Lì pianeta Terra, qui India

In India non c'e' niente. Cosa ho trovato qui? Tutto così vecchio, tutto così decrepito. Non c'e' niente, non ci sono le strade, non ci sono case dignitose, non ci sono i bagni, i ristorante, le macchine. Non c'e' niente...o forse non c'e' il niente. Troppo rumore qui e troppi bambini scalzi per le mie abitudini. Mi chiedono senza vergogna...
Scritto da: Marco Salerno
lì pianeta terra, qui india
Partenza il: 30/09/2007
Ritorno il: 15/10/2007
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
Ascolta i podcast
 
In India non c’e’ niente.

Cosa ho trovato qui? Tutto così vecchio, tutto così decrepito. Non c’e’ niente, non ci sono le strade, non ci sono case dignitose, non ci sono i bagni, i ristorante, le macchine. Non c’e’ niente…O forse non c’e’ il niente.

Troppo rumore qui e troppi bambini scalzi per le mie abitudini. Mi chiedono senza vergogna qualsiasi cosa io possa donare loro: una moneta, una penna, un cioccolatino, la saponetta dell’albergo che ho preventivamente messo in tasca, un fazzoletto, una vecchia radio…Ma cosa posso io fare davanti a tutto ciò? Io sono qui alla ricerca della grandiosa saggezza dell’Oriente…E qui perchè trovo tanta povertà? Perchè io sono qui per essere affascinato dai vostri templi ma voi non fate altro che incuriosirvi delle mia piccola videocamera.

Lasciatemi per un attimo come se io qui non ci fossi e fatemi passeggiare nell’oblio lungo la marina di Pondicherry, antica città coloniale francese sulla costa del golfo del Bengala. Un lungomare come tanti se ne trovano lungo la costa adriatica, mi ricorda in certi tratti Pescara, bianca e celeste, le palme, qui nel loro ambiente naturale, gli edifici chiari in stile, il marciapiede largo. Ma non sono a Pescara. La gente è scura di pelle, le donne vestono il sari, gli uomini hanno tutti i baffi scuri, gli edifici sono vecchi e lerci, la spiaggia disseminata di escrementi e affollata di gente a comprare zucchero filato e pannocchie arrostite. Non un solo ombrello, nessuno che fa il bagno, non un gelato. Qui niente collima, non capisco nulla, è tutto vuoto delle cose che conosco. La gente mi fissa incuriosita, cercano un contatto, una parola. Un gruppo di musici intona canti indiani accompagnati da percussioni e sitar sotto la grande statua nera del mahatma Gandhi, che per l’occasioine del suo anniversario della morte è pesantemente ricoperta di ghirlande di fiori gialli, bianchi e rossi.

E’ stato un attimo, il tempo di rientrare in auto, ed ecco che il cielo dopo essersi coperto ha mandato giù una cascata di acqua sulle sculture di arenaria che stavamo visitando, scoperte dagli inglesi, scavando vicino al mare. Forse volevano costruirci una villa, vista la splendida posizione, ma gli Inglesi hanno preferitoc conservare tanta meraviglia. Dall’auto, piedi scalzi correre nelle pozzanghere createsi in men che non si dica, sari bagnati stretti ai corpi delle donne, giovani che scherzano, traffico impazzito…Fuori le grida, ma dentro tanta pace, tanto silenzio.

Dopo la pioggia non c’è più niente, l’acqua ha ripulito gli angoli delle strade dalla sporcizia ma lassù il cielo è più bello che mai, mezzo blu e mezzo color verde del mare da lontano, sovrasta come l’animo di questa gente, questa vegetazione percossa dai venti e dalle piogge.

Anch’io sono indiano.

