COME DENTRO UN FILM di parte 1
INFO PRATICHE Dal 10 giugno al 2 luglio abbiamo “visto” 5 città (New York, San Francisco, Las Vegas, Salt Lake City e Los Angeles) ed abbiamo toccato 7 stati (New York, California, Nevada, Utah, Idaho, Wyoming e Arizona) percofrendo 6769.06 Km (4207 Miles), di cui 1351.56 (840 Miles) in auto ed i restanti in camper. Oltre al primo pieno di carburante compreso nel noleggio auto, abbiamo consumato circa 348.886 galloni di benzina (1320 litri) per una spesa di circa 1100 dollari.
Il volo intercontinentale con Swiss Air (698,00 euro/adulto e 575,00 euro/bambino) ed il volo interno con Continental (127,00 euro) sono stati prenotati a dicembre. Abbiamo scelto il camper (Cruise America, prenotato mediante www.Usandcanadatravel.Com perché aveva il prezzo più basso) per la presenza dei bambini e per poter sostare la notte nei parchi. Questa scelta si è rivelata azzeccata per quanto riguarda il rapporto con la natura visto che ci ha permesso di dormire dentro luoghi fantastici e di incontrare ogni mattina o sera animali sempre diversi. Ci ha un po’ penalizzato nelle lunghe tappe di spostamento e nella visita di alcuni luoghi raggiungibili solo con strade strette o sterrate che quindi abbiamo dovuto saltare. Inoltre i bambini in camper non hanno mai dormito durante le tappe di trasferimento ma hanno giocato tutto il tempo per cui, andando a letto intorno alle 23.00, la mattina era veramente difficile riuscire a svegliarli. Infatti, nonostante noi adulti ci svegliassimo alle 7.00, raramente siamo riusciti a metterci in marcia prima delle 8.30-9.00. La macchina (prenotata mediante www.Enoleggioauto.It) è stata affittata per attraversare la Death Valley. Infatti dalla metà di giugno è proibito percorrere la Death Valley in camper (per alcune compagnie sei soltanto non coperto dall’assicurazione del camper) e la Cruise America ti fa proprio firmare una dichiarazione in cui affermi che non ci andrai. Invece nella Death Valley abbiamo incontrato ben 3 camper tutti Cruise America! Abbiamo fatto l’assicurazione mediante www.Viaggiaresicuri.It e purtroppo l’abbiamo collaudata! Il viaggio è stato organizzato nei minimi dettagli seguendo i consigli delle guide Routard “USA Ovest I parchi nazionali” e “California”, della guida oro TCI “New York”, la guida Lonely Planet “New York”, e Globus – Enciclopedia dei paesi e degli itinerari – Stati Uniti e Canada della Mondadori (che è uscita appena abbiamo cominciato a pensare a questo viaggio), leggendo le informazioni ed i diari di viaggio pubblicati in internet su www.Turistipercaso.It; www.Vacanzeinamerica.Net; www.Americaontheroad.Com; www.States4u.Com; e soprattutto consultando i messaggi e facendo domande agli amici dei vari forum (www.45parallelonord.Com; www.Tripadvisor.Com; www.Americaontheroad.Com). Per la visita dei parchi sono stati molto utili anche i siti www.Travellersonline.Net; www.Redgreenshapes.It; www.Matteostefani.It; www.Jekoz.Net; www.Fotoavventure.It; www.Farwest.135.It; www.Alexfalcone.Com; www.Utahredrocks.Com; www.Terragalleria.Com/parks; www.Inostriviaggi.It; www.Thebananatours.Com; www.Worldreamers.Com; www.Webalice.It/cortid; www.Catenazzi.It/USA; www.Msereno1970.Interfree.It, dove si trovano consigli, brevi recensioni, belle foto o simpatici filmini.
Le distanze tra i luoghi sono state calcolate utilizzando www.Mapquest.Com (ed avevamo con noi una stampa di tutti i tragitti prefissati). Tuttavia la previsione del tempo del viaggio su lunghe distanze è risutata poco attendibile per il camper (nella tappa Bryce-Jackson abbiamo riscontrato una differenza di circa un’ora). Durante il viaggio abbiamo seguito il percorso consultando il “North America Road Atlas” della Michelin. Le cartine e molte informazioni riguardanti i parchi sono state scaricate da www.Nps.Gov; www.Americansouthwest.Net; www.Utah.Com; www.Arizonaguide.Com; www.Desertusa.Com.
Per NY sono stati consultati anche i siti www.Nyc-site.Com; www.Nycvisit.Com; www.A-newyork.Com; www.Tuttoamerica.It; www.Centralpark.Com. Inoltre, per non far stancare subito i bimbi a NY avevo scaricato dal sito www.Mtahq.Org/nyct/maps le linee di metro e bus con relative fermate per spostarci da un quartiere all’altro di Manhattan. Gli alberghi e buona parte dei campeggi sono stati prenotati dall’Italia per perdere meno tempo in loco ed essere sicuri di dormire nei parchi. Gli albergi di New York e San Francisco sono stati prenotati tramite agenzia, perché facevano parte della nostra lista nozze per amici e conoscenti, e quindi il prezzo è stato un po’ più alto rispetto alla prenotazione diretta. Gli altri pernottamenti sono stati prenotati via internet o telefono. Anche i biglietti di alcune attrazioni (Empire State Building, Statua della Libertà, Crociera nella baia di San Francisco, Acquario di San Francisco, tour in elicottero del Grand Canyon) sono stati prenotati dall’Italia rispettivamente ai siti: www.Esbnyc.Com; www.Statuereservations.Com; www.Blueandgoldfleet.Com; www.Aquariumofthebay.Com; www.Papillon.Com. Non sono stati prenotati i pernottamenti dei giorni in cui dovevamo fare lunghi spostamenti non sapendo bene dove saremmo riusciti ad arrivare ma avevamo con noi una lista di possibili campeggi per le diverse aree. Col senno di poi avremmo fatto bene a prenotare anche questi! Nonostante tutta l’organizzazione, una volta negli USA ci siamo trovati di fronte a paesaggi così immensi e meravigliosi che il tempo è volato a contemplarli e quindi alcune piccole tappe sono saltate; una volta nei parchi non ho avuto neanche il tempo di consultare i miei appunti (e un’intero quadernone contenente fogli stampati da internet) o le guide, per cui abbiamo girato a memoria, per istinto, restando magari più tempo in zone che non avevo considerato molto e vedendo più superficialmente per mancanza di tempo posti che ritenevo imperdibili. Infatti ci siamo ritrovati più volte convinti di aver passato poco tempo a vedere un paesaggio e a fare foto in realtà erano magari passate 2 ore. Come dicono tutti sono veramente luoghi incredibili che nessun racconto e nessuna foto potrà rendere. Abbiamo scattato circa 3600 foto e girato 13 ore di film ma ogni volta che le rivediamo mi sembra sempre di aver tralasciato qualche particolare interessantissimo che rimarrà solo un ricordo nella nostra memoria. Comunque, nonostante i notevoli imprevisti, il viaggio ci ha permesso di vedere la maggior parte dei luoghi previsti nella pianificazione e soprattutto i bambini si sono dimostrati ottimi viaggiatori seguendo un itinerario abbastanza impegnativo per loro ed assecondando le nostre lunghe soste per scattare foto al tramonto! Prima del viaggio non ci avrei giurato! Inoltre il tempo ci ha assistito perché dopo i tre giorni a New York con nuvole e pioggia abbiamo avuto 19 giorni di sole! Vorrei avvertire chi si accingesse nella lettura del diario sottostante che potrebbe risultare un po’ pesante perché oltre alla nostra esperienza riporta anche brevi informazioni/descrizioni riguardanti i luoghi visitati. Lo scopo non è creare una mini-guida turistica, per la quale non ho certo la competenza. E’ solo che a me non basta vedere le cose ma mi piace capire come si è creato un paesaggio tanto particolare o conoscere la storia che c’è dietro un determinato monumento (non per niente leggo Martin Mystère!). Quindi di ogni viaggio mi piace avere una breve descrizione delle cose viste per poter ricordare meglio ciò che ho imparato visitando un luogo. DIARIO Sunday, 10th of June Località: NEW YORK Alloggio: Bedford Hotel, 118 East 40 Street, New York, NY 10016 (room 506) Prezzo: 278 € (prenotato tramite agenzia) Luoghi visti: JFK Airport Madison Square Garden Chrysler Building Grand Central Station Time Square Avremmo dovuto partire alle 09.40 con un volo Swiss Air ma la visita di Bush a Roma ha creato un po’ di scombussolamento, così l’aereo parte con un’ora abbondante di ritardo ed a Zurigo l’orario della coincidenza viene spostato di 30’. Durante il volo intercontinentale i bimbi si divertono un sacco a cambiare i canali della televisione e le hostess gli regalano un giochino a testa con cui passare il tempo. Arriviamo al JFK alle 16.00 e giriamo un po’ per l’aeroporto per prendere l’air train per Jamaica Station ($5.00) più il trenino Long Island Rail Road (LIRR) per Penn Station ($3.00). Prima di arrivare a Manhattan attraversiamo il Queens che lascia Andrea di stucco: è la dimora di Peter Parker. Appena usciti vediamo davanti a noi la maestosità dell’Empire State Building e sulla destra il Madison Square Garden. E’ il tempio dello sport. Qui giocano le squadre di New York di basket e di hockey, vi si svolgono incontri di boxe, tornei di tennis ed altri avvenimenti sportivi. Decidiamo di arrivare a piedi fino all’albergo trascinando le valige ed assaporando l’atmosfera di New York. Qui si sta svolgendo la festa portoricana e molti ragazzi con la faccia dipinta dei colori della bandiera schiamazzano per la città. Lungo il tragitto cambiamo il nostro progetto iniziale di salire subito sull’Empire State Building perché il cielo è coperto e rimandiamo ad una serata migliore (decisione sbagliatissima perché non ci sarà una serata migliore!!!). Percorriamo un po’ di 5th Avenue e di Park Avenue dirigendoci verso l’albergo. Il nostro albergo non è un granchè ma è situato in un posto vicinissimo al Chrysler Building e alla Grand Central Station che andiamo subito a visitare appena depositati i bagagli. Il Chrysler Building è uno dei grattacieli più caratteristici di New York, bellissimo sia di giorno che di notte per cui molto presente nelle mie foto. E’ un capolavoro in stile liberty, decorato con piccole statue grottesche; essendo alto 319m, è stato il più alto grattacielo fino all’avvento dell’Empire State Building. Entriamo nella Grand Central Station che è stata utilizzata per girare alcuni film come Ventesimo Secolo, Cotton Club, La leggenda del re pescatore, Carlito’s way. La facciata a sud in stile neo-classico è sovrastata dalla statua di Mercurio, il Dio dell’antica Roma del commercio e del viaggiare. L’atrio è la parte più imponente dell’edificio: immensa e luminosa, grazie alle ampie vetrate che illuminano la pavimentazione di marmo del Tennesse, e con il soffitto dipinto a volta celeste; le costellazioni formate da un totale di 25.000 stelle sono illuminate da 59 stelle da 24 karati l’una, illuminate da cavi in fibra ottica; la visuale è “come se lo vedesse Dio” citando le stesse parole del pittore e allude alla prospettiva delle stelle, viste dal di sopra e non dalla terra. Sempre all’interno sono da ricordare il grande orologio in ottone sopra il chiosco, ed il maestoso candeliere recentemente restaurato, placcato oro e nickel appeso alla volta laterale. Le scalinate furono protagoniste nella mitica scena della carrozzella nel film di Brian De Palma The Untouchable. Compriamo una Pay-Per-Ride MetroCard: la corsa singola costa $ 2.00, però se il valore d’acquisto supera i $10.00 si riceve un bonus del 20%. Così con $10.00 ci assicuriamo 6 corse (3 a testa visto che ogni bambino può passare con un adulto). Prendendo la Metro 7 (Linea Viola) ci fermiamo alla stazione Times Square-42 Street/Broadway/7 Avenue e ci catapultiamo in Time Square. Vista la gran confusione che ci circonda ci domandiamo se abbiamo fatto proprio bene ad inserire New York nel nostro viaggio. Ma pian piano l’iniziale sbandamento si trasformerà in eccitazione. Mangiamo da McDonald’s e ci divertiamo a fotografare i cartelloni pubblicitari illuminati e le insegne dei teatri del Theatre District in cui vengono rappresentati spettacoli come Mary Poppins ed il Re Leone. Decidiamo di tornare all’albergo a piedi e, all’altezza del Bryant Park vediamo in lontananza l’Empire State Building illuminato di bianco, verde ed arancio, credo in onore della festa portoricana. Avvicinandoci all’albergo fotografiamo nuovamente il Chrysler Building che ora è tutto illuminato.
Monday, 11th of June Località: NEW YORK Alloggio: Bedford Hotel, 118 East 40 Street, New York, NY 10016 (room 506) Prezzo: 278 € (prenotato tramite agenzia) Luoghi visti: The Sphere Statua della Libertà Ellis Island Downtown Manhattan Civic Centre Brooklin Bridge La mattina ci svegliamo alle 7.00 e facciamo colazione nel primo Starbucks che incontriamo: glazed donuts, caffe ustionante per Sergio, thè bollentissimo per me e latte gelido per i bambini (domani dovremo aggiustare il tiro!). Per paura di non arrivare in tempo per il primo battello per la Statua della Libertà (8:45) finiamo di consumare le bevande in metro come fanno i newyorkesi. Prendiamo la Metro 4 (Linea Verde) da Grand Central-42 Street/Park Avenue a Bowling Green e ci dirigiamo verso Battery Park. Incontriamo The Sphere, una scultura in bronzo e acciao di Fritz Koening che era ubicata sopra una fontana di granito in mezzo alla piazza tra le torri del WTC e che è stata ritrovata fortemente danneggiata in seguito agli attacchi. Oggi costituisce un luogo di raccoglimento a ricordo delle vittime dell’11 settembre 2001. Di fronte al monumento si trova una fiamma eterna e la scritta “In onore di tutti coloro che abbiamo perduto”. Qui facciamo il nostro primo incontro con gli scoiattoli di New York ed i bambini impazziscono inseguendoli con la macchina fotografica. Arriviamo a Castle Clinton che ospita la biglietteria per la Statua della Libertà ed Ellis Island ed otteniamo subito i nostri biglietti prenotati ed il “Monument Access Pass” per accedere all’interno della Statua. Passato il primo controllo di sicurezza, saliamo sul battello e partiamo per l’isola che ospita la Statua della Libertà, simbolo della città. Memorabile è la sua apparizione nel film Il pianeta delle scimmie. E’ una giornata bellissima e riprendiamo con la telecamera tutto il tragitto all’interno della baia di Manhattan. Appena scesi ci dirigiamo verso la seconda fila per i controlli di sicurezza e lasciamo lo zainetto nell’apposito armadietto. Entrando nella Statua si trova la prima fiaccola in vetro colorato realizzata da Bartholdi. Si può arrivare fino al piedistallo della Statua passando attraverso un museo che ripercorre la storia della realizzazione della statua stessa con stampe d’epoca. La Statua (alta 46.05m) raffigura una donna che indossa una corona i cui raggi rappresentano i sette mari ed i continenti. Con la mano destra regge la fiaccola che simboleggia la libertà (quella attuale è una copia dell’originale ed è placcata in oro 24 carati), con la mano sinistra una grande tavola in pietra su cui è incisa la data del 4 luglio 1776, giorno in cui fu sancita la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti. La donna calpesta delle catene, simbolo della tirannia. Inutile dire che le foto verso la statua da ogni angolazione e verso Lower Manhattan si sprecano. Ripartiamo verso Ellis Island, la “sala d’attesa della terra promessa”. All’interno è stato aperto un museo in cui sono state ricostruite le sale presenti all’epoca dell’immigrazione. Al piano terra è riprodotta la “Baggage Room” che contiene bauli, valigie, ceste degli immigrati e sono presenti alcune sale che illustrano la storia dell’immigrazione in USA. Al primo piano c’è la “Registry Room” e lungo i due corridoi sono elencate e raffigurate la lunga serie di prove cui gli immigrati dovevano sottoporsi (esami medici, prove di alfabetizzazione). Purtroppo questi due piani non siamo riusciti a goderceli perché c’erano intere scolaresche in gita assiepate intorno ad ogni cartellone e ad ogni vetrinetta. In più ogni alunno, intento a compilare dei fogli contenenti presumibilmente dei quiz riguardanti il museo, era aiutato da uno o due genitori che urlavano la risposta giusta da un capo all’altro di ogni stanzetta. Tra il numero spropositato di visitatori ed il chiasso che facevano (poi dicono delle gite scolastiche dei bambini italiani!) era impossibile vedere e tantomeno leggere. Al terzo piano, li abbiamo battuti in velocità, così abbiamo potuto ammirare gli oggetti (bambole, ferri da stiro, vestiti, strumenti musicali) arrivati a New York grazie agli immigrati: è bello vedere le differenze degli oggetti in base ai luoghi di provenienza (Scozia, Russia, Austria, Italia). Irene vorrebbe fotografare ogni vetrinetta. Toccante è la ricostruzione dei dormitori. In alcune salette ci sono dei plastici che riproducono Ellis Island nelle varie epoche. Ben presto però l’orda chiassosa ci raggiunge e diventa sempre più difficile seguire la narrazione scritta.
