Rientro ad HADIBU. Cena e pernottamento.

Venerdì 19 ottobre Socotra / Sana’à / Rodha / Sana’à Pensione completa. Partenza dall’aeroporto di SOCOTRA per SANA’A. Arrivo e trasferimento in hotel. Nel pomeriggio visita al souk per gli ultimi acquisti. Rientro in hotel, cena e pernottamento.

Sabato 20 ottobre San’à / Manaka / Hajjara / Hoteip / Sana’à – km 250 Pensione completa. Tra vallate e canyons della montagna dell’Haraz si visitano due villaggi in pietra secco dalle case alte 5-6 piani. Da Manaka attraverso una strada sterrata, si giunge a AL HAJJARA, piccola roccaforte in miniatura posta a strapiombo su una montagna con strette viuzze che consentono solo il passaggio a piedi e, con le alte case a torre. Ritorno a MANAKA, pranzo in fonduk, tipico albergo yemenita. Manaka è posta in una zona dove viene coltivato un’ottima specie di caffè. Nel 1600, fu un importante centro commerciale per la vendita di tale prodotto, che veniva poi esportato in Occidente. Proseguimento per HOTEIP, dove c’è la tomba di un Santone venerato dai musulmani indiani. La cittadella si trova tra bellissimi paesaggi e villaggi fortificati. Rientro a Sana’a. Cena e pernottamento.

Domenica 21 ottobre San’à / Amran/ Kholan / Hajja / San’à – km 240 Pensione completa. Partenza verso Nord, con sosta e visita di AMRAN, caratteristica cittadina preislamica, con le case di mattoni in argilla, addossate le une alle altre, proseguimento fino a KOHALAN, cittadella abbarbicata su una montagna ricoperta di fichi d’india, collegata a Hajja da una strada panoramica che si snoda tra montagne e picchi. La città di Hajja è stata un centro importante durante il periodo degli Imam, dove in carceri sotterranee venivano rinchiusi gli oppositori politici. Negli ultimi secoli Hajja era considerata una roccaforte del potere zaidita, e il figlio dell’ultimo Imam, Yahia Ahmed, nel 1948, concentrò e radunò in questa zona gli ultimi fedelissimi per organizzare la lotta contro il gruppo di opposizione che aveva organizzato il colpo di stato per detronizzare l’Imam. Rientro a Sana’a. Cena e pernottamento.

Lunedì 22 ottobre San’à / Wadi Dhar / Thula / Hababa / Kowakaban / Sana’à / Roma – km 140 Pensione completa. Visita del famoso “Palazzo sulla roccia” a WADI DHAR, ex residenza dell’Imam, restaurato da poco tempo, é situato su un roccione di 50 mt. Ed é la massima espressione dell’architettura yemenita e anche della fantasia. Proseguimento per THULA, città dai mini grattacieli in pietra a secco. Molto interessante l’architettura, le splendide vasche per l’acqua, i vetri di alabastro. A pochi chilometri si trova HABABA, la città dove le alte case in pietra attorniano e si rispecchiano in una grandiosa cisterna per l’acqua. Attraverso una spettacolare strada si arriva a KOWAKABAN, città fortezza che domina SHIBAM e le montagne circostanti. Pranzo in fonduk. Rientro a Sana’a nel tardo pomeriggio, attraverso Shibam. Arrivo e tempo a disposizione per il souk. Rientro in hotel. Cena e trasferimento in aeroporto per il checkin. Partenza con volo per ROMA. Pernottamento a bordo.

Martedì 23 ottobre SANA’A / ROMA Arrivo in prima mattinata a ROMA. Eventuale proseguimento per altre città.

Il diario di viaggio Rieccomi in partenza per un altro viaggio, stavolta la destinazione è lo Yemen, una nazione posta nella parte meridionale della penisola arabica.

Paese lontano da noi non solo in termini chilometrici, dall’affascinante cultura araba. Luoghi di cui ho visto degli incantevoli servizi in televisione ed anche le informazioni lette sulle guide e reperite in internet mi hanno dato solo un quadro parziale ma avvincente di quanto mi appresto a vedere Preparo le valigie con vestiti estivi ed adatti per il trekking, la macchina fotografica una reflex digitale (Nikon DX40) con tre schede di riserva, il mio inseparabile Moleskine® (il blocco per gli appunti), delle penne, il passaporto, il programma di viaggio, le guide e non per ultimi gli indispensabili biglietti aerei.

Per il viaggio ho scelto due guide; • Yemen della Guida Express, ed 2007, molto valida per le parti descrittive, che permettono di conoscere la storia, le regioni, le usanze, la geografia e le etnie; • Oman, Yemen, Emirati Arabi Uniti della Lonely Planet-EDT – 2° edizione italiana, aprile 2005, interessante per l’elenco dei luoghi e dei monumenti da visitare, oltre che fornire altre “notizie utili” per il viaggio.

Nel diario farò riferimento ai luoghi da me visitati indicando la pagina di riferimento per la Guida Express con (GE pag.), mentre per la Lonely Planet-EDT sarà indicata con (LP pag.), in modo che chi volesse approfondire dettagli storici e culturali trovi tutti i riferimenti del caso.

09 ottobre In una mattina autunnale dove la temperatura è ancora mite per questo periodo poco prima delle 6.00 ci ritroviamo al solito posto, ovvero il piazzale della chiesa, luogo ideale per l’appuntamento del gruppo di 17 persone che parte in pullman da Rovello Porro mentre altre 4 ci raggiungeranno direttamente in aeroporto; un saluto caloroso a quelli del gruppo ritrovati, quindi delle brevi presentazioni per i nuovi componenti, poi carichiamo le valigie sul pullman e ci dirigiamo verso l’aeroporto di Milano Linate.

Sull’autostrada troviamo il solito traffico, ma arriviamo a Linate puntuali, il volo è previsto per le 9.40, guardiamo il tabellone e vediamo che il volo è stato cancellato; chiediamo spiegazioni e ci dicono che tutto il gruppo è stato spostato sul volo delle 10.00 ma l’importante è che al check-in le valigie siano convogliate direttamente a San’à la capitale dello Yemen, dove siamo diretti.

Il volo procede regolarmente verso Roma dove atterriamo. Entrando nella struttura aeroportuale ci dirigiamo verso la zona “transito”, cercando l’uscita indicata per il volo verso lo Yemen e la raggiungiamo. Dobbiamo fare il check-in e, guarda caso, il banco è proprio all’estremità opposta di dove siamo noi.

Avvisiamo il gruppo che bisogna recarsi al check-in e tutti, diligentemente ci avviamo verso il banco ma, con Fernanda, guardando dove era seduto parte del gruppo, vediamo che vi sono delle valigie con appese etichette gialle di “Antichi Splendori”, il pensiero è lo stesso: qualcuno della compagnia è andato a fare il check-in lasciando le valigie incustodite. Stiamo parlando di questo, quando un funzionario aeroportuale si accorge delle valigie abbandonate, vuole far scattare le “misure precauzionali”: per fortuna mostrandogli il nostro bagaglio a mano e le etichette uguali, lo convinciamo che facciamo parte di un gruppo e che gli altri sono andati a fare il check-in. Avvisiamo tutti di venire a riprendersi il bagaglio e poi, terminato il check-in, ritorniamo all’uscita in attesa dell’imbarco. Arriva il nostro accompagnatore, il Sig. Samer Abdul Ghani, marito della titolare del tour operator organizzatore del nostro viaggio, lui è yemenita, ed oltre ad accompagnarci deve recarsi in Yemen per lavoro.

Siamo in attesa dell’imbarco e giunge un altro gruppo: sono in parte di Biella ed in parte dell’oltrepò pavese e le poltroncine dell’uscita si riempiono di persone in partenza per il paese arabo. Mentre aspettiamo l’imbarco arrivano anche delle ragazze yemenite che indossano abiti occidentali ma dopo un poco vanno in bagno ed escono indossando il “tradizionale” vestito nero, lo chador, un vestito che le avvolge completamente, lasciando libero solo il volto.

Finalmente l’imbarco, il volo è previsto per le 14.10, partiamo con un leggero ritardo, l’aereo proviene da Francoforte ed è già carico di passeggeri; il viaggio trascorre tranquillamente ascoltando musica, leggo una parte della guida dello Yemen che non ho ancora letto e approfitto del tempo a disposizione per rileggere alcuni capitoli. Abdul è visibilmente contento, sia per il gruppo che gli ha fatto un’ottima impressione, sia per il programma che lui personalmente ha concordato con don Maurizio, ma soprattutto, anche se non lo dice, è contento di ritornare nello Yemen, sua terra natale ed anche se è in Italia da anni, sposato con un’italiana, il ritorno alla proprie origini è sempre qualcosa di piacevole e molto atteso.

Osservo i componenti del gruppo; c’é chi riposa, chi parla, chi gioca a carte, chi fa salotto, chi si dedica alle parole crociate, chi alla lettura. Il volo dura 7 ore, ma chissà perché mi appaiono interminabili: forse la voglia di veder San’à, la lettura della guida mi ha incuriosito parecchio. Il pensiero va un attimo alle valigie: “chissà se arriveranno tutte?”. Per precauzione e per esperienza, nel bagaglio a mano mi sono portato del cambio, in modo da sopperire ai disagi già provati, qualora la valigia non arrivasse.

Sull’aereo vi sono persone di varia nazionalità, di varie etnie, i differenti colori della cute creano un mosaico piacevole da osservare, come altrettanto piacevole è la varietà dei vestiti occidentali ed arabi. Le hostess servono il pranzo, il primo contatto con i sapori yemeniti; voliamo con Yamenia, la compagnia di bandiera yemenita, l’aereo è pulito ed il servizio è buono.

Sono seduto nelle file centrali dell’aereo, cerco di sbirciare dal finestrino per veder qualcosa, ma oltre alle nuvole non scorgo nulla, ad un tratto vedo le nuvole tingersi di rosa, è l’effetto del sole che sta tramontando. Viene distribuito il visto d’ingresso che dev’essere attentamente compilato. “Antichi Splendori” ci ha fornito un fac simile della compilazione e questo la rende agevole, quando termino sbirciando fuori dal finestrino mi accorgo che è completamente buio.

Sul monitor dell’aereo compare la scritta “dalla partenza 4078 km”, incontrando una turbolenza si balla e poco dopo si accendono le luci per allacciare le cinture di sicurezza; iniziando la discesa proseguo nella lettura della guida, leggo un pò di storia recente ed alcune notizie su San’à, la città dove siamo diretti e che domani vedremo.

Atterriamo a San’à, l’impatto è abbastanza delicato, ma questo crea ugualmente il distacco parziale di un pannello dell’arredamento, un sorriso tra i passeggeri che se ne sono accorti e tutto prosegue; con la coda dell’occhio vedo un movimento strano, giro il capo e vedo le ragazze che indossano lo chador, stanno calando il velo nero sul volto. Penso che sia incredibile come poche ore prima in Italia vestivano all’occidentale ed ora, nel loro paese vestano in modo completamente differente.

Arriviamo alla dogana con l’immancabile controllo dei visti e dei passaporti, ritiriamo le valigie che questa volta sono arrivate tutte ed uscendo nell’atrio dell’aeroporto noto immediatamente degli uomini con la jambiya; il caratteristico pugnale ricurvo, che per forma, colore e finiture identifica tribù, etnie e regione.

La nostra guida ci sta attendendo e facciamo subito conoscenza di Omar, un uomo oltre i 50 anni che parla un italiano fluente ed appare immediatamente una persona alla mano, ci accompagnerà per tutto il tour. Uscendo dall’aeroporto carichiamo i nostri bagagli su un pulmino, su un altro saliamo tutti noi. Mentre usciamo dalla struttura aeroportuale, Omar, comincia ad illustrarci dei particolari dello Yemen e del giro che ci stiamo apprestando a compiere, affermando che a Socotra, ci farà conoscere un delfino; personalmente sono un pò dubbioso sul fatto e memorizzo questo particolare.

Sono le 22, siamo nella capitale dello Yemen a 2.200 mt s.L.M. Dove la temperatura è fresca e vi sono 17°C. Lasciando l’aeroporto subito il traffico sembra caotico, qui tutti suonano, sono proprio arrivato in un’altra dimensione. Alla periferia della città le abitazioni presentano una struttura realizzata in cemento con finestre in stile yemenita, che sono rettangolari decorate di bianco e sopra altre finestre a volta che formano una mezzaluna con decorazioni in muratura e vetri policromi all’interno delle stesse.

Omar c’informa che siamo nel periodo del ramadam, il digiuno di 30 giorni dei mussulmani e che terminerà fra 4 giorni; in questo periodo durante il giorno vedremo in giro pochissima gente, i negozi per la maggior parte saranno chiusi ed infatti, come avremo modo d’osservare, la città si anima solo dopo il calar del sole, ovvero verso le 18 ora locale.

Nel trasferimento in hotel siamo stipati ed il pulmino su cui stiamo viaggiando pare un mezzo di fortuna, occupiamo tutti i sedili, compresi quelli a scomparsa nel vano centrale, le gambe sono rannicchiate, la porta è a “comando manuale” sia in chiusura che in apertura. Il mezzo arranca nelle salite, transita per la periferia della città, mentre della parte vecchia non scorgo traccia, intravedo qualche edificio caratteristico, ma nulla di più, tutto è rimandato all’domani.

Arriviamo all’albergo, il “Movenpick” che è situato in cima ad una collina a ridosso della montagna, è una struttura moderna ed accogliente; cocktail di benvenuto, consegna dei passaporti, assegnazione delle camere; salgo nella mia ho il n. 515 e dalla finestra vedo San’à che appare illuminata come un presepe.

Scendo per la cena, buffet, cucina internazionale e yemenita, riso, carne, pane, salse delicate e piccanti, dolci verdura, frutta (meloni, kiwi, anguria); mentre ceniamo l’albergo offre un intrattenimento musicale per gli ospiti: cenare con la musica è piacevole. Poco dopo la cena mi reco in camera, devo togliere dalla valigia il vestiario per l’indomani, preparare la macchina fotografica (una reflex nuova nel cui uso non sono ancora completamente afferrato e per questo mi sono munito di manuale d’istruzione che costantemente consulto per memorizzare il complesso funzionamento della foto camera).