Ho visto questa gente al tramonto della sera, puntuale delle 6, come ogni paese tropicale. Dal terrazzo del venditore di tappeti kashmiro, la distesa delle città di Madurai è l’ immagine di un altro pianeta, ma ormai dopo pochi giorni, anch’io sono alieno, abitante di questo pianeta che ha nome India. Le strade pullulano di umanità colorata, come colorati sono i pendii degli altissimi templi dravidici, affollati di statue di dei che danzano. Danzano l’eterno ritmo dell’Universo e il dio Shiva è il maggiore rappresentato dell’impermanenza delle cose: su un solo piede nell’atto di danzare, su una mano un tamburello che genera le vibrazioni e dall’altro il fuoco che distrugge e trasforma, dà il ritmo a tutto l’Universo, alle stelle, alle vicende umane, alla nascita e alla morte, alla rinascita e alla morte continua. Un continuo ricordarsi che siamo parte del tutto, che siamo noi stessi il pulsare del tutto. Ancora più in alto stormi danzanti di uccelli, rondini, corvi e perfino aquile volteggiano attorno alle torri dei templi, a cercare gli ultimi raggi di sole che muore, che il fuoco di Shiva distrugge e che domattina il tamburello saprà richiamare puntualmente all’alba. Tutto è movimento tutto è vivo anche le statue e la roccia in India. Siete vivi come questo sole che muore e risorge, come le libellule che a migliaia si impadronisco degli spazi aperti, è viva questa gente che vende fiori e noci di cocco per le strade luride di vita vissuta, come il fior di loto che sa riemergere bello bianco e puro nelle acque melmose degli stagni nei campi…

Su uno di questi templi ho chiesto ad un Sadhu un augurio, mi ha detto soltanto di svegliarmi presto al mattino, lavarmi e pregare. Volevo chiedergli cosa pregare, ma sarebbe stata una domanda sciocca. Pregare ha un senso suo, null’altro. Lo sguardo di questo giovane mezzo nudo, scuro, con i capelli lunghi e nerissimi è un oceano di tranquillità. Sono certo che non risponderebbe a tutte le mie domande, ma adesso non ho più domande, so che la vita è oltre la logica, oltre la fredda ragione. Dal colonnato due giovani ragazze ci scrutano con i loro occhi grandi e neri. Studiano il sanscrito, ma non parlano l’inglese. Ma cosa importa? Il dondolio ritmato e leggero delle loro testoline di bambola comunicano le loro emozioni e la loro curiosità. Sono timide, ma con un profondo senso di sé come tutte le donne dell’Asia, quelle che vivono sugli altipiani del Tibet come quelle che si vedono qui nelle campagne, sotto pesanti fardelli sulla testa che le costringe a camminare ancora con maggiore eleganza. Gli Indiani non hanno una sola lingua, ma saltano dalla loro lingua regionale, qui siamo nel Tamil Nadu, all’Hindu e inframezzano con parole in inglese. Sono eclettici nella lingua, nel pensiero come lo sono nella loro religione, che in 5000 anni di storia è mutata, ha assorbito gli influssi dell’arianesimo, del giainismo, del buddismo, dell’islamismo…Senza combattere le eresie, ma rafforzandosi secondo il principio della mutevolezza di ogni cosa. Non si è adepti di una religione qui, ma si possiede un senso religioso, una spiritualità non contrapposta al corpo, ma indentificata con essa.

Nascita e morte Non riesco a dormire la notte, troppi pensieri e al mie mente è affollata dalle immagini che mi scorrono dal finestrino dell’auto: piantagioni di spezie e tè, boschi di palme di cocco alti fino al cielo, banani, canna da zucchero, riso…E…E… immense pianure maculate di animali al pascolo, contadini che arano menando i buoi, intere famiglie con bambini sulla moto. Oggi rientro a Milano e questo ennesimo ciclo, questo viaggio termina, ma non muore, come samsara le azioini vissute restano con noi per sempre, anche nell’incoscienza. Seduto nella sala d’aspetto dell’aeroporto del Qatar mi piace immaginare il verde che fiancheggia la strada ampia, dritta e pulita che collega Malpensa a Milano, con il suo traffico ordinato, le macchine belle e lavate. Mi piace inframezzare le scene asettiche dell’ottobre italiano con le immagini dei villaggi del Tamil Nadu, dei loro bambini che corrono a frotte, le vacche per strada, i profumi delle spezie nei vicoli stretti. Addio India, lasciati adesso conservare nel profondo del mio cuore e non smettere mai di scavarmi dentro con il vomere trainato dai buoi dei tuoi campi di riso.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche