Costa Ricca
Dunque, dopo 13 ore di viaggio e sbrigati gli obblighi doganali (ricordate che all’uscita dal paese, tutti, indipendentemente dalla nazionalità, devono pagare 25 dollari di tasse, non si scappa) decidiamo di cambiare i dollari che ci siamo portati. Il dollaro viene comunque accettato anche se la valuta nazionale sono i colones: 1000 colones = 2 dollari= 1 euro circa. Ci dirigiamo subito ad Alajuela, la terza città del paese, anche se sembra un paesone un po’ sgarrupato e alloggiamo in un ottimo hotel, che si rivelerà essere il più caro del nostro viaggio. Si tratta del Cortéz Azul, 443 6145 Av 5 tra Calle 2 e Calle 4, il cui proprietario è un pittore-scultore-incisore-mosaicista, le cui belle opere sono presenti in tutto l’alberghetto. Dopo una prima visita, rapida, alla città mangiamo in un ottimo ristorante, La Mansarda, dove scopriamo il casado, piatto tipico costaricense composto da riso, fagioli neri, banana fritta, insalata e manzo/maiale/pollo o pesce,economico e nutriente. Il giorno dopo, grazie ad un comodo autobus che parte da San Josè e ferma ad Alajuela, andiamo a visitare il vulcano Poas, dal cui gigantesco cratere escono fumi di zolfo. Nel parco circostante abbiamo avvistato vari animali locali, tra cui il bradipo, che si gratta piu’ velocemente di quanto si potrebbe pensare, uccelli colorati e colibri’. Le piantagioni di caffe’ che circondano il parco si perdono a vista d’occhio ma il prodotto finale e’ comunque talmente annacquato che non si apprezza fino in fondo, comunque un ottima confezione di caffè, mi raccomando che sia espresso, è un ottimo regalo da portare a casa. Per caso nel parco del vulcano Poas conosciamo il nostro compagno di viaggio, Paolo, un ragazzo di Torino che abita a poche centinaia di metri da casa mia ma che non avevo mai visto prima (mah!?). Il giorno dopo siamo già in partenza per La Fortuna, un paesino in cui ci sono piu’ tour operator e hotel che abitanti, il tutto perchè il villaggio si trova ai piedi di uno spettacolare vulcano, l’Arenal, ovviamente attivo. Alloggiamo alla pensione el Buho, non ancora segnalata dalla bibbia del viaggiatore, la guida Lonely Placet, molto modesta ma pulita ed economica, 7 euro a testa per una doppia con bagno e televisione.
Ci dirigiamo subito ad una cascata, raggiungibile a piedi dal paese con una camminata di un’oretta o tramite taxi pagando 2000 colones di corsa. La cascata, o “catarata”, ha un salto di 70 metri e si tuffa in un ameno laghetto in cui è possibile fare il bagno. Pensate che tutto questo avviene in una foresta vergine dove gli unici rumori che si possono ascoltare sono versi degli animali. Bellissimo, una delle migliori cose che abbia fatto in Costa Rica.
Al ritorno da questa esperienza elettrizzante siamo partiti con un gruppo di altri disgraziati di varie nazionalità per un tour che comprende l’escursione notturna al vulcano (per vedere il fiume di lava che sgorga dal suo cratere) e poi una sosta alle vicine sorgenti termali, ovviamente ai piedi del suddetto vulcano. Qui comincia la parte pericolosa, quindi OCCHIO!!! Diffidate da chi vi ferma per strada, quanto meno a La Fortuna, soprattutto se si presenta come Mario, porterà solo sventure. Ora mi spiego meglio: Comincio col dire che già all’inizio del tour comincia a piove a dirotto e quindi la nostra fantastica guida, Victor, fratello di Mario, decide di cambiare strada perchè il percorso abituale era sommerso da un fiume in piena. Ora, una persona assennata ci avrebbe fatto fermare lungo la strada asfaltata per farci vedere la lava un po’ più da lontano rispetto al consueto itinerario, ma invece no, Victor è della zona, e conosce percorsi alternativi da cui saremmo arrivati vicinissimi al vulcano. Bene, dopo aver guadato a