La strada in Mozambico
Si offrono di compilare i moduli da presentare alla polizia, dietro un piccolo compenso naturalmente. Più che a questo, sono utili per raccapezzarsi su quale fila faccia il caso nostro, quale timbro va messo e su quale documento. Alla frontiera sono poche le persone che entrano in Mozambico, decine e decine quelle che ne escono, un paio di turisti: un solo sportello per l’una e l’altra fila. Un signore mi chiede di compilare il modulo per lui: sta andando in Sudafrica ma non sa scrivere né leggere. Il compito si presenta più difficile del previsto: il suo passaporto è scritto a mano, tutte le indicazioni sono scritte con una calligrafia flautata che stento a leggere. Un’altra persona accorre a sua volta in mio aiuto e così in tre riusciamo a compilare il modulo per l’uscita dal paese. Con l’auto finalmente entriamo in Mozambico: direzione Maputo e poi la EN1 verso Nord, per raggiungere Vilanculos, punto di partenza sulla costa per visitare le isole dell’Arcipelago di Bazaruto. La EN1 è l’unica strada asfaltata che attraversa il paese da sud a nord: una sola corsia ad andare e una a venire. Buche grosse come crateri si stagliano sull’asfalto improvvisamente e, per lunghi tratti, ti costringono ad andare a non più di 30 chilometri orari. Siamo a bordo di una Fiat Fiesta nuovo modello color azzurro metallizzato e ci guardano come marziani: le uniche auto che incontriamo lungo i più di 800 chilometri percorsi ad andare ed altrettanti a tornare sono grossi fuoristrada, i pulmini, le corriere stracariche di persone che trasportano galline, prodotti dell’orto, manufatti artigianali e borsoni da una cittadina all’altra. Sul ciglio della strada decine di persone che camminano, percorrono chilometri e chilometri a piedi, cercano di raggiungere la cittadina più vicina e, se hanno qualche metical, salgono sulle corriere alla fermata prestabilita. Ad ogni fermata donne e uomini offrono frutta, acqua, cibo e ogni genere di conforto: si ammassano ai finestrini della corriera ed ogni transazione avviene attraverso il vetro. Bambini piccolissimi camminano per chissà quale destinazione, magari al seguito di qualche adulto o un fratello più grande. Pensiamo che non abbiamo mai visto bambini di età così piccola che camminano a piedi: il nostro sguardo è abituato ad incrociare i bambini nelle nostre città che fino a tre quattro ani vengono portati nel passeggino. Qui i bambini vengono trasportati sulle spalle in marsupi realizzati artigianalmente con grandi stoffe colorate e stanno abbarbicati sulla schiena delle madri, delle nonne fino a quando non muovono i primi passi. Da allora in poi camminano e non hanno altro sostegno che il loro equilibrio e, qualche volta, la mano di un adulto. Maputo è una città caotica, sospesa tra il passato e futuro, tra povertà e ricchezza improvvisa, tra arretratezza e la tecnologia che arriva senza alcun passaggio intermedio. Questa strana schizofrenia è evidente soprattutto nel resto del Paese: donne che camminano per chilometri, portando sulle spalle un bambino che si sporge per nutrirsi al seno e sulla testa un enorme cesto pieno di oggetti, parlano al telefono cellulare e raggiungono la loro casa di paglia e terra. Subito dopo Ressano Garcia ti accorgi che la vita si svolge lì, in quello spazio aperto attorno ad una minuscola capanna che conserva solo un materasso a terra per passare la notte: fuori la vita di tutti i giorni, con pentoloni posti sul fuoco all’esterno, panni lavati nel lago o nel ruscello e stesi al sole vicino alle palme, bambini che giocano nei paraggi con ciò che trovano sulla strada. I bambini sono bambini soprattutto in Mozambico: dove una ruota si trasforma in un trenino e un tronco abbandonato in un catalizzatore di attenzione per messa dozzina di bambini alti un metro o meno. I bambini ti fanno V con le dita quando passi e qualcuno, soprattutto i più grandi, tendono la mano per chiedere qualche spicciolo. Se sosti in un paesino, si offrono di guardarti l’auto e stanno lì fermi davanti alla macchina per ore finchè non torni per ricevere la loro mancia. Lungo i chilometri che separano da Tofo e daVilanculos il paesaggio cambia radicalmente: dalla vegetazione arida della savana a intere foreste tropicali. Palme e palme a perdita d’occhio mentre un cartello ci avverte che stiamo attraversando il Tropico del Capricorno. Lungo la strada, nelle cittadine e nei mercati gli anziani si contano sulla punta delle dita. In Mozambico la vita media è di 40 ann. Un paese senza anziani.