10 ottobre La sveglia suona alle 7.30, ma sono in piedi già da un pò, sono ansioso di vedere la città di San’à (GE 119) (LP 216), ciò che ho letto sulle guide mi ha incuriosito parecchio; vi sono abitazioni dette case/torri, realizzate, anticamente, con mattoni di fango e paglia, case strette ed alte più piani, decorate con calce bianca. La curiosità è al massimo livello; apro la finestra dell’albergo e vedo case che e seppur realizzate con mattoni di cemento marroni e grigi alcune decorazioni bianche sono presenti, un piccolo assaggio di quanto vedrò nel corso della giornata. Dall’albergo non vedo case tradizionali, la vista dell’incanto della città vecchia è demandata al pomeriggio, il programma della mattinata prevede una visita al villaggio di Bayt Baws, situato nei pressi della città.

Facciamo colazione, poi mi reco in camera per i preparativi per l’inizio della giornata, un “rito” che si ripeterà tutti i giorni del tour; cappello, occhiali, Moleskine®, penna, macchina fotografica, regolazione della reflex e … Si parte; uscendo dall’albergo il cielo è azzurro terso, la temperatura è calda, si sta proprio bene, il vento si concilia perfettamente col caldo.

Siamo pronti per la partenza, ci contiamo, manca una persona, la cerchiamo nella sala colazione, nell’atrio … Nulla. Con don Maurizio, Fernanda e Sandro decidiamo di cercarla meglio, ci suddividiamo parte dell’albergo e lo giriamo velocemente, chi i piani, chi la piscina esterna, chi i negozi, ed alla fine … Nulla. Facciamo chiamare in camera … Nulla. Sembra sparita. Si comincia a pensare “non positivo” i casi: 1) sta male; 2) è deceduta; 3) è stata rapita.

Ok che fare? Bel dilemma, le ricerche proseguono, la persona sembra essersi volatilizzata nel nulla, la tensione ed il nervosismo aumentano, chiamiamo la sua compagna di stanza che è sul pulmino e la invitiamo ad andare a vedere in camera. Passano i minuti, la ricerca continua infruttuosa, si fa riferimento ai casi suesposti. Alla fine la porta dell’ascensore si apre, appare la compagna di stanza che afferma “.. È a letto che dorme. Non sta bene. Ha sentito il telefono che suonava ma non ce la faceva a rispondere”. Tutto sommato sono state escluse due delle ipotesi, le “meno positive”.

Partiamo con i pulmini del giorno precedente, stavolta il gruppo è diviso sui due mezzi e si viaggia decisamente meglio; con noi stamattina vi sono entrambe le guide, Omar ed Abdul. Percorriamo le grandi strade asfaltate della periferia; le case che noto sono tutte di mattoni e cemento, le finestre all’esterno decorate di bianco sormontate da altre finestre a volta con vetri policromi.

San’à è una città che occupa una superficie di 80 Km quadrati con 2 milioni di abitanti; lasciata la periferia percorriamo un’ampia strada a più corsie perfettamente asfaltata, quando ad un tratto imboccando una deviazione sulla sinistra c’inoltriamo in una via secondaria salendo lungo un ripido pendio, la strada in pochi tornanti ci conduce in prossimità del villaggio di Bayt Baws (GE 161) (LP 228), edificato su un dirupo roccioso.

In prossimità del villaggio facciamo una sosta per le prime fotografie e riunito il gruppo Abdul ci racconta velocemente la storia di San’à e dello Yemen esaltando i vari tipi di coltivazione nazionale (soprattutto il caffè) e le variegate forme di artigianato.

Siamo su colline di rocce basaltiche i cui fianchi sono in parte ricoperti di fichi d’india, il terreno è sassoso e desertico, il colore delle rocce va dal marrone al nero (secondo la tipologia di basalto), le circostanti montagne battute continuamente dal vento, dove il terreno è cotto dal sole, presentano poche piante; sono acacie che appaiono spoglie e spinose.

Il villaggio che ci apprestiamo a visitare sorge su uno sperone roccioso di colore rosso; sotto lo sperone verticale delle placche inclinate di colore verde, chiedo ad Omar il perché di tale colorazione e mi spiega che la roccia è ricca di rame che ossidando crea questo colore particolare; raccolgo, come ricordo, dei piccoli sassi ed, in effetti, si nota la caratteristica ossidazione del rame. Il borgo si presenta fortificato e questa sarà una costante che vedrò in tutto lo Yemen, piccoli e grandi villaggi, sempre fortificati e come dimostra la storia a volte inespugnabili.

Nei pressi del villaggio un piazzale dove sorge imponente un albero di sicomoro e vicino allo stesso la cisterna dell’acqua; infatti, la presenza del sicomoro indica l’esistenza del prezioso liquido.

Percorrendo una strada sassosa in salita transitiamo dal portone d’ingresso ed entriamo nel villaggio, le case periferiche sono realizzate tutte con blocchi di pietra, squadrata, angolata lavorata che posata con maestria crea queste case/fortezza dal colore giallo/rosso. Pur mantenendo il primo piano in pietra, alcune abitazioni hanno i successivi piani realizzati con mattoni di fango e paglia e presentano alle finestre delle decorazioni in calce bianca. Girando per il villaggio arriviamo ad un’altura da dove si domina la parte nuova di San’à mentre la parte vecchia sorge dietro a due colline e dista 15 km.

Le case sono parzialmente abitate ma è solo negli ultimi anni, con l’avvento del turismo, che le persone sono tornate a popolare il villaggio, un turismo intelligente crea anche questo “ritorno alle origini”. Camminando osservo che al centro del villaggio sorge una costruzione di cemento, un po’ inadeguata per il contesto del villaggio, ma è il pozzo dell’acqua dove attingono tutti gli abitanti e anche se stona molto, la sua presenza è fondamentale; chissà magari un giorno lo rivestiranno di pietra locale, mimetizzandolo in questo splendido contesto di case secolari.

Sono incuriosito dagli edifici che vedo, lo sviluppo è ampiamente verticale, tre o quattro piani sono la caratteristica comune e come detto, alcune case sono esclusivamente di sassi, altre sono di sassi e mattoni di fango, con i portici realizzati in pietra mentre le travature e le finestre sono in legno.

Durante il giro un particolare mi colpisce, gli escrementi umani ed animali sono raccolti in torte che sono poste su pietre esposte al sole ad essiccare; le torte essiccate saranno utilizzate nei campi come concime.

Proseguendo il giro per il villaggio giungiamo alla fine della visita ed usciamo transitando sotto la porta oltrepassata prima, arriviamo sul piazzale col sicomoro dove scattiamo qualche foto con gli abitanti; personalmente sono stupito dall’architettura e da quanto ho visto finora.

Riprendiamo i pulmini, scendiamo dalla collina e ci dirigiamo verso la città; poco dopo ci fermiamo a fotografare la grande moschea, un edificio in costruzione, mi colpisce l’imponenza dei 6 minareti presenti. Proseguiamo verso la parte vecchia della città e ci addentriamo lungo strade trafficate dove per circolare, come già visto la sera prima, è un continuo suonare di clacson, quasi per segnalare la propria presenza; un uso completamente differente dal nostro.

Arriviamo in una piazza, i pulmini fanno inversione di marcia e pochi metri dopo si fermano davanti al portone di un palazzo; è la sede del Museo Nazionale archeologico ed etnografico dello Yemen. Scendiamo dagli automezzi, seguiamo Omar che entra nel portone per accedere al museo ma, essendo giorno di ramadam, il museo apre nel pomeriggio. Cambiamento di programma, attraversiamo la strada, percorriamo un marciapiede dove sono posizionate delle bancarelle e da un’entrata laterale accediamo alla parte vecchia della città: il primo impatto è di stupore per le case, tutte marroni con le finestre decorate con calce bianca, ma non si può ammirare troppo a lungo la struttura degli edifici, c’è un mercato e siamo rapiti dai colori e dai profumi; i bimbi chiedono d’essere fotografati e grazie alla reflex digitale posso mostrare immediatamente le foto, con loro grande contentezza. L’impatto con la gente di San’à è più che ottimo, cordiali e educati, per nulla invadenti; attraversato il mercato Omar ci accompagna lungo una strada che corre in un fossato e ci racconta che quando piove si riempie d’acqua e la strada diventa un fiume.

In origine la città era completamente circondata da mura e l’ingresso era possibile attraverso 8 porte che erano chiuse la sera e riaperte di mattino. Nel 1962 durante la guerra, a causa di bombardamenti, gran parte delle mura furono distrutte; oggi ne rimane solo una piccola parte ed una porta soltanto.

Poco dopo visitiamo la vecchia città che è densamente popolata dove ogni casa è abitata da una famiglia allargata ai figli, ai generi, alle nuore e ai nipoti. I giovani, almeno quelli che studiano, preferiscono abitare alla periferia della città in edifici più moderni, ma, come in tutte le nazioni, nel giorno di festa, che qui è il venerdì, la famiglia si riunisce nella casa paterna. Le case laddove sono presenti più famiglie discendenti dallo stesso ceppo e, dove sono state effettuate divisioni ereditarie, possono essere vendute solo se tutti i proprietari sono concordi.

Le abitazioni sulla facciata presentano i canali di scarico che convogliano direttamente i liquami in fogna, ma osservando bene posso notare che su alcune case sono presenti gli antichi scivoli verticali che servivano, in origine, per evacuare il liquame dalle abitazioni che era raccolto dai contadini e fatto essiccare in torte come visto precedentemente a Bayt Baws e quindi utilizzato per la concimazione dei campi.

Nella parte vecchia della città la pavimentazione è fatta con pietre scolpite a mano e la rugosità della pietra si nota nel confronto con la pavimentazione dei tratti eseguiti con pietre tagliate con le moderne tecnologie.

Precedentemente al 1918, le abitazioni avevano le finestre con i vetri di alabastro e solo successivamente il vetro, importato dalla Turchia, pian piano sostituì l’alabastro. Le finestre delle abitazioni sono di vario tipo: quelle rettangolari con ante apribili hanno vetri trasparenti e soventemente sono sormontare da finestre chiuse a volta che come elemento decorativo racchiudono lavorazioni a fiore o a stella con vetri policromi. A volte si vedono delle ulteriori finestre rotonde fisse senza nessuna decorazione, girando per la città posso notare qualche finestra che ha mantenuto i vetri in alabastro: il minerale opacizza completamente la finestra permettendo il passaggio solo della luce dando una piacevole tonalità rosata all’interno delle abitazioni.

Entriamo nella San’à vecchia, lo sguardo è rapito dagli edifici marroni decorati di bianco e se già girando per il mercato mi sembra d’essere in un film, ora tra le case marroni/nocciola, fra i profumi, il cielo terso, dove lo sguardo verso l’alto si perde fra mille e mille particolari, mi pare d’essere in una dimensione surreale, in una fiaba, in un racconto da mille ed una notte.

Ovunque lo sguardo si posi vedo case ben ordinate, decorate, qualche giardino ben curato e tanta, infinita, sublime bellezza. Mi riesce difficile descrivere queste case/torri con la porta d’entrata di legno intarsiato a volte coperta da un balconcino ligneo, i piani si sviluppano in un continuo susseguirsi di verticalità con finestre decorate di bianco, i motivi delle decorazioni variano da casa a casa mentre seguendo i profili degli edifici lo sguardo si perde nel cielo blu cobalto.

Girando per le strade, arriviamo all’albergo Arabia Fenix dove ci fermiamo per il pranzo e la guida ci avvisa che dalla terrazza superiore della struttura si gode un panorama stupendo della città, entriamo e ci sediamo in una stanza attigua al giardino interno, dove ci viene servito il pranzo; salse di formaggio, di ceci, yogurt, pane yemenita (impastato con più cereali e cotto al forno, dal colore scuro, ed è buonissimo), riso (bianco e giallo), pesce, montone, pollo, patate e verdure, banane con miele di datteri ed aloe (dal gusto dolcissimo e cremoso), the, caffè in polvere e caffè yemenita. Prendo il caffè yemenita, lo lascio decantare bene nella tazza prima di berlo, lo assaporo; impressione è di bere un nostro caffè con cioccolata, una piacevole sensazione.

Terminato il pranzo, riprendiamo i pulmini dirigendoci al Museo archeologico ed etnografico; il museo è collocato nel palazzo dell’ex Iman, ma solo una parte è accessibile, poiché gran parte dell’edificio è in ristrutturazione.

All’ingresso del museo si trova la ricostruzione di due statue bronzee di re, dono dei greci alla Regina di Saba, mentre nella sala, racchiusi in alcune teche vi sono i resti delle statue originali; poco distante sono esposti dei reperti archeologici risalenti al regno di Saba, il mitico regno dello Yemen antico; vi sono gioielli, sigilli, collane, suppellettili in vetro, lapidi in alabastro, stupende sculture anch’esse in alabastro. Oltre ai reperti archeologici mi soffermo ad osservare l’architettura del palazzo, le porte sono robuste e le pareti sono edificate con blocchi di pietra grigia e presentano decorazioni bianche nella parte verso il soffitto; le finestre sono in legno ed apribili, hanno vetri trasparenti, sono sormontate da lunette con decorazioni in vetri policromi che creano un effetto interno veramente suggestivo.

Proseguiamo la visita salendo al piano superiore dove troviamo la sezione museale più recente con collezioni di monete, di gioielli, di armi degli ottomani che hanno dominato il paese ed in una sala è esposto il drappo verde che ricopriva la pietra nera alla Mecca di Medina.

La parte etnografica contiene modelli delle abitazioni dello Yemen e vi sono delle stupende ricostruzioni di attività artigianali e di scene di vita, vedo l’attività dei falegnami, la realizzazione delle jambiye, dei tessuti, la tintura degli stessi, la ricostruzione dell’interno di un’abitazione con la cucina, la sala delle donne (con la sposa, la serva e le invitate al matrimonio), la sala per gli uomini, la collezione dei vestiti da donna, l’interessante collezione di gioielli d’argento; in una sala vi è una raccolta di cesti in vimini per gli usi più variegati ed utilizzati ancora oggi in alcune zone del paese.

Usciamo dal museo ed attraversando la strada rientriamo nella città antica e percorrendone una parte ci dirigiamo al mercato: il “suq”, ma mentre attraversiamo la strada noto che il traffico è sensibilmente aumentato rispetto alla mattina; infatti essendo periodo di ramadam, la gente esce molto tardi da casa e circolare di mattina era molto meglio; ora il traffico è caotico per la presenza di auto, camion e mezzi vari.