piedi fiumiciattoli e pozze, aver cambiato strada varie volte ed esserci aperti il cammino a colpi di machete tra la fitta vegetazione tropicale, Victor ci confessa di ESSERSI PERSO, e ci chiede di consigliargli come tornare alla strada dove era parcheggiato il nostro pullman. A NOI!!! MA LA GUIDA SEI TU!! E NOI CI TROVIAMO DI NOTTE IN MEZZO ALLA GIUNGLA!!! Insomma dopo varie ore di panico siamo riusciti ad uscire da dove eravamo arrivati e da lì abbiamo visto in lontananza il vulcano eruttare… Io e una ragazza peruviana abbiamo chiesto come ottenere un rimborso e dopo un’accanita discussione optiamo per un tour gratis il giorno dopo, salutandoci con una stretta di mano rappacificatrice. Il giorno dopo quindi arriva il fratello di Victor, Luis ( e con questo siamo a tre..) che ci chiede dei soldi per non so neanche quale strana ragione, ovviamente si erano messi d’accordo per darci un’ulteriore fregatura, ma noi ci rifiutiamo e Luis ci porta in un altro posto, facendoci scendere e garantendoci che sarebbe arrivato Victor (quello del giorno prima) a prenderci. Dopo un po’ arriva Victor che con mille scuse ci fa salire su un altro pullman. La compagnia è molto più dinamica rispetto al giorno prima. Il tempo sembra essere migliore e riusciamo a raggiungere il posto che il giorno prima era inaccessibile. Peccato che dopo poco cominci a piovere.. Allora, arriviamo fino al punto di osservazione dove è già sistemato il gruppo di Luis e dove il vulcano, completamente coperto di nuvole, ci concede qualche colata di lava. Intanto la pioggia aumenta esponenzialmente e ci copriamo con un telo di plastica nera che Victor e Luis tengono lì per questo tipo di situazioni. Come dicevo la compagnia e’ assai simpatica e si comincia a cantare e a raccontarsi barzellette in tutte le lingue, ogni tanto un coreano veramente sbellicante si lancia in acuti improponibili. Tuttavia, la pioggia aumenta e io comincio a chiedere a Victor se non sarebbe meglio tornare indietro perchè il ponte, forse, potrebbe ridiventare inaccessibile come il giorno prima, ma lui mi risponde che gli italiani si preoccupano troppo, che lui lì c’e’ cresciuto e via dicendo. Insomma rimaniamo a prenderci ancora un po’ di pioggia e ad ammirare la lava e una volta tornati all’inizio del sentiero da cui eravamo saliti per arrivare al punto di osservazione, scopriamo che il ponte non e’ accessibile e allora decidiamo di aspettare sotto una tettoia all’inizio del parco, ma dopo una buona mezz’ora la pioggia non accenna a calmarsi e si tenta la soluzione di fortuna: Victor, Luis, gli autisti dei pullman e alcuni dei turisti sistemano un ponte di metallo per attraversare quello che prima era un torrentello e adesso e’ un vero e proprio fiume in piena. Il ponte non si riesce a piazzare correttamente vista la forza della corrente, e così per gli ultimi cinque metri i costaricensi e i più grossi del gruppo formano una catena umana per evitare che la gente venga trascinata via. Attraversiamo il ponte e un giapponese scivola, spezzando la catena umana, ma per fortuna il pericolo rientra immediatamente. Insomma la premiata ditta Victor & Bros fallisce ancora, ma come dicevo la compagnia è più allegra e ci si scherza sopra fino ad arrivare alle tante agognate terme, che in realtà sono un luogo pubblico, tipo Petriolo in prossimità di Siena, con una cascatina. Non male comunque, si fa il bagno in sorgenti d’acqua calda, uscendo ed entrando da piccole grotte nascoste dalle cascate. A noi è andato tutto bene, ma poco è mancato per far sì che una bella vacanza si trasformasse in qualcos’altro. Quindi occhio alle guide improvvisate, quanto meno a La Fortuna, consiglio vivamente di rivolgersi ad uno dei molti tour operator che si trovano sulla via principale.