Le donne del Mozambico ti ipnotizzano. Hanno un portamento eretto e fiero, nonostante i chili portati sulla testa e sulla schiena e se le guardi loro non abbassano lo sguardo. Piantano i loro occhi dentro ai tuoi, finchè l’imbarazzo e il disagio non ti costringono ad abbassare lo sguardo. In quegli occhi sembra di leggere una sfida, o piuttosto una consapevolezza, una dignità che raramente riusciamo a leggere negli occhi di chi incontriamo distrattamente lungo le strade delle nostre città. In Mozambico capisci improvvisamente, come in un’illuminazione, il senso profondo del lavoro. Lavorare vuol dire coltivare qualche patata e farsi cento chilometri a piedi o in corriera per raggiungere il villaggio più vicino e sperare di venderle… perché patata dopo patata potrai abbandonare la capanna di paglia con tetto di lamiera trattenuto su con le pietre e mettere in piedi una piccola casa di pietra: mattone dopo mattone, per te e la tua famiglia. Dopo un giorno di sosta a Xai Xai, località balneare che d’inverno è abbandonata e particolarmente malinconica, raggiungiamo Tofo, sulla penisola di Inhambane. Tofo ti spiazza: all’inzio sei perplesso. Non te l’aspetti così: il mare troppo agitato, la spiaggia troppo lunga, le camere troppo spartane e il mercato confuso e sporco dove tutto si confonde nella sabbia. Eppure bastano poche ore per capire Tofo e perché tutto ti sia chiaro. Tofo è un luogo dello spirito per lo spirito e la suggestione di questo posto sperduto è tutta lì. In questa sensazione di aver raggiunto un luogo magico, che solo pochi possono capire e apprezzare. In qualche stardina di sabbia, in pochi e spogli bungalow sulla spiaggia, nei suoi abitanti, in chi ci è nato e in chi l’ha scoperto e non l’ha lasciata mai più, nel mercatino che sorge a ridosso della spiaggia dove convivono pacificamente, immersi nella sabbia, pezzi di artigianato, verdura, parei, cibi, biscotti, bevande e le fondamentali torce, a pranzo le donne preparano un piccolo barbecue e cucinano wurstel e pollo che hanno portato in un secchio pieno di ghiaccio. A Tofo abbassi le difese e ti senti semplice. Passi la giornata a passeggiare lungo la battigia, lunga chilometri e chilometri, scansando bizzarre e gigantesce meduse arenate e incroci si e no una ventina di turisti di tutte le nazionalità: sembriamo naufraghi che hanno raggiunto l’ultima spiaggia. Tofo is simple, cita un articolo appeso alle pareti del ristorantino sulla spiaggia che cucina si e no cinque cose. E’ questo il segreto. A Tofo tutto è semplice, semplici i rapporti con le persone, semplice vestirsi, semplice mangiare, semplice trascorrere le giornate. Perché a Tofo non fai che scrivere. Coppie e viaggiatori solitari la sera si ritrovano in quei due posti dove si può mangiare qualcosa e bere una birra e scrivono: nascono taccuini di viaggio, riflessioni, il libro della vita. A Tofo vivi sulla spiaggia, accompagnato continuamente dal rumore dell’oceano con la sua onda lunga. L’onda e il suo canto diventano la colonna sonora delle giornate infinite e senza tempo e la sabbia la tua strada. La notte ti addormenti sotto la zanzariera, cullato dal rumore dell’oceano e al risveglio ritrovi quello stesso canto che ti accompagna tutto il giorno. Tutti i giorni. Finche stai a Tofo. A Tofo vive la leggenda: poche colonie dello squalo balena abitano le sue acque e tutti noi approdiamo a Tofo nella speranza di vederli. Qualche gruppo organizza sea safari e ci uniamo a loro: vaghiamo per due ore in mezzo all’oceano senza vedere assolutamente