Entriamo nella San’à antica e ne percorriamo una buona parte prima di raggiungere il suq, la vista si perde fra i mattoni marrone/nocciola, fra le finestre rettangolari, fra quelle a volta, fra quelle rotonde, fra i vetri trasparenti e quelli colorati, fra le bianche decorazioni che abbelliscono ed addobbano le abitazioni facendone dei capolavori di arte decorativa.

Arriviamo al suq che è strapieno di gente, l’effetto della giornata di ramadam e della relativa festa si vede nella grande quantità di folla ed il primo contatto col suq è un negozio dove vendono dolci a base di miele, all’interno del bancone di vetro sono posizionati i dolci ed è pieno d’api richiamate dal profumo. Giro per il suq e trovo il settore dei tessuti dai vivaci colori: ve ne sono in raso, in seta, in velluto; mi perdo fra mille colori e fra tanti tessuti raffinati ed alcuni dozzinali importati dalla Cina. In una piazzetta noto dei forni dove producono il caratteristico pane yemenita, quello che abbiamo degustato a pranzo; girare per il suq è come perdersi in un dedalo di negozi di coltelli, cinture, tessuti, dolci, spezie, tabacco, antichità, gioielli in argento e oro. Nelle piazzette vi sono degli artigiani che lavorano, chi cuce scarpe, chi prepara le cinture per la Jambiya e lungo le stradine, posizionati all’angolo vi sono i venditori di qat dove la gente acquista il vegetale, ma nessuno lo mastica; anche in questo caso è rispettato il ramadam.

Omar “sparisce” per acquistare del qat, ritorna poco dopo con un pacco enorme; penso “chissà che se ne farà?”. Ho notato che la gente acquista il qat in piccoli sacchetti di plastica e non una quantità enorme come quella di Omar, il mazzo che porta in spalla assomiglia più ad una pianta ornamentale che una monodose.

Lasciamo il suq e prendiamo i pulmini, il traffico della città rispecchia quello di altri paesi arabi, chi passa per primo passa; percorrendo le strade osservo di tutto, gente in contromano, inversioni di marcia improvvise, si suona per far notare la propria presenza, quindi, come già detto l’uso del clacson è continuo. Vi sono motorini che emettono un fumo bianco, bruciano enormi quantità di olio rendendo l’aria a tratti irrespirabile. Molte volte più persone viaggiano sulla stessa moto, anche le auto viaggiano sovraccariche ed i camion, spesso sono adibiti al trasporto di persone. Per la città girano mezzi di ogni specie, a volte vetusti, molti sono i fuoristrada e le auto sono arredate con delle strisce di pelle posta sui cruscotti e sul volante, alcune sono sintetiche; la ruggine è una presenza costante sulle auto e quelle nuove sembrano essere arrivate da una dimensione sconosciuta.

Ritorniamo in albergo e dopo i controlli antiterrorismo posti all’ingresso possiamo entrare, mi reco in camera e sto sistemando gli appunti sul mio blocco, quando arriva la voce del muezzin, il cantore che chiama i fedeli alla preghiera; apro la finestra ed ascolto questo richiamo che è davvero caratteristico.

Cena a buffet e poi la sera trascorre giocando a carte e chiacchierando, esco per fare un giro all’esterno, ma l’aria frizzante mi invita a rientrare. Verso le 22 vado a nanna.

11 ottobre Sveglia alle 5.30 perché dobbiamo partire per Sayun, andremo in aereo ed il volo è previsto per le 8.00; aprendo la finestra della camera vedo l’alba su San’à; il sole giunge pian piano sull’altopiano e lentamente escono dall’oscurità, prendendo forma, le case con le bianche decorazioni; è uno spettacolo incantevole e rimango ammaliato da tanta bellezza e, mentre dalla finestra entra un’aria fresca, guardo il cielo azzurro chiaro mentre vedono le ultime stelle pian piano scompaiono. Pongo la valigia fuori dalla camera e scendo per fare colazione, poi carichiamo le valigie su un pulmino e saliamo sull’altro diretti all’aeroporto. Dopo un breve viaggio vi arriviamo, scarichiamo le valigie, nel check-in qualche piccolo problema con il cognome perché nel gruppo siamo tre Banfi e l’operatore fatica ad effettuare i controlli; siamo in sala d’attesa per il volo interno, dopo un poco si aprono le porte, ennesimo controllo con metal detector, usciamo, saliamo sul pullman aeroportuale che ci porta nei pressi dell’aereo; ci apprestiamo a salire, ma l’hostess esce dall’aeromobile dicendo che non è ancora pronta ad accogliere i passeggeri; non ci resta che aspettare sulla pista e questo contrattempo mi permette di guardare bene intorno ed osservare l’aeroporto, ai lati della parte civile vi sono hangar con aerei militari. Saliamo sull’aereo, il Boeing 737 è pieno e con la preassegnazione dei posti il gruppo si trova disseminato in modo casuale, ma il volo è breve, circa 1 ora. Sull’aereo vedo il gruppo di italiani partiti con noi da Fiumicino. Anche stavolta sono seduto nelle file centrali dell’aereo e non vedo nulla dal finestrino. Il volo è tranquillo, atterriamo senza problemi a Sayun (GE 216) (LP 265). Scendiamo dall’aereo e giunti al terminale ci apprestiamo al ritiro delle valigie e troviamo un nastro trasportatore brevissimo, in realtà è il nastro d’imbarco dei bagagli che è utilizzato come nastro trasportatore. Ci organizziamo per il ritiro delle nostre valigie, man mano che compaiono sul nastro, prima di terminare per terra, Sandro, Gigi ed io le prendiamo al volo e con un passa mano le facciamo arrivare al nostro gruppo; un minimo di organizzazione e di collaborazione è decisamente meglio dell’individualità che potrebbe emergere. All’uscita dell’aeroporto troviamo l’ennesimo controllo dei passaporti.

Usciamo dalla struttura aeroportuale e ci troviamo in un piazzale circondato da palme con tutt’intorno deserto e montagne; osservo bene e mi accorgo che siamo circondati da imponenti catene montuose, ma non riesco ad osservare di più in quanto stiamo cercando il nostro pullman, ma non lo vedo; Omar si dirige solerte verso un posteggio dove vi sono dei fuoristrada Toyota Land Cruiser, 4.500 di cilindrata: questi saranno i nostri mezzi di trasporto per tutta la permanenza in Yemen. Ci suddividiamo in gruppi da quattro persone, carichiamo i bagagli e prendiamo posto sulle Toyota; con me vi è Sandro, Luisella e Francesca; partiamo e ci avviamo verso l’albergo, andiamo a scaricare le valigie prima di partire per il giro della giornata. Nel viaggio noto alla mia sinistra una catena montuosa continua, compatta, non intravedo valli laterali, tutto è di colore marrone, le montagne sono rocciose con pareti brulle e verticali, alla base delle stesse sfasciume roccioso. Tutto è marrone, non vi è vegetazione, le cime delle montagne sono piatte e, anche se siamo su un altopiano scavato dall’acqua nel corso dei millenni, è impressionante vedere tutt’intorno montagne con la cima piatta e livellata, in mezzo il letto piatto del fiume, una valle in parte coltivata con palme e campi, ed in parte desertica, dove solo la presenza delle abitazioni ravviva il paesaggio.

Lungo la strada vedo delle case, anche qui sono di mattoni fatti con fango e paglia, l’intonaco che ricopre i mattoni è di fango; le case pur essendo differenti da quelle viste a San’à dove i mattoni sono a vista, anche qui presentano decorazioni sulle facciate, intorno alle finestre e nella parte alta degli edifici dove è collocata la terrazza. Mentre viaggiamo noto delle case abbandonate e parzialmente crollate dove all’interno si scorgono le travi di legno utilizzate come sostegno delle solette. Tutt’intorno ai centri abitati si estende la zona desertica con palmeti e campi coltivati dove le donne che lavorano indossando lo chador ed in testa hanno un cappello di paglia a punta che per la forma, ricorda quello nero delle streghe delle fiabe.

Proseguendo verso l’albergo vedo che alcune case sono marroni, altre interamente decorate di bianco, le seconde risaltano molto nel paesaggio, mentre le prime si mimetizzano nell’ambiente e questo si nota maggiormente nei villaggi posti sulle pendici delle montagne che diventano invisibili e solo il bianco delle decorazioni rompe la monotonia creando forme ed ombre: è un susseguirsi di giochi di luci che si modificano in continuazione creando delle situazioni affascinanti.

Troviamo delle “fabbriche di mattoni”; il classico impasto è steso su una superficie piana dove è fatto essiccare al sole, quindi i mattoni sono tagliati in forme rettangolari e riposti a terminare l’essiccazione; infine sono impilati a fianco della superficie dove formano cataste alte circa 1,5 mt.

Deviamo dalla strada principale, ci dirigiamo verso la montagna e dopo poche centinaia di metri ci avviciniamo ad una recinzione anch’essa fatta con mattoni di fango, delle palme e degli edifici a 2 piani; siamo arrivati all’albergo dove le auto si fermano per il controllo della polizia che piantona l’albergo, entriamo in un primo cortile, scendiamo e transitando per un enorme portone ligneo entriamo nel cortile interno dell’albergo che, essendo pieno di palme, è ombroso e fresco. Come benvenuto ci è offerto del the yemenita (the con dello zenzero) e dei datteri locali (piccoli ma dolcissimi). Avviene l’assegnazione delle camere, la mia è il n. 71, al pian terreno; arredamento arabo, con un salottino privato; vi sono il condizionatore ed il ventilatore a soffitto.

E’ metà mattina, quando, lasciando le valigie in camera, ci prepariamo a fare la prima escursione della giornata; la meta è Sayun dove vedremo il Palazzo del Sultano. Risaliamo sulle Toyota, ripercorriamo in parte la strada asfaltata percorsa precedentemente che conduce all’aeroporto con ampie carreggiate ed al centro i pali per l’illuminazione stradale e dopo qualche minuto di viaggio arriviamo a Sayun. Anche qui le strade sono ampie e si circola bene, il traffico non è molto sostenuto, ma siamo ancora nel periodo del ramadam. Qui gli edifici sono marroni e bianchi, alcuni sono completamente bianchi, sono le prime case che vedo così e da una prima occhiata osservo che sulle facciate si aprono solo finestre rettangolari, modello occidentale, l’architettura è diversa da San’à, non vi sono le lunette colorate.

Arriviamo in una piazza, delle bancarelle indicano che siamo in prossimità del suq, sull’asfalto moltissima carta e sacchetti di plastica usati; l’impatto non è dei migliori. Su un lato della piazza le auto si fermano, scendo, lo sguardo è rapito dalle imponenti mura che racchiudono il maestoso Palazzo del Sultano: una struttura di mattoni e fango oltre la cinta si contano sei piani dell’edificio. Entriamo dal portone principale, saliamo lungo una strada acciottolata che porta ad un terrapieno, qui il palazzo appare nella sua imponenza, tutto bianco con finestre marroni, ha la forma di un castello, di forma rettangolare che si restringe man mano che sale, i piani sono nove e le strutture portanti sono 4 sovrapposte, ai lati della terza struttura vi sono torri rotonde che svettano imponenti e vertiginose, in cima guglie ornamentali. Resto veramente ammagliato da tanta bellezza e mentre Omar illustra la storia del palazzo, ne approfitto per scattare alcune fotografie. Il palazzo è adibito a museo e vi accediamo dal pian terreno visitando la parte archeologica. Le prime vetrine contengono fossili e reperti dell’età della pietra, altre racchiudono reperti risalenti a 2.000 anni fa; molto interessanti sono sia gli altari sacrificali risalenti al I sec. A.C., sia le porte lignee del XVIII sec.

Lasciando la parte museale del piano terreno si sale ai piani superiori dove in origine vi erano gli appartamenti del Sultano. Oggi parte di essi raccoglie una galleria fotografica dei primi del 1900 e mi soffermo su alcune fotografie degli anni ’30 dove sono ritratti abitanti impegnati nelle varie attività del mercato; mi colpisce la pulizia dei vicoli e delle strade che oggi, invece, appaiono ricoperti di carta e di sacchetti di plastica. Altre stanze sono dedicate alla parte etnografica e tradizionale dove vediamo abiti, gioielli, strumenti da cucina, bandiere, armi da taglio e da sparo.

Guardando dalle finestre del palazzo si vedono bellissimi scorci della città e dell’oasi circostante, saliamo ai piani superiori, uscendo sulla terrazza, la vista si perde lontano, ben oltre le case marroni, le case bianche, le palme che circondano tutta la città. Ma si alza il vento del deserto che solleva e trasporta sabbia finissima che annebbia tutto ed entra ovunque: devo fare in fretta a scattare le foto e riporre la macchina fotografica nella custodia; infatti, la sabbia inesorabilmente s’infila nelle orecchie, negli occhi, nel naso, tra i vestiti e nella custodia della macchina fotografica.

Scendiamo ed usciamo dall’edificio, siamo sul terrapieno dove vi è un negozio di artigianato e qualcuno del gruppo entra per vedere gli articoli esposti; ne approfitto per fare un giro intorno al palazzo e scattare qualche foto. Su un lato dell’edificio vedo che la parte bassa del muro del palazzo si presenta senza la copertura di calce bianca mostrando mattoni di fango e paglia, il contrasto è molto forte. Poco distante osservo che un tratto della cinta muraria non è ricoperta di calce; la struttura di fango presenta l’erosione del tempo.

Mentre il sabbioso vento del deserto continua incessantemente a soffiare usciamo dal palazzo ed attraversando la strada c’infiliamo nel suq; il mercato non è molto esteso, ma all’interno vedo delle belle ceste di vimini contenenti legumi e cereali, poco distanti bancarelle con dolci, altre con vestiti; questo mercato è più per la gente locale che per i turisti; è bello girare tra le bancarelle ed i negozi, anche se la plastica e la carta in terra rendono poco pulito il suq.

Facciamo una sosta in un negozio per acquistare del miele di aloe e datteri; chi è interessato all’acquisto entra nel negozio, sceglie il miele e la quantità desiderata ed il negoziante lo versa riempiendo un contenitore per volta, chiude il vasetto con del nastro e lo porge all’acquirente; è un rituale che si ripete per ogni vasetto, qui la fretta non esiste e ne approfitto per fare un giro e scattare qualche foto oltre ad osservare scene di vita quotidiana; le donne a volte sono riluttanti a farsi fotografare, occorre usare degli stratagemmi per poter effettuare degli scatti.

Acquistato il miele riprendiamo le auto e ritorniamo all’albergo per il pranzo; insalata mista, zuppa di patate e funghi, carne, patatine, verdure, riso, banane, arance ed anguria. Vista la temperatura di oltre 35°C ed il caldo torrido è meglio evitare di girare nelle ore più calde della giornata per cui facciamo una piccola sosta; nella pausa c’è chi approfitta della piscina, c’è chi prende un po’ di sole, chi fa un pisolino, io guardo le foto scattate e pulisco la macchina fotografica dalla sabbia della mattina. Il ritrovo per la partenza è fissato per le 15.30; risaliamo sulle auto e ci dirigiamo verso la parte opposta della strada percorsa la mattina e dopo pochi chilometri, dopo le ultime palme dell’oasi, al centro di un’ampia zona desertica, come un miraggio appare Shibam (GE 218) (LP 263), una città fortificata, dove le sue case/torri si alzano verso il cielo svettando come baluardi nella piana desertica, non a caso viene chiamata la “Manhattan del deserto”. Vista l’imponenza delle costruzioni, nome migliore non poteva esserle dato. Arriviamo a Shibam da est, costeggiando le mura fino alla porta centrale, entriamo dalla porta principale e le auto si fermano in una piazza dove c’è un mercato, scendiamo e comincio a guardarmi intorno, le case salgono vertiginosamente verso il cielo, conto sette, otto a volte nove piani. Alcuni edifici sono color fango, altri sono interamente bianchi, alcuni bianchi e segnati dalla terra del deserto, è un interminabile susseguirsi di colori, di ombre, di sfumature.

Le finestre delle case sono tutte rettangolari con le ante di legno, con delle tendine nella parte alta, sopra di loro altre finestre più piccole a volte rotonde, a volte rettangolari e su alcune pareti sono presenti decorazioni; delle strisce orizzontali lungo tutta la casa, altre intorno alle principali finestre. E’ un continuo avvicendarsi di infiniti particolari e lo sguardo è sempre attento a notarli. Girando per le strette vie del paese ho una sensazione unica; come di perdermi in un labirinto di giganti. Tra le alte case trovo negozi con jambiye, gioielli d’argento, tessuti, incenso, bruciatori per l’incenso (di terracotta e metallo).

Alcuni bambini rifiutano di farsi fotografare, la richiesta di soldi, di dolci o d’altro è continua; qualcuno del gruppo ha delle caramelle, le porge ad un bambino dicendo di divederle, ma qui non esiste la suddivisione, chi prende tiene, d’ora in poi tutto sarà centellinato con cura.

Usciamo da Shibam, attraversato il letto asciutto e sabbioso del torrente, ci dirigiamo al borgo costruito alle pendici della montagna posta di fronte al paese, attraversiamo il villaggio e cominciamo a salire il fianco della montagna, la roccia è sedimentaria, non compatta, le antiche frane rocciose si susseguono, ma si riesce a camminare e velocemente ci troviamo in altura sopra il villaggio, di fronte a noi appare Shibam in tutta la sua imponenza. Nella piana, circondata da palme, si vedono le esterne mura nocciola e dentro di esse, i “grattacieli del deserto”; è veramente un agglomerato di grattacieli nocciola e bianchi il cui profilo stagliandosi verso il cielo crea un forte contrasto con l’ambiente. Scatto delle foto, poi mi siedo su un sasso e, ammirando tanta bellezza, aggiorno il mio diario di viaggio trascrivendo le emozioni che provo; il vento del deserto fa da cornice a questa visione dove il cielo azzurro è leggermente sporcato dalla sabbia del deserto che trasportata dal vento si confonde con il marrone delle mura della città. Tutt’intorno il verde dei palmeti, in lontananza le montagne calcaree che col tramonto stanno mutando colore; una spianata di sabbia sembra fare da piedestallo a tanta bellezza, come in un quadro vivente.

Il sole sta tramontando, fra pochi minuti sarà buio, ridiscendiamo il fianco della montagna e raggiungiamo i fuoristrada posteggiati nella sottostante piana. Rientrando verso l’albergo vedo le strade che cominciano a popolarsi di gente: l’effetto del ramadam è visibile. Arriviamo in albergo che il sole è già tramontato; ci aspetta un momento di relax prima della cena, chi si reca in piscina, chi recupera la levataccia della mattina.

La cena è a buffet; antipasti, l’ottimo pane arabo, le carni (pollo e capra fritta), la frutta (meloni, angurie, arance), i dolci sono molto graditi dai componenti del gruppo, soprattutto il creme caramel.

E’ sera, Omar ci avvisa che il ramadam è terminato, si odono i rumori dei festeggiamenti dei fuochi d’artificio e di qualche sparo; nei villaggi la gente festeggia, Omar ci racconta che qui il ramadam termina, quando qualcuno vede lo spicchio di luna nel cielo e giura pubblicamente d’averlo visto e solo allora hanno inizio i festeggiamenti. D’altronde il calendario mussulmano si basa sui cicli lunari e nelle zone desertiche il “contatto visivo” con la luna è ancora molto importante.

Dall’interno della cinta muraria dell’albergo la serata trascorre serenamente, chi si dedica alle compere nel negozio dell’albergo, chi chiacchiera, chi gioca a carte.

12 ottobre Sveglia alle 8.00, colazione e poi si parte verso Tarim. Il vento è assente e nel cielo azzurro si vede qualche bianca nuvola che si dissolve con l’aumentare della temperatura. Qui il contrasto tra il cielo e le montagne è molto forte e le montagne per forma e per colore, almeno all’alba ed al tramonto, ricordano le nostre dolomiti, soprattutto il Gruppo del Sella con la sua terminale parte piatta, un enorme terrazzo con pareti a strapiombo ed alla base pietrisco; la vista si perde in un susseguirsi ininterrotto di montagne, l’occhio non ne vede la fine, è uno spettacolo incantevole, decine di chilometri di montagne brulle.

Usciamo dall’albergo e percorrendo una bella e scorrevole strada asfaltata ci dirigiamo verso la nostra meta e nei paesi notiamo l’effetto prodotto dal termine del ramadam: le persone sono comparse, i negozi sono aperti, gli artigiani sono al lavoro; finalmente uno Yemen popolato.

Ripercorriamo la strada già percorsa ieri fino a Sayun, poi proseguiamo in direzione dell’aeroporto e mentre lo superiamo noto che il piazzale della struttura è deserto, nessun’auto è posteggiata, significa che oggi non è previsto nessun volo.

Lasciamo la strada con una deviazione a destra e dopo poco arriviamo ad una cinta bianca, ma il cancello è chiuso, Omar va a parlare col guardiano, siamo alla tomba di Ahamed Bin Isa (GE 216) (LP 268), un personaggio venerato dalla popolazione locale. La tomba, posta ai piedi della montagna è un edificio bianco con colonne e cupola, è circondata da un’alta cinta e presenta un ampio piazzale antistante. Il guardiano si accorge che siamo turisti ed è inflessibile, l’accesso è consentito ai soli mussulmani, non ci resta che scattare qualche foto dall’esterno del cancello e ripartire.

Riprendiamo il nostro viaggio e la strada asfaltata a tratti presenta solo la massicciata, poi l’asfalto riprende, non capisco se hanno terminato il catrame o se vi siano degli invisibili lavori in corso. Per fortuna ci muoviamo con i fuoristrada, altrimenti con auto normali sarebbe veramente impegnativo percorrere i tratti di strada con sassi di ogni dimensione messi come massicciata. Noto che lungo la strada non vi sono ponti, l’asfalto segue l’andamento del terreno ed in prossimità dei fiumi è sostituito dal cemento, questo dovrebbe favorire il passaggio dell’acqua del fiume durante le piogge.

Proseguiamo il viaggio costeggiando le imponenti montagne che delimitano l’altopiano, le palme affiancano la strada, il cielo azzurro, il caldo secco e piacevole completano questo bellissimo quadro. Lungo la strada superiamo villaggi ed abitazioni sparse; quando le case non sono ricoperte di calce, soprattutto in lontananza si fa fatica a notarle, si mimetizzano perfettamente nel paesaggio, il loro colore è un tutt’uno col colore della terra e dei monti.

Arriviamo ad Aynat (GE 221) (LP 268), ci fermiamo in un piazzale dove su un lato sorge una casa con un portale curioso, in cima, sull’architrave colorata di bianco, vi sono infisse dieci paia di corna di stambecco: un gusto del tutto particolare, per noi italiani lo sfoggio di tante corna dà luogo ad interpretazioni varie.

Dall’altra parte del piazzale, il cimitero mussulmano, uno dei più importanti del paese. Vi sono cinque cappelle, tutte rigorosamente uguali, bianche, quadrate, con un portoncino centrale con portico, una finestra nella facciata principale, tre terrazze e poi una cupola. Tutt’intorno delle semplici tombe dove si notano quelle degli uomini e quelle delle donne che si differenziano perché le donne hanno un sasso al centro della tomba. Sulle lapidi è inciso il nome, cognome, data di nascita, non vi sono foto e le tombe sono strutture semplici e uguali per tutti. I defunti sono seppelliti ricoperti da un lenzuolo, con lo sguardo rivolto verso la Mecca ed anche per chi è sepolto nelle cappelle, la sepoltura avviene nello stesso modo.

Lasciamo il cimitero, riprendendo le auto, nei pressi di un torrente in secca ci fermiamo per fotografare il villaggio: edificato su un’altura posta appena sopra il letto del fiume, le prime case sono bianche, sono ad uno o due piani, dietro ad esse case nocciola alte quattro o cinque piani e posteriormente al villaggio una montagna sale triangolarmente con pendii dolci ed infine per completare lo sfondo, il cielo azzurro. Dalle case emerge il minareto della moschea, bianco sporcato leggermente dalla sabbia del deserto, anche le mura della moschea sono leggermente nocciola. Le finestre delle case sono lignee, e su qualcuna sono poste, nella parte alta, delle tendine bianche, altre finestre sono tinteggiate di azzurro.

Riprendiamo il percorso verso Tarim, sulla strada vediamo dei forni: sono delle fabbriche di calce. Il minerale estratto dalle montagne circostanti è trasportato in questa zona ed è posto a cuocere nei forni realizzati con mattoni di fango ed alimentati con legno di palma. Una volta che il minerale è cotto, è tolto dai forni e deposto in alcune vasche dove è aggiunta acqua; li avviene la reazione chimica che produce la calce; nelle vasche, periodicamente il composto è mosso e lasciato poi a riposare finché il tutto diventa un impasto bianco che infine è prelevato, riposto in contenitori e venduto. Il prodotto finito serve come impermeabilizzante delle terrazze e dei muri delle case oltre che per decorare e tinteggiare le pareti.

Procediamo nel viaggio e sempre tra campi coltivati e palmenti arriviamo a Tarim (GE 220) (LP 267), ci fermiamo in prossimità di un palazzo dallo stile orientaleggiante realizzato anch’esso con i classici mattoni, presenta una cinta decorata con finte colonne, finti portici e sormontata da una balaustra con colonnine mentre il portone principale è sormontato da cappelle decorate ed ha due colonne per parte. Il palazzo di quattro piani è visibile solo all’esterno, è in buone condizioni di conservazione, presenta nella facciata bifore e fra esse delle colonne che fungono da elementi decorativi, sormontate da lunette anch’esse decorate. La parte alta del palazzo mostra una cornice decorativa ed all’ultimo piano vi è una terrazza con balaustra, sulla facciata principale cinque finestre, sempre nello stile, ma con ai lati due colonne che richiamano i minareti; questo spettacolare edificio era il palazzo del Governo, quando qui regnava il Sultano.

Costeggiando la cinta del palazzo, giriamo a sinistra ed appare un’altra imponente costruzione: è di sei piani dalla forma articolata, armoniosa, e dopo il muro di cinta, nascosta da alberi vi è la facciata del palazzo che appare in tutta la sua imponenza e stupefacente bellezza, è l’entrata del Palazzo del Sultano; costituita da un colonnato sormontato da due cupole. La facciata presenta finestre lignee con decorazioni in muratura in stile orientale con una serie di greche geometriche che, incise nella facciata, degradano verso l’alto, mentre poste tra le finestre vi sono delle colonne rettangolari finemente decorate.

Poco distante sorge il Palazzo della Guardia che rispetto alle strutture precedenti è di minore bellezza artistica, ma è pur sempre un edificio imponente; presenta una struttura a cinque piani, rettangolare, massiccia. Al pian terreno ha finestre uguali per forma a quelle del palazzo del Sultano, ma meno decorate, al primo piano le ampie finestre hanno una decorazione che ricorda le cupole dei minareti ed in cima all’edificio la terrazza presenta delle merlature difensive.

Girando per la cittadina noto che davanti alle entrate delle case vi è un muretto, a volte messo parallelo con qualche gradino laterale da entrambi i lati, oppure è fatto ad angolo ma sempre con qualche gradino; questo semplice sistema permette, a chi passa sulla strada, di non poter guardare all’interno delle abitazioni consentendo però la circolazione dell’aria.

Camminiamo lungo le vie fra le tradizionali case, quando improvvisamente appare il minareto della moschea di Al-Muhdar, il manufatto svetta verso il cielo; è alto 50 mt ed è il minareto più alto dell’Arabia meridionale. Seguendo Omar nelle strette stradine di Tarim ci dirigiamo verso le auto ed arriviamo ad una piazza, dove sorge la moderna moschea, è venerdì ed i fedeli richiamati alla preghiera si stanno recando al rito religioso; e anche qui come in tutte le moschee le entrate sono divise fra uomini e donne.

Risaliamo sulle auto e lasciamo la città, lungo la strada gli autisti si fermano perché devono acquistare il qat da consumare nel pomeriggio e nella sera; il locale presenta due portoni d’entrata, l’interno è rettangolare, alle pareti vi sono dei banchi in muratura e sopra di loro vi sono delle persone sedute, la contrattazione per l’acquisto si svolge ovunque. Nel locale entrano anche Luisella e Francesca, gli sguardi degli uomini si posano sulle donne occidentali e per evitare sguardi “indiscreti” è meglio uscire, accompagno all’uscita le donne e mi soffermo a guardare quanto avviene all’esterno del locale dove vi sono auto e moto posteggiate, arrivano i contadini con dei sacchetti di juta contenenti il qat, la vendita avviene anche all’esterno e vede la contrattazione sia per dei quantitativi minimi di qat che è riversato in sacchetti di plastica sia per la vendita dell’intero sacchetto di juta. Gli yemeniti per masticare il qat attingono direttamente dal sacchetto e quando il vegetale termina, il sacchetto è abbandonato lungo la strada rendendo così le strade delle vere e proprie discariche.