Ci fermiano a mangiare nel parco guardando sia la Statua della Libertà che Lower Manhattan: pretzel per mamma e Irene (un po’ troppo salato) e hot dog per i maschietti. Prendiamo il traghetto strapieno per tornare a Battery Park. Qui troviamo dei ragazzi che fanno evoluzioni acrobatiche per vivere e ci fermiamo a guardare lo spettacolo. Una decina di bambini vestiti o in costume fanno la doccia in una fontana nel parco che zampilla acqua ad intermittenza. A guardare questo spettacolo estivo immersi nel verde non sembra di essere in una delle più grandi metropoli del mondo. Cominciamo a camminare per downtown alla ricerca di posti “noti” e caratteristici. Risaliamo State Street: al 7-8 si osserva la James Watson House (elegante residenza georgiana rossa e bianca) e successivamente la ex-US Custom House, con le statue che rappresentano i 4 continenti (dell’epoca!), che ospita il museo nazionale degli indiani d’America. Alla fine della strada si trova il Bowling Green, il parco più antico della città, ed al limitare nord del parco il Charging bull, che indica l’entrata al Financial District. Stone Street e Pearl Street custodiscono gli edifici meglio conservati della New York del XVIII secolo. Noi ci avventuriamo in Pearl Street dove c’è il Fraunces Tavern Museum. Questo edificio del 1719 riproduce una tipica casa inglese del XVIII secolo. Stone Street fu la prima strada della città pavimentata con ciottoli. In queste strade ci sono edifici veramente magnifici tanto che è pieno di locali con tavolini all’esterno dove i turisti mangiano guardando questi incredibili panorami architettonici. Non sembra veramente di essere a New York. In Conties Alley c’è Indian House, edificio in brownstone che fu sede della Cotton Exchange prima della guerra civile. Attraversando Hannover Square, giriamo a sinistra in Hannover Place e arriviamo a Wall Street. Questa strada viene identificata da tutti con la borsa di New York e per questo che è considerata il cuore del mondo finanziario americano e mondiale. L’origine del nome è legata al muro che fu costruito in questa zona nel 1653 su ordine del governatore olandese Peter Stuyvesand. Il muro, costituito da grosse tavole di legno e alto circa 2 metri, si estendeva dall’Hudson River fino all’East River, proprio dove oggi c’è Wall Street. Il motivo ufficiale della sua erezione fu la protezione dei coloni dagli attacchi degli indiani, ma molto probabilmente la ragione vera fu quella di scongiurare eventuali attacchi dei coloni Britannici del New England. L’attacco comunque venne solo nel 1664 e dal mare, così il muro non servì mai al reale scopo per cui fu costruito. Gli Inglesi lo demolirono nel 1699. Al 40 Wall Street c’è l’ex-Bank of Manhattan o Trump Building. Purtroppo è difficile rendere omaggio a questi grattacieli fotografandoli a distanza così ravvicinata. Incontriamo a destra Federal Hall, edificio in stile dorico, davanti al quale è collocata la statua di Washington. In questo stabile si tenne la prima riunione del congresso americano nel 1789 e George Washington pronunciò il primo giuramento come primo presidente degli Stati Uniti. A sinistra, in Broad Street, c’è la NY Stock Exchange, la borsa di New York, dove vi sono stati girati Una poltrona per 2 e Wall Street. È qui che gli operatori dell’epoca hanno vissuto il drammatico crac del ’29, seguito dalla depressione degli anni ’30. La facciata in stile corinzio è sormontata da un frontone decorato con un gruppo scultoreo, ”l’Onestà protegge il lavoro dell’uomo”. Al 14 Wall Street c’è un palazzo in stile liberty ispirato al mausoleo di Alicarnasso ed in fondo alla strada la Bank of New York con mosaico rosso e oro, ma il guardiano mi fa segno che non posso fotografare il palazzo (l’esterno? Mah!). Davanti a noi compare Trinity Church, la chiesa anglicana in stile gotico revival, il primo esempio a New York. Dal punto di vista architettonico la cosa più importante da segnalare sono le tre porte in bronzo della facciata, ispirate alle famose porte in bronzo del Battistero di Firenze. La lunga e buia navata comprende una bella vetrata istoriata sopra l’altare. La chiesa è stata edificata in arenaria rossa, annerita dal tempo, ed il suo campanile raggiunge gli 86,50m di altezza. E’ buffo pensare che alla fine del XIX secolo era il monumento più alto di New York e quindi era punto di riferimento per le navi. Oggi è letteralmente attorniata da grattacieli immensi. Nel cimitero circostante riposano alcuni dei più grandi nomi della storia coloniale americana. Girando a destra in Broadway Street e ed a sinistra in Liberty Street si arriva al WTC, ora un cantiere a cielo aperto. Seguendo Church Street e girando in Fulton Street si arriva a St. Paul Chapel, la chiesa più antica di Manhattan. Ispirata alla chiesa St. Martin-in-the-Fields (Londra), è in stile georgiano tipico del periodo coloniale. Da qui si vede l’Equitable building che è un enorme palazzo neorinascimentale di 41 piani con un massa di 111000 mq. Fu infatti progettato prima della legge del 1916 che stabiliva dei criteri per la costruzione dei nuovi grattacieli che averebbero dovuto assottigliarsi in altezza con rientranze successive per non soffocare le strade di New York. Girando a sinistra in Broadway Street si arriva al Civic Centre. Il City Hall Park è sede della City Hall (sede dell’uffico del sindaco di New York) e della Tweed Court House (monumento alla corruzione del tardo XIX secolo). Ci fermiamo a riposare un po’ nel City Hall Park, mangiando un gelato, e contempliamo i giochi d’acqua della fontana. Dietro a noi c’è il Woolworth building ispirato al Parlamento di Londra che fu l’edificio più alto del mondo fino al 1930 quando fu costruito il Chrisler. Davanti scorgiamo il Municipal building (sede amministrativa del municipio di New York) e la US Courthouse. Nel City Hall Park il 9 luglio 1776 George Washington lesse la dichiarazione di indipendenza adottata dal congresso il 4 luglio 1776. Park row (ex-Newspapers row), la strada che costeggia il parco ad est, nel 1895 era sede di circa 15 quotidiani tra cui Times, Sun, Post World, Tribune. Ci avviciniamo alla City Hall in stile georgiano con la torre dell’orologio sormontata da una statua che rappresenta la giustizia. Nel parco gli scoiattoli fanno continue evoluzioni su e giù dagli alberi, per la gioia dei bambini. A New York vediamo gli scoiattoli della specie Eastern Grey Squirrel di cui esiste una variante molto scura chiamata Black Squirrel. Ed in questo piccolo parco ne vediamo un esemplare. Il Municipal building è la sede amministrativa del municipio di New York. La torre di 14 piani coronati da un palazzo rinascimentale si appoggia su una base monumentale formata da un colonnato neoclassico. Il complesso è completato da obelischi e tre tamburi sovrapposti, il primo dei quali è cinto da 4 campanili simbolo dei 4 “boroughs” uniti a Manhattan. Affacciandoci su Foley Square, vediamo meglio US Courthouse, il tribunale federale, la cui torre sovrasta un porticato di 10 colonne e termina con una piramide dorata. Vicino c’è NY County Courthouse, il tribunale della contea di New York, di forma esagonale, ha l’aspetto di un tempio corinzio con scalinate monumentali. Sul frontone troneggiano le statue della giustizia, fede e uguaglianza. Qui sono state girate scene dei film Il Padrino, Pericolosamente insieme e A proposito di Henri.
Ci dirigiamo verso la passerella pedonale del Brooklin Bridge (1883), altro simbolo di New York. Con i due piloni di granito, i cavi di acciao, la struttua metallica con una campata di 500m, a 45m d’altezza dall’acqua, è il più imponente ponte ottocentesco. Tuttavia il fatto che la passerella sia di legno e che sotto ci passino continuamente macchine mette a dura prova le mie vertigini per cui non riesco a godermi la traversata, di circa 20-30 minuti, come avrei voluto. Abbiamo una bella vista del Manhattan Bridge e vediamo Lower Manhattan allontanarsi piano piano. Il Manhattan Bridge (1909) è stato il terzo ponte costruito a downtown per collegare Manhattan a Brooklyn. Verso nord scorgiamo anche l’Empire ed il Chrisler. Sotto i piloni è possibile osservare le targhe di ottone su cui sono incise le riproduzioni della città nei diversi momenti della sua storia. Mentre attraversiamo il ponte il cielo si rannuvola. A Brooklin ci dirigiamo verso la Brooklyn Heights Promenade, ammirando durante il percorso le Brownstone Newyorkesi. Sulla Promenade dovrebbe esserci la migliore vista di Downtown Manhattan per ammirare il panorama al tramonto ma il tempo è inclemente. Abbiamo portato il cavalletto perché vorremmo fare delle foto della skyline al tramonto e all’imbrunire con le luci di New York accese. Essendo sfumato il primo obiettivo (il sole è tramontato completamente coperto dalle nuvole!) cerchiamo di centrare il secondo ma comincia a piovere. Ci ripariamo sotto una tettoia ed imperterriti aspettiamo il buio. I bambini (dei santi!) continuano a giocare tra di loro per cui tiriamo fino alle 21.00, facciamo una serie di foto con varie esposizioni e prendiamo la metro per tornare in albergo, vicino al quale avevamo adocchiato una pizzeria. Prendiamo la Metro 3 (Linea Rossa) da Clark Street a Broadway-Nassau Street/Fulton Street e da qui la Metro 4 (Linea Verde) fino a Grand Central-42 Street/Park Avenue. Arrivati all’albergo intorno alle 22.00 vediamo che la pizzeria è chiusa per cui cerchiamo dei panini (pane e pollo) in un locale vicino.
Tuesday, 12th of June Località: NEW YORK Alloggio: Bedford Hotel, 118 East 40 Street, New York, NY 10016 (room 506) Prezzo: 278 € (prenotato tramite agenzia) Luoghi visti: Little Italy ChinaTown Tribeca Soho Greenwich village Flatiron Building 5th Avenue Empire State Building Con le corse di ieri abbiamo esaurito la Pay-Per Ride MetroCard (che è ricaricabile) ma visto il programma della giornata che prevede molte più corse in metro decidiamo di acquistare 2 Unlimited Ride MetroCard giornaliere. Con questa Metrocard si possono fare tutti i viaggi che vogliamo, l’unica limitazione è temporale. I costi e la durata sono: , $ 7 giornaliero, $ 24 settimanale, $ 76 mensile. Noi dobbiamo acquistarne 2 perché la stessa carta si puo riutilizzare soltanto dopo 20’ dall’ultimo utilizzo. Inizialmente pensavo di alternare corse lunghe in metro e corse brevi in autobus ma vista la velocità e la facilità dell’utilizzo della metro abbiamo optato sempre per questo mezzo.