nulla. A un tratto ci gridano di buttarci e ci indicano la direzione nella quale nuotare. Lui è lì, proprio sotto di noi. Lunghissimo con i suoi pois bianchi sul dorso e la testa si perde nelle profondità del blu. In un secondo, in un respiro, scompare e ti resta la labile sensazione di averlo solo sognato. Questa è l’emozione con la quale ricordiamo Tofo e la nostra malinconia nell’andare via. La nostra meta finale è Vilanculos, sulla costa alle porte dell’Arcipelago di Bazaruto, celebre soprattutto per i suoi resort extra lusso che accolgono turisti in luna di miele all inclusive. Anche Vilanculos è tutta sabbia. Le capanne di paglia e terra sorgono accanto a ville extralusso abitate da bianchi che non hanno alcun problema ad affacciare i loro balconi sulle povere casette, dove non arriva l’acqua potabile e le donne devono andare al pozzo più vicino per prenderla. I bambini qui conoscono i turisti, tendono la mano alla ricerca di monete, ti guardano sospettosi, quegli occhi sempre duri e fieri. Una sfida. Distogli lo sguardo per imbarazzo o per senso di colpa… Sulla spiaggia un pescatore cerca di tirar su una lenza con tutte le sue forze. La rete è lontanissimia, si perde nel mare. Accorrono ad aiutarlo bambini, donne, altri pescatori in un silenzioso O’issa che si ripete, identico, qualche metro più in là. Qualche operatore bianco trasferito qui dall’Europa ha messo su un servizio di escursioni in Dhow, la caratteristica barca di pescatori di legno. Si va a vela. Se non c’è vento si sta fermi, alla mercè delle correnti, in attesa che il vento spinga un po’ più in là la vela, rattoppata in mille punti . Nel frattempo i due ragazzi che ci accompagnano preparano pop-corn e tè e sulla spiaggia dell’isola di Magaruque allestiscono un gustoso pranzo a base di riso e verdure. Un paio di bambini con indosso un pezzo di stoffa di piccolissime dimensioni aspetta paziente che avanzi qualcosa e se ne va via con un pentolone pieno di cibo. Le meduse arenate sono enormi e trasparenti; le incontri anche in acqua, insieme a pesci pappagallo, pesci napoleone e altri abitanti delle acque tropicali, e le scansi facilmente grazie alle loro dimensioni: facciamo uno slalom tra le meduse. La strada da nord a sud, di ritorno verso al frontiera, è lunga 800 chilometri: la strada è un palcoscenico e ce la godiamo fino all’ultima goccia. La sfilata delle donne dai lineamenti delicati e dallo sguardo fiero, i bambini alti pochi centimetri che camminano malfermi ma determinati, adolescenti già grandi che vegliano sui più piccoli e, se possono, giocano con qualche curioso oggetto abbandonato sulla strada, corriere strapiene di persone, animali e cose, mercati coloratissimi ricchi di frutti e ortaggi allestiti alla buona sul ciglio delle strade, nei pressi dei villaggi.
Una sola strada, per salire e scendere, per andare e venire, per vivere e morire. A quarant’anni, da vecchio. Sul ritorno ci fermiamo sulla strada da un venditore di statue di legno. Ne compriamo una dopo aver contrattato per il valore di circa sei euro, circa duecento metical. Mi sbaglio e gli consegno duemila metical, sessanta euro. Lui non si scompone, si fa anche scattare una fotografia con sguardo sfuggente. In Mozambico il reddito medio annuo di una persona si aggira intorno agli ottanta dollari.
In Mozambico si dice che se hai una fortuna improvvisa la devi condividere con tutta la tua famiglia.
Mi piace pensare che quella sera abbiano fatto festa al villaggio. E che i bambini abbiano mangiato carne a volontà.