Botswana, Vic Falls e Mozambico via Sudafrica
Autonoleggio Bushlore, costo per 20 giorni circa 2000 euro (toyota hilux 2.5 DC, doppio serbatoio, equipaggiamento completo per il campeggio, tenda sul tetto, biancheria, sacchi a pelo e frigorifero).
Parchi in Botswana: impossibile prenotare dall’Italia a luglio per settembre, c’è solamente un fax a cui spedire le richieste, ma non rispondono, tuttavia a settembre i parchi non sono mai al completo, quindi arrivando ai cancelli è altamente probabile trovare posto… eventualmente, se proprio andasse male si entra e si esce in giornata. Costo parchi: 350 pula al giorno (auto + ingressi e campeggio per 2 persone).
I supermercati sono forniti di tutto, si mangia ottima carne, generalmente di bovino, si trova un po’ di verdura fresca (pomodori, zucche, patate, insalate varie, frutta).
Profilassi per la malaria con Ledum palustre.
Guide: Botswana e Zimbabwe a cura di Olivo e Bauce – ed. Polaris (ottima per le cartine disegnate dall’autore), Botswana a cura di Bersanelli – ed. Fbe (contiene utilissime indicazioni GPS), Botswana e Mozambico ed. Lonely Planet EDT (buona per le sistemazioni).
Cambi: 1 euro = 8 pula / 9.2 ZAR / 35 meticais / 1.38 USD Costo totale del viaggio per due persone (volo, auto, parchi, campi e lodge, visti carburante e cibo) 6000 euro.
DIARIO 01 settembre Atterriamo a Joburg, uno dei cani dell’aeroporto fiuta il parmigiano in valigia e il poliziotto lo requisisce mettendoselo in tasca.
Ci viene a prendere l’autista dell’autonoleggio Bushlore, ci consegna l’auto e partiamo.
Prima di sera facciamo spesa grossa in supermercato, vini sudafricani inclusi!! Neppure Bushlore è riuscita a prenotare i parchi in Botswana, però ci ha prenotato la prima notte al Waterberg Wilderness Reserve. Sconsigliamo questa sistemazione per vari motivi, il primo dei quali è che richiede una deviazione di circa 1 ora e mezza, quasi tutta su sterrato, qua e là anche impegnativo. Il secondo è che per arrivarci bisogna attraversare recinti veterinari privati, che, come è capitato a noi, possono essere chiusi a chiave; infine si tratta di un semplice campeggio semi incustodito.
Lungo la strada che da Joburg porta a Martin’s Drift abbiamo visto parecchi B&B, sicuramente più confortevoli e più comodi per la tappa di trasferimento.
02 settembre Sveglia al Waterberg. Finalmente ci guardiamo intorno (eravamo arrivati al buio), ma sono solo cespugli… e la sagoma di un grosso babbuino che fila via appena si vede scoperto.
Partiamo, ma a metà strada, prima della statale, troviamo un cancello chiuso con 3 lucchetti. Torniamo indietro, c’è una villa bellissima dotata di recinto elettrico alto 4 metri (il cartello minaccia armi e corrente a 8-10.000 volt). Non si capisce se la paura è per gli animali o per le persone, comunque scendo dall’auto e mi faccio vedere: turista bianca; il padrone di casa mi vede, non si avvicina, ma chiede cosa voglio restando lontano, gli spiego, risponde che manderà qualcuno ad aprire. E così è.
250 km (circa 3 ore) e siamo al confine col Botswana.
La frontiera richiede la compilazione di un po’ di moduli, ma i funzionari sono abbastanza veloci, un’ora tra uscire dal Sudafrica e entrare in Botswana e 60 pula di tasse per l’auto.
Appena passata la frontiera mi emoziono a pensare di essere finalmente qui, nel “grande Paese” della signora Ramotswe, un immenso altipiano a 1000 metri, dove si vede all’infinito e le persone sanno sorridere con il cuore.