Per prima cosa colazione da Starbucks: ma questa volta chiediamo latte tiepido per i bambini e Sergio aggiunge un po’ di latte freddo al suo caffè bollente. Inoltre non avendo problemi di orario ci sediamo al tavolinetto per consumare il pasto. Prendiamo la Metro 4 (Linea Verde) fino a Canal Street /Centre Street e ci dirigiamo in Mulberry Street, il cuore di LITTLE ITALY. Facciamo le foto di rito ma la zona ha un aspetto troppo turistico. Continuiamo su Canal Street che fa già parte di CHINATOWN. Ci addentriamo in Mott Street e Pell Street per fare un po’ di foto caratteristiche. Vediamo la Church of Transfiguration, chiesa cattolica dal 1827 per immigrati italiani ed irlandesi che testimonia l’inglobamento di Little Italy da parte di Chinatown. Arriviamo al Columbus park, dove i bimbi giocano un po’ nel parco giochi frequentato da bambini cinesi (a quest’ora ci sono solo bambini al di sotto dei 3 anni) accompagnati da nonni arzilli intenti a fare tai chi. Usciti dal parco, ci incamminiamo lungo Worth Street: questo punto indica il centro del quartiere irlandese di Five Points, ritratto nel film di Martin Scorsese, Gangs of New York (anche se il film è stato girato a Cinecittà!) Passiamo dietro Foley Square, così abbiamo modo di vedere il Civic Centre da un’altra angolazione e ci dirigiamo verso TRIBECA. TriBeCa è l’acronimo di Triangle Below Canal Street ed indica la zona compresa nel triangolo che si trova sotto Canal Street, tra Broadway e l’Hudson River. Dopo Greenwich Village e SoHo, questa è la zona dove vengono a rifugiarsi intellettuali, artisti e attori famosi quali De Niro (in Greenwich St. C’è il suo ristorante e Filmcenter) o Dafoe. Arriviamo all’incrocio tra Houston Street e Harrison Street dove ci sono 8 belle dimore costruite tra il 1804 ed il 1828. Alcune erano già in Harrison Street altre sono state trasportate da Washington Street e quindi furono salvate dalla demolizione del quartiere per permettere lo sviluppo dei moli lungo l’Hudson. Tornado indietro, sempre per Worth Street scorgiamo al 346 Broadway The Clocktower, palazzo in stile Renaissance Revival, ex sede della NY Life Insurance company, con la sua caratteristica torre dell’orologio. Percorrendo Centre Street arriviamo alla fermata della metro dove prendiamo la Metro R (Linea Gialla) da Canal Street/ Centre Street a Prince Street per visitare SOHO. La parola SoHo è l’acronimo di South of Houston Street. SoHo è anche chiamato il CAST IRON DISTRICT, per il notevole numero di edifici costruiti con una struttura in ghisa. Infatti l’utilizzo della ghisa ebbe una larga diffusione negli Stati Uniti, nel trentennio compreso tra il 1860 ed il 1890, durante il quale vennero costruiti più edifici di questo tipo che in ogni altra parte del mondo. In quel periodo questo quartiere era il centro commerciale della città. Questi edifici sono considerati gli antenati dei moderni grattacieli. Infatti il carico del palazzo è supportato dallo scheletro e le pareti in mattoni sono solo la “pelle” che riveste l’esterno. La struttura della parete esterna, in ghisa, oltre ad avere un’utilità funzionale, ne ha anche una estetica e lo stile che venne utilizzato in prevalenza era quello rinascimentale italiano e francese. All’epoca gli edifici a più piani ospitavano fabbriche di biancheria o vestiti con vetrine a livello della strada. Altra caratteristica di SoHo sono i lofts, abitazioni ricavate in vecchi magazzini restaurati, costituiti da un’unica stanza di grandi dimensioni con ampie vetrate e pareti fatte a mattoncini, che hanno attirato numerosi artisti negli anni ’50 quando la zona entrò in crisi e gli affitti si fecero contenuti. Oggi Soho, come il Greenwich Village, è considerato un quartiere di artisti, anche se il forte sviluppo commerciale ed il conseguente aumento degli affitti ha spinto molti a lasciare questa zona. Prince Street è il cuore di Soho. All’incrocio di Prince Street con Green Street la facciata dell’edificio all’angolo sud-ovest è un Trompe l’Oeil incredibile. Green Street costituisce una sorta di campionario di palazzi cast-iron (dal 8 al 34). L’edificio che viene definito il King of Green Street è uno dei migliori esempi di edificio costruito in ghisa costruito nel 1873 in stile francese rinascimentale. Giriamo in Broome Street e poi risaliamo in Broadway Street. La Broadway offre un bello spaccato di New York da nord a sud. Numerosi sono gli edifici tipici tra cui Haughwout building (il palazzo fa parte dell’architettura cast-iron e segue lo stile di un tipico palazzo rinascimentale di Venezia. È considerato uno dei migliori edifici in ghisa, tanto da essere definito il “Parthenon of Cast-Iron Architecture in America”) ed il Singer Building (fu costruito per ospitare la sede della Singer Manufacturing Company, una famosa casa produttrice di macchine per cucire. L’edificio di dodici piani ha una facciata costituita da una struttura in ghisa, decorata da pannelli di mattoni in terracotta e grandi finestre). Comunque girare in queste 4 strade di Soho permette di vedere numerosi edifici veramente sorprendenti. Dopo aver disegnato questo rettangolo camminando, riprendiamo la Metro R (Linea Gialla) da Prince Street a 8 Street-New York University/Broadway. Arriviamo nel tanto atteso (da me!) GREENWHICH VILLAGE. E’ uno dei quartieri più antichi della città ed ha una personalità unica, tanto da essere considerato una piccola città nella città. La planimetria delle strade è differente dal tradizionale reticolo squadrato del resto dell’isola (con l’esclusione di downtown) poiché un tempo il quartiere era un villaggio colonico separato dal resto della città. Le case, pur seguendo differenti stili architettonici, sono basse, e si contrappongono all’immensità dei grattacieli che hanno reso famosa Manhattan in tutto il mondo. Particolarmente frequenti sono le “brownstones”, piccole case basse fatte di mattoncini rossi, con piccole finestre ed una scalinata di ferro battuto all’ingresso. Altri luoghi caratteristici della zona sono tante piccole boutique, negozi di antiquariato, gallerie d’arte, teatri, locali e ristoranti alla moda. Questa atmosfera particolare ha fatto sì che, tra gli anni ’30 e ’60, il Greenwich Village sia stato il punto di ritrovo di artisti ed intellettuali alternativi. Negli anni ‘50 la Beat Generation e il suo movimento avevano il proprio fulcro in questo quartiere dove si radunarono poeti, cantautori, scrittori, studenti, musicisti e artisti in fuga dalla società conformista. Essi gettarono le basi per il futuro movimento hippy degli anni 60’ e il Village ispirò le opere degli scrittori beat Jack Kerouac, Allen Ginsberg e William Burroughs.
Per prima cosa visitiamo The Row (no 1-13 Washington Square nord) che è il quartiere in stile neo-greco dell’inizio dell’Ottocento meglio conservato della città. Raggiungiamo Washington mews, tra University Place e 5th ave: è una “stradina pavimentata” che in passato conduceva alle mews (scuderie) del row e che presenta ancora la pavimentazione belga originale. Oggi le scuderie sono state trasformate in abitazioni ed in una di queste, precisamente al n°3, abita il professor Martin Mystère (:-P). Passeggiando in questa stradina con case adornate da rampicanti e vasi fioriti sembra veramente di essere lontani dalla vita frenetica di New York.
Essendo l’ora di pranzo ci prendiamo “a slice of pizza” a testa e lo andiamo a mangiare seduti su una panchina del Washington Square Park che ha fatto da sfondo a film mitici come A piedi nudi nel parco e Harry ti presento Sally. Troviamo gli immancabili scoiattoli ed i bambini li seguono dappertutto per fotografarli. I bimbi si sfogano un po’ nel parco giochi dove ci sono anche tre tartarughe in pietra gigantesche da cui zampilla acqua con la sabbia intorno. Qui i bambini newyorkesi in costume (probabilmente appartenevano ad un asilo) facevano castelli di sabbia come se fossero stati al mare. Nella parte nord del parco c’è il Washington Arch che fu costruito tra il 1891 ed il 1892, su progetto di Stanford White, in onore di George Washington per il centenario della sua elezione. Essendo Washington Square la sede della New York University, la piazza è frequentata da ragazzi che studiano sulle panchine o vicino alla fontana centrale dove i bambini fanno il bagno tranquilli. Nel parco si incontrano numerosi musicisti che suonano: un trio sotto la statua di Giuseppe Garibaldi suona musica classica, un gruppo vicino all’arco suona musica jazz ed un gruppo sotto la statua di Alexander Lyman Holley suona musica gitana accompagnato da due danzatori.
Essendo sempre stata affascinata dai films americani anni ‘50-‘60, da piccla sognavo di vivere in una casa in brownstones con la scala antincendio che permetteva sempre ai personaggi di andare a trovare il vicino del piano di sopra o del piano di sotto con estrema facilità, un po’ come in Colazione da Tiffany. Inoltre ero anche innamorata degli appartamenti nei sottoscala come quello del film My sister Eileen con Jack Lemmon e Janet Leight (tra l’altro l’autrice viveva in Gay Street!). Per cui cerchiamo di gironzolare nel Village alla ricerca di case simili a quelle viste nei films. Percorriamo Washington square W e Minetta Street per arrivare in Bedford Street dove sono visibili case in stile federale. Facciamo una deviazione nella pittoresca strada di St-Luke’s Place dove molti pittori, poeti e scrittori hanno vissuto e lavorato e che è servita da scenografia per numerosi films. Qui trovo pane per i miei denti: case in Italian Style del 1852-53, edificate in brownstones con grandi scalinate e ingressi nel seminterrato!!! La leggenda narra che il campo giochi presente davanti a questa fila di case un tempo fosse un cimitero dove Edgar Allan Poe amava passeggiare. Tornati in Bedford Street, al n.75 1/2 vediamo la casa più stretta della città. La sua larghezza è infatti di soli tre metri. Tra i suoi inquilini la poetessa Edna St. Vincent Millay, John Barrymore e Cary Grant.
Al n.86 dovrebbe esserci il ristorante Chumley, locale famoso durante il periodo del proibizionismo, ma vediamo soltanto delle impalcature per una ristrutturazione in corso. Giriamo a destra in Grove Street dove le case (ai numeri 4-10) in stile tardo federale (costruite tra il 1825-34), conosciute come Grove Court, costituiscono gli esempi più autentici di tutta l’America. Da notare il lavoro in stile fiammingo con un’alternanza di mattoni corti e lunghi e altri elementi caratteristici adattati dagli artigiani americani a partire da progetti inglesi. Tornando verso Bedford Street notiamo la casa situata al 17 Grove Street, costruita nel 1822, che è il più grande edificio in legno ancora esistente nel Village. L’entrata Greek Revival è originale mentre il cornicione ed i pannelli decorativi sono del 1870. Ospitò una casa di tolleranza durante la Guerra di Secessione. Al n.102 di Bedford Street c’è un edificio del 1835, dall’aspetto decisamente particolare, che era inizialmente una normale abitazione. Nel 1926 fu completamente ristrutturato e rimodellato da Clifford Reed Daily che pensava di ospitare in questa casa, artisti e scrittori, e credeva che l’aspetto stravagante avrebbe migliorato l’ispirazione creativa dei suoi ospiti. La forma particolare del tetto le è valso il soprannome Twin Peaks. Lasciamo Bedford Street per percorrere tutta Grove Street dove pare siano state fatte le riprese in esterno dell’edificio dove vivono i protagonisti di Friends, anche se il set della serie è negli studi della Warner Bros ad Hollywood. Ci avviciniamo a Sheridan Square, una piazza a forma di farfalla e ci inoltriamo in W 4th Street, la strada che ha ispirato Bob Dylan per Positively W 4th Street e dove John Reed scrisse Dieci giorni che sconvolsero il mondo. Ai n° 175-179, gli edifici in stile Federal sono caratterizzati dalla disposizione dei mattoni detta “alla fiamminga” e dai lucernari dei tetti sporgenti. Percorriamo la vicina Washington Place dove ci sono case con ingressi nel seminterrato veramente ben tenuti e adornate di molti vasi fioriti. Nella 6th Avenue c’è la Jefferson Market Courthouse Library, esempio di gotico vittoriano, con la torretta dell’orologio a quattro quadranti. Il primo ruolo di questo edificio, costruito nel 1877 in una piazza di mercato, fu quello di palazzo di giustizia. La facciata neogotica è ornata di strisce di mattoni rossi e pietra da taglio, pignoni scolpiti e vetrate. Scampò per poco alla demolizione grazie alle proteste degli abitanti del quartiere che lo trasformarono in seguito in biblioteca. Riprendiamo la 8th Street (pare che proprio qui all’incrocio tra 8th Street e 6th Avenue, Jimi Hendrix abbia inciso i suoi dischi) e ci avviciniamo alla stazione della metro sotto un sole cocente. Prendiamo la Metro R (Linea Gialla) da 8 Street-New York University/Broadway a 23 Street/Broadway.
Quando saliamo le scale per comparire in superficie, una pioggia scrosciante si abbatte su di noi! Non crediamo ai nostri occhi: un attimo fa c’era un cielo limpido ed ora nebbia e pioggia torrenziale. Ci infiliamo i K-Way ma esco soltato io, con l’acqua alle caviglie, per fare una foto da sotto una tettoia a due palazzi particolari. Il Flatiron building, palazzo dalla sagoma affilata, che occupa il piccolo spazio formato dall’incrocio tra Broadway e 5th Avenue, in stile rinascimentale italiano: ha 20 piani ed un’altezza di 95 metri. Quando venne costruito era l’edificio più alto del mondo e fu uno dei primi grattacieli di New York sorretto interamente da una struttura d’acciaio (1902). Il suo nome originale, Fuller Building, fu cambiato in Flatiron Building per la sua somiglianza ad un ferro da stiro. La Metropolitan Life Tower è costruita in stile rinascimentale italiano e si ispira al campanile della basilica di San Marco a Venezia. I quattro orologi che si trovano sulle facciate hanno un diametro di circa 8 metri e una lancetta dei minuti che pesa mezza tonnellata. L’edificio, alto 213 metri, è stato modificato da un restauro durante gli anni Sessanta. Il NY Life Insurance Company Building (l’edificio, dalla struttura imponente, non segue uno stile architettonico preciso ma è caratterizzato da un tetto a piramide dorato) si può solo ammirare ma non fotografare perché dovrei farlo dal Madison Square Park dove non c’è riparo per la macchina fotografica. Visto che non accenna a smettere di piovere decidiamo di fare un giro in metro fino alla 5th Ave, all’altezza di Central Park, per ripararci e vedere se nel frattempo il tempo cambia un po’. Prendiamo la Metro W (Linea Gialla) fino a 5 Avenue/59 Street. Usciamo dalla metro e vediamo il cielo molto nuvoloso ma non piove più. Quindi cominciamo a percorrere la mitica 5th Avenue. In Grand Army Plaza ci sono la Pulitzer Fountain e l’Hotel Plaza, in cui sono stati girati Appuntamento al Plaza, Arturo, Mr Crocodile Dundee e Mamma ho riperso l’aereo. A destra troviamo l’Apple store. Si riconosce perché l’entrata è fatta a forma di cubo in vetro e il negozio rimane al piano inferiore. Proprio accanto c’è Fao Schwartz, negozio di giocattoli molto particolare. Ci sono peluches di ogni tipo di animale (polpi, mante, tacchini, bradipi) e di ogni dimensione (anche a grandezza naturale). Al piano superiore c’è la pianola gigante utilizzata nel film Big, dove i bambini possono salire sopra i tasti. Nella sezione Lego ci sono le statue a grandezza naturale di Chewbacca e Darth Vader, degli omini playmobil che inscenano un talk show con tanto di telecamera e microfono ed una città con grattacieli sottocui passa un trenino della metro ogni volta che si schiaccia un pulsante. Decidiamo di far scegliere un gioco ai bambini: Irene sceglie … uno scoiattolo che chiama Scattina ed Andrea sceglie le automobili della polizia di New York. Proseguiamo a passeggiare lungo la 5th Avenue ed Irene si fa fotografare davanti a Tiffany, dove sono state girate scene di Colazione da Tiffany. Troviamo poi la Trump Tower, dove tutto nell’enorme palazzo (202 metri per 58 piani) è sinonimo di sfarzo e ricchezza, ed il Disney Store. E’ incredibile incontrare proprio tra i moderni grattacieli che fiancheggiano la 5th Avenue due chiese gotiche. St Thomas Church, costruita nei primi del ‘900 ha un altare decorato da un grande bassorilievo in marmo. St Patrick’s Cathedral fu costruita in pietra e marmo. Dedicata a San Patrizio, patrono d’Irlanda, la chiesa è la cattedrale cattolica di New York e sede dell’arcivescovado. Le porte in bronzo hanno bassorilievi che riproducono l’effigie di insigni cattolici americani. La chiesa è alta 100 metri, può ospitare circa 2.400 persone a sedere, ha 19 campane ed il suo organo è costituito da quasi 7.400 canne. Il Rockefeller Centre è un complesso di 12 edifici disposti su pianta ottagonale lungo la Fifth Avenue (tra la 48th e la 51st Street) e la Avenue of the Americas (tra la 47th e la 51st Street). Il più alto (259 metri) è l’RCA Building venne realizzato tra il 1932 e il 1939. Caratteristica la famosa piazzetta sottostante (Lower plaza) ornata con la fontana del Prometeo dorato. D’estate viene invasa dai tavolini dell’American Festival Cafè, d’inverno si trasforma in una grande pista di pattinaggio su ghiaccio e durante le feste natalizie viene addobbata da mille luci e da un grande albero di Natale. Sempre dello stesso complesso fa parte il Radio City Music Hall. Questo teatro, costruito in stile art déco, ha una capienza di 6.200 posti ed offre un palcoscenico dalle infinite soluzioni grazie alle sue scene mobili. Ci dirigiamo verso l’albergo per andare a prendere il cavalletto per fare le foto all’imbrunire sull’Empire State Building e ci soffermiamo davanti alla NY Public Library. È la biblioteca comunale di New York. Venne inaugurata nel 1911 e l’edificio che la ospita è uno dei più classici esempi di stile Beaux Arts in America. Le sculture che si trovano ai lati dell’entrata principale, ritraggono un uomo seduto su una sfinge ed una donna seduta su Pegaso e rappresentano rispettivamente la verità e la bellezza. Le sei figure che si trovano sopra l’ingresso simboleggiano rispettivamente, da sinistra verso destra, la filosofia, il romanzo, la religione, la poesia, il dramma e la storia. Da vedere i 2 leoni davanti all’entrata principale, che sono ritratti in molti film tra cui Pericolosamente insieme.