Rientriamo in albergo per il pranzo; antipasto di verdure, zuppa di cipolla e pomodoro, pesce o pollo, frutta.

Durante il pranzo nella sala entrano due uomini che dall’abbigliamento sembrano arabi; chiediamo delucidazioni ad Omar e ci spiega che potrebbero essere cittadini dell’Arabia Saudita o dell’Oman; si ritengono ricchi sostenendo che gli yemeniti sono poveri. E’ loro usanza trascorrere le feste in Yemen e così portare valuta pregiata nel paese: gli uomini pranzano nella nostra sala, le donne ed i bambini pranzano in un’altra sala.

Dopo pranzo un po’ di relax per evitare la canicola, poi riprendiamo le auto diretti a Shibam, l’aspettativa è quella di vedere una festa locale per il termine del ramadam. Arriviamo a Shibam e la piazza è deserta: la festa era la mattina ed è terminata alle 13.00. Ne approfittiamo per fare un giretto nella tranquilla cittadina, vi sono dei negozi aperti e parte dei componenti del gruppo si perde in essi per gli acquisti. In un quartiere della cittadina troviamo degli artigiani che su telai di legno stanno tessendo il tradizionale mawiz, la tipica gonna utilizzata dagli uomini; il telaio manuale è in funzione, quale migliore occasione per effettuare delle foto? Giriamo indisturbati per Shibam: è veramente piacevole camminare per le vie della cittadina, tra i grattacieli di fango e di paglia. E’ un divertimento girare per negozi, dove incenso, tessuti, armi, gioielli, cartoline, serrature di legno (tipiche dello Yemen), finestre di legno intarsiato sono in bella mostra; le botteghe espongono veramente innumerevoli e pregiati articoli d’artigianato.

Notiamo che Omar la nostra guida, 65 anni ben portati, con capelli rossi tinti con hennè è salutato da molte persone e con loro si ferma a parlare, incuriositi chiediamo come fa a conoscere così tanta gente. Ci dice che è originario di un villaggio vicino e che la gente gli sta porgendo le condoglianze a seguito del recente decesso di una sorella maggiore; un grande segno di rispetto per una persona stupenda com’è Omar.

Omar, ha imparato l’italiano anni fa, quando per lavoro è sbarcato in Italia a Torre del Greco, inizialmente ha fatto molti lavori poi ritornato in Yemen importava auto e camioncini italiani, per questo motivo numerosi sono stati i suoi viaggi in Italia e ha avuto modo di conoscerla bene; il suo italiano è fluente con qualche frase tipica dell’idioma napoletano.

Il tramonto ci sorprende a Shibam, le case cambiano tonalità, i colori diventano pastello e poi si accentuano e lentamente il cielo comincia a divenire inizialmente più chiaro ed infine compaiono le prime stelle. E’ meglio rientrare verso l’albergo perciò riprendiamo le auto ed imbocchiamo la lunga strada che conduce all’aeroporto, è a quattro corsie, al centro vi sono i pali dell’illuminazione stradale che funziona a tratti; ad un incrocio lasciamo la strada illuminata e giriamo verso destra costeggiando campi e case, noto che in un campo sono accatastate delle auto vecchie, sono completamente spogliate di tutto, è presente solo la scocca metallica, non un motore, non un vetro, non un interno, nessun filo, solo lo scheletro dell’auto; è incredibile l’opera di certosino smantellamento.

Mentre proseguiamo lungo la strada parliamo con l’autista, ovvero Sandro che parla fluidamente inglese cerca di dialogare, ma l’autista lo conosce poco, comunque comprendiamo che si chiama Mohamed, è sposato, ha sei figli, tre maschi e tre femmine, hanno dai due ai dodici anni ed abita a Taiz una città a 350 km a sud di San’à.

Gli autisti con le sei auto che compongono la nostra carovana sono partiti da San’à diretti verso Marib (regione attualmente sconsigliabile ai turisti per motivi di ordine pubblico), poi hanno attraversato il deserto con un percorso di oltre 400 km, il tutto richiede oltre una giornata di viaggio.

Rientriamo in albergo, all’entrata la polizia ci saluta, prendiamo le chiavi delle camere e ci ritiriamo nell’attesa della cena, ne approfitto per sistemare gli appunti sul diario, controllo le foto scattate e, dopo una bella doccia, cena. Si cena all’aperto, la temperatura è mite, il vento è assente ed è proprio la serata ideale per una cena all’aria aperta. Omar ci avverte che dopo la cena vi sarà uno spettacolo folcloristico, la cena è a buffet con piatti yemeniti; yogurt, formaggini, riso, carne, pesce, patate, frutta e dolci; la birra, per chi la desidera è rigorosamente analcolica. Mentre ceniamo arrivano due danzatrici ed otto musicisti; con tamburi, flauti ed altri semplici strumenti di legno cominciano a suonare, i movimenti dei balli sono semplici ed i gesti regolari sono scanditi da una musica armonica, seguono un’articolazione ben precisa; durante la serata qualche ospite partecipa ai balli. Oltre alla nostra comitiva, nell’albergo vi è l’altro gruppo di italiani che sono partiti con noi da Fiumicino, poi vi sono alcuni turisti europei, le persone vestite in arabo che abbiamo visto a mezzogiorno ed infine ad un tavolo separato, due donne ed un distinto signore.

Dopo le danze, la serata trascorre piacevolmente fra musica, balli e chiacchiere, qualcuno del gruppo gioca a carte, il “burraco” è diventato una tradizione, appena è possibile si gioca; terminata la serata si va a riposare.

13 ottobre Sveglia alle 6.30, stamani è previsto con l’attraversamento del Wadi Daw’an (GE 222) (LP 268) per trasferimento a Al-Mukalla una città sulla costa del mar Arabico, un percorso di oltre 300 km.

Colazione e poi, caricate le valige sul fuoristrada partiamo, le imponenti montagne fanno da contorno ad un paesaggio di piante d’acacia, di palme, di campi coltivati, di case e vi sono tratti di deserto dove la sabbia è molto fine.

Ad un certo punto, nei pressi di un villaggio, vedo un gregge di pecore condotto da una donna col cappello di paglia a punta, faccio fermare l’auto e Sandro ed io scendiamo a fotografare. Riprendiamo il viaggio, davanti a noi si erge imponente una montagna che appare completamente brulla.

Percorriamo un tratto di strada che attraversa una zona desertica intervallata solamente da qualche piantagione di palme da datteri ed ogni tanto nella distesa desertica noto delle tende di beduini con dei greggi di pecore al pascolo.

Transitando da un villaggio, mentre gli autisti compiono l’immancabile sosta per l’acquisto del quotidiano qat, guardo le targhe delle auto e vedo che sono di colori differenti, chiedo delucidazioni ad Omar e mi che spiega i colori: • targa blu sono auto private (come la Toyota dove viaggiamo); • targa gialla sono taxi; • targa rossa sono mezzi adibiti al trasporto; • targa verde sono automezzi del Governo.

Riprendiamo la strada e troviamo un posto di controllo, lo superiamo, percorriamo qualche km attraversando villaggi con case di fango alte fino a cinque piani, finché non iniziamo a costeggiare la montagna: ai suoi fianchi sorgono numerosi villaggi fortificati, siamo nel Wadi Daw’an, accanto al letto asciutto del fiume sorgono palmeti e campi coltivati. Dopo circa 100 km dalla partenza giungiamo al Santuario di Al-Mashhad (GE 222), un edificio contenente la tomba di uno sceicco deceduto nel XVIII sec., meta di pellegrinaggio. La struttura è semplice, una costruzione quadrata alta circa quattro metri, coronata da una decorazione e sormontata da una cupola bianca; adiacente a questa costruzione ve n’è un’altra identica, ma leggermente più bassa ed infine collegato ai due edifici un piccolo cimitero cintato.

La porta è chiusa, ma Omar girando il chiavistello la apre, togliamo le scarpe ed entriamo; vi è un parallelepipedo coperto da un drappo verde con iscrizioni del corano: è la tomba dello sceicco. Questa è detta la tomba dei desideri, infatti, una leggenda dice che entrando ed appoggiando la mano destra sulla tomba si deve esprimere un desiderio, se si avvera, si deve ritornare al santuario per un’offerta.

Ai lati della tomba dei sarcofaghi di legno, sono dei parallelepipedi rettangolari sormontata da un prisma: racchiudono altre spoglie; questi ultimi sono in legno finemente decorato, mentre il pavimento è ricoperto di tappeti.

Uscendo dall’edificio faccio qualche foto al gruppo poi attraversando la strada vado a fotografare dei dromedari che stanno sostando sotto delle acacie e qualche casa che sorge poco distante oltre a dei fiori che ho notato.

Riprendiamo il viaggio, la strada si snoda e corre sulle colline ed è un continuo sali e scendi, ogni tanto negli avvallamenti fra le colline vi sono dei tratti in cemento, sono i letti dei fiumi in secca e mentre ne attraversiamo uno l’autista ferma l’auto, gira bruscamente a destra ed imbocca una strada sterrata dove solo i fuoristrada a trazione integrale possono salire i ripidi pendii ed evitare di restare in panne nella sabbia. Non capisco dove stiamo andando, ma ci stiamo dirigendo in pieno deserto vicino alle montagne e poco dopo le auto si fermano, scendiamo e Omar s’incammina verso la cima di una collina. Mentre lo seguo noto per terra dei pezzi di vasellame; proprio non comprendo dove siamo. Una volta giunti tutti sulla collina Omar ci dice che siamo a Raybun (GE 222), un sito archeologico risalente al V sec. A.C. Dove sorgeva il Tempio del Sole; era una sosta importante delle carovane che percorrevano la via dell’incenso ai tempi della famosa Arabia Fenix. Oggi, del tempio restano solo muri perimetrali in sassi e poco più in basso alcuni muri con mattoni di fango che pian piano erosi dal vento stanno scomparendo. Osservando bene sulle pendici della collina, qualcosa attira la mia attenzione, vado a vedere, è una tavola scarificale, è rotta a metà, ma è ben visibile; ritengo strano che un reperto archeologico giaccia qui in mezzo al deserto e lo fotografo. Tutt’intorno il deserto e le montagne, non si scorgono villaggi, palme, solo il profilo delle montagne dalla piatta cima ed in basso il deserto a volte pietroso, a volte sabbioso.

Riprendiamo le auto, ritorniamo sulla strada per proseguire il viaggio verso Al-Hajarayn (GE 223) (LP 268), un villaggio posto sulle colline che domina tutta la vallata; le case dai colori marrone/nocciola e qualcuna bianca s’innalzano verso il cielo e nella parte alta del villaggio emerge il bianco minareto della moschea. Lasciamo la strada asfaltata e percorrendo una strada sterrata ci avviciniamo alla base della montagna dove sorge il villaggio, saliamo il pendio della montagna su una strada acciottolata con ripidi tornanti ed al termine ci troviamo in una piazzetta, scendiamo dall’auto e cominciamo la visita del borgo.

Sui fianchi della montagna le case sono state edificate sulla roccia affiorante e sono strette e alte, sfruttando lo spazio in verticalità hanno lasciato più terreno coltivabile a disposizione dei contadini. Percorrendo le vie in terra battuta, incontriamo dei bambini, delle donne con il tradizionale chador e con l’immancabile velo. La case sono alte tre, quattro, cinque piani e sono semplici, non presentano decorazioni elaborate e sono di mattoni di fango. Lo sguardo spazia verso l’alto, verso la verticalità e si perde nei particolari architettonici. La maggior parte degli edifici hanno facciate solamente intonacate con fango ed ogni tanto, sono visibili i mattoni. A volte, nei punti più difficili per ancorare bene le case alla roccia, vi sono dei basamenti fatti con sassi, la tonalità è sempre unica, il nocciola, colore della sabbia, colore della roccia, colore della montagna. Tra i muretti di cinta, tra i vicoli e tra le case, ogni tanto si possono osservare nella sottostante vallata i campi coltivati ed i palmeti e lontano altri villaggi e poi … La zona desertica, tutt’intorno montagne nocciola e brulle, e sopra un cielo azzurro terso.

Il giro del villaggio prosegue tra case appena costruite e qualcuna più datata, le finestre sono tutte rettangolari, di legno, non presentano nessuna forma decorativa, è un’architettura diversa da quella vista precedentemente; le terrazze delle case a volte presentano delle merlature, le porte d’ingresso sono lignee, finemente decorate e qualcuna presenta un balconcino di copertura. Camminando giungiamo in una piazza dove siamo assaliti dai bambini che chiedono penne o caramelle e non sempre accettano di farsi fotografare; mentre il giro continua con la macchina fotografica cerco scorci particolari fra i portoni, nei vicoli stretti, tra i bambini, tra la verticalità dei muri delle case o nella profondità della valle, nelle distanze fra le montagne e nello stupendo cielo azzurro. Ritorniamo alle auto e ripartiamo, abbandonando la collina arriviamo al fondovalle e mentre percorriamo una strada sterrata costeggiata da acacie, improvvisamente incontriamo donne col cappello di paglia a punta che stanno portando al pascolo delle pecore, faccio fermare l’auto, Sandro ed io scendiamo velocemente per scattare qualche foto, le donne ci notano e come al solito sono reticenti, si allontanano, si nascondono dietro le piante; riesco a scattare qualche fotografia. Nel trambusto perdo il copri obiettivo della macchia foto, d’ora in poi dovrò fare attenzione a maneggiarla e a riporla con cura nella custodia per non rovinare il filtro che già, prudenzialmente, avevo posto come protezione dell’ottica dell’obiettivo.

Ripartiamo sulla strada sterrata e dopo qualche centinaio di metri ritorniamo sull’asfalto. Davanti a noi, sotto una montagna dalla forma triangolare con la cima sassosa appare il villaggio di Sif (GE 223) (LP 268); seppur edificato a pochi chilometri dal villaggio precedente le case appaiono diverse, qui sono marroni o bianche; le case marroni hanno le finestre decorate di bianco, la case bianche presentano decorazioni azzurre sia sulle finestre, sia come decorazioni murali ed in alcuni casi hanno merlature colorate.

Gli autisti si fermano, devono fare il pieno di carburante, ne approfitto per guardare il villaggio posizionato ai piedi della montagna ed al suo imponente castello che, sorgendo su uno sperone roccioso, è collocato in una posizione strategica per controllare l’accesso alla vallata. Più in basso la valle, con il letto del fiume ora asciutto dove le coltivazioni, i palmeti e le piante di acacia danno origine ad un quadro molto particolare di una bellezza unica, i colori creano un contrasto molto forte tra il verde delle piante, il marrone delle case, della terra, della roccia e l’azzurro del cielo; è impossibile non fotografare tanta incantevole bellezza.

Ripartiamo, facciamo poche centinaia di metri ed entriamo in paese dove ci fermiamo vicino ad un edificio ad un piano solo, è mezzogiorno ed è la pausa pranzo; entrando nel locale trovo un piccolo bancone centrale rotondo con adiacente una porta che accede ad un altro locale, ai lati una serie di tavoli, alcuni rotondi, altri rettangolari con sedie di plastica. Il locale è realizzato con mattoni di fango ed ha il tetto in lamiera, all’interno presenta delle pareti con la parte bassa dipinta in azzurro chiaro, poi è bianco fino al soffitto, la copertura di lamiera e le relative travature sono azzurro intenso; anche le finestre e gli altri infissi sono azzurri.

Veniamo accolti con un buon the caldo, bevanda dolce e decisamente appropriata per la calda giornata in quanto è molto dissetante; ci sediamo ai tavoli ed il gruppo riempie tutto il locale. Arriva un piatto unico; riso, piselli con cipolla, aromatizzati con cannella e chiodi di garofano, pollo arrosto. Come posate abbiamo forchetta e cucchiaio, gli yemeniti tradizionalmente mangiano usando un piatto comune da dove attingono il cibo con la mano destra e quindi il servizio di piatti e posate è solo per turisti, per bere c’è acqua e per chi vuole coca o birra, chiaramente rigidamente analcolica.

Il cibo è gustoso, terminiamo il pranzo con dell’ottimo the, poi uscendo dal locale notiamo un pozzo dell’acqua, un’ottima occasione per lavarsi le mani. L’acqua che sgorga dai rubinetti è molto fresca; qualcuno del gruppo si avvicina per aprire il rubinetto ma gli rimane in mano; dal pozzo esce un bel getto d’acqua che innaffia i “malcapitati” che in quel momento sono nelle vicinanze; un po’ d’acqua in mezzo a tanta calura è sempre ben accetta, evaporerà dai vestiti in un attimo. Rimettiamo velocemente il rubinetto al proprio posto e dopo un poco ripartiamo per percorrere la parte finale del Wadi Daw’an, nella valle il paesaggio presenta palmeti sparsi, ma per lo più è desertico e si vedono solo rocce e montagne a perdita d’occhio.

Hamed, che sta masticando delle foglie di qat, ce ne offre qualcuna da assaggiare, le assaporo, inizialmente il sapore è amarognolo, ma poi cambia ed assomiglia alla nostra liquirizia fresca; non capisco proprio come gli yemeniti riescano ad ingurgitare continuamente foglie. Chi mastica o succhia le foglie di qat, le pone fra i denti e la guancia, fino a farne delle palle che col tempo deformano la guancia stessa. Questa usanza è solo yemenita e la produzione delle piantagioni ha un mercato esclusivamente interno.

Proseguiamo il viaggio e lo scenario non muta, ma non è monotono in quanto le montagne offrono sempre degli scorci magnifici e dopo qualche ora di viaggio, arriviamo al villaggio di Rashid, le case si presentano con forme e colori particolari, alcune sono marroni, senza decorazione, altre sono decorate con colori policromi pastello; è veramente inusuale veder le pareti di queste case con parti colorate di azzurro, di giallo, di rosso, di marrone; è un’architettura veramente unica.

Poco prima del villaggio prendiamo una strada sulla sinistra che sale sulla montagna, il percorso è a tratti estremamente ripido, le auto faticano a salire lungo la strada che seppur ottimamente asfaltata s’inerpica sui pendii della montagna; salendo transitiamo sotto delle pareti verticali e alla fine sbuchiamo, quasi improvvisamente, sull’altopiano che si presenta desertico, piatto, a perdita d’occhio. Siamo sopra quelle che dal basso parevano montagne che per giorni abbiamo; si vedono solo sassi, rocce, terra con qualche piccolo arbusto o ciuffo d’erba; osservandolo così la piana che appare sconfinata, nulla fa immaginare che in questo desolato altopiano si aprano dei varchi con delle vallate immense, siamo ad oltre 150 mt di altezza sopra il letto dei fiumi; è davvero incredibile come l’azione erosiva dell’acqua in millenni di paziente ed inesorabile lavoro ha scavato queste spettacolari valli: i “Wadi”. Arriviamo ad un passo dove c’è un edificio in costruzione, Hamed ci dice che è un ospedale. Poco distante vedo la segnalazione di un “castello storico” e le auto si dirigono in quella direzione, abbandoniamo la strada e girando verso destra percorriamo una lingua d’asfalto che ci porta in prossimità di due torri e vista la segnalazione precedente, penso si tratti di un castello; il terreno è cintato ed intorno alla cinta delle tende di beduini. Fra le torri vi è una sbarra, l’oltrepassiamo e poco dopo troviamo un edificio in costruzione; le auto si fermano, scendiamo, siamo in un cantiere edile, stanno costruendo un albergo, dalla struttura appare molto carino con un corpo centrale ed una serie di piccoli edifici destinati a camere, ognuna con i servizi ed una veranda. Tutt’intorno una recinzione di sassi che delimita l’enorme area dell’albergo, ci avviciniamo e come per magia appare un Wadi; qualche centinaio di metri sotto di noi nel fondo piatto, si vedono i campi, i palmeti, il letto asciutto del fiume e sulla costa della montagna una strada; al centro della valle uno sperone roccioso dalla forma a semicerchio che grande ed imponente domina tutta la vallata e l’accesso al Wadi stesso, sopra questo roccione sono presenti delle case; è il villaggio fortificato di Arhab. La vista è stupenda, veramente una posizione particolare, strategica e in passato difficilmente conquistabile. Scatto delle foto al villaggio ed al Wadi, le pareti sono verticali, siamo a strapiombo sul vuoto, la vista spazia ovunque; sopra il Wadi, dove le pareti rocciose terminano, l’altopiano si estende a perdita d’occhio.

Potrei restare delle ore per ammirare questo spettacolo, per coglierne le sfumature, i colori, per veder tramontare il sole e veder colorare la roccia, ma dobbiamo proseguire il viaggio, risaliamo sulle auto e ci mettiamo in cammino ripercorrendo la lingua d’asfalto che c’immette sulla strada che precedentemente abbiamo abbandonato; qui l’altopiano appare davvero piatto ed infinito, ovunque sassi, sabbia solo qualche tenda di beduini movimenta il paesaggio che, sebbene la piattezza non è affatto monotono.

In mezzo a tanta pianura, solo nell’avvicinarsi al bordo dei ai Wadi è possibile vedere il fondovalle, parallelo all’altopiano ma decisamente più sotto.

Per parecchi chilometri percorriamo questo immenso altopiano utilizzando una strada perfettamente asfaltata, incontriamo qualche auto, poi troviamo un bivio, prendiamo la strada a destra e dopo poco iniziamo la discesa. Il paesaggio cambia e si modifica in continuazione, compaio delle sparute piante di acacia, il terreno è sempre sassoso, a volte roccioso, non vi sono coltivazioni, ma solo recinzioni destinate agli ovini che pascolano. La strada, ampia e perfettamente asfaltata corre sinuosa lungo montagne, pendii e valli; sale, scende, s’inerpica, ridiscende ed ogni tanto s’intravede in lontananza, i chilometri appaiono infiniti è un continuo viaggiare fra montagne, pareti e terreno desertico.

Improvvisamente in lontananza appaiono delle nuvole che si stanno velocemente avvicinando, e poco dopo, in pieno deserto comincia a piovere, piove copiosamente ad un certo punto vediamo un arcobaleno.

Iniziamo una ripida discesa e su uno spiazzo posto fra due tornanti ci fermiamo per fotografare la valle, ma è anche l’occasione per sgranchire un poco le gambe e per prendere delle bottiglie d’acqua oltre che fare merenda; dalle auto escono degli scatoloni di banane che sono state acquistate a San’à, ed ora dopo qualche giorno di permanenza in auto sono molto mature, Omar c’invita a mangiarle, dice che bisogna finirle altrimenti le deve buttare; ma sono tre scatoloni mangiarle tutte significa divenire delle scimmiette. Terminata la sosta ripartiamo e dopo pochi chilometri di discesa arriviamo nei pressi di un posto di controllo posto all’ingresso di un villaggio; sulla strada sono presenti dei negozi molto spartani e qualche abitazione, ma soprattutto si vedono delle baracche; Omar dice che è un villaggio di gente molto povera, si ferma, apre il portellone del fuoristrada, prende gli scatoloni delle banane e li regala ai ragazzi che nel frattempo si erano avvicinati all’auto.

Dopo i controlli riprendiamo il viaggio ed ora il paesaggio propone montagne, siamo scesi già molto rispetto all’altopiano, tra i fianchi delle montagne ci avviciniamo al fondovalle dove lo spazio si apre ed appaiono delle montagne scure con della sabbia bianca trasportata dal vento ciò significa che siamo vicini al mare.

Dopo un po’ la strada si allarga e diventa a quattro corsie, si cominciano a vedere delle abitazioni, i campi coltivati, le zone industriali; la costa è sempre più vicina.

Quando arriviamo a Al-Mukalla (GE 223) (LP 257) troviamo traffico e dopo tanti chilometri di deserto è quasi fastidioso vedere tante auto e doversi fermare agli stop ed ai semafori. In prossimità di una piazzetta facciamo una sosta, ai lati della strada due costruzioni edificate su due roccioni, è quanto rimane dell’antica porta d’ingresso alla città che era l’ex dazio. La periferia della città appare edificata con mattoni di cemento, solo in centro mantiene le case fatte con mattoni di fango e gli edifici dipinti di bianco infondono una notevole bellezza alla città.

Facendo un giro ci fermiamo per fotografare questa parte della città che si affaccia sul mare; il cielo è sempre nuvoloso ed il mare scuro, ma le bianche case sono colpite da un raggio di sole e illuminate appaiono in tutta la loro bellezza. A fianco della strada una cinta ed all’interno un edificio di legno in stile inglese risalente al XIX sec. Mostra l’usura del tempo e l’azione della salsedine.

Sul lungo mare troviamo tantissima gente, essendo la fine del ramadam è festa per tre giorni e di sera la gente verrà qui a cenare. Vediamo piccole spiagge con donne e bambini; le donne indossano il chador ed i bambini con scoperte solamente le gambe fin al ginocchio fanno il “bagno”.

Il lungomare presenta un marciapiede molto ampio con panchine, tavolini che sono affollati di gente e sulla strada le bancarelle vendono dolci e patatine fritte che sono prese d’assalto dai bambini.

Sta giungendo ogni genere di mezzo, autobus e taxi stracarichi, sui cassoni dei camion trovano posto decine di persone e finché c’è posto si sale; gli automezzi si fermano in seconda, terza, quarta fila, la gente scende o sale, poi il mezzo riparte; circolare in auto è praticamente impossibile, percorriamo pochi metri e poi decidiamo di andare a piedi, la meta è il suq.Arriviamo nella zona del mercato, ma è deserto, è tutto chiuso, non vi è un negozio aperto ed allora ne approfittiamo per girare indisturbati per il centro della città, per poter osservare le abitazioni che appaiono decorate in modo diverso da quelle viste finora.

Le case sono tutte bianche, le finestre lignee sono rettangolari e tutte decorate, alcune sono sormontate da una finestra a volta, altre delle forme triangolari con vetri, altre hanno solo decorazioni in muratura. Ma l’arredamento delle case fa sì che tutte le finestre abbiano nella parte alta delle tendine bianche, infondendo alla città un aspetto molto gradevole.

Percorrendo le vie semideserte riesco a scattare qualche foto alle persone, anche se a volte è proprio difficile effettuare degli scatti in quanto la gente fugge di fronte all’obiettivo.

Attraversato il suq, riprendiamo le auto e dopo un breve tragitto un’altra sosta perché siamo giunti al porto vecchio dove in un mare illuminato dal sole che sta volgendo al tramonto si vedono alcune imbarcazioni di pescatori ormeggiate, mentre sul molo delle reti sono poste ad asciugare. La vista della città è suggestiva, dietro le bianche case, la montagna si erge con una ripida parete marrone che fa da sfondo e da contrasto al bianco delle abitazioni ed in cima alla montagna si notano i bianchi edifici che sono le torri d’avvistamento.

Risaliamo per l’ennesima volta sulle auto e costeggiamo una baia dove sono ormeggiate barche di pescatori, lasciamo la città e ci dirigiamo verso la periferia, arriviamo all’albergo, l’hotel “Holiday Inn”, dove veniamo accolti con un cocktail di benvenuto. L’aria condizionata della struttura alberghiera è troppo forte, crea uno sbalzo termico notevole e questo produce qualche problema “intestinale” a qualcuno del gruppo. Prendo la camera, la 505, dal balcone si vede la piscina, il porto privato ed il mare, la temperatura è calda ed umida, il cielo è sempre nero e nuvoloso, il sole è tramontato da poco e le ultime luci illuminano il cielo. Nell’attesa della cena, approfitto oltre che per sistemare la valigia, per guardare e selezionare le foto e noto che ne ho già fatte oltre 300; aggiorno anche gli appunti per il diario.

La cena alle 20.00 è a buffet, cucina internazionale e piatti yemeniti veramente gustosi e ben curati. Mentre ceniamo guardando fuori dalla finestra ci accorgiamo che piove intensamente; è veramente incredibile, nel pomeriggio abbiamo trovato pioggia nel deserto ed ora piove a dirotto anche qui, il mio pensiero va a coloro che erano sul lungomare per i festeggiamenti.

Terminata la cena esco dall’albergo, la temperatura è calda e molto umida, pioviggina ancora e questo è un invito a trascorrere la serata all’interno dell’albergo, che passa tra chiacchiere, qualche partita a carte e l’inevitabile visita nel negozio dell’albergo.

14 ottobre Sveglia alle 7.00, santifichiamo la domenica, colazione e poi partiamo con meta la spiaggia di Bir Alì (GE 214) (LP 259), che significa “pozzo di Alì” e preannunciandosi la prima giornata di mare, i costumi sono pronti come è tanta la voglia di tuffarsi nel mar arabico.