Immediatamente si percepisce la differenza col Sudafrica: in Botswana sembra che essere neri non sia doloroso, né essere bianchi pericoloso… Insomma qui è chiaro chi è il padrone di casa e chi l’ospite.
Dobbiamo arrivare a Nata, dove abbiamo prenotato una safari tent (www.Natalodge.Com). Come sempre riesco a farmi fotografare da un autovelox, ci fermano, ci mostrano l’infrazione, atto di pentimento, verbale, pagato, saluti.
Abbiamo la patente internazionale, che è risultata utile molte volte, poiché in tutto il viaggio (in tutti e 4 i paesi) abbiamo incontrato controlli di polizia lungo le strade… e pare che a loro faccia piacere trovare documenti comprensibili e affidabili, anche se ci sono sembrati comunque gentili e comprensivi.
Di nuovo arriviamo col buio, manchiamo l’ingresso, che è segnalato lungo la strada, perché il loro generatore fa le bizze e non vediamo l’insegna illuminata, telefoniamo (il GSM prende benissimo) e ci danno le indicazioni… intanto il generatore è ripartito e vediamo bene l’insegna.
I 60 km guidati al buio sono davvero un’esperienza… Non ci sono lampioni né paracarri, sono somari o vacche sul bordo della strada, pronti ad attraversare all’improvviso.
Il Nata lodge è molto carino, la safari tent una delizia, la cena appagante. Nulla di lussuoso, ma confortevole e curato. E poi c’è il personale che è davvero disponibile e di buon umore… Speriamo di tornarci.
03 settembre Colazione serafica, oramai inebetiti ci sembra tutto bello, ci sentiamo felici, pieni di appetito per questa africa botswana così pacifica, semplice e un po’ selvatica.
Tiriamo su Maun, il tizio di Bushlore ci ha consigliato così anche se noi preferivamo puntare su Kasane… (Abbiamo appurato che Bushlore va benissimo per il noleggio dell’auto, ma per l’organizzazione del viaggio si fa anche meglio da sé) Lungo la via proviamo la pista che porta allo Nxai pan. E’ sabbia finissima, inguidabile a pneumatici gonfi, bisognerebbe sgonfiare ma abbiamo ancora molti km su asfalto, non siamo sicuri del carburante a nostra disposizione… insomma, torniamo indietro dopo 15 km. La deviazione ci “costa” 1 ora e ci fa guadagnare un’idea sulla guida su queste piste sabbiose e un po’ di dimestichezza col GPS.
Verso le 15 siamo a Maun, rifornimenti, tentativo di prenotazione parchi (inutile!) e ricerca del campeggio Kaziikini nei pressi del South Gate di Moremi.
Niente da fare, non lo troviamo, torniamo a Maun e ci fermiamo all’Audi Camp (previo ultimo rabbocco carburante, non ne avremo più possibilità fino a Kasane).
L’Audi Camp è un buon posto, i bagni sono davvero belli, arredati etno-tecno, le docce sotto le stelle, c’è una piccola piscina vicino al fiume e un buon ristorante a cucina aperta, che fa un’inattesa salsa guacamole (con gli avocados africani!!).
Unico difetto (tollerabile!) dell’Audi è la strada vicina, su cui inizia un traffico furibondo alle 5 della mattina, che si calma verso le 8.
04 settembre Partiamo per Moremi, un po’ prima del South Gate vediamo il Kaziikini (la ranger ci aveva dato indicazioni errate, così avevamo seguito una deviazione sulla sinistra ingannati anche da un cartello senza freccia…), seguendo la strada principale lo si trova sulla sinistra pochi km prima del South Gate, più o meno a 35 km da Maun; non ci siamo entrati, quindi non sappiamo in che condizioni sia (meglio verificare tramite il sito internet dedicato).
La cartografia del Botswana lascia un po’ a desiderare, sulle cartine sono segnate solo le direttirici principali. Nei parchi non abbiamo mai trovato le mappe dei sentieri, ci siamo orientati “a memoria”, con i disegni sulla guida Polaris e col GPS. Esistono delle mappe edite dalla Shell, ma si trovano in città e nei lodge… non nei parchi. All’interno dei parchi non ci sono molti segnali, in compenso i sentieri e le deviazioni sono tantissime… Avendo un GPS non c’è problema, ma senza è meglio tenere d’occhio l’orologio e la strada per non trovarsi al buio lontano dal campo…
Già prima del cancello incontriamo delle giraffe e qualche impala.
Sgonfiamo i pneumatici a 1 atmosfera, d’ora in avanti non incontreremo asfalto per giorni (comunque abbiamo il compressore nell’attrezzatura dell’auto).
Al cancello ci danno la piazzola a Xakanaxa per 2 notti, ci studiamo una posizione fuori dalle tracce animali che vanno alla palude, poi iniziamo a bighellonare per il parco.
Quasi subito, a non più di 3 km dal campo Paolo vede la carcassa di un elefante, ci avviciniamo con la macchina e all’improvviso, tra l’erba gialla vediamo un leopardo!!!! Siamo soli, emozionati e felici… Iniziamo a scattare foto come forsennati, il leopardo si sposta, si fa fotografare mentre strappa lembi di elefante.
In giro per Moremi è un susseguirsi di scorci meravigliosi, alberi immensi, acqua, erba, animali, quiete e vita.
Torniamo al leopardo, che si è sistemato su un ramo in alto.
Arriva il buio, un ippopotamo, qualche elefante intorno alla tenda.
I campi in Botswana non sono recintati, assolutamente non ci si sposta a piedi nel buio, si accende sempre il fuoco la sera. I più attrezzati dispongono piccoli recinti di fiaccole intorno al proprio spazio, qualcuno aveva addirittura un piccolo recinto elettrificato a 12 volt…
Noi ce la siamo cavata col fuoco e con la lampada a gas, ritirandoci in tenda quando anche gli altri spegnevano i loro fuochi. Il ritmo di vita segue la luce del sole, ci si sveglia con l’alba e quando è buio ci si ferma.
Nei bagni non c’è corrente elettrica, ma c’è l’acqua tiepida, la doccia si fa nella penombra, il phon non è utilizzabile, ma l’aria è talmente secca che ci si asciuga in un attimo.
05 settembre La mattina, vicino al campo ci sono le orme di 4 felini.
Torniamo al leopardo… lui è in alto, su un ramo tra le foglie, sotto c’è l’elefante morto, in alto su un altro albero senza foglie gli avvoltoi e tra l’erba, questa volta, i leoni.
Oggi la notizia si è diffusa, ci sono altre auto oltre alla nostra.
Seguiamo una land guidata da un ranger per fare qualche guado… e perdiamo la targa anteriore dell’auto.
Andiamo fino a 3rd bridge e verso Mboma Island.
Troviamo anche un ghepardo che aspetta di attaccare una gazzella all’ombra di un albero.
Tornando a Xakanaxa ripassiamo dal “dead elephant” e proprio in mezzo alla strada, a ostruire il passaggio, si è steso un leone. Aspettiamo un po’ e poi troviamo un passaggio da brivido tra lui e i cespugli.
La sera, nel buio lo sentiamo ruggire, facciamo per salire in tenda e nel buio vediamo due occhietti che si avvicinano al campo… 06 settembre Torniamo ai leoni, sono sempre lì, col muso rosso di sangue, sonnacchiosi ma ugualmente potenti.
Ci dirigiamo a est, verso Kway, cercando le hippo pools, e progressivamente il paesaggio cambia, è meno verde, ci stiamo allontanando dal delta, sebbene ci sia ancora il fiume nei paraggi.
La strada non è ben tracciata, anche col GPS non riusciamo a seguire il fiume, le piste finiscono in pozze che non sono attraversate da tracce di ruote, e poi siamo completamente soli, se ci areniamo chi ci tira fuori? Cerchiamo la pista principale che passa un po’ all’interno e scopriamo che quella lungo fiume è danneggiata e in disuso, la riprenderemo più avanti. Cerchiamo gli ippopotami, troviamo buceri, bucorvi, facoceri e gazzelle. Il sole inizia a scendere, siamo in mezzo a un mare di bivi che si intrecciano, ogni luogo sembra già visto e diverso. Il GPS segna Kway, così seguiamo la direzione e arriviamo un po’ prima del tramonto.
Qui il campo è un po’ più animato, ci sono piazzole sotto gli alberi e in uno spiazzo più esposto.
Non abbiamo la prenotazione, ma ci accampiamo ugualmente, pagheremo domani, al cancello.
07 settembre Passiamo il ponte di Kway, che, come tutti i ponti in Moremi, è rumoroso e fatto di tronchi mobili.
A Kway ci sono piccoli chioschi che vendono acqua, birra e poco altro.
Andiamo in direzione di Savuti, 112 km a destinazione. Ci sono due vie: una a sinistra lungo la duna (sandridge) preferibile nella stagione umida e una a destra (the marsh) che col secco sembra meglio (meno sabbia, ma più buche di fango secco… C’è l’imbarazzo della scelta!).
La prima parte, però, è in comune e segue il fiume Kway, che qui è ricchissimo di elefanti, ippopotami, uccelli.
Ci fermiamo a fare una foto, scendiamo dall’auto e ci accorgiamo che uno dei tronchi spenti ieri sera (e freddo questa mattina), con l’aria del viaggio si è riacceso… lo sleghiamo e lo immergiamo in acqua. Per fortuna nessun danno.
Se non ci fossimo casualmente fermati in tempo sarebbe stato davvero un problema… e per fortuna eravamo in una zona ricca d’acqua, dove abbiamo facilmente spento il fuoco e comunque non si sarebbe sviluppato un incendio.
Progressivamente i luoghi si fanno più riarsi, si percepisce la distanza dall’acqua. Seguiamo il marsh, incontriamo pochi animali, e quasi tutti a pochi km dal campo. Sono immobili sotto la poca ombra e vicino alle pozze quasi asciutte.
Il caldo è terribile, beviamo continuamente e siamo sempre assetati.
Il campo è caratterizzato da un bunker antielefante che circonda i bagni, è un terrapieno spesso 5 metri, che verso l’esterno è contenuto da blocchi di cemento. C’è una cancello a strisce orizzontali di metallo (a dimensione umana) che permette di entrare, e che normalmente sbatte, richiuso da una molla, così sulle strisce ci sono preghiere scritte a pennarello dai turisti, in tutte le lingue (italiano e indiano inclusi), di accompagnare con delicatezza la chiusura.
Qui veniamo svegliati alle 5 della mattina da un ruggito talmente forte (e quindi vicino??) che ci sentiamo rizzare i peli della schiena. Immobili e sottovoce aspettiamo il prossimo, arriva. Poi ci riaddormentiamo fino all’alba.
08 settembre Giro intorno a Savuti cercando il leone, ovviamente! Niente da fare, anche se troviamo impronte nella sabbia e carcasse di elefante dappertutto.
Vediamo molti rapaci, aquile, avvoltoi, falchi e un gufo enorme.
E’ un luogo inquietante, si sente la lotta per la sopravvivenza, una sorta di disperazione… il letto del fiume Savuti è asciutto dagli anni ‘80, sentiamo la mancanza dell’armonia di Moremi… forse anche noi sentiamo la lontananza dell’acqua e del suo potere vitale.
Decidiamo di raggiungere il Chobe.
La strada è molto sabbiosa e stretta nei primi 40 km, poi si allarga e acquista un po’ di consistenza per altri 40 km, infine si trasforma in terra battuta, proprio dove si torna a vedere un fiume: il Chobe.
Il primo villaggio è Kachikau. C’è un negozietto di Botswana crafts (cesti e vasi). Cose belle e mai più trovate altrove, vendute da una donna che, come tutte le donne di questi posti, trasmette eleganza, solidità, vita e semplicità… le adoro.
Un po’ più in là 500 pellicani sul fiume e vacche al pascolo.
La strada prosegue abbastanza dritta, tanti baobab; poi fa 1 sola curva a gomito verso dx, pericolosa e segnalata con un cartoncino legato a un ramo (ma è segnalata anche sulla guida Polaris!).
Si sbuca a Ngoma Bridge, c’è la frontiera con la Namibia, svoltiamo dx e sx ed entriamo nel parco Chobe. Dormiremo a Ihaha. Dopo un po’ di bush si apre una visione immensa sulla pianura di fronte, piena di verde, acqua e animali. Le zebre galoppano e giocano, brucano o pisolano… C’è spazio, acqua e cibo per tutti.
La strada segue il fiume, si incontrano impala, antilopi roane, kudu, bufali, facoceri, zebre, giraffe, si lasciano avvicinare e scartano saltellando all’ultimo momento (i bufali no…).
Le foto sono tantissime e irresistibili, la luce è bassa, verso il tramonto, e il colori sono eccezionali.
A Ihaha ci sistemiamo tra due piazzole, vicino a dei Namibiani. Tramonto sul fiume, vinello bianco, si chiama Lyric (nulla di più consono!) Siamo a 30 metri dal fiume, sotto l’acqua si intravedono forme strane (sassi? coccodrilli?), tanti uccelli, aironi, aquile, papere. Scende il buio e dopo poco sentiamo un fruscio nell’erba… sono 10 elefanti che passeggiano tra noi e il fiume in silenzio. I Namibiani hanno un faro abbastanza potente da illuminarli bene, sembrano fatati, ci tengono d’occhio, ma camminano tranquilli.
09 settembre Giro lungo per il Chobe, anche nelle zone interne, meno ricche, ma molto suggestive.
Pic nic sotto un albero lungo il fiume… forse da incoscienti, 20 metri più in là abbiamo poi scoperto esserci dei bufali. Elefanti a non finire, tantissimi cuccioli. Infine i leoni, anche loro con i cuccioli, che tentano un attacco maldestro a un’impala che scappa e fa una pernacchia da lontano.
Usciamo da Chobe, siamo a Kasane, cerchiamo un lodge senza aver prenotato. Troviamo posto al Chobe Marina (100 euro solo la stanza). È molto bello, la stanza è una suite, la doccia ci sembra faraonica. Ceniamo con 20 euro a testa nel lodge. I prezzi segnalati sui siti sulle guide sono molto più alti (almeno il doppio), forse abbiamo trovato tariffe da ultimo minuto.
10 settembre Destinazione Vic Falls. Denunciamo alla polizia lo smarrimento della targa (la denuncia ci tornerà utile più volte ai vari posti di blocco), frontiera (lunga), tasse varie (30 USD a testa per il visto più 150 pula per l’assicurazione auto, 140 pula tassa carburante, totale circa 100 USD) e Zimbabwe! 80 km e siamo alle Vic Falls. 20 USD a persona per l’ingresso, uno spettacolo incredibile, imponente e strabiliante.
È quasi il momento dell’anno in cui c’è meno acqua, ma le cascate sono comunque talmente ricche che in alcuni momenti sembra che piova e ci infradiciamo totalmente (macchine fotografiche comprese)… ma ci sia asciuga subito! Fuori dal sito delle cascate c’è un paesino in cui si possono trovare negozi di souvenir a prezzi europei. Si trovano anche alcune sculture in pietra (arte shona?), anche queste a prezzi europei ma davvero belle.
E’ pomeriggio inoltrato, tra 2 ore tramonta il sole, rinunciamo a passare la frontiera con lo Zambia lì vicina, decidiamo di tornare direttamente a Kasane.
In Zimbabwe si respira un’aria più tesa che in Botswana, si precepiscono le difficoltà economiche del paese e delle persone, rientrare in Botswana ci fa quasi sentire più al sicuro, “a casa”.
Notte al Chobe Safari Lodge, proprio sulla riva del fiume, camera spettacolare, 80 euro la stanza, 20 euro a testa la cena.
11 settembre A Kasane facciamo ancora rifornimento e poi via verso sud, sperando di raggiungere le spiagge del Mozambico, ma prima passeremo dal Makgadikgadi Pan National Park e da Kubu Island.
Tra Kasane e Nata troviamo il recinto veterinario, che ferma chi transita da Nord verso Sud. Ci fanno pulire le scarpe e le ruote dell’auto, poi ci fanno cuocere la carne che avevamo in frigo, altrimenti dovremmo buttarla via.
Notte di nuovo al Nata Lodge, con tanto di bagno in piscina.
12 settembre Verso il Makgadikgadi, si imboccano piste sabbiose, come sempre. Troviamo anche la vecchia strada “Nata – Maun” ora in disuso, ma segnalata ancora dal GPS, arriviamo al campo di Khumaga, tante carcasse di animali vicinissime al campo. Andiamo a fare un giro nel letto del Boteti, fiume ora quasi completamente secco, ci sono alcune pozze con così poca acqua che gli ippopotami che ci “nuotano” hanno la schiena asciutta. Anche qui l’ambiente ha qualcosa di spettrale, un po’ come a Savuti. Paolo questa sera ha fatto un fuoco enorme, ci sentivamo un po’ prede anche noi…
13 settembre Usciamo dal Makgadikgadi e ci dirigiamo verso le saline e Kubu Island. Non è facile trovare la pista, perdersi sarebbe facilissimo… troviamo un ranger con due turisti, gli chiediamo informazioni, lui ci spiega cosa fare (il testuale è stato: “stick to the main road”) … e scopriamo che i due turisti sono piemontesi come noi, loro vanno verso il delta.
Imbocchiamo la pista, savana, bush, poi le saline, immense e vuote.
Proviamo a fare i furbi e usciamo dalle tracce battute, facciamo due curve, forse 1 km e sentiamo il terreno più molle, le ruote che iniziano a invischiarsi leggermente, giriamo la prua verso la pista … e non la vediamo più! Fiduciosi facciamo riferimento al sole, ma la pista non si vede… per fortuna il GPS era acceso e col suo aiuto ritroviamo in fretta la traccia. Davvero non avremmo creduto di poterci perdere in due minuti, lì non c’è nessun riferimento ed è tutto così piatto che a distanza di 50 metri la pista è invisibile… Davvero un buon consiglio il “stick to the main road”!.
Tira gran vento, anche su Kubu Island. Raggiungerla è faticoso, la strada (50 km) è dissestata, ma merita.
Kubu Island è un luogo fantasma, i baobab sono tantissimi ed enormi, intorno il nulla.
Decidiamo di uscire dal Pan, anche se un po’ tardi. Altri 50 km di buche e spine, recinti da aggirare, bivi da indovinare… ma ce la facciamo.
Dormiamo a Letlhakane in un motel lungo la strada, si chiama Mikelele, passabile, serve cena e colazione.
Quando ci fermiamo scopriamo che l’allestimento interno del baule è crollato, le buche hanno rotto le saldature… un casino. Domani cercheremo un meccanico a Serowe.
14 settembre Arriviamo a Serowe e troviamo un’officina piuttosto grande, con operai anziani e apprendisti (per chi conosce la signora Ramotswe è esattamente l’officina del signor Matekoni, con tanto di signorina Makutsi in ufficio!). Ci fanno subito il lavoro, tocca scaricare e smontare tutto, poi saldare e ricaricare. Abbiamo tutti un compito, gli anziani ci danno istruzioni e consigli, gli apprendisti stanno a guardare e se la ridono.