Arriviamo in albergo e … comincia a diluviare!!! Ormai abbiamo i biglietti dell’Empire comprati via internet e questa è l’ultima sera per cui speriamo smetta anche se sicuramente la visibilità sarà scarsa. Aspettiamo, aspettiamo … quasi ci addormentiamo per la stanchezza e alla fine dopo le 19.00 smette di piovere. Usciamo di corsa e praticamente non troviamo fila per entrare. Un addetto alla sicurezza ci requisisce il cavalletto perché lo ritiene pericoloso. Saliamo velocemente con l’ascensore. Stranamente mi sento più a mio agio qui sulla terrazza dell’86° piano che sul ponte di Brooklyn. L’Empire State Building è stato, fino agli anni ’70, il grattacielo più alto del mondo. È alto 381 metri per 102 piani (in realtà i piani reali sono 86, al 102° piano si trova solo l’osservatorio) ma, considerando la punta del pennone, progettata come ancoraggio per dirigibili ed utilizzata ora come antenna (3 stazioni televisive e 15 radio la utilizzano per le trasmissioni), si raggiungono i 443 metri. Dal 1976 gli ultimi 30 piani dell’edificio vengono illuminati con i colori della stagione o delle feste in corso. L’Empire, oltre ad essere presente in quasi tutti i films ambientati a New York, è stato il “protagonista” di alcuni films famosi quali King Kong, Un amore splendido, Insonnia d’amore e Spiderman. La visibilità non è buona visto che si riesce a vedere solo fino a downtown ma comunque si vedono tutti i grattacieli più conosciuti e soprattutto è molto affascinante seguire il percorso delle auto piccole piccole lungo la Broadway che taglia la città in maniera veramente particolare o vedere un ingorgo nella 5th Avenue. Pian piano l’osservatorio si riempie di gente ed è sempre più difficile guardare e fotografare. Comincia a diventare sempre più buio ed i vari grattacieli si illuminano. Purtroppo il Queensboro bridge (cantato da Simon e Garfunkel ed immortalato da Woody Allen), pur essendo vicino, è avvolto dalla nebbia. Ormai senza cavalletto è sempre più difficile fare foto decenti per cui salutiamo l’Empire tutto illuminato e torniamo giù a riprenderci il “maltolto”. Ora la fila per accedere al grattacielo è molto più lunga di prima! Torniamo verso l’albergo con la Metro R (Linea Gialla) da Herald Square/34 Street a 14 Street/Union Square e da lì la Metro 4 (Linea Verde) fino Grand Central-42 Street/Lexington Avenue. E’ difficile trovare qualcosa da mangiare che vada bene ai bimbi per cui optiamo nuovamente per McDonald.
Wednesday, 13th of June Partenza: NEW YORK Arrivo: SAN FRANCISCO Alloggio: Hotel Best Western Americania, 121 Seventh Street, 94103 San Francisco, CA (room 248) Prezzo: 139 € (prenotato tramite agenzia) Luoghi visti: Central Park New Ark Airport San Francisco Airport Oggi è il nostro ultimo giorno a New York e facciamo un po’ tardino a sistemare le “cose imperdibili” negli zaini ed il resto nelle valigie. Ultima colazione da Starbucks dove assaggio un buonissimo Bagel con il burro: dice che soltanto l’acqua di New York rende questi panini unici per cui in altre località non sono altrattanto buoni. Scendiamo nella stazione della metro e vediamo un negozio di lustrascarpe. Carichiamo la nostra Pay-Per-Ride MetroCard con 2 corse a testa e via! Prendiamo la Metro 6 (Linea Verde) da Grand Central-42 Street/Park Avenue a 68 Street/Hunter College. Arriviamo in Central Park dopo le 10.00 e ci dirigiamo verso la Loeb Boathouse per affittare delle bici passando per Conservatory Water dove c’è la statua di Alice nel paese delle meraviglie. La sorpresa è che le bici non hanno i freni ma si frena con il pedale. Per i bambini non c’è scelta per gli adulti sì per cui dopo aver provato un pochino la bici nel parco, che è un continuo sali-scendi, chiedo di sostituirla con una con freni per “il timore di cadere” e rovinarmi subito la vacanza (parole profetiche!). Pedaliamo verso nord ed incontriamo il Cleopatra’s Needle (Ago di Cleopatra), un obelisco del 1600 A.C. Donato alla città di New York nel 1877 dal Kedivè Ismail Pascià. In questa zona ci sono molti campi da basket pieni di ragazzi intenti a disputare partite. Arriviamo al Jacqueline Kennedy Onassis Reservoir, un enorme lago circondato da un’animatissima pista per il footing lunga 2,5 Km e nota per essere stata teatro delle riprese del film Il Maratoneta con Dustin Hoffman. Passiamo da The Great Lawn, un enorme tappeto verde dove si svolgono concerti all’aperto. Molti bambini affollano i campi da baseball, che comincia ad interessare Andrea, ed improvvisano un incontro di football americano. Continuiamo verso sud per arrivare al Belvedere Castle. Questo è un complesso di edifici e terrazze che riproduce un castello medievale, costruito in cima a Vista rock, da cui si gode un bellissimo panorama del parco e della città circostante. Vicino al castello si trova il Belvedere Lake sulle cui rive in primavera fioriscono i ciliegi. Noi tre saliamo sul castello mentre il babbo fa la guardia alle bici … non si sa mai! Il Delacorte Theater, sorge proprio sotto il Belvedere Castle ed è un teatro di forma greca utilizzato per rappresentazioni di vario genere nel periodo estivo. Il tempo però sta passando e Sergio insiste per farci riportare le bici entro le 13.00 perché alle 17.20 abbiamo l’aereo per San Francisco. Allora per cercare di arrivare velocemente agli Strawberry Fields attraversiamo The Rumble, un area boscosa di circa 15 ettari dove si trovano oltre 250 specie di uccelli, che vi fanno tappa durante le migrazioni. Purtroppo è un dedalo di stradine, alcune chiuse, che ci fa un po’ perdere l’orientamento per cui, seguendo l’indicazione (?) di due ragazze ci ritroviamo nuovamente all’obelisco. Decidiamo allora di riattraversre il parco all’altezza del Great Lawn e di seguire la strada esterna per andare più veloci ma forse non vediamo l’indicazione per gli Strawberry Fields e ci ritroviamo direttamente a Sheep Meadow. E’ uno dei prati più famosi di Central Park. Era un vecchio pascolo, ora è un punto di ritrovo di tutti i newyorkesi che vogliono prendere il sole o fare pic-nic. Quindi nessun ricordo di John Lennon, sigh! Perché figuriamoci se Sergio mi faceva tornare indietro a quell’ora! Ci dirigiamo verso The Mall, la famosissima passeggiata fiancheggiata da oltre 150 olmi e panchine con molte statue di personaggi famosi vista in molti film. Qui chiedo ad Andrea di farsi fare un filmino mentre va in bici nel viale come il bambino di Kramer contro Kramer (Irene non si presta a queste idiozie!) Ci affacciamo alla Bethesda Terrace per vedere la Bethesda Fountain, la fontana pubblica, ancora in funzione, più antica della città, che fa parte del progetto originario del parco e fu innaugurata nel 1873. La parte centrale della fontana è la statua “Angel of the waters”, che risale al XIX secolo. Intorno alla fontana si possono ammirare le terrazze con le scalinate che sono considerate uno dei luoghi più tranquilli del parco. In inverno quando nevica diventa una delle mete preferite dei cittadini per la sua spettacolare bellezza. Vorrei cercare la statua di Balto per farla vedere ai bimbi ma Sergio mi proibisce di perdere altro tempo e soprattutto la strada maestra. Così attraversiamo il Bow Bridge, uno splendido ponte in ghisa che dà sul Central Park Lake, il lago all’interno del parco immortalato in numerose pellicole cinematografiche dove ci sono infatti turisti intenti fare un giro sul lago con barche a remi. Arriviamo in tempo per restituire le bici. Uscendo dal parco salutiamo gli scoiattoli newyorkesi, mangiamo un hot dog (per la mamma un pretzel) e ci infiliamo nella metro per raggiungere l’albergo. Recuperate le valigie usciamo in strada e blocchiamo un taxi che ci porta al NewArk Airport. Arrivati all’aeroporto in largo anticipo passiamo alla svelta tutti i controlli e … partiamo con 2 ore di ritardo!!! Con il senno di poi saremmo riusciti a vedere sia gli Strawberry Fields che Balto, grrrr.
Arrivati a San Francisco alle 22.00 (l’aereo ha un po’ recuperato) decidiamo di prendere nuovamente un taxi visto che la zona del nostro albergo sembra molto frequentata dai barboni. In realtà non sono tantissimi e sono innocui. “Questo si che è un bell’albergo!” esclamano i bambini, che a New York non si erano pronunciati, dopo aver visto la stanza. Subito dopo crolliamo nel letto.
Thursday, 14th of June Località: SAN FRANCISCO Alloggio: Hotel Best Western Americania, 121 Seventh Street, 94103 San Francisco, CA (room 248) Prezzo: 139 € (prenotato tramite agenzia) Luoghi visti: Cable car (Powell-Mason) Fisherman Wharf Pier 39 Bay Cruise St. Mary Hospital Aquarium of the Bay Bubba Gump Cable car (Powell-Hyde) Decidiamo di fare una classica colazione americana fermandoci al buffet dell’albergo. Andrea gradisce molto melone e cocomero. Usciamo in Market Street dove vediamo i tram storici della Linea F che Collega Embarcadero a Castro. Le vetture provengono da tutto il mondo. Sergio, da buon genovese, avvista subito il dono della città di Genova notando lo stemma sul tram. Ci avviciniamo alla stazione dei Cable Car e facciamo il MuniPass per 3 giorni: a differenza di NY qui i bambini pagano come adulti (18$)! Vediamo subito l’inversione di marcia del cable car dove gli operatori ruotano il vagone a mano dopo averlo fatto fermare su di una piattaforma girevole. Esistono 3 linee di cable car: Powell-Hyde, Powell-Mason e California Street. La più nota è Powell-Hyde che passa sopra la zona tortuosa di Lombard Street e da cui si vede bene Alcatraz. Qui i vagoni delle prime due linee si alternano così noi riusciamo a prendere Powell-Mason. Ci sistemiamo in fondo all’esterno ed io riprendo tutto il percorso (Market Street – Union Square – Nob Hill – Chinatown – Cable Car Museum – North Beach – Fisherman’s Wharf ). Anche con questa linea si vedono molti scorci carini di San Francisco ed in lontananza Bay Bridge e la Transamerican Pyramid. In più ci fermiamo ad una specie di casello per cable car per lasciar passare un vagone della linea California Street. Arriviamo a Fisherman’s Wharf e ci dirigiamo verso il Pier 39 (pontile 39), frequentato da una colonia di leoni marini. Ci prepariamo per fare la crociera della baia con la Blue and Gold Fleet alle 10.45. Alla partenza vediamo il leoni marini dall’alto e poi ci addentriamo nella baia. E’ la più larga insenatura della costa californiana, che si estende per circa 100 km di lunghezza e fino a 20 km di larghezza, ed è attraversata da ponti, circondata da colline ondulate, punteggiata di vele e percorsa avanti e indietro da veloci traghetti. Vediamo subito l’isola di Alcatraz (8.9 km2), scoperta nel 1775 e chiamata “Isla de los Alcatraces” (Isola dei pellicani) visto che vi dimorava una colonia di questi uccelli. In seguito è stata soprannominata “The Rock” poiché è uno sperone di roccia nel mare. Nel 1854 vi fu stabilita una fortezza in difesa del porto poi trasformata in prigione militare durante la guerra civile. Fu adibita a carcere di massima sicurezza dal 1933 al 1963. Al Capone, ‘Machine Gun’ Kelly e Robert Stroud sono stati alcuni tra gli ospiti della prigione. La prigione è stata “protagonista” di numerosi film come Fuga da Alcatraz e The Rock. Dietro Alcatraz si scorge Angel Island che dal 1800 divenne una “Ellis Island dell’occidente”. In lontananza compare il bellissimo Golden Gate Bridge, lungo 3 km, che congiunge le due sponde dell’imboccatura della baia. Ultimato nel 1937, il ponte, con il suo caratteristico colore arancione in stile Art Deco, resta il simbolo della città. Al tempo in cui venne costruito, era il più lungo ponte sospeso del mondo e le torri di sospensione, alte 224 m, erano le più alte strutture a ovest della città di New York. Il ponte può affrontare venti di velocità superiore a 160 Km/h. Il ponte collega San Francisco alla pittoresca cittadina di Sausolito. Passiamo sotto il ponte, che è veramente imponente, e tornando indietro possiamo ammirare il profilo di San Francisco. Infatti il centro di San Francisco, densamente popolato, è pigiato tra le colline nell’angolo nord-orientale della penisola. E’ possibile vedere le famose strade di San Francisco che creano striature parallele lungo il profilo della città e sembrano gettarsi direttamente nell’oceano. Questo è il risultato di una particolare pianificazione urbana. Le strade sono state semplicemente disegnate come una griglia sui ripidi versanti delle colline, con il risultato che alcune di esse si ritrovano ad avere pendenze estreme. Questo rende il parcheggio difficile ma crea un’ampia scenografia per le scene di inseguimento dei film (un ricordo d’infanzia è il telefilm Le strade di San Francisco con un giovane Michael Douglas). Inoltre nella zona più a est si ergono i grattacieli della città tra i quali spicca la Transamerican Pyramid. Vediamo il Bay Bridge, che collega San Francisco a Oakland attraversando Treasure Island. E’ cinque volte più lungo del Golden Gate Bridge, è in grado di sopportare molto più traffico ed è stato costruito sei mesi prima, ma non è mai stato altrettanto famoso. Giriamo attorno ad Alcatraz e, mentre la voce narrante racconta alcuni aneddoti legati alla prigione, cominciamo ad avvicinarci a terra. A questo punto decido di fare una bella ripresa di downtown spostandomi dall’altra parte della barca. Inciampo nello zaino poggiato per terra, rimango impigliata con un piede in una retina della barca che si muove per il vento, cado rovinosamente a terra picchiando l’indice sinistro sul sedile accanto (sono mancina) ed il dito si rompe. A questo punto non possiamo far altro che andare all’ospedale. Un signore della nave, che guarda caso si chiama John Brown, si offre di aiutarci e per non farci andare in ospedale che è molto caro ci accompagna in una specie di ambulatorio che lui chiama “officina medica”. Ma il primo è chiuso perché è ora di pranzo, nel secondo il medico non è di turno quel giorno e nel terzo il medico ritiene la cosa troppo complessa. Quindi, dopo 3 giri di taxi per San Francisco, dove i bambini almeno hanno apprezzato la velocità che si acquista nelle discese, veniamo spediti al St. Mary Hospital. Qui rimaniamo circa 5 ore (senza pranzo) per arrivare alla conclusione: “the finger is broken”. A quell’ora però l’ortopedico non c’è più per cui mi fanno una fasciatura posticcia e mi spediscono a prenotare una visita per l’indomani. Per il pagamento non riusciamo a contattare l’assicurazione e l’amministrativo che si occupa del caso decide di mandarci il conto a casa (per ora siamo arrivati a circa 1000 dollari). Salendo vediamo la St. Ignatius Church, la chiesa del campus dell’Università di San Francisco, la cui architettura si basa su elementi del rinascimento italiano ed del barocco.
Prendiamo il bus 5 fino al Civic Center e poi il 47 per arrivare al Pier 39 e visitare l’Aquarium of the Bay come avevamo promesso ai bimbi che subito vedono Nemo e Dory. Sinceramente mi aspettavo qualcosa in più: dalla guida e dal sito veniva decritta una passeggiata in un tunnel dentro la baia di San Francisco ma in realtà è un percorso veramente breve. La cosa carina è che alla fine insegnano ai bambini come accarezzare i pesci: loro hanno accarezzato una razza ed un piccolo squalo con il rischio che Andrea cadesse nella vasca perché aveva il braccio troppo corto per il fondo di quella vasca. Giriamo un po’ per il molo ed andiamo a cena al Bubba Gump, locale ispirato al film Forrest Gump, che tra l’altro era molto piaciuto ai bimbi quando lo avevano visto. Sul tavolo i bambini trovano un foglio con quiz e disegni da colorare e 3 pastelli a testa. Al momento di uscire Andrea pensava di doverli lasciare per i bimbi successivi. Inoltre il menù bambini consiste in pizza e patatine servite in una barca che ovviamente si chiama Jenny. Mentre mangiamo i gamberi vediamo un bellissimo tramonto sulla baia e su Alcatraz. Tornando indietro cerchiamo di immortalare la baia (anche se non abbiamo il cavalletto) e passeggiamo fino a Ghirardelli Square per metterci in fila per il cable car della linea Powell-Hyde (Ghirardelli Square – Hyde Street – Russian Hill – Cable Car Museum – Chinatown – Nob Hill – Union Square – Market Street). Ghirardelli Square una volta era una famosa fabbrica di cioccolato, ma oggi è un centro commerciale. Appena arriviamo in albergo andiamo dritti a letto.
Friday, 15th of June Località: SAN FRANCISCO Alloggio: Hotel Best Western Americania, 121 Seventh Street, 94103 San Francisco (room 248) Prezzo: 139 € (prenotato tramite agenzia) Luoghi visti: St Mary Hospital Golden Gate Park (Japanese Tea Garden) Alamo Square Union Square Cable car (Powell-Hyde) Chinatown North Beach (Coit Tower) Russian Hill Cow Hollow Mel’s Drive Inn Anche oggi colazione in albergo ed alla fine queste si riveleranno le più ricche colazioni della vacanza. Riusciamo a contattare l’assicurazione che ci dice di mandare tutte le ricevute delle spese mediche appena rientriamo in Italia. Poi prendiamo il nostro fido autobus 5 e torniamo all’ospedale. Nel reparto di ortopedia vogliono essere pagati subito con la carta di credito e noi tremiamo all’idea dell’importo: potremmo giocarci qui tutta la vacanza! L’assistente dell’ortopedico mi fa le radiografie, rimette in asse il dito, mi ingessa e mi fa di nuovo le radiografie, dicendomi di andare subito da un ortopedico appena in Italia. Alla fine, forse perché ci vede così sprovveduti ed all’inizio della vacanza o perché ha una cugina che abita a Roma, mi dice che, d’accordo con l’ortopedico, non mette il prezzo delle radiografie sul conto ma solo quello dell’ingessatura. Quindi fortunatamente sono 36.00$. Prendiamo l’autobus 5 fino al Golden Gate Park che si estende dall’Oceano Pacifico fino quasi a Haight-Ashbury. Dal punto di vista turistico sono innumerevoli le attrazioni presenti: giardini, laghetti (dove si possono noleggiare barche a remi, a pedali e a motore), strutture per gli sport (equitazione, tiro con l’arco, softball, golf, bocce), musei e un acquario. Noi visitiamo il Japanese Tea Garden, un giardino a tema giapponese, curato principalmente dalla famiglia Hagiwara. Ci immergiamo in un paesaggio giapponese caratterizzato da pagode, bonsai, ruscelli, stagni con carpe. Andrea è molto contento perché le scritte e le pagode gli ricordano Actarus. Appena usciti ci fermiamo a mangiare un hot dog ai piedi di una sfinge davanti al museo. Prendiamo l’autobus 21 ed arriviamo ad Alamo Square, dove un parco in discesa fa da proscenio a 7 belle case vittoriane poste in fila e permette di avere una bella vista della città dall’alto. Tra i vari edifici spiccano la Transamerican Pyramid e la cupola della City Hall. Le case sono un esempio delle tipiche “painted ladies” e sono così popolari da meritare il soprannome di “Postcard Row”. Qui i bimbi trovano un piccolo parco giochi dove divertirsi un po’ e “scontrarsi” con bambine del luogo un po’ gelose degli attrezzi ginnici.
Torniamo con il bus 5 all’albergo per posare le radiografie e la signorina della reception ci dice che ci ha cercato l’insegnante di italiano di John Brown per dirci che la Blue and Gold Fleet si offre di rimborsarci le ricevute dell’ospedale. Così decidiamo di recarci l’indomani a pagare il conto del pronto soccorso per portare subito le ricevute. Oggi cerchiamo di vedere qualcosa in più di San Francisco, città che sogno da quando ero bambina, anche se l’incidente ha scombinato un po’ i piani e, ad esempio, non riusciremo ad attraversare il Golden Gate in bici. Ci dirigiamo verso Union Square, fulcro turistico del centro di San Francisco, caratterizzata da un insieme di negozi vistosi e di alberghi. Saliamo sul cable car direzione Chinatown, non sapendo che ferma dalla parte opposta rispetto all’entrata principale. Una volta scesi vediamo nel vicino Financial District la Transamerica Pyramid Building, un grattacielo alto 260 metri caratterizzato da una particolare forma piramidale che rappresenta la costruzione più alta della città. Quindi torniamo indietro attraversando il quartiere di Chinatown,la zona più densamente popolata e tra le più colorate della città . E’ stata il set di film come Indian Jones ed il Tempio maledetto, Karate Kid II, and Grosso guaio a Chinatown. Il quartiere si estende lungo Grant Avenue e Stockton Street da Bush Street a Columbus Avenue. Il fulcro del quartiere è Grant Avenue che percorriamo fino ad arrivare all’ingresso principale, il Dragon Gate (Portone del Drago, dono della repubblica cinese nel 1969). A noi è piaciuta più la Chinatown di San Francisco che quella di New York, forse troppo dispersiva.
Prendiamo il bus 41 per raggiungere North Beach, situata tra Chinatown e il Fisherman’s Wharf. Il quartiere deve il suo nome al fatto che all’epoca dei pionieri la baia arrivava fino a qui. Un tempo era il quartiere italiano della città ed ancora oggi si vedono tricolori attaccati ai lampioni. Secondo la guida oggi gli italiani sono prevalentemente di origine toscana (lucchese) come me e genovese come Sergio! Negli anni ’50 questa zona diede origine alla Beat Generation: il City Lights Bookstore si trova qui, all’angolo tra Columbus Ave e Jack Kerouac Alley. Columbus Avenue e Washington Square rappresentano il cuore di North Beach; i prati di Washington Square sono sovrastati dalla maestà della chiesa ”Saints Peter and Paul”. Il quartiere è limitato a est da Telegraph Hill che raggiungiamo con l’autobus 39 da Washington Square. Qui si trova la Coit Tower, uno dei principali punti di riferimento della città. E’ un monumento fatto costruire dalla prima donna pompiere volontaria a ricordo dei pompieri e rappresenta una pompa antincendio. Questa collina offre una magnifica vista a 360° da cui osservare il panorama della città (si vedono le curve di Lombard Street) e della baia.
Torniamo in Washington Square e prendendo il bus 41 ci dirigiamo verso Russian Hill. Scendiamo ad Hyde Street e giriamo un po’ per le strade più famose come Green Street, Union Street e Filbert Street, che tra Hyde e Leavenworth raggiunge una pendenza del 32%. Greenwich Street è talmente inclinata che termina a fondo cieco. Facciamo la classica foto in Hyde Street verso Alcatraz e ci avviciniamo a Lombard Street che per i bimbi è la stada del Maggiolino tutto matto! E’ la via più tortuosa del mondo (nel tratto tra Hyde e Leavenworth), da cui si ha una bella vista della Coit Tower, e noi la percorriamo in discesa. Fino al 1922 era una delle strade più ripide della città e, per facilitarne la percorribilità, vennero costruti gli 8 tornanti adornati di aiuole di ortensie. Al di sotto di Leavenworth Street la strada ha ancora una notevole pendenza ed è buffissimo vedere le auto parcheggiate in discesa. Torniamo indietro verso Union Street percorrendo Leavenworth Street e riprendiamo il bus 41 verso Pacific Heights (area chiamata Cow Hollow) in cui ci sono belle case vittoriane sopravvissute al terremoto del 1906. All’altezza di Fillmore Street ci dirigiamo verso il Mel’s Drive Inn, un vero diner americano che ricorda Happy Days ed American Graffiti. Anche qui i bimbi trovano da disegnare e mangiano polpette di pollo servite in un’automobile di cartone anni ’50. Sembra veramente di essere in un film per cui ci concediamo un “milk shake” con tanto di ciliegina sopra. Dopo un’attesa di 20’ abbondanti, prendiamo il bus 22 fino a McAllister Street e poi il bus 5 per tornare all’albergo. Qui ci cimentiamo con la prima lavatrice del viaggio.
Saturday, 16th of June Partenza: San Francisco, CA Arrivo: El Portal, CA Alloggio: Cedar Lodge, 9966 Highway 140, 95318 El Portal, CA (room 120) Prezzo: € 116,92 (prenotato tramite www.Expedia.It) Km tappa: 450.52 (280 Miles) Km totali: 450.52 (280 Miles) Luoghi visti: Alamo Civic Centre St Mary Hospital Le Presidio Golden Gate Bridge Lombard Street Yosemite NP (Mariposa Grove) Dopo l’abbondante colazione andiamo alla Alamo di Bush Street a ritirare la macchina. Qui la signorina suggerisce di cambiare auto, con un sovrapprezzo, perché la prenotazione di enoleggioauto, nonostante avesi fatto presente il numero di persone e bagagli quando avevo chiesto consiglio per il tipo di auto da scegliere, prevedeva una due porte. Per cui decidiamo di cambiare e prendiamo un SUV della Chevrolet (Equinox Fwd). Però un problema è rappresentato dal seggiolino di Andrea che fortunatamente avevo prenotato dall’Italia. Loro non si erano preoccupati di procurarlo ma, visto che era richiesto nella prenotazione, lo hanno fatto arrivare dall’aereoporto. Questo scherzetto ci è costato quasi due ore di ritardo, tanto di tempo ne avevamo perso poco i giorni precedenti!!! Passiamo in albergo a ritirare le valigie e ci dirigiamo verso l’ospedale. Passando ci fermiamo al Civic Centre per fare alcune foto. City Hall, in stile rinascimentale francese, è il centro del Civic Centre. La cupola, costruita in base ai disegni della Basilica di San Pietro, è alta 94m. All’ospedale non è possibile pagare il conto perché è sabato e gli amministrativi non lavorano per cui rintracciamo l’insegnate di italiano e le diciamo che non siamo in grado di fornire subito le ricevute. Ci incamminiamo verso Le Presidio, un parco ricco di collinette e boschi. Le molte e variegate colline su cui il parco sorge consentono di godere di diverse viste della baia e del Golden Gate Bridge. Ci fermiamo a due view points per immortalare il ponte anche da terra e poi percorriamo Lombard Street dall’inizio dove è una strada molto larga ed in piano. Poi cominciamo a salire sulla collina e nella discesa affrontiamo la sua tortuosità: è una vero spettacolo percorrerla lentamente in automobile. Subito dopo, cercando di non schiacciare i vari fotografi, ci concediamo la ripida e dritta discesa. Ci dirigiamo verso il Bay Bridge e salutiamo San Francisco che purtroppo abbiamo visitato un po’ in fretta. Comincia qui il nostro viaggio “on the road” verso Yosemite NP, il primo parco naturale del mondo istituito nel 1864. Troviamo subito un po’ di coda sulla I-580. Ci fermiamo a mangiare un po’ di frutta in uno store immerso nel verde dove, nei prati retrostanti, vivono struzzi e conigli. Dopo Merced cominciamo a vedere il cambiamento del paesaggio che pian piano diventa alpino. Ci addentriamo nel cuore della Sierra Nevada. Entriamo nel parco da sud percorrendo la CA-41, acquistiamo il National Park Pass (80$) e ci dirigiamo verso il Mariposa Grove, dove si trovano le sequoie giganti (circa 500 alberi). Vista l’ora (17.10) per vedere i due groves decidiamo di fare il giro in autobus ma l’ultimo è partito alle 17.00 (maledetto seggiolino!). Quindi ci incamminiamo lungo il sentiero per vedere almeno il Lower Grove: incontriamo il Fallen Monarch (il Re caduto), una sequoia di 70m, caduta in seguito ad una frana, di cui si vedono tutte le radici dal diametro di 70cm l’una. Impressionante! Le radici delle sequoie arrivano al massimo ad una profondità di 6ft (2mt) ma possono allungarsi per 150ft (45m) per dare stabilità alla pianta. Dopo poco ci fermiamo a vedere Bachelor and Three Graces, 4 sequoie vicine veramente maestose. Troviamo alcuni scoiattoli che si rincorrono sugli alberi. Camminiamo ancora un po’ e troviamo il Grizzly Giant, la sequoia più grande del parco che ha circa 1600/2000 anni, è alta 290ft (96m) ed ha un diametro di 7ft (2m). Qui due cerbiatti attraversano il sentiero correndo e noi non siamo altrettanto svelti a fotografarli! Subito dopo incontriamo il California Tunnel, una sequoia che si può attraversare camminandoci dentro perché vi è stato creato un tunnel nel 1895. Ci avviciniamo all’Upper Grove ben sapendo di non poterlo vedere tutto. Andrea dice di essere stanco e si ferma con Sergio a giocare con bastoncini di legno trovati in giro mentre io ed Irene vogliamo vedere ancora alcune sequoie giganti molto belle. La Faithful Couple è costituita da due sequoie fuse alla base ma ben separate in cima. Camminiamo ancora un po’ nel bosco e troviamo il Clothespin, sotto il quale si può passare. Qui gli incendi hanno scavato un tunnel naturale più grande di un’auto. Torniamo indietro, recuperiamo i due uomini e con passo svelto torniamo al parcheggio non senza riammirare le sequoie già viste. Vicino al Grizzly Giant vediamo i due cerbiatti di prima che stanno brucando l’erba e questa volta riusciamo ad immortalarli. Arrivati al parcheggio troviamo un maestoso cervo che consuma il suo pasto nonostante sia contornato da turisti intenti a fotografarlo.
Se non avessimo perso tutto quel tempo alla Alamo avremmo avuto il tempo di vedere il tramonto al Glacier Point ma ormai c’è troppa strada da fare e decidiamo di incamminarci verso El Portal dall’entrata ovest. Lungo la strada vediamo una quantità indescrivibile di alberi su cui pian piano tramonta il sole; il parco è veramente immenso. Ci avviciniamo a Tunnel View dove all’uscita di un tunnel appare all’improvviso la Yosemite Valley, straordinario esempio di valle glaciale. Circa 10 milioni di anni fa, si ebbe l’innalzamento della crosta terrestre per creare l’attuale catena montuosa della Sierra Nevada. L’innalzamento aumentò lo sprofondamento dei letti dei fiumi e dei torrenti, portando alla formazione di stretti canyons. Circa un milione di anni fa la neve ed il ghiaccio accumulati, formarono ghiacciai all’altezza delle cime alpine che poi si spostarono verso le valli dei fiumi. Il movimento verso valle delle masse di ghiaccio tagliò e scolpì la valle nella tipica forma di U. Da Tunnel view si gode una vista bellissima sulle Bridalveil Falls e sull’incredibile falesia El Capitan, sul Sentinel Rock e Cathedral Rocks, e sullo sfondo compare l’Half Dome. Passiamo dall’uscita ovest, costeggiando il Merced River, e vediamo i residui della frana che l’anno scorso aveva reso inagibile questa via. I massi sono enormi!!! Nel buio della sera ci incamminiamo verso El Portal alla ricerca dell’albergo. Arriviamo alle 21.00 ma a quest’ora la pizzeria è chiusa per cui compriamo alcune “schifezze” allo store e le portiamo in camera per cenare. In TV danno La maledizione della prima luna, che i bimbi guardano contenti mentre mangiano … e poi tutti a nanna.