Usciamo dall’albergo e gli autisti imboccano la strada contromano, qui è un’usanza finalizzata ad evitare lunghi tragitti per trovare una rotonda e fare inversione. Lungo la strada noto altri alberghi, sono tutti recintati e presidiati dalla polizia. Ogni tanto sul percorso, in entrata ed uscita dai paesi o nelle zone abitate, troviamo dei dossi che rallentano la velocità, qui la loro forma è curiosa; sono delle grosse corde marine appoggiate sull’asfalto, ma, nonostante la forma, svolgono il loro compito alla perfezione, infatti, autisti le trattano con il rispetto identico ai dossi in muratura.

Lasciamo Al-Mukalla dirigendoci verso sud ovest, percorriamo la strada che costeggia il mare e come a Sayun, la carreggiata è a quattro corsie con al centro i lampioni dell’illuminazione stradale. Giunti ad una collina la carrozzabile sale e poi scende ed il paesaggio si apre su una baia dalla sabbia bianchissima e dal mare azzurro che volge al verde, dove sono ordinatamente ormeggiate le barche dei pescatori; sulla riva un villaggio e tutt’intorno prima il deserto e poi le montagne che fanno da corona. Ci fermiamo per delle foto ed Omar ci avverte che per un tratto di strada saremo scortati dalla polizia; in effetti, non è la prima volta che viaggiando nei paesi arabi, mi trovo scortato. Comunque riprendiamo il viaggio e giungendo al villaggio troviamo il posto di controllo, lo passiamo e poco dopo arriva l’auto della polizia che ci scorterà per un lungo tratto.

La strada si snoda fra scenari impareggiabili dove le montagne fanno da corona e da sfondo e la loro dolce conformazione a volte rammentano le colline del nostro appennino, ed a volte le asperità di altre montagne ricordano l’imponenza delle nostre alpi. La velocità delle auto è sostenuta, il fondo asfaltato è perfetto ed il viaggio prosegue senza nessuna difficoltà. Il mare che è alla mia sinistra appare in tutte le sue tonalità, dal blu intenso al bianco, al verde, le spiagge a volte sono di sabbia bianchissima a volte sono sassose, dipende dalla conformazione del terreno; tutt’intorno tratti desertici disseminati sporadicamente da qualche arbusto di acacia. La strada sale, scende, gira, costeggia il mare, il paesaggio è desertico, lontano le montagne, ad un certo punto la vasta zona desertica si restringe, lo scenario cambia; appaiono montagne nere, chiaramente di origine lavica, gli strati magmatici sono visibili in conformazioni che sono un incanto da osservare, verticali, orizzontali, obliqui. Il nero del magma è intervallato da tratti di rocce marroni, a volte il paesaggio mostra solo degli affioramenti nerissimi parzialmente ricoperti di sabbia del mare e del deserto.

Resto incantato ammirando il colore e la forma delle montagne; il colore va dal nocciola al nero intenso, la sabbia bianca del mare e del deserto posata sulle montagne nere appare come neve, una neve che cambia colore a seconda dell’esposizione agli agenti atmosferici; il colore dipende dalle rocce su cui depositandosi si mescola. Il paesaggio cambia continuamente, la vista si perde fra cime, avallamenti, deserto che a volte è chiaro ed a volte nero come lava; è uno spettacolo indimenticabile ed il cielo sereno accentua i colori.

Il mare è solcato da alcuni pescherecci ed osservando bene vediamo dei delfini che li seguono, che vista incantevole, magnifica, sublime. Arriviamo in prossimità di un villaggio e per la comparsa dei dossi posti all’entrata la velocità delle auto diminuisce. Qui è presente un mercato e la gente lo affolla, mentre molti asinelli girano indisturbati per il borgo, tantissimi li troviamo anche ai bordi della strada che camminano tranquillamente. Noto che il colore della pelle degli abitanti è più scuro rispetto i residenti delle altre città, i tratti somatici mostrano che si tratta di un’etnia diversa, leggerò poi sulla guida che sono provenienti dalla Somalia. Proseguiamo il viaggio e ritroviamo un deserto dove le montagne sono tutte completamente nere, segno di una forte presenza vulcanica; vedo anche dei fenomeni di erosione molto regolare, quasi come se fosse stato l’uomo a modellare le rocce. Infatti ai lati di alcune pareti inclinate si notano delle linee nere perfettamente allineate, quasi a fare da cornice ed al centro deposta in modo ordinato con della sabbia nocciola trasportata e modellata dal vento; molto sporadicamente nella sabbia appaiono dei ciuffi d’erba e qualche pianta di acacia.

Gli autisti rallentano, deviano il percorso immettendosi in una strada sterrata e dopo poco si fermano alla base di una collina. Omar c’invita a salire fino in cima e guardare; con parte del gruppo inizio la salita lungo il pendio su un terreno friabile e sassoso, a tratti dei depositi magmatici compatti rendono più agevole la salita, arriviamo in cima guardiamo e … Non è una collina: è un vulcano inattivo e siamo sul bordo del cratere. Il cono vulcanico è pieno d’acqua di colore verde e le pareti presentano uno spettacolo magnifico, sono formate da infiniti strati di materiale magmatico depositatosi nel tempo, è stupefacente seguire le linee create dalla natura. Oltre il vulcano da una parte vi è l’azzurro del mare, dall’altra si presenta una zona desertica costituita da montagne nere spruzzate di sabbia bianca, mentre da un’altra ancora appare il deserto bianco contrapposto all’azzurro del mare costeggiato da una spiaggia bianchissima.

Una parte del gruppo è salita sul vulcano utilizzando i fuoristrada, ci ricongiungiamo e fatte delle foto ed ammirata la bellezza del luogo scendiamo verso la base del vulcano, c’è chi scende a piedi e chi utilizza un passaggio in auto; ne approfitto per fare un giretto sulla parte alta del cono vulcanico, dove il paesaggio è veramente incantevole; poi scendo verso le auto dove il gruppo si sta ricompattando e nel frattempo gli autisti, che stanno ascoltando musica tradizionale yemenita, invitati da Omar, si cimentano nella danza con le jambiye.

Riprendiamo il viaggio, arriviamo ad un ennesimo posto di blocco, qui noto un cannone ad avancarica rivolto verso un muro, probabilmente un reperto storico, incuriosito lo fotografo. La scorta si ferma quindi possiamo girare liberamente nel villaggio di Ghanat dove le case sono costruite con mattoni ricavati dalla nera lava ed i muri sono intonacati con del fango. Alcune case sono realizzate con mattoni in cemento, mentre le finestre di tutte le case sono piccole, lignee, dipinte di azzurro, sormontate da decorazioni con tende scure nella parte alta.

In riva al mare ci fermiamo a vedere quello che era uno dei porti più antichi dello Yemen, la sua origine risale al 1.000 a.C., in origine un punto importante e strategico nella via dell’incenso, mentre oggi si presenta come un piccolo porto di barche di pescatori e la sua spiaggia è una pattumiera a cielo aperto, completamente ricoperta di carta, scatole, bottiglie e sacchetti di plastica. Lascio questo posto con un po’ di delusione: a tenere pulito ci vuol proprio poco. Abbandonato il vecchio porto ci rechiamo al mercato del pesce ed anche qui, per altro motivo restiamo delusi, il mercato è deserto, troviamo solo i vuoti banchi destinati all’esposizione del pesce; oggi è il terzo giorno dopo il termine del ramadam ed è festa. Troviamo solo un furgone con del pesce, stanno scaricando il pescato e ponendolo in cassette di plastica; è pesce freschissimo, molto bello. Sul furgone, sopra una stuoia vi sono delle aragoste, ne acquistiamo 4 per il pranzo, il prezzo è davvero contenuto: 6.000 Ryal yemeniti (circa 24 €).

Scattiamo qualche foto ai pesci, alla gente, ai bimbi che ci prendono letteralmente d’assalto chiedendo penne e caramelle; distribuiamo quello che abbiamo sempre con molta parsimonia.

Risaliamo sulle auto e lasciando il villaggio riprendiamo la strada asfaltata, quando dopo pochi chilometri imbocchiamo una strada sulla sinistra, percorriamo una pista di sabbia, dove solo i fuoristrada possono avanzare fra dossi e dune di sabbia. Arriviamo in riva al mare in prossimità di un terreno cintato, che è una struttura dedicata ai turisti, qualche capanna come cabina, dei lettini di legno e paglia intrecciata, delle tettoie, delle stuoie e di fronte a noi una spiaggia bianca, dalla sabbia finissima ed a lambire la spiaggia, le onde di un mare verde, un’acqua che invita a tuffarsi: siamo alla spiaggia di Bir Ali. Io che non amo il mare, di fronte a simile spettacolo non esito un attimo, infilo il costume da bagno, lascio indumenti e macchina fotografica su un lettino e mi precipito in acqua.

L’acqua è verde, azzurra, trasparente, si vede la sabbia bianchissima del fondale, alcuni pesci nuotano fra le gambe dei bagnanti; è paradisiaco stare in quest’acqua calda. Il tempo fra un tuffo, una nuotata, delle chiacchiere passa velocemente ed arriva l’ora di pranzo. Ci rechiamo in una capanna che Omar ha predisposto per il pranzo; un pasto frugale ma gustoso preparato dalla guida stessa e dagli autisti. Riso, pane, pesce alla griglia (orate e dentici acquistati poco prima), aragoste con verdure, melone bianco, the. Aiuto Omar nella preparazione dei piatti, pulire il pesce con l’aiuto di due cucchiai è un divertimento, faccio velocemente, i pesci da pulire sono veramente cotti alla perfezione. Tutti mangiano a sazietà ed il pranzo è veramente ottimo.

Dopo mangiato ci stendiamo sui lettini e mentre guardo il mare, nel cielo compaiono alcuni cormorani, aumentano, sono centinaia, migliaia, riescono ad oscurare l’orizzonte; si fermano sulle acque del mare, il colore azzurro e verde dell’acqua diventa nero, ne arrivano ancora, questo tratto di mare della baia è interamente ricoperto da questi volatili: ammiro con stupore questo incantevole spettacolo della natura.

Dopo qualche minuto alcuni cormorani si spostano su un isolotto poco distante; l’isola che è a poche decine di metri da noi, ha una spiaggia bianca ed al centro una piccola montagna di roccia marrone; in pochi minuti la bianca spiaggia diventa nera, interamente coperta di cormorani.

Decidiamo di fare un ulteriore bagno e ci spostiamo in un altro lembo di spiaggia che dista poche decine di metri da dove siamo, l’acqua è ancora più verde e trasparente, il fondo è sempre bianchissimo e l’acqua è calda. Mentre camminiamo nelle basse acque stiamo parlando ed incrociamo una signora che sta uscendo dall’acqua, la salutiamo in italiano e lei cortesemente risponde nella nostra lingua; la domanda viene spontanea “italiana?”, “Si, ma da anni vivo in Francia”, ci fermiamo a dialogare un poco, qualcuno del gruppo la riconosce, era a Sayum nel nostro albergo; nella serata con le danze tradizionali sedeva al tavolo di tre persone, ci riconosciamo a vicenda e le “barriere” si abbattono, si avvicina anche la sua amica ma parla solo francese. E’ italiana, calabrese d’origine, ma da anni risiede a Parigi, è in Yemen ospite dell’ambasciatore di Francia e stanno compiendo un tour dello Yemen, il loro giro sta volgendo al termine e fra pochi giorni rientreranno a San’à.

Le due signore escono dall’acqua e questo tratto di mare costeggiato dalla bianchissima spiaggia resta “tutto nostro”, tuffarsi e nuotare in quest’acqua trasparente e calda è un vero divertimento. Sull’isolotto, improvvisamente, i cormorani si alzano in volo oscurando per un attimo il sole; è terminata la loro siesta e riprendono nella loro perenne migrazione, chissà dove sono diretti? Proseguiamo nel nostro bagno, nel mare si sta proprio bene, solo l’avvicinarsi del tramonto ed il raffreddamento dell’acqua ci invitano ad uscire.

Sulla spiaggia decine di granchi bianchi si muovono, ma al nostro avvicinarsi si rifugiano nelle loro tane scavate nella sabbia. Fra alcune rocce affioranti dal mare notiamo altri granchi marroni, ed anch’essi al nostro avvicinarsi si rifugiano tra gli scogli, inoltre nell’acqua trasparente vediamo dei pesciolini che nuotano indisturbati.

Si avvicina l’ora della partenza, recupero indumenti, macchina fotografica e salendo sul fuoristrada ripartiamo per Al-Mukalla, lungo la strada il tramonto tinge le montagne che abbiamo visto di mattina, la sabbia bianca cambia colore, diventa rosa, poi muta ancora, i colori diventano forti, le ombre decise, è magnifico osservare simili tonalità.

Al primo villaggio ci aspetta la scorta armata che ci seguirà per un tratto di strada, proseguiamo nel rientro, mentre il sole tramonta facendo giungere l’oscurità. Arriviamo a Al-Mukalla che sono passate da poco le 17,30 ed è buio, il lungomare si sta popolando per i festeggiamenti serali, arrivano centinaia di famiglie: è tutto come la sera precedente.

Attraversiamo la città, arriviamo in hotel, siamo tutti arrossati come gamberi per il sole preso durante la giornata. Doccia, crema dopo sole e poi cena a buffet. La serata trascorre tranquilla fra chiacchiere e partite a carte. Poi, in camera, dobbiamo preparare le valigie, domani si parte per l’isola di Socotra.

15 ottobre La sveglia suona alle 8.00, ma sono già in giro da un po’, devo far asciugare il costume da bagno che ho posto sul balcone della camera dove la temperatura calda ed umida favorisce la cosa. Finisco di preparare la valigia in quanto oggi è previsto il trasferimento a Socotra (GE 226) (LP 260) ed alle 11.15 abbiamo il volo; l’aeroporto dista oltre 60 km da Al-Mukalla e, visti i controlli, è meglio giungere con anticipo. Sulla strada troviamo poco traffico, auto, qualche camion e qualche mezzo in contromano.

Anche questa strada come altre non è provvista di ponti e segue l’andamento delle colline, ma qui in prossimità di qualche attraversamento fluviale vediamo i cantieri di alcuni ponti.