Dopo una notte trascorsa nella discoteca locale, il Lava Rocks, a bere birra Imperial e guaro (un distillato della canna da zucchero) si parte con un pulmino privato per Monteverde, dove ci sono ben due parchi naturali. Il viaggio è piacevole e le strade del Costa Rica si rivelano alquanto dissestate. Dopo varie ore arriviamo a destinazione e ci piazziamo in una pensioncina veramente accogliente Pensión Santa Elena, dove la gentilezza dello staff, la comodità delle camere e le creazioni artistiche la fanno da padrone. Dopo un giorno di assestamento l’indomani si opta per un canopy tour. Ecco in cosa consiste questa bizzarria per turisti: un sistema di funi di acciaio che collegano varie torrette poste a diverse altezze nel mezzo della foresta e lanciandosi completamente imbragati ci si sposta da una torretta all’altra per mezzo di una carrucola. L’organizzazione è decisamente più professionale della Victor & Bros e tutto fila liscio; adrenalina pura e vista mozzafiato. Terminiamo l’escursione percorrendo la foresta sui ponti sospesi che permettono di vedere il tutto dalla prospettiva dei volatili e devo dire che la cosa merita il prezzo non proprio economico. La giornata si conclude con una visita al ranario di Monteverde, perché tutti parlano delle famose rane del Costa Rica ma a dir la verità è assai difficile vederle in natura e così scopriamo che le coloratissime rane velenose sono di dimensioni veramente ridotte. Si torna poi alla pensione e ci si dedica alla cena, consiglio di assaggiare la pizza costaricense, non male anche se un po’ troppo carica di condimento. Il giorno dopo Paolo ci saluta e ci precede a Montezuma, una località marittima sul Pacifico, mentre io e Giulio andiamo a visitare la riserva di Monteverde con tanto di scheda da naturalista per riconoscere i vari uccellini e uccelletti e, ovviamente, macchina fotografica. Ci svegliamo alle cinque, così abbiamo più possibilità di vedere qualche animale e ci avventuriamo per la foresta. Inutile dire che non abbiamo visto nulla…A parte una pava negra (una sorta di tacchino volante, più bello e ovviamente nero) e una specie di martin pescatore. Un consiglio: armatevi di repellente per zanzare che abbondano nella foresta. Nonostante l’obiettiva difficoltà di vedere animali che hanno la possibilità di nascondersi nell’immensa foresta, il “bosque nuboso” è comunque stupendo e offre scorci indicibili. Solo uno per tutti; nel punto più alto del parco, quasi a 2000 metri, ci si trova in cima alla divisora atlantica, la cordigliera che parte dal Canada e arriva fino in Argentina, comprendente le Montagne Rocciose e le Ande. Ebbene, dal lato pacifico la foresta e’ composta da piante tropicali altissime, fiori multicolori e clima umidissimo senza un filo di vento. Si fanno dieci passi contati e ci si affaccia sulla parte atlantica, dove il vento è fortissimo e le piante non sono altro che arbusti non più alti di mezzo metro. Insomma sembra di essere in due posti completamente diversi che in pratica sono separati da non più di venti metri Al ritorno dalla nostra esplorazione prendiamo un “bus compartido”, un modo comodo di viaggiare e relativamente economico, con due coppie, una di Barcellona e una di Montreal. Il viaggio e’ molto piacevole, soprattutto quando a Punta Arenas ci imbarchiamo su un traghetto che attraversa un tratto di mare e cominciamo a capire quello che ci aspetta: palme, pellicani e soprattutto MARE!!! E infatti, dopo un ulteriore tratto a bordo di una jeep eccoci al mare, più precisamente a Montezuma, posto molto hippy a sud della penisola di Nicoya, sul Pacifico. Le spiagge sono da cartolina con le scimmie urlatrici che ti tirano in testa i noccioli dell’”uva de mar” che raccolgono sugli alberi che si trovano sulla spiaggia. Qui gli animali sono molto più abituati alla gente ed è facilissimo vedere pappagalli, uccelli di tutti i colori, scimmie, scoiattoli giganti e migliaia di piccoli paguri che verso sera animano le conchiglie che prima sembravano inerti sulla spiaggia. All’allegra combricola si unisce un ragazzo canadese di origini cinesi che continuerà a viaggiare per altri sei mesi in America Centrale e Meridionale per scoprire un po’ il mondo, uno dei pochi anglofoni che voglia imparare le lingue straniere. Dopo aver trascorso la serata a giocare con i paguri e a sentire le onde che si infrangono sugli scogli di fronte alle nostre cabine, Cabinas Tucán, economica e accogliente, il giorno dopo io e Adam ci dedichiamo ad una corroborante corsa mattutina sulla spiaggia e nel pomeriggio si parte alla scoperta di una cascata che tutti ci dicevano facilissima da raggiungere. Ci siamo arrampicati per un’oretta buona per i sentieri più impossibili, ma alla fine eccoci: tre cascate collegate tra loro, una con un salto di un paio di metri, l’altra con un salto di 10 metri e l’ultima con un salto di 70 metri. I costaricensi ci avevano detto che era possibilissimo tuffarsi da quella da 10 metri ma io e Paolo ci siamo affacciati, abbiamo fatto un paio di considerazioni e abbiamo deciso che magari no, anche perchè metti che per qualche strana ragione ti ritrovi trascinato dalla corrente a fare il salto da 70 metri?? Un paio di tuffi da altezze più modeste ci hanno comunque soddisfatto. All’inizio del nostro viaggio avremmo voluto percorrere in lungo e in largo la penisola di Nicoya ma almeno che non si sia affittata un’auto o meglio, una jeep privata la cosa non è fattibile. Spostarsi da una località all’altra con i trasporti privati è molto dispendioso e con i trasporti pubblici un semplice viaggio di 100 km richiede una giornata, troppo! Si decide allora di prendere un pullman pubblico fino a e vari cambi per arrivare a notte inoltrata a Manuel Antonio, in prossimità di Quepos.
I prezzi, essendo una località di turismo per famiglie, i prezzi sono un po’ più alti e troviamo una pensioncina economica ma veramente di fortuna, gestita da tale Manuel, che si professa un grande artista e non fa che parlarci delle sue “meravigliose sculture in legno che chiaramente vuole venderci. La sera andiamo a mangiare qualcosa in paese e abbiamo la possibilità di vedere un bradipo a distanza veramente ravvicinata e il giorno dopo si parte alla scoperta del parco naturale di Manuel Antonio, dimora dei rari saimiri, una razza di scimmie.
Per raggiungere il parco si attraversa una striscia d’acqua che alla sera, con l’alzarsi della marea diventa molto più consistente e alcuni locali, per la modesta cifra di un colon, si rendono disponibili a traghettarvi dall’altra parte. Il parco è stupendo e in questo caso è facilissimo vedere animali: scimmie dalla faccia bianca, scimmie urlatrici, bradipi, iguane, grigioni maggiori (dei grossi roditori), piccoli pipistrelli. Ci sono tre spiagge accessibili, in realtà una di queste è situata in un posto un po’ impervio ma una volta superati gli ostacoli ci si ritrova in una piccola baia molto pittoresca, tanto da sembrare in uno scenario da film dei pirati (e i pirati approdavano veramente da queste parti, si parla infatti di un possibile tesoro sepolto da qualche parte nella foresta). Una delle cose migliori del Costa Rica è il piacere di fare il bagno e non scorgere nessuna abitazione se si guarda verso la riva. Ahimè nella strada tra Quepos e Manuel Antonio gli hotel con vista sul mare sorgono come funghi e possono vedersi dal parco. Proprio un gran peccato perché il posto è stupendo! La sera di solito c’è sempre musica dal vivo e un negozietto vende magliette con disegni fatti a mano veramente notevoli, per non parlare dell’internet point – negozio gestito da una ragazza guatemalteca. Ecco una cosa che manca al Costa Rica: l’artigianato. Chi è stato in Guatemala o Messico di certo sarà rimasto abbagliato dai tessuti multicolori e dall’abbigliamento caratteristico della popolazione locale, ebbene niente di tutto questo è rimasto in Costa Rica, purtroppo.
L’indomani partiamo per la capitale: San Josè. Il pullman che ci eravamo riproposti di prendere non ha più posti liberi, avremmo dovuto prenotare, e così arriviamo fino a Quepos e ne prendiamo un altro molto più scalcagnato ma il viaggio si dimostra stupendo; siamo gli unici turisti e percorriamo strade dissestate tra sterminate piantagioni di caffè godendoci i racconti della popolazione locale. Di notte arriviamo a San Josè e è ci dirigiamo, a piedi, verso l’ostello che si rivelerà caro anche se molto accogliente. La sera ceniamo in una sorta di Bar Sport costaricense, La Vasconia (Avenida 1, Calle 3,5), con foto delle squadre locali alle pareti e immagini della vecchia San Josè negli anni trenta. Il cibo economico e ottimo, lo consiglio vivamente.