Sunday, 17th of June Partenza: El Portal, CA Arrivo: Stovepipe Wells (Death Valley), CA Alloggio: Stovepipe Wells Village Hotel, Hyw 190, 92328 Stovepipe Wells (Death Valley), CA (room 216) Prezzo: $124.32 (prenotato tramite www.Xanterra.Com) Km tappa: 564.76 (351 Miles) Km totali: 1015.28 (631 Miles) Luoghi visti: Yosemite NP (Glacier Point) Yosemite NP (Yosemite Valley) Yosemite NP (Tioga Road) Mono lake Death Valley NP (Stovepipe Wells) Facciamo colazione in albergo e la signora che ci versa il caffè (qui le bevande si pagano a consumazione!) augura a Sergio “Good Father’s day!”. Ci dirigiamo verso Yosemite costeggiando il Merced River ed arriviamo alla Arch Rock Entrance. Puntiamo subito verso Glacier Point e dopo un bel po’ di strada godiamo di una vista spettacolare su tutta la vallata. Ci fermiamo prima al Washburn Point, dove si ha una splendida vista delle Vernal e Nevada Falls. A Glacier Point (7214 ft, 2199m), da una sorta di anfiteatro, si riesce a vedere tutta la valle sottostante con le 3 spettacolari cascate ai lati e l’Half Dome (8842 ft) sullo sfondo. A destra è possibile scorgere le Vernal Falls (317 ft), che scorrono nella Little Yosemite Valley, e le Nevada Falls (594 ft), che sono situate sopra le Vernal Falls in un area definita “Giant Staircase.” Nella parte centrale verso nord si scorge il canyon di Tenaya Creek (si dovrebbe vedere anche il Mirror Lake ma io non ci riesco). A sinistra scendono le Yosemite Falls, che vedremo meglio dalla valle.
Torniamo indietro verso Tunnel View e percorrendo un breve sentiero (0.5 miles/0.8 km round-trip) arriviamo alle Bridalveil Falls (620 ft), cascata del “velo da sposa”, così chiamata per via del vento che, soffiando sull’acqua, la trasforma in migliaia di spruzzi. Gli Ahwahneechee l’avevano chiamata “Pohono” (“Spirit of the puffing wind”). Molte persone fanno il bagno nel ruscello ai piedi della cascata. Passando sotto Cathedral Rocks and Spires e Sentinel Rock arriviamo nel cuore della Yosemite Valley. Al visitor centre acquistiamo il “Passport to your National Park” per i bimbi su cui mettere un timbro in ogni parco in cui andremo e lo stemma del parco per collezionarli tutti.
Ci avviciniamo, facendo un breve passeggiata (1.1 miles/1.7 km round-trip), fino alla parte inferiore delle Yosemite Falls (2,425 ft, 730m), la cascata più alta del nord-america costituita da tre cascate separate: Upper Yosemite Falls (1,430 ft), the middle cascades (675 ft) e Lower Yosemite Falls (320 ft). Da un altro view point è possibile vedere anche la Upper. Riprendiamo l’automobile e ci fermiamo a El Capitan Meadows per ammirare El capitan, un enorme masso definito il monolito in granito più grande del mondo con una parete di 900m (3593 ft), patria dei free climbers. Anche se abbiamo perso un bel po’ di tempo sono soddisfatta di essere stata al Glacier Point perché, non avendo tempo a disposizione per fare passeggiate, questo view point trasmette la pace, l’immensità e la bellezza di questo parco, cosa che è difficile provare nella valle dove tutto è piuttosto frenetico. Ora che ci sono stata mi dispiace non aver potuto ritagliare almeno un giorno in più per questo parco che va veramente scoperto camminando sui sentieri perché un giro in automobile non permette di apprezzarlo al meglio.
Ci dirigiamo verso la Tioga Road che ci permetterà di arrivare tranquillamente fino a 3000m di altitudine! La Tioga Road offre vedute sempre diverse, una più bella dell’altra. Lo scenario è mutevole: vediamo scoscese rocce bianche e alte montagne innevate, laghetti di montagna e prati fioriti. Riprendiamo con la telecamera un ricordo di questo passaggio e ci fermiamo ad alcuni view points. Olmsted Point, offre sia una bella vista del Tenaya Lake che una vista da diversa angolazione della Yosemite Valley. Nel Tenaya Canyon emerge l’ossatura granitica di Clouds Rest che arriva fino all’Half Dome sullo sfondo. Da questa angolazione è più difficile riconoscerlo. E’ impressionante vedere come gli alberi siano cresciuti in questo paesaggio così aspro. Scendiamo al Tenaya Lake, un lago di un azzurro stupendo, percorso da alcune canoe. Vediamo Pothole Dome che dà una bella vista sulle Tuolumne Meadows, come Lambert Dome. Passiamo dagli stupendi prati della zona di Crescent Meadows. Subito dopo il Tioga Pass (9,943 ft. / 3,031 m) vediamo un altro meraviglioso lago alpino, il Tioga Lake dai colori molto scuri e contornato da cime innevate.
Usciamo dal parco: qui la strada scende vertiginosamente di ben 3,000 ft (914 m) nel tragitto che ci permette di raggiungere Lee Vining dove decidiamo di pranzare con un hot dog (anche se sono già passate le 15.00!). Raggiungiamo il visitor center per avere informazioni su Mono Lake e ci indirizzano verso l’area di South Tufa verso Mammoth Lakes. Il signore all’entrata della riserva ci chiede se abbiamo un “qualsiasi pass” dei parchi e noi mostrando il National Park Pass passiamo stranamente gratis (l’ingresso è 3$). In realtà credo che ci abbia fatto passare gratis inventando la storia del pass perché mancavano circa venti minuti alle 17.00, orario dopo il quale non si paga più. Questo lago è apparso circa 700000 anni fa ma il suo livello è drasticamente diminuito a partire dagli anni 60’ quando è stato deciso di impiegare le sue sorgenti per fornire acqua alla città di Los Angeles. Le acque del lago sono alcaline per cui non ci sono pesci ma soltanto una specie di gamberi che si è adattata all’ambiente. La cosa che più caratterizza il lago sono le formazioni di tufo (tufa towers) che spuntano dall’acqua e dal terreno. Queste torri di tufo sono un esempio di cosa è in grado di produrre la natura a partire da pochi elementi: quando sorgenti di acqua fresca ricche di calcio sgorgano nelle acque alcaline del lago, ricche di carbonato, si ha la precipitazione del carbonato di calcio che pian piano negli anni forma una torre intorno alla bocca della sorgente. Ovviamente questa reazione può avvenire soltanto nel lago per cui l’abbassamento del livello del lago rende visibili le torri ma ne impedisce una crescita ulteriore. Queste formazioni hanno circa da 200 a 900 anni ma fuori dal lago, vicino alla vecchia riva del lago ci sono le formazioni più antiche risalenti a 13000 anni fa. Seguiamo un breve sentiero che porta verso la spiaggia. E’ molto suggestivo vedere l’immagine di queste formazioni di carbonato di calcio riflessa nell’acqua del lago. Il lago ha una concentrazione salina 3 volte superiore al mare. La spiaggia è letteralmente ricoperta da mosche nere che rendono nera la superficie dell’acqua stessa e, quando ci si avvicina, sciamano verso l’alto formando nuvolette. Le pupe delle mosche erano il sostentamento primario dei nativi Kutzadika’a o “Mono Lake Paiute”. Per questo motivo gli indiani vennero chiamati “Monache” o mangiatori di mosche. Il nome fu accorciato in Mono dai primi esploratori e fu applicato alla regione in cui viveva questa tribù.
Percorriamo la US-395, una strada definita “scenic route”, che costeggia la Sierra Nevada, e ci offre altri paesaggi montani da ammirare. A sinistra vediamo comparire le catene montuose che delimitano la valle della morte (Inyo Mountains) su cui pian piano tramonta il sole. Ci fermiamo a Lone Pine per il pieno di benzina e per prendere acqua in abbondanza, pane e salumi per la cena visto che arriveremo un po’ tardi. Imbocchiamo la CA-136/190 per entrare nella Death Valley e così comincia un viaggio nel buio più assoluto culminante in discese abbastanza ripide e tornanti dopo aver oltrepassato il Panamint Range. La Death Valley è una delle depressioni più profonde dell’emisfero settentrionale. Deve il suo nome al fatto che è il posto più caldo e secco degli USA e d’estate la temperatura media raggiunge normalmente i 40-45°C con punte oltre i 50°C. Il clima secco è dovuto al fatto che in inverno le nuvole che si alzano dal Pacifico incontrano varie catene montuose molto elevate per cui la loro umidità si tramuta in pioggia e neve svuotandole progressivamente prima di arrivare alla valle (effetto rainshadow). Infatti sulla Death Valley cadono soltanto 2 inches/ 48mm per anno e in alcuni periodi non piove per niente. Inoltre la profondità e la forma della Death Valley (lunga 225Km e larga 40km), stretta e circondata da montagne, contribuisce alla creazione di correnti d’aria calde e quindi alle alte temperature estive ed al clima secco. Il luogo occupato oggi dalla Death Valley era un mare caldo e poco profondo. Col passar del tempo il mare ha cominciato a retrocedere lentamente verso ovest mentre la terra è stata spinta verso l’alto e verso nord. La fase successiva di sviluppo della Death Valley è stata soprattutto influenzata dall’attività vulcanica e di rimodellamento che ha portato alla creazione delle catene montuose ed all’abbassamento del fondovalle. I risultati secondari delle eruzioni di lapilli e cenere hanno dato i bellissimi colori dell’Artist’s Palette e dei giacimenti minerari del famoso borace (borato di sodio). Durante l’ultima Era Glaciale principale dell’America settentrionale, la valle faceva parte di un sistema di grandi laghi che scomparvero circa 10.000 anni fa, quando il clima si riscaldò. L’Era Glaciale più corta, circa 2.000 anni fa, ha provocato un più piccolo sistema lacustre. Quando questa acqua è evaporata, sono rimasti gli ampi giacimenti di sale che oggi la caratterizzano.
Arriviamo all’albergo di Stovepipe Wells dopo le 21.00 e, dopo aver parcheggiato ci godiamo il silenzio, il calduccio (ma è secco per cui non dà neanche fastidio) e soprattutto un cielo stellato mai visto in cui è possibile ammirare la Via Lattea. Prepariamo i panini in camera, mangiamo e … di corsa a letto. In un giorno siamo passati da 3000m (Tioga Pass) a 0 m (Stovepipe Wells) sul livello del mare percorrendo 564.76 Km (351 Miles) in uno scenario sempre mutevole! Monday, 18th of June Partenza: Stovepipe Wells (Death Valley), CA Arrivo: Las Vegas, NV Alloggio: Circus Circus KOA Campground, Las Vegas Blvd, Las Vegas, NV (Campsite 132) Prezzo: 53.33 $ (39.27 €) (prenotato tramite www.Koa.Com) – 5.33 $ (3.98 €) 48.00 $ (35.29 €) Km tappa: 336.28 (209 Miles) Km totali: 1351.56 (840 Miles) Luoghi visti: Death Valley NP (Sand dunes) Death Valley NP (Furnace Creek) Death Valley NP (Badwater) Death Valley NP (Devil’s Golf Corse) Death Valley NP (Artist drive) Death Valley NP (Golden Canyon) Death Valley NP (Zabriskie Point) Cruise America Las Vegas (The Strip) Alle 7.00 usciamo dalla camera e facciamo per l’ultima volta una colazione all’americana. Qui ho trovato il maggior assortimento di frutta. Partiamo e ci fermiamo quasi subito alle Sand Dunes, che sono servite da sfondo per Star Wars. Per cui i bimbi si fiondano subito verso le dune cercando di seguire i passi del babbo per non fare brutti incontri. Su questo fazzoletto di sabbia vivono il kangaroo rat, le lucertole, uccelli, serpenti e coyotes. Ma soprattutto qui è presente il crotalo che si nasconde sotto i Mesquite trees. Il panorama che si vede dalle prime dune è incredibile. E’ un vero deserto! Quando si calpesta la sabbia di queste dune fa un rumore diverso da quella su cui passeggiamo al mare, per via della secchezza del luogo. I granelli di quarzo che costituiscono le dune provengono dalle circostanti Cottonwood Mountains. Le dune appaiono sempre linde, perché il vento continua a spazzarle. Durante la nostra passaggiata facciamo l’incontro con una lucertola che ha delle zampe posteriori molto possenti (simili a quelle di una rana) che le permettono di fare balzi incredibili. Continuiamo a percorrere la strada contornata da formazioni rocciose che cambiano colore a seconda dell’intensità della luce ed arriviamo a Furnace Creek, una specie di oasi che ospita il visitor center dove applichiamo il timbro al passaporto. Andrea prova a bere da una fontanella del visitor center ma l’acqua è bollente, anche dopo averla fatta scorrere un pochino. Incredibile! A quest’ora la temperatura della valle oscilla tra 100 e 102°F (38-39°C). Ci dirigiamo subito a Badwater, luogo famoso per essere quello alla più bassa altitudine nel Nord America, a 85,5 metri (-282 ft) sotto il livello del mare. E’ dominato ad est dai calanchi delle Black Mountains dove c’è un cartello che segnala il livello del mare. Badwater è ciò che rimane dell’ immenso lago che ricopriva la valle. L’evaporazione dell’acqua ha portato alla creazione di strane forme quasi esagonali che pavimentano il bacino di Badwater. Tuttavia il bacino di Badwater non si secca mai del tutto e permette la sopravvivenza di una specie unica di pesci (Death Valley pupfish) adattatasi a vivere in condizioni di salinità estrema. Nonostante le piogge inondino Badwater coprendo la superficie salina con un sottile strato d’acqua che discioglie i sali, l’eccessiva evaporazione della zona (150 inch/3800mm per anno) li fa ben presto ridepositare sottoforma di nuovi cristalli. Guardando verso ovest si scorge il punto più alto della valle che è Telescope Peak (11049 ft/3300m). Torniamo indietro e deviando su una strada sterrata non troppo malvagia arriviamo al Devil’s Golf Corse, una pianura formata da aguzze formazioni ricoperte di sale. A differenza della pavimentazione di Badwater, queste formazioni, essendo più in alto, non vengono ricoperte dall’acqua per cui, senza la sua azione levigante, crescono dando origine a strani pinnacoli. Infatti questi si formano quando l’acqua salata per capillarità sale dal fango sottostante e pian piano evapora lasciando i cristalli salini in superficie. Questi pinnacoli crescono lentamente, circa 1 inch/2,5cm in 35 anni. L’acqua ed il vento erodono e scolpiscono queste guglie saline donandogli forme particolari e sempre diverse.
Deviamo per l’Artist Drive che è un percorso molto suggestivo tra rocce vulcaniche colorate. E’ un susseguirsi di pietre dal colore rosso, rosa, arancio, giallo, verde, azzurro, viola e porpora. Qui, infatti, i vari minerali hanno colorato le pietre vulcaniche: il rosso, il rosa ed il giallo derivano dai sali di ferro, il viola dal manganese mentre il verde dalla decomposizione della mica. Ogni punto dà una visione memorabile delle rocce. Arrivati all’Artist Palette, troviamo rocce variopinte ravvicinatissime proprio come se fossero sulla tavolozza di un pittore. In più si vede il letto di un fiume secco che rende bene l’idea del caldo del luogo. E’ veramente un luogo imperdibile! Continuiamo per il Golden Canyon dove facciamo un breve percorso. Qui incontriamo due ragazzi tedeschi mentre nelle precedenti tappe siamo sempre stati da soli … è proprio un deserto! Si possono vedere non soltanto rocce color oro ma anche rosse, arancio e verdi. Il caldo comincia a farsi sentire come un macigno sul petto per cui cerchiamo di non esagerare e torniamo alla macchina anche se è difficile staccarsi da quel paesaggio policromo sotto un cielo azzurrissimo. Tornando indietro giriamo verso Zabriskie Point dove un sentiero in salita ci porta ad un view point fantastico: le rocce (tipo dune pietrificate) hanno una miriade di tonalità che vanno dal bianco al giallo e al marrone, dal rosa all’arancione. Alcune sfumature ci ricordano il crem-caramel che gocciola sopra un budino alla vaniglia. Quando l’antico lago occupava la Valle della Morte, le acque piovane scioglievano il borace contenuto nelle montagne, il quale si depositava in fondo al lago sottoforma di fango salino e ghiaia. Dall’attività vulcanica delle montagne vicine e dalla ricadute di lapilli nella zona si formò una coltre di lava più dura, chiamata riolite; nell’insieme questo agglomerato prende il nome di Formazione di Furnace Creek. La successiva orogenesi ha prodotto le colline che si vedono attualmente e che sono sopranomminate badlands. Qui la telecamera si rifiuta di continuare a lavorare per il troppo caldo: dice che la pila è esaurita ma arrivati a Las Vegas si rivelerà ancora carica. Per cui possiamo fare soltanto foto! Il fondo di Zabriskie Point é leggermente inclinato sia a causa dello sprofondamento della Valle della Morte da una parte che del sollevamento delle Black Mountains dall’altra, ciò ha prodotto delle profonde erosioni per le piene del torrente in seguito prosciugatosi. Guardando verso Nord si vedono illuminarsi Manly Beacon e la Red Cathedral, con il suo pronunciato colore rosso. Qui è stato girato l’omonimo film di Antonioni. Peccato che sembrava di essere un po’ al mercato: abbiamo trovato un mare di turisti esagitati scesi da vari pullman.
A questo punto sarebbe il turno di Dante’s View, ma Sergio mi ricorda che sono le 12.00 e che per arrivare a Las Vegas ci vogliono circa 3 ore. Lì dobbiamo affittare il camper e, anche se possiamo arrivare entro le 17.00 (ma un’ora per pratiche ed istruzioni ci vuole) vorremmo esserci per le 15.00. A malincuore lasciamo la Death Valley, attraversiamo il confine del Nevada passando per Death Valley Junction/Amargosa Valley e percorriamo la I-95, per Las Vegas. Ci fermiamo a mangiare un tramezzino ad Amargosa. Troviamo con facilità la Cruise America ma appena arrivati (14.40) vediamo un sacco di famiglie che bivaccano nell’atrio del deposito. Brutto segno! Dopo aver atteso una ventina di minuti riusciamo a parlare con un impiegato che inserisce la nostra prenotazione in coda alle altre e ci dice che dobbiamo aspettare minimo due ore. Sergio approfitta per andare all’aereoporto a riconsegnare l’automobile. In realtà, se non mi fossi fatta male uno si sarebbe occupato del camper ed uno dell’auto ma ora lui deve tornare indietro in taxi. Comunque Sergio fa in tempo a tornare ed aspettare ancora un bel po’: ci consegnano il camper alle 19.00 … altro che Dante’s view potevamo vedere! Avevo letto in alcuni diarii che all’ufficio del noleggio danno un sacco di informazioni e opuscoli su itinerari e RV park. Forse a quell’ora loro avevano solo voglia di chiudere e noi eravamo stanchi per l’attesa, per cui riusciamo a farci spiegare il minimo indispensabile sul funzionamento e la consegna del camper. Un grosso errore è che non facciamo domande riguardo i campeggi, RV park, dump stations sperando di avere informazioni dai due elenchi che ci danno. Tra l’altro ci rifilano un camper con 46040 miglia percorse. Immediatamente ci dirigiamo verso il Circus Circus KOA campground che è proprio sulla Strip. Qui mi rimborsano il 10% di quello che ho pagato perché presento la tessera KOA fornita con il noleggio del camper. Le prime luci della Strip cominciano ad accendersi e ci avventuriamo alla scoperta di Las Vegas. E’ stata lo sfondo di centinaia di pellicole cinematografiche, la più celebre è Via da Las Vegas, Casinò, Ocean’s eleven e Rain Man. Inoltre Bugsy è il film dedicato alla storia della città ed al suo fondatore, il gangster Ben Siegel detto Bugsy (diminutivo di scarafaggio).
Vediamo subito la torre dello Stratosphere ed il tendone con l’enorme pagliaccio del Circus circus.
Decidiamo di andare in autobus fino al Paris per provare il buffet e poi tornare indietro a piedi. L’autobus costa 2$ a persona compresi i bambini e non danno resto. Per cui dobbiamo scendere dall’autobus per cambiare i soldi ed attendere un secondo autobus. Arriviamo al Paris, dove c’è una riproduzione della Tour Eiffel, alle 20.30 e ci dicono che ormai il buffet sta per chiudere. Che disastro! Il casinò è enorme e il cielo è dipinto nel soffitto mentre ogni angolo ricorda qualche cosa di Parigi. Ma i prezzi sono veramente salati. Usciamo e ci separiamo: Sergio cerca un posto dove far mangiare i bimbi e si ferma al Flamingo mentre io vado a filmare lo spettacolo dei giochi di acqua e luce della fontane del Bellagio. Tornando indietro vedo il Caesar’s palace. E’ enorme e ricco di fontane, statue, templi di epoca romana e soprattutto c’è una sala teatrale a forma di Colosseo. Mi avvicino a The Mirage, che sembra un immenso lingotto d’oro. Tutte le sere dopo il tramonto si può assistere a eruzioni vulcaniche ogni ora. Aspetto un po’ e parlando con una signora capisco che avrei dovuto rimanere ancora una mezz’oretta per vedere lo spettacolo per cui rinuncio vista la calca ed il caldo soffocante che mi attanaglia anche a quell’ora. Vedo dall’altra parte della strada The Venetian, con le riproduzioni del palazzo ducale, il ponte di Rialto ed il campanile di San Marco. Passando vedo anche lo Stardust e Treasure island dove una discreta folla attende lo spettacolo di pirati e sirene. Ci riincontriamo davanti al camper molto stanchi, tutti e due con una carissima bottiglietta di acqua in mano (2.58$): avremo soltanto queste due bottigliette d’acqua a disposizione per la notte più calda che incontreremo in tutto il nostro viaggio. Peccato aver perso tutte quelle ore alla Cruise America perché avremmo potuto avere un po’ più di tempo per fare la spesa o vedere alcuni spettacoli di Las Vegas (avrei voluto vedere lo spettacolo delle tigri bianche al Mirage o almeno una panoramica della città dalla Tour Eiffel). Mi è sembrata una città veramente particolare, una “Disneyland per adulti” come dicono alcuni, anche se a Sergio non è piaciuta per niente. Credo che questa sera la stanchezza ed il nervosismo abbiano avuto la meglio. Un’altra sorpresa ci attende: entrati in camper constatiamo che Andrea ha la febbre! Tuesday, 19th of June Partenza: Las Vegas, NV Arrivo: Springdale, UT Alloggio: Zion Canyon Campground, State Route 9, Springdale, UT (Campsite A17) Prezzo: 34.57 $ (25.83 €) Km tappa: 328.24 (204 Miles) Km totali: 1679.80 (1044 Miles) Luoghi visti: Las Vegas (The Strip) Wall Mart Zion NP (Riverside Walk) Dormiamo veramente male per il caldo. Viste le condizioni di Andrea, non mettiamo la sveglia e ci prepariamo con calma. Attraversiamo in camper tutta la Strip dando un’occhiata ai casinò che non avevamo visto ieri sera. L’ Aladdin è sullo stile “Mille e una notte” mentre l’MGM è caratterizzato dalla presenza del famoso leone all’entrata. Il New York New York è contornato da vari monumenti di New York come il Ponte di Brooklin, la Statua della Libertà, il Chrysler Building, l’Empire State Building. L’ottovolante che lo attraversa si ispira alla montagne russe di Coney Island. L’Excalibur è impostato sul tema di Re Artù mentre il Luxor sul tema egiziano con la riproduzione della piramide di Giza e della Sfinge. Il Mandala Bay è in stile orientale-tropicale con un bell’acquario all’interno. Devo dire che di sera la strip ha veramente un altro fascino.
Andiamo a cercare un Wall Mart per fare un bel rifornimento di viveri. Decidiamo di non far scendere Andrea dal camper per non sottoporlo al gelo dell’aria condizionata del supermercato. Quindi io ed Irene andiamo a fare la spesa acquistando dai wurstel al sapone per i piatti, dalla pasta (barilla!) allo sciroppo d’acero. Questi supermercati sono veramente immensi (perdiamo quasi 2 ore a trovare tutto) e si trova veramente di tutto: latte di ogni sapore, coca cola alla ciliegia o alla vaniglia, succhi di ogni tipo, molta frutta e carne. Tutto in porzioni gigantesche. Ad esempio, vista la lunga scadenza, prendiamo due taniche di latte da 4 litri che ci dureranno per tutta la vacanza. Quando torniamo al camper vediamo che Andrea sta sempre peggio, imbocchiamo la I-15 e dopo pochi chilometri comincia a vomitare. Continuerà così per quasi tutto il viaggio verso Zion NP visto che comunque il caldo eccessivo lo porta a bere di frequente con l’ovvia conseguenza. Lo facciamo anche stare accanto al guidatore per vedere se lì c’è un po’ più fresco che dietro. In questo modo un tragitto che doveva durare 2 ore e mezzo ne dura 4 e, tenendo conto che il passaggio dal Nevada allo Utah prevede il cambiamento del fuso orario (perdiamo 1 ora), arriviamo a Zion NP alle 17.00. Questi luoghi furono per lungo tempo il rifugio dei mormoni che dettero il nome alla zona ispirandosi alla biblica Sion. L’avvicinamento a Zion è impressionante: la stessa I-15 passa attraverso paesaggi incantevoli. Qui facciamo il primo incontro con la Grand Staircase (Grande scalinata), un’enorme sequenza di piattaforme (o altipiani) di diversi strati sedimentari disposte a gradoni che risalgono come una scalinata dal Grand Canyon al Bryce Canyon. La Grand Staircase si estende per 150 miglia raggiungendo un dislivello di 3500 ft. Finita la fase di sedimentazione, il sollevamento della crosta terrestre portò prima alla formazione dell’altopiano del Colorado e successivamente, circa 13 milioni di anni fa, una fase tettonica ne causò lo smembramento, dando origine a una serie di altopiani minori. Nacquero così gli altopiani di Markagunt, Paunsaugunt, Kaibab, Kaiparowits, Paria e Aquarius, le cui rocce, venute allo scoperto, hanno subito fenomeni di erosione. Oggi fra i pendii e le piattaforme di questa Grand Staircase, si trova un paesaggio modellato dall’acqua e dal vento, costituito da tavolati solitari, guglie, valli e canyon ed ogni formazione rocciosa mostra i vari strati di sedimentazione avvenuta in milioni di anni. Ogni stratificazione geologica corrisponde ad un mutamento climatico della regione, che si riflette nella diversa composizione del sedimento e conseguentemente nel colore dello strato. Infatti ogni scarpata o pendio (cliff) principale della Grand Staircase è denominata sulla base del colore delle rocce che la costituiscono e che, salendo dal Grand Canyon al Bryce Canyon sono distinguibili in: Chocolate Cliffs (si elevano sull’altopiano Kaibab e la parte superiore è costituita dalla formazione Moenkopi, fatta di arenaria e argillite con strati di gesso in mezzo, depositi costieri dovuti a fasi di avanzamento e regressione della linea di costa. Il sollevamento tettonico portò all’emersione e alla parziale erosione gli strati di questa formazione per cui oggi gli affioramenti del Moenkopi si trovano soltanto nel Marble Canyon, sul Monte Cedar e nel Red Butte) Vermillion Cliffs (sono situate vicino a Lee’s Ferry e la parte superiore è costituita dalla formazione Kayenta, di origine fluviale, che contiene molti fossili di pesci e dei primi dinosauri del Triassico) White Cliffs (testimoniano una desertificazione del luogo; sono composte di dune sabbiose che si sono solidificate nelle Navajo Sandstones) Grey Cliffs (i pendii rivelano la presenza di vita marina insieme a strati carboniferi derivati da piante di palude e stagni; infatti i sedimenti che le costituiscono si sono depositati durante il periodo in cui l’oceano aveva ricoperto questo territorio e durante la sua retrazione. La parte superiore è costituita dalla formazione Wahweap costituita principalmente da depositi fluviali) Pink Cliffs (le pietre calcaree che le costituiscono sono state depositate da un remoto lago d’acqua dolce e dai fiumi. L’ossidazione del ferro nei depositi di fango ha dato origine al colore rosato dei sedimenti della formazione Claron o Wasatch. Questa formazione costituisce principalmente il Bryce Canyon, Red Canyon e Cedar Break).
Nell’insieme, questa stratificazione mostra 200 milioni di anni di storia geologica. Nella scalinata lo strato più recente e superficiale del Grand Canyon è lo strato più antico dello Zion (~240 milioni di anni, Kaibab Limestone). Mentre lo strato più recente dello Zion, riconoscibile alle quote più elevate (Dakota Sandstone) costituisce lo strato più antico del Bryce Canyon. La maggior parte delle formazioni geologiche della Grand Staircase sono visibili nello Zion Canyon NP (come indicato in una foto nella brochure dataci dai rangers) visto che consiste in una profonda incisione nell’altopiano di Markagunt, creata dal Virgin River, e si trova in posizione intermedia tra il Grand Canyon e il Bryce Canyon. Camminando nello Zion Canyon siamo circondati principalmente dalle rocce della formazione Navajo e questi monoliti sono alcune delle formazioni di arenaria più alte del mondo. Infatti la formazione Navajo si formò dalle dune fossili di un grande deserto, il cui aspetto era molto simile all’ambiente visibile ancora oggi nel parco statale di Coral Pink Sand Dunes. La sabbia si accumulò creando dune che raggiunsero uno spessore di circa 650 m. Le arenarie della formazione Navajo si formarono dalla cementificazione di granuli di quarzo con carbonato di calcio, dando origine ad arenarie friabili e porose. Infatti una nuova fase di sedimentazione depositò sulla sabbia un sottile deposito calcareo (30-120 cm), frammisto a sabbia e resti fossili, dando origine alla formazione Temple Cap. Il limo calcareo percolò negli strati sepolti sottostanti, cementando in parte le arenarie della formazione Navajo. Gli strati che compongono le Navajo Sandstones formano fra loro angoli dovuti ai cambiamenti di direzione del vento che le ha scolpite e assumono una tipica geometria a festoni (stratificazione incrociata). Gli strati inferiori della formazione hanno una colorazione rossastra dovuta all’ossido di ferro percolato dalla sovrastante formazione Temple Cap, mentre gli strati superiori hanno una colorazione biancastra. Questa formazione Temple Cap è visibile sulle cime dell’East Temple e del West Temple. Le striature rossastre visibili lungo le pareti rocciose dello Zion si formarono per azione della pioggia, che disciolse l’ossido di ferro presente nelle rocce (ad esempio l’Altare del Sacrificio). Successivi depositi si silt si trasformarono nelle rocce calcaree della formazione Carmel per uno spessore di 60-90 m. Le rocce della formazione Carmel sono visibili sul monte Horse Ranch nella sezione del parco dei Kolob Canyons e presso Mt. Carmel Junction.