Lungo il percorso costeggiamo un aeroporto militare, lo si capisce dall’aereo in mostra vicino ad un cancello, altri aerei sono posizionati nel deserto e sembrano più destinati a pezzi di ricambio che ad un ruolo attivo. Arriviamo al viale d’ingresso dell’aeroporto dove su alcuni pennoni sventolano bandiere consumate dal vento e dalla sabbia del deserto. Giungiamo infine al piazzale, prendiamo le valigie dalle auto, salutiamo gli autisti che rivedremo a San’à ed entrando nell’edificio troviamo i primi controlli, imbarchiamo oltre le valigie qualche scatola di cartone, una si apre e per terra cadono delle derrate alimentari (frutta, biscotti, formaggio) e chiedo delucidazioni ad Omar: mi dice che sull’isola vi è solo pesce e occorre portare tutto; resto un pò sconcertato ed un pò incuriosito per quello che troveremo a Socotra.

Passiamo ulteriori controlli ed accediamo alla zona del duty free, nei negozi qualche componente del gruppo si dedica all’acquisto di gioielli in argento.

L’aeroporto appare deserto, nessun aereo è sulla pista, nella sala d’attesa per l’imbarco, solo persone yemenite, nessun altro turista; gli uomini ci osservano curiosi e soprattutto guardano le donne occidentali che non indossano il loro tradizionale e coprente chador.

Nell’attesa aggiorno gli appunti per il diario e leggo nel manuale della macchina foto, la sezione della macrofotografia, poiché penso d’usarla per immortalare piante e fiori dell’isola.

Arriva un aereo, ma è troppo piccolo per trasportare tutta la gente presente nella sala d’attesa ed, infatti, dopo un poco atterra un Boeing 737; è il nostro aereo. Alcuni passeggeri scendono e si recano a piedi verso l’aeroporto. Col pullman ci rechiamo all’aeromobile, prendiamo posto e decolliamo; dal finestrino si vede il mare e dopo qualche minuto intravediamo tante nuvole ed infine appare l’isola con le montagne ricoperte da nuvole nere; sembra che ci aspetti il brutto tempo. Comunque oltre alle montagne si vedono spiagge costeggiate da una strada litoranea asfaltata, mentre nella parte nord ovest dell’isola ci sono spiagge bianche. Dall’alto l’isola nel suo complesso appare desertica, qualche pianta, nessuna coltivazione, qualche villaggio e solo le strade principali asfaltate.

L’atterraggio sulla pista di Hadibu è brusco, ma il volo è andato bene, scendiamo dall’aereo, ritiriamo i bagagli con la solita organizzazione, Omar ritira i suoi bagagli e le scatole imbarcate a Al-Mukalla. Usciamo dall’aeroporto e carichiamo le nostre valigie su delle Toyota Land Cruiser, uguali a quelle utilizzate sul continente e manteniamo la stessa composizione dei gruppi, formazione che resterà invariata fino alla fine del viaggio.

Sull’isola oltre ad Omar avremo un accompagnatore locale è un ragazzo di 21 anni che conosce bene l’inglese e parla un poco anche l’italiano. Una guida locale è un modo per incrementare l’occupazione e permette un coinvolgimento attivo della popolazione, creando sviluppo. Il ragazzo si presenta bene e si dimostrerà attento, preciso ed ordinato; facciamo la sua conoscenza e poi, caricate le valigie sulle auto, partiamo verso l’albergo.

L’isola presenta un paesaggio brullo, spiagge, terreni desertici, montagne con fianchi ripidi dove sono cresciuti alberi che sembrano baobab, ma sono una specie endemica chiamato “albero bottiglia” per la sua caratteristica forma. Dopo qualche chilometro, giungiamo all’albergo “Taj al Gazira” dall’aspetto molto spartano ed è in parte in costruzione, sembra d’essere giunti in un altro mondo, ed, in effetti, è così; qui le comodità ed i confort sono da dimenticare: bisogna adattarsi a quanto di meglio l’isola offre.

Il personale dell’albergo tenta di assegnarci le camere, alla fine Omar ci porta al primo piano e ci fa scegliere le camere, alcune sono dotate di servizi altre li hanno in comune; sono in una camera con tre letti e condivido il bagno con don Maurizio. Dei tre letti presenti nella mia camera uno ha una struttura il legno, mentre gli altri due hanno una struttura metallica ed anche se nuovi assomigliano ai letti di ospedale di tempo fa. Il bagno è anch’esso molto spartano ed è composto da una turca, una doccia a muro con scarico sul pavimento, mentre all’esterno è posizionato un lavabo.

Se questa struttura, seppur dall’aspetto un po’ fatiscente è la miglior struttura ricettiva dell’isola, non oso immaginare come sono altri locali destinati al soggiorno dei turisti, ma comunque appare evidente lo sforzo che stanno compiendo per rendere la vacanza più confortevole.

Sistemate le valigie scendiamo al pian terreno per il pasto, la sala da pranzo ha dei tavoli semplici, con delle sedie e nessuna tovaglia; i camerieri sono dei ragazzini che servono in modo spartano: portano le posate, i piatti di ferro e dei fazzoletti di carta da usare come tovaglioli, l’acqua è in bottiglia e non vi è bicchiere. Nonostante l’impatto ci adattiamo alle condizioni dell’isola ed arriva il pranzo; verdure, riso, pesce, mele e arance (portate da Al-Mukalla), the caldo e zuccherato. Constato che il coltellino tascabile che ho portato si rivela molto utile per sbucciare la frutta. La sala da pranzo è piena in quanto vi è un altro gruppo: sono canadesi di Toronto.

Terminato il pranzo, ci cambiamo e partiamo per il primo giro dell’isola e con le auto ci dirigiamo verso est, percorrendo la strada asfaltata che corre lungo la costa. L’isola è piena di capre che nel tempo si sono dimostrate un vero flagello, infatti, le piantagioni di palme sono cintate per proteggere le piante dai voraci erbivori; gli animali introdotti dall’uomo qualche anno fa per variare l’alimentazione della popolazione si stanno rivelando una calamità per le numerose specie endemiche di piante e di fiori che sono divorate: probabilmente nel futuro prenderanno qualche provvedimento per limitare il numero delle capre e favorire la crescita della vegetazione.

Il paesaggio presenta un mare a tratti azzurro, a tratti blu intenso e la costa ha delle spiagge di sabbia bianca intervallata da qualche spiaggia rocciosa; mentre viaggiamo alla mia destra vi sono le montagne con fianchi ripidi e sassosi ricoperti di “alberi bottiglia” e nei tratti pianeggianti della costa sorgono villaggi di pescatori e qualche piantagione di palme da dattero. Guardando verso l’alto mi accorgo che le montagne sono ricoperte da nuvole nere che preannunciano pioggia, ma verso il mare, dove ci stiamo recando, appare il cielo azzurro con qualche nuvola bianca.

Durante il viaggio noto che questi villaggi hanno case realizzate con sassi dal colore rossastro con una struttura architettonica diversa da quelle finora viste. Osservo anche che tutti i mezzi che si muovono sull’isola non sono targati: è incredibile la dimensione in cui siamo, proprio lontana da ogni schema.

Lasciamo la strada asfaltata e prendiamo una pista dove i fuoristrada si muovono a velocità ridotta in quanto i buchi ed i sassi sono una presenza costante, ad un tratto su un fianco di una montagna dal colore nero appare un’imponente duna di sabbia e più sotto un mare color azzurro chiaro; siamo arrivati alla spiaggia di Delisha, una lunga spiaggia bianca con un mare stupendo.

Sulla spiaggia prima di tuffarci in acqua, Omar ci spiega qualcosa dell’isola di Socotra; l’origine del nome significa “Mercato delle gocce d’incenso e mirra”. In effetti, per secoli, l’isola era il punto di riferimento per i mercanti di incenso e di mirra, dove erano raccolte le preziose resine che poi erano trasportate via mare verso il continente.

Ogni anno l’isola è battuta da un forte monsone che si forma tra la Somalia e l’isola, il punto dove nasce questo monsone è chiamato “mordi e fuggi” ed è assai temuto dai marinai per la violenza delle tempeste e del vento che vi si scatenano; la durata del monsone è di tre/quattro mesi con vento e piogge incensanti, e durante questo periodo quasi tutte le attività dell’isola si fermano.

Sull’isola, inoltre, non è possibile usare i nostri cellulari in quanto esiste una rete con una configurazione particolare quindi funzionano solo i cellulari dei locali.

La bianca spiaggia è costeggiata da quello che a prima vista potrebbero essere sassi, invece è un misto di sassi, coralli e conchiglie ed è come una lunga, interminabile lingua che costeggia la sabbia ed il mare dove l’occhio si perde tra i sassi rotondi levigati dal mare, fra pezzi di corallo di ogni forma e dimensione, fra conchiglie di ogni grandezza. Il colore bianco della sabbia s’intervalla col rosso, col bianco, col giallo dei sassi, col grigio del corallo morto, col bianco madreperla delle conchiglie; Omar ci avverte che coralli e conchiglie non sono asportabili.

Attraversata la striscia sassosa arriviamo alla spiaggia dove la sabbia è bianca e finissima ed il mare azzurro invita ad un bagno, e mentre qualcuno del gruppo si tuffa subito in acqua, faccio una passeggiata sulla spiaggia per osservare tanta bellezza. Sul bagnasciuga vedo decine di coni sabbia, incuriosito mi avvicino e scopro che sono le tane dei granchi, poco lontano molti gabbiani riposano. Mentre cammino qualcosa attira la mia attenzione, vedo sulla sabbia un pesce morto, guardo bene: ve sono moltissimi; sono i pesci spiaggiati dall’alta marea, un fenomeno naturale che porta nutrimento per granchi e gabbiani. Osservo pesci di varie specie e dimensioni, qualcuno anche molto grosso, noto un pesce pappagallo, un altro con aculei, un altro con canini rossi.

Ritorno verso il gruppo, con Fernanda, Francesca e Luigia decidiamo di andare verso l’imponente duna che domina la spiaggia e mentre camminiamo avvistiamo un laghetto dove l’acqua è dolce e trasparente con il fondale costituito da sabbie mobili dove a star fermi pian piano si sprofonda e nell’acqua dei pesciolini si muovono velocemente.

Scatto qualche foto, cercando di cogliere il contrasto dell’acqua con il nero che avvolge le montagne circostanti e penso che in giornate soleggiate questo luogo dev’essere veramente incantevole. Camminando lungo la spiaggia noto altre tane di granchi e una duna veramente molto alta, oltre 50 mt, appoggiata al fianco della montagna, che presenta un fronte a semicerchio, il sole che gioca a nascondino fra le nuvole crea dei giochi di luce dai colori suggestivi. Vicino al mare degli scogli sono popolati da gasteropodi, da granchi e si muovono indisturbate alcune lucertole. Mentre raggiungiamo altri componenti del gruppo che ci avevano preceduti, Gigi, munito di un bastone realizzato con una foglia di palma, sale sulla duna, dal basso appare come un disperso che nel deserto sta cercando la strada smarrita, lo fotografo e poi mostrando la foto agli altri ridiamo divertiti per la sua espressione. Ritorniamo verso il resto del gruppo che stava facendo il bagno e mentre camminiamo intravedo delle rocce erose dal vento e dall’acqua con delle forme particolari e dei colori che vanno dal rosso al nero con mille tonalità differenti; non mi lascio sfuggire l’occasione per far qualche foto.

Il tramonto sta giungendo ed il sole scompare dietro una montagna colorando di rosa la duna, è l’ora di riprendere l’auto per il rientro in albergo.

Il nostro autista non ha una guida fluida, si muove a scatti, sembra indeciso, forse è un effetto secondario del qat che mastica in continuazione, non parla inglese ma solo arabo e questo fa sì che la comunicazione sia del tutto impossibile se non a gesti.

Man mano che ci avviciniamo ai piedi della montagna dove sorge la città, il cielo appare sempre più scuro, la montagna è interamente ricoperta di nuvole nere ed è impressionante notare come il colore del cielo si confonda con la notte oscurando il tramonto e rendendo cielo e montagna una sola ed impenetrabile parete scurissima.

Arriviamo in albergo che non piove, benché il cielo minacci acqua da un momento all’altro, doccia e poi cena. Non siamo più nella sala dove abbiamo pranzato a mezzogiorno, Omar ha fatto preparare i tavoli all’esterno del ristorante; sulla ghiaia sono posizionati i tavoli di legno ricoperti di formica, le sedie sono di plastica; non esiste tovaglia, utilizziamo dei fazzoletti di carta come tovaglietta e tovaglioli, prima di mangiare ripuliamo le posate (forchetta e cucchiaio), i bicchieri non esistono e si beve direttamente dalla bottiglia. Ci è servito dell’ottimo pane arabo appena cotto, patate in umido, pesce alla griglia (dentice e king fisch), patatine fritte, the caldo e zuccherato.

Durante la cena giungono nelle vicinanze delle caprette alla ricerca di cibo, qualcuno del gruppo le allontana, mentre altri allungano loro un po’ di pane, mossa sbagliata: si trovano circondati dagli animali che con insistenza ne vorrebbero ancora, le capre sono poi allontanate dai camerieri.

Terminata la cena restiamo seduti ai tavoli che sono prontamente sparecchiati, le capre sono onnipresenti e ci facciamo l’abitudine ad averle attorno; qualcuno chiacchiera e qualcuno gioca a carte. Armato di pila vado a fare un giro verso il paese, guardando in alto vedo il cielo nero e stellato qui non vi è inquinamento luminoso, la sensazione è stupenda e lo sguardo si perde fra migliaia di puntini bianchi e luminosi.

Arriviamo alle prime case del paese, sono le 21.30, qualcuno sta lavorando, in un negozio un elettricista sta realizzando un impianto elettrico, un meccanico sta lavorando ad un’auto, c’è pochissima gente in giro, la cittadina è deserta e dopo un poco rientriamo in albergo dove scambiamo qualche parola con Omar, vedendo tanti bambini e ragazzi chiediamo informazioni sul ciclo scolastico; ci dice che in Yemen va a scuola chi può e chi vuole in quanto non esiste l’obbligo degli studi, il ciclo scolastico è articolato in elementari dalla durata di 5 anni, medie dalla durata di 4 anni, superiori dalla durata di 3 anni, poi vi sono le facoltà universitarie.

Si è fatto tardi, decidiamo di andare a nanna, dalla montagna giungono i rombi dei tuoni, forse pioverà; ed, in effetti, durante la notte cade la pioggia.



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