San Josè invece è assolutamente dimenticabile e a parte il Teatro Nazionale, circondato comunque da orrendi palazzoni, non c’è nulla da vedere. Per le strade di notte si aggira una massa di disperati arrivati in città chissà come e chissà da dove e molti ricchi (ma saranno poi così ricchi nel loro paese?) europei e soprattutto americani che vanno nei casinò ad ubriacarsi e cercare di spassarsela con le siliconate bellezze locali, tristissimo!!!! Non rimaniamo più di una notte e il giorno dopo ci separiamo, Paolo andrà a Puerto Viejo, sulla costa caraibica dove comunque lo raggiungeremo, mentre io e Giulio avendo qualche giorno in più ci dirigiamo al confine con il Nicaragua per visitare il parco Tortuguero. Il parco è raggiungibile con un piccolo aereo che parte dall’aereoporto di San Josè o via fiume. Noi abbiamo scelto la seconda ipotesi, anche perché più economica. Si prende prima un autobus che parte dalla stazione dei bus detta “Caribe” e si arriva fino ad una grande piantagione di banane dove con un piccolo motoscafo si raggiunge il villaggetto che si trova all’interno del parco. Nel tragitto fluviale si vedono enormi coccodrilli tuffarsi in acqua mentre gli uccelli palustri si alzano in cielo. Proprio durante il viaggio verso il parco conosciamo la guida che ci accompagnerà nelle nostre avventure “tortuegueresi”, Pablo, che ci racconterà infatti che prende spesso il pullman da San Josè al Tortuguero per trovare turisti a cui vendere escursioni.
Appena arrivati ci sistemiamo in una pensioncina economica gestita da un’anziana signora. Attenzione solo ad una cosa: per questioni di risparmio, l’acqua negli alberghi del villaggio manca completamente di pomeriggio.
La sera stessa del nostro arrivo, dopo una lauta cena a base del consueto casado, partiamo per vedere la principale attrazione del parco in questo periodo dell’anno: la deposizione delle uova da parte delle tartarughe.
Si parte a piccoli gruppi di non più di 6 persone accompagnati da una guida che riceve le indicazioni per individuare le tartarughe da altri addetti che si trovano sulla spiaggia. Il tutto dura circa un’ora e non di più per non disturbare troppo le tartarughe ed è assolutamente vietato scattare foto per lo stesso motivo.
Quindi, ci muoviamo sotto un cielo ricoperto di stelle per prima cosa vediamo un armadillo, uno dei tanti animali a caccia di uova, pare infatti che non sia difficile scorgere dei giaguari che si spingono sulla spiaggia per lo stesso motivo, soprattutto verso il mattino quando ci sono meno turisti. Poche comunicazioni via radio tra la guida e le vedette ed ecco la prima enorme tartaruga verde, una specie di tartaruga marina. E’ veramente emozionante vedere questa gigantessa che dopo essersi trascinata lentamente dal mare scava la propria buca e, lacrimando dallo sforzo, depone circa cento uova che hanno la forma e la dimensione di palline da tennis. Alla fine ricopre il tutto e ritorna al mare. I pochi piccoli che sopravvivono ai predatori e ai nuovi pericoli come l’inquinamento e il bracconaggio, torneranno a deporre le loro uova sulla stessa spiaggia dove sono nate. Siamo completamente rapiti da queste enormi e placide creature che sembrano completamente incuranti di noi. La guida ci spiega che svegliandosi di buon ora potremo vedere alcune uova schiudersi e i piccoli uscire per andare in mare, infatti il giorno mi sveglio alle 5.00 ma a parte una stupenda alba e il piacere di scambiare due chiacchiere con i pescatori non vedo nulla, peccato.
Alle 6.30 parte il nostro tour fluviale nel parco, a bordo di una canoa che trasporta circa otto persone partiamo alla scoperta del parco che brulica letteralmente di vita: alligatori, uccelli di tutti i tipi, addirittura i tucani, tartarughe, lontre, pavoncelle, basilischi. Paiolo, la nostra guida, appena sente un rumore si ferma e pazientemente aspetta perché gli animali si rendano visibili e poi ci indica dove guardare. Unico neo: i turisti sono molti e non tutti vengono trasportati su canoe, ma alcuni su motoscafi che ovviamente disturbano gli animali e in qualche drammatico caso li uccidono, come è successo a un lamantino pochi giorni prima del nostro arrivo. Di pomeriggio andiamo a fare quattro passi all’interno del parco seguendo un breve percorso. È obbligatorio indossare degli stivali da pioggia per evitare i morsi dei molti serpenti e ragni velenosi che popolano il parco. La passeggiata è interessante, riusciamo a vedere scimmie e tucani, sarà l’unica volta che li vedremo in libertà, ma siamo letteralmente circondati dalle zanzare. Proprio al Tortuguero facciamo conoscenza con i nostri futuri compagni di viaggio, una coppia di tedeschi: Ian e Laura. Con loro infatti partiamo alla volta di Puerto Viejo, nei pressi di Limon, sulla costa caraibica al confine con Panama.
Nell’ultimo tratto di viaggio conosciamo un simpatico signore costaricense che ci parla dei disastri in cui incorrerà il suo paese se nel referendum per accettare o rifiutare il trattato di libero commercio con gli Stati Uniti vincesse il sì. Pare infatti che il Costa Rica pur avendo un territorio molto ridotto e povero di giacimenti di metalli preziosi, motivo per cui è stato quasi totalmente ignorato dai conquistadores spagnoli, vanto comunque un territorio sommerso ricco di minerali e se gli Stati Uniti potranno accedervi liberamente potrebbero stravolgere questo piccolo paradiso, per non parlare di tutti i lavoratori autonomi e delle piccole imprese che verrebbero letteralmente spazzati via dalle grandi ditte americane che potranno operare senza vincoli nel paese. Nel momento in cui scrivo questo racconto il referendum si è già svolto e i Sì hanno vinto, chissà quali saranno le conseguenze effettive. Occhi aperti e incrociamo le dita Torniamo al viaggio, arriviamo al tramonto a Puerto Viego e rincontriamo Paolo. Dormiremo nel miglior posto in cui abbiamo alloggiato in Costa Rica: il Rocking J’s.
Questo immenso ostello è stato creato anni fa da un texano giramondo e propone varie soluzioni per dormire: dalle tradizionali camere, alle amache, a tende da campeggio sistemate sotto una tettoia in legno, veramente confortevoli devo dire. Ci sono molti spazi comuni, come una bella cucina, molti tavoli e una grande capanna vicino al mare dove si trovano amache e comode poltrone. Qui conosceremo moltissime persone da tutte le parti del mondo e si consolideranno amicizie e affetti che proseguono tutt’ora, forse il posto in cui più mi sarei fermato a vivere in Costa Rica. Le spiagge sono molte: Playa de la Arena Negra vicino al centro della città, Playa Cocles nei pressi del Rocking J e affittando una bici si possono raggiungere anche le meravigliose spiagge di Punta Uva, dove è possibile anche fare snorkling ammirando la vivace popolazione dei banchi di corallo, e infine Manzanillo, un villaggetto dove le spiagge sono meno spettacolari, ma la popolazione locale è veramente allegra e accogliente.
La zona di Puerto Viejo ospita molti immigrati dalla Jamaica e quindi la popolazione locale è quasi esclusivamente mulatta e si suona reggae e calypso sempre, ma veramente sempre! Dopo un paio di giorni a Puerto Viejo partiamo alla volta di Panama per visitare l’arcipelago di Bocas del Toro. I due paesi sono separati da un ponte assai dissestato e una volta espletate le procedure doganali alla frontiera di Sixaola, raggiungiamo in taxi Finca 63, nei pressi di Changuinola, per prendere la lancia che ci porterà a Bocas o meglio all’isola principale dell’arcipelago: Colon. L’atmosfera è piacevole e siamo circondati da colorate casette coloniali ma non pernotteremo nell’isola principale bensì nell’isola di Bastimento dove non possono circolare auto e la spiaggia pare essere vicina al centro abitato. In realtà non è proprio vicinissima, bisogna infatti procedere per una buona mezz’oretta per sentieri un po’ accidentati ma alla fine eccoci a Wizard Beach, paradiso dei surfisti.
Ceniamo nel ristorantino di una signora americana un po’ rovinata che si trova vicino alla palafitta dove pernottiamo e dopo una meravigliosa e abbondante cena di pesce veniamo allietati da un signore sdentatissimo che ci suona dell’ottimo calipso e ci invita al concerto che lui e il suo gruppo, i Bastimento Beach Boys, terranno il giorno dopo nella sala concerti dell’isola, una pista di cemento coperta da teli neri, nulla più.
Prima dell’appuntamento mondano il giorno dopo però ci aspetta un’escursione con una piccola lancia per le isole dell’arcipelago. In primo luogo visitiamo una baia dove è possibile ammirare i delfini giocare con le onde prodotte dalle barche, dopo di che ci tuffiamo in acque cristalline dove possiamo fare un po’ di snorkling ed ammirare i pesci e gli animali multicolori che popolano i banchi di corallo sotto di noi,veramente spettacolare anche se non bisogna immaginarsi le immense barriere coralline delle Maldive o dell’Australia, qui la cosa è ben più ridotta ma si rimane soddisfatti, garantisco. Si completa l’escursione con una tappa alla Spiaggia delle Rane Rosse “Red Frog Beach” (anche qui si parla lo strano inglese creolo di Puerto Viejo) dove sulla strada per la spiaggia possiamo scorgere molte minuscole rane rosse con puntini neri, abbiamo imparato a riconoscere questi segnali dettati dai colori sgargianti delle rane: veleno, quindi si guarda e non si tocca.
Una volta tornati a Bastimento mi godo il concerto di cui sopra e faccio conoscenza con el capitan, un signore mulatto dal portamento regale, con sua moglie e un loro amico ubriacone. Belli allegri e generosi, mi pagano talmente tante birre che torno un po’ brillo.
La sera si cena a Colon e il giorno seguente, dopo una notte insonne passata ad ammirare i riflessi della luna sulla laguna accoccolato nelle amache sulla palafitta, si parte alla conquista delle spiagge di Colon. Io e Giulio salutiamo i nostri amici tedeschi che sono rimasti con noi fino a quel momento e partono per San Josè e affittiamo due biciclette e dopo un lungo, accidentato e a volte un po’ ostico percorso raggiungiamo una spiaggetta dove conosco una signora kuna che vende oggetti dell’artigianato tipico del suo popolo. Questo sarà l’unico grande rimpianto del mio viaggio, non essere riuscito ad arrivare fino all’arcipelago di San Blas dove vive questa popolazione fiera e patriarcale e dove il sapere viene tramandato dalle donne che ereditano la ricchezza della famiglia, se solo avessi avuto più tempo… Comunque al ritorno veniamo colti da un temporale e abbandoniamo l’idea di raggiungere la seconda spiaggia di Colon. Considerazione su Panama: il paese è più povero del Costa Rica, e ciò si nota dello squallore delle abitazioni e dal fatto che la gente trovi sempre una scusa per chiederti un balboa, la moneta locale equivalente al dollaro. Ma l’atmosfera è piacevole.
Ritornando al viaggio, il giorno dopo si ritorna a Puerto Viejo, dove il tempo scorre placido e piacevole tra serate danzereccie al ritmo di reggae, cene di pesce, batidos di frutta sulla spiaggia, falò fino all’alba con gli altri ospiti dell’ostello ed escursioni al vicino parco di Cahuita, gestito dalla comunità locale e in cui è facile ammirare scimmie, coati, procioni mentre il mare cristallino ospita banchi di corallo. Cahuita è anche la residenza della star locale Mr Fergusson, grande del calipso che si è rifiutato di incidere il suo unico disco in studio, alla tenera età di 80 anni, per non doversi spostare nella capitale. Così lo studio si è spostato lì, nell’alberghetto che è da sempre proprietà della sua famiglia. Consiglio il suo mitico disco Mr Bambodee, semplicemente chitarra e voce, è eccezionale.
Per fare il bravo e non rischiare di perdere l’aereo per il ritorno da San Josè dovrei partire con un giorno d’anticipo e trascorrere una giornata nella capitale, ma perché sprecare un giorno nel cemento che tanto mi assalirà una volta tornato a Torino e così perdersi la prima notte del Festival ArteViva, festa di arte – artigianato e musica che si svolge ogni anno proprio a Puerto Viejo?Mai!! Infatti tra un concerto di calypso, una festa in strada e l’ultimo falò in compagnia, prendo il pullman per San Josè alle 7 di mattina e arrivo all’aereoporto da dove un aereo mi riporterà nella vecchia Europa.
Un bel viaggio, in un paese che è riuscito a difendere una natura unica e selvaggia, dai ritimi rilassati e con una popolazione gioviale e accogliente. Costa Rica, Pura Vida!!!