Con 2 ore e 100 pula ci risolvono il problema e possiamo ripartire, purtroppo verso il confine. Sentiamo la malinconia arrivare, alla frontiera ci saluta, per ultima, una signora con un sorriso che era una carezza. Davvero impagabile la sensazione di sentirsi così a proprio agio, a casa, e allo stesso tempo essere così lontano, da casa.
Rientriamo in Sudafrica, maciniamo più km possibile verso il Mozambico. Ci fermiamo per la notte a Marble Hall alla White House Guest House (600 rand in tutto per la stanza e cena + colazione per due; www.Thewhitehouseguesthouse.Co.Za).
Chiacchieriamo un po’ con i sudafricani della guesthouse, sono accoglienti e simpatici, ritengono che il loro paese sia un po’ sottovalutato dal turismo europeo. Probabilmente hanno ragione, però è anche vero che il Sudafrica è “penalizzato” dalla vicinanza di paesi come la Namibia , il Botswana e il Mozambico che forse per noi europei profumano di più di Africa…Chissà? 15 settembre Verso il Mozambico, alla frontiera di Ressano Garcia.
Lungo la strada attraversiamo la zona del Kruger e degli aranceti. Viaggiando col finestrino aperto si sente forte l’odore delle zagare. Tutti i nomi delle località sono tedeschi o inglesi.
Alle 12.00 siamo alla frontiera. Una bolgia incredibile, bei tipetti dall’aria furbetta si offrono di aiutarci, dovremmo lasciargli i passaporti… non se ne parla.
I soliti moduli per i visti (25 USD l’uno) e per l’auto, oltre alla solita assicurazione (15 euro circa, vale 1 mese).
Verso le 14.30 siamo alle porte di Maputo, pecchiamo di presunzione e tiriamo su Ponta d’Ouro. Sono 120 km di sterrato, anzi, sabbia, insomma: sbagliamo strada, arriviamo in 5 ore, con le marce ridotte, il buio e il GPS che ci aiuta, per fortuna.
Tira un vento della malora, ha piovuto (e meno male, altrimenti la strada sarebbe stata anche più sabbiosa!), ci piazziamo nel primo posto disponibile: Motel Do Mar (850 rand per la camera, in riva all’oceano nel fine settimana, 630 negli altri giorni).
Qui gli standard sono molto più modesti che in Sudafrica o in Botswana… e i prezzi più elevati.
Cena al ristorante davanti all’ingresso del motel, l’Indigo (o qualcosa del genere), 1 kg di gamberi alla griglia in salsa di aglio e limone, una delizia, 10 euro.
16 settembre Ci svegliamo e non c’è più il vento, solo l’oceano di fronte e il sole della mattina presto, passeggiamo lungo la spiaggia, ci sono delle ville in costruzione, ma un po’ arretrate, non disturbano il panorama.
Decidiamo di spostarci, cerchiamo il campeggio di Ponta Molongane, con la luce le strade sono più affrontabili e così le distanze.
Troviamo un bungalow per 290 rand a notte, completo di cucina, ci stiamo 3 notti.
La spiaggia è immensa e deserta, il cielo grigio e la marea bassa, l’acqua dell’oceano incredibilmente tiepida.
Dietro la spiaggia c’è una duna di sabbia che protegge un interno molto verde, fatto di lagune, vegetazione spontanea e piccoli orti.
La notte sentiamo le zanzare (non c’è zanzariera nel bungalow…) ma niente malaria 17 settembre Qui il profumo dominante è quello del cespuglio della liquirizia, in Botswana c’era l’artemisia (soprattutto in Moremi) e in Sudafrica le zagare.
Finalmente spunta il sole, asciugamano, libro e relax totale.
Si fa il bagno, c’è anche un pezzetto di barriera corallina, bisogna stare attenti, la corrente è molto forte. Da riva vediamo i delfini.
A cena torniamo a magiare i gamberi a Ponta d’Ouro, col GPS! 18 settembre Oggi il sole è pienissimo, il cielo terso e limpido, l’oceano più quieto, ci si può godere un po’ di più l’acqua dell’oceano.
Dietro il campeggio c’è un piccolo villaggio (le donne vengono a prendere l’acqua con le taniche al rubinetto del campeggio…), compriamo pomodori e cipolle per il pranzo e poi ancora mare.
Finalmente è spuntata la luna, è coricata, sembra il sorriso dello Stregatto di Alice.
19 settembre Bagagli e si riparte. 3 ore e siamo a Maputo, via Catembe (traghetto). Scegliamo l’hotel Polana. Bellissimo e carissimo (168,85 USD la camera, la più modesta!). E’ costruito un po’ fuori dal centro, su una collina a picco sull’oceano, ha una grande piscina a pianta ottagonale, ci si sta bene. La cucina non è eccezionale ma in linea coi prezzi della camera.
20 settembre Tutta Maputo. Come da raccomandazioni lasciamo i passaporti nella cassaforte dell’hotel e portiamo con noi le fotocopie. Ci ferma un poliziotto un po’ agitato e ci fa una grana perché non abbiamo il documento. Non molliamo, se vuole andiamo insieme in albergo. Non si capisce se vuole soldi, forse no, molla lui la presa quando gli diciamo che il motivo della fotocopia è che non vogliamo rischiare di smarrire il documento per strada. Allora si raccomanda, per la prossima volta, di fare la fotocopia anche del visto, perché ci sono tanti clandestini che trattano droga e lui è lì per controllare. Ok…
Compriamo un po’ di statuette di legno, qualche capulana (i teli che le donne usano per tutto: gonna, marsupio per bebé, tovaglia…), batik e borsette di paglia, un po’ al mercato, un po’ per strada.
Maputo sembra ancora molto segnata dalla guerra, anche se si vedono segni di ripresa. Ci sono alcuni centri culturali molto ben curati, altri in stato di abbandono (la cooperativa del Makonde non esiste più).
Nel complesso è una bella città… come al solito con il buio è meglio girare in taxi.
Le persone sono belle, aperte e sorridenti, piene di dignità, soprattutto, come sempre, i vecchi.
Cena da Micasa, cara e deludente come al Polana, non merita l’uscita, anche se il cameriere è simpatico e chiacchiera di cucina tradizionale… introvabile perché pare che i turisti non la chiedano.
Insomma, si arriva in Africa e al ristorante si trovano patate e carote bollite con bistecchina di vitello.
21 settembre Partiamo verso Joburg, stasera abbiamo il volo per il Cairo e Milano.
Tutto ok, facciamo anche benzina in un sobborgo di Joburg.
Ci entriamo un po’ per forza, ci sembra di essere proprio a secco, solo quando ci siamo in mezzo ci rendiamo conto di essere gli unici bianchi nei dintorni, al distributore insistono per farci il pieno e i vari controlli dei livelli, ma quando gli spieghiamo che abbiamo solo bisogno di 10 litri di gasolio perché stiamo tornando in Italia (e quindi non siamo sudafricani…) sono tutti sorridenti gentili e disponibili a darci servizi e indicazioni, ci diciamo qualcosa sul calcio e sui prossimi Mondiali in Sudafrica (per ora siamo pur sempre i World Champions, no?); ed è qui, che ci raccontano che la strada che abbiamo percorso attraversa una zona molto importante per gli Zulu. I livelli dell’auto non importano più a nessuno.
22 settembre La mattina, il volo Egyptair ci riserva una bella sorpresa: al Cairo ci offrono un visto di transito per uscire dall’aeroporto e stare in albergo per le ore di scalo. C’è la piscina, si sta benissimo, grazie Egyptair! Volo per Milano in orario, fine del viaggio.
PS: se può interessare…La signora Ramotswe è un’investigatrice privata di Gaborone, protagonista di una serie di romanzi editi da Guanda e scritti da Alexander McCall Smith.