Entriamo nel parco e ci fanno notare che l’indomani per andare al Bryce dovremo richiedere la scorta dei rangers per passare il famoso tunnel (mi sembrava che il nostro camper rientrasse nelle dimensioni consentite) ma loro dicono che è largo e ci fanno pagare 15$. Cerchiamo subito posto nel campeggio ma ci dicono che il camper davanti al nostro ha preso l’ultimo posto disponibile. Usciamo dal parco e troviamo posto nel primo RV park che incontriamo e che è circondato dalla caratteristiche montagne di Zion. Oggi avremmo dovuto fare un pezzetto dei Narrows fino al Mystery Canyon (o al Narrows Alcove come suggerito da Marco-Joethelion) e la cosa aveva sempre affascinato i bambini. Ma Andrea non è certo in grado di muoversi e resta al camper con Sergio. Io accompagno Irene almeno a vedere l’inizio dei Narrows (ormai sono le 18.00).
Un primo shuttle ci porta dal RV park al visitor center (dove mettiamo il timbro del parco anche per Andrea) ed un secondo ci guida nel canyon di Zion. Lo percorriamo tutto, cercando di capire tutto quello che ci dice l’autista, e ci fermiamo al Temple of Sinawava (il nome fa riferimento al Dio Coyote degli indiani Paiute). Seguiamo il sentiero del Riverside Walk (2 miles – 3.2 Km, roundtrip) nel canyon creato dal North Folk del Virgin River. Incontriamo subito un cerbiatto, un po’ distante dal sentiero, che bruca indisturbato. Durante questa bellissima passeggiata incontriamo 2 scoiattoli e vediamo le montagne tingersi pian piano di rosso per effetto dell’imminente tramonto. Notiamo anche una piccola “Spring” che cola dalla roccia. Queste “Canyon Springs” sono caratteristiche di Zion e si formano nel punto di transizione tra strati geologici visto che la Navajo Sandstone è una roccia porosa mentre quella sottostante dello strato Kayenta è impermeabile. Il Riverside Walk è anche chiamato “Gateway to the Narrows”, perché giunge ad un piccolo piazzale dove il fiume è basso e sassoso e da cui parte il trail dei Narrows. Qui finalmente Irene si toglie la voglia di camminare un po’ nel fiume e così la immortalo mentre passeggia con l’acqua alle caviglie (io cerco di non eccedere per non cadere in acqua con il gesso!). Tornando indietro troviamo il cerbiatto di prima proprio accanto al sentiero … è bellissimo! Vorrei vedere la Weeping Rock ma sono le 20.00 e, tenedo conto della durata della passeggiata da fare e che la frequenza dei bus a quest’ora è ridotta, torneremmo al camper verso le 22.00. Non potendo avvertire Sergio (abbiamo un solo cellulare), non vorrei che stesse troppo in pensiero se tornassimo così tardi per cui decidiamo di andare a vedere il tramonto al Court of Patriarcs viewpoint. Salite sullo shuttle troviamo un autista molto logorroico che racconta alcuni aneddoti sul parco e soprattutto che in questa zona è stato girato Butch Cassidy and the Sundance kid (uno dei miei film preferiti). Ci fermiamo a Court of Patriarcs dove tre cime imponenti (Abraham, Isaac e Jacob) assumono un colore sempre più rossastro per la luce al tramonto. Quindi ci tratteniamo un po’ per immortalarle ed aspettiamo un altro shuttle. Arrivati al camper vediamo che anche le montagne che lo circondano (tra cui spicca il Whatchman) si sono arrossate: è veramente un bello spettacolo! Visti i problemi di stomaco ceniamo con riso in bianco: tipica cena americana! La notte dormiamo meglio che a Las Vegas anche se teniamo ancora i finestrini aperti e dormiamo senza pigiama.
Wednesday, 20th of June Partenza: Springdale, UT Arrivo: Bryce Canyon NP, UT Alloggio: Sunset Campground, Bryce Canyon National Park, UT (Campsite 219) Prezzo: 10$ Km tappa: 276.75 (172 Miles) Km totali: 1956.54 (1216 Miles) Luoghi visti: Zion-Mount Carmel Hwy Coral Pink Sand Dunes SP Red Canyon NP Bryce Canyon NP Facciamo colazione in camper (Andrea sembra stare meglio) e ci avviamo sulla Zion-Mount Carmel Hwy ovvero il nome che prende la UT-9 all’interno di Zion. La strada offre vedute veramente stupende (anche per Sergio che purtroppo ha solo questo ricordo del parco) per cui ci fermiamo continuamente a fare foto. Vediamo il Great Arch, un arco cieco scavato in una parete verticale, che purtroppo è in ombra per cui è difficile distinguerne i contorni e quindi renderne la profondità nelle foto. Mentre percorriamo questa strada tortuosa le ante di un armadietto si aprono ed i piatti in dotazione (di porcellana!) cominciano a scivolare verso l’esterno come in un cartone di Pippo. Fortunatamente Irene ci avverte prima che sia troppo tardi e Sergio sigilla le ante con un pezzo di stoffa. Arrivati al tunnel ci accodiamo ad un altro camper in attesa e passiamo quasi subito dall’altra parte dove troviamo formazioni geologiche ancora diverse. Nella zona est del parco si trovano soprattutto montagne di arenaria arrotondate costituite dalle Navajo Sandostones. Nella Checkerboard Mesa, il fenomeno della stratificazione incrociata è particolarmente evidente. Si notano due tipi di linee sulla sua superficie. Le linee orizzontali (crossbedding) rappresentano gli strati della sabbia mossa dal vento che hanno generato la duna. Le linee verticali sono crepe superficiali che probabilmente sono causate da fenomeni di espansione-contrazione dovute ad esempio a cambiamenti di temperatura o di condizioni meteorologiche come pioggia e vento. Al Checkerboard Mesa viewpoint incontriamo un gruppo di motociclisti su Harley Davidson che riincontreremo anche al Bryce. Dopo Mt Carmel Junction decidiamo di fare una deviazione lungo la US-89 verso Kanab per andare a vedere il Coral Pink Sand Dune State Park (5$). Qui siamo a 6000 piedi di altitudine e cominciamo a fare conoscenza con i Ponderosa Pines inframezzati alla sabbia. Scesi dal camper, ci troviamo di fronte dune color rosa-arancio in cui crescono dei cespugli con fiori gialli, ed il tutto è arricchito dall’azzurro intenso del cielo. I bambini cominciano a correre in discesa ed in salita sulle dune. C’è una vera sensazione di pace (oltre a noi c’è solo una famiglia di 5 persone) anche se ad un tratto arrivano i go-cart a spezzare un po’ l’incantesimo. Le dune si sono formate in seguito allo sbriciolamento delle Navajo Sandstones provocato dall’erosione e dalla successiva azione del vento che si incanala velocemente nella falla aperta tra i monti Moquit e Mocassin. La velocità del vento si riduce quando arriva nella valle aperta dove rilascia la sabbia. Nonostante questo sia uno State Park, chiediamo di poter mettere un timbro sul passaporto come ricordo.
Ci rimettiamo in marcia e percorriamo un pezzo della US-89 ammirando il panorama selvaggio e meraviglioso che ci circonda: ranch, verdi prati con cavalli e mucche al pascolo e fiumiciattoli si alternano. Immettendoci nella UT-12 attraversiamo il Red Canyon che ci ricorda molto gli scenari disegnati in Cars; soprattutto gli archi sotto cui passiamo ricordano la romantica passaggiata di Saetta McQueen con Sally. Arriviamo al Bryce Canyon NP, situato lungo il bordo sudest del Pausagunt Plateau (Paunsagunt è il nome Paiute per “casa del castoro”). Il bordo del Kaiparowits Plateau limita il lato opposto della valle. In seguito al sollevamento ed al frazionamento dell’altopiano del Colorado, la forza erosiva di acqua e vento hanno scavato dei larghi anfiteatri nel Pausagunt Plateau esponendo dei pinacoli colorati chiamati hoodoos (arrivano a 200ft, 60m). Diversi anfiteatri si estendono lungo le 20 miglia (30km) del parco ed il più grande è il Bryce Amphitheater: lungo 12 miglia (19 km), ampio 3 miglia (5 km) e profondo 800 ft (240 m). Lungo il bordo del plateau l’acqua, scendendo velocemente, ha eroso pian piano la formazione Claron, costituita da carbonato di calcio inframezzato da depositi di ferro e manganese che danno una colorazione rispettivamente rosso-arancio e violacea. Neve ed acqua sono penetrate nelle fessure della roccia, hanno sciolto il cemento che la compattava e sono congelate creando spaccature; l’acqua piovana ha modellato i bordi delle fratture grazie anche alla sua acidità. Questo ha creato delle scanalature che pian piano sono diventate più profonde ed hanno portato alla formazione di rocce strette definite pinne. L’erosione successiva delle spaccature verticali createsi nelle pinne ha portato alla creazione degli hoodoos. Cerchiamo un posto nel Sunset Campground. Questo è un campeggio senza reception dove ti scegli il posto, metti un contrassegno con i tuoi dati sull’asta della piazzola e 10$ in una busta, con gli stessi dati, che inserisci in un’urna posta all’entrata del campeggio. Qui diamo il meglio di noi stessi! Scegliamo un posto accanto ai bagni (il 222) dove sull’asta c’è un contrassegno con la scritta 21. Oggi è 20 per cui per noi è libero e poniamo il nostro contrassegno con la scritta 20 sopra l’altro. Ci prepariamo i panini e mangiamo sul tavolino della piazzola che, insieme al barbecue, è sempre in dotazione in ogni campeggio. Facciamo tappa al visitor centre e, visto che queste sono le ore più calde, raggiungiamo la fine della Scenic Route del parco e torniamo indietro, fermandoci nei punti panoramici.
Rainbow Point: è il punto più alto del parco (9100 ft, 2775m) e da qui si ammira un panorama molto bello. Si può apprezzare una serie di pendii appartenenti alla Grand Staircase. Ci troviamo infatti sulle Pink Cliffs (in lontananza si vede anche l’Aquarius Plateau) e subito sotto si distinguono le Grey Cliffs. In lontananza si possono vedere Molly’s Nipple che fa parte delle White Cliffs e le Vermillion Cliffs Ponderosa Canyon: Il view point deve il nome agli enormi Ponderosa Pines (alti più di 150ft con un diametro di 5ft) situati in fondo al canyon. La vegetazione è rigogliosa nelle zone corrispondenti alle Gray Cliffs e protegge le rocce circostanti dalle intemperie. La zona delle White Cliffs invece non permette un buon attecchimento delle piante ed è maggiormente soggetta ai fenomeni di erosione. Da qui si cominciano a vedere i pinnacoli di cui il Bryce è costituito.
Agua canyon: qui due hoodoos prominenti richiamano l’attenzione: a sinistra “The Hunter” ed a destra “Rabbit” o “Backpacker.” In lontananza si vede la Navajo Mountain.
Natural Bridge: qui si trova uno dei diversi archi presenti al Bryce, scolpito da fenomeni erosivi nelle rocce rosse della formazione Claron, attraverso il quale si vede la sottostante foresta di Ponderosa Pines.
Farview point (8819 ft, 2688 m): permette una vista spettacolare delle zone che compongono la Grand Staircase. Da nord a sud si può vedere: the Aquarius Plateau (Pink Cliffs), the Kaiparowits Plateau (Grey Cliffs), Molly’s Nipple (White Cliffs), ed in lontananza the Kaibab Plateau. In lontananza si può vedere la Navajo Mountain (90 miglia) al confine tra Utah ed Arizona e si può perfino arrivare a vedere le Black Mesas in Arizona ad una distanza di 160 miglia. Bryce Point, Inspiration Point, Sunset Point e Sunrise Point sono i punti in cui si può ammirare l’anfiteatro. Al Bryce Point ci si affaccia dalla Boat Mesa che incappuccia la formazione Claron fino ad Inspiration Point per vedere il risultato dell’erosione di questa formazione che ha dato origine agli hoodoos. Anche le caverne, visibili da qui sono il risultato dell’erosione del White Member della formazione Claron. Da Inspiration Point si può scorgere Silent City (vicino a Sunset Point). Al Sunset Point vorremmo precorrere un tratto del Navajo Trail per risalire al Sunrise Point percorrendo il Queen’s Garden Trail. La parte del Navajo Trail comprendente Wall Street è chiusa dopo poche miglia per cui cominciamo a scendere per l’altro ramo. Vicino al bellissimo Thor’s Hammer mi paralizzo completamente. Le mie vertigini cominciano a farmi un brutto scherzo: l’esposizione del sentiero e soprattutto la consapevolezza di non potermi reggere con la mano sinistra in caso di scivolone mi ha completamente bloccato. In più controllare i bimbi che si avvicinano al bordo del sentiero mi blocca ulteriormente. Tentiamo di provare il Queen’s Garden Trail dal Sunrise. Ormai però l’irrazionalità mi ha completamente assalito e vedere sotto dei bambini che corrono nella parte di sentiero senza protezione da entrambi i lati mi fa stare ancora peggio, per cui ci accontentiamo soltanto dei view points. Questa decisione mi fa mordere le mani ancora oggi ma in quel momento non sono riuscita a sbloccarmi. Da Sunrise Point si vede la Boat Mesa e Sinking Ship, stagliate contro le Pink Cliffs dell’Aquarius Plateau. Incredibilmente le radici di Limber Pine sono state esposte dai fenomeni erosivi e fanno capire come le piante riescano ad adattarsi anche a condizioni estreme. Incontriamo una famiglia veneta che è partita da New York in macchina ed ha già visitato la maggior parte dei parchi che vorremmo vedere. Andrea è così contento di sentir parlare italiano che subito dopo ci dirà “Perché non li avete invitati a cena?” Compriamo alcune cose che ci mancano come lo spago per chiudere alcuni armadietti che si aprono sempre in viaggio. Andiamo a vedere il tramonto al Sunrise ed al Bryce Point, anche se molti hoodoos sono in ombra. In questo parco vediamo degli scoiattoli diversi con il dorso striato e la coda fine, i Golden-mantled Ground Squirrels. Che somigliano proprio a Cip e Ciop (o Chip’n Dale, loro sono dei Chipmunk e, da quello che ho capito la differenza sta nell’avere anche il musetto striato).
Tornati al campeggio non troviamo più il nostro contrassegno sul numero 222 ma una tanica d’acqua con scritto “questo posto è riservato da un ospite del campeggio”. Vado a cercare un ranger per capire e girando nel campeggio vedo che nei posti occupati c’è sempre la scritta 21 per cui realizziamo che non bisogna scrivere la data di arrivo ma quella di partenza. Cerchiamo un’altra piazzola ma ora si pone il dilemma: noi abbiamo già pagato per la 222 ma ora stiamo occupando la 219 … dobbiamo ripagare? Mentre facciamo manovra arriva una ranger a cui spiego che stamani ci siamo sbagliati pensando di dover scrivere la data di arrivo. Lei dice “Ah, siete voi?”. Ci riporta il nostro contrassegno e ci dice di non preoccuparci perché la maggior parte delle persone fanno quest’errore! Il cielo è bellissimo, denso di stelle e la luna sta crescendo. L’altitudine si fa sentire perché ci addormentiamo con i finestrini chiusi e nella notte ci copriamo con i piumini in dotazione.
Thursday, 21st of June Partenza: Bryce Canyon NP, UT Arrivo: Grand Teton NP, WY Alloggio: Gros Ventre Campground, Grand Teton NP, WY (Campsite 200) Prezzo: 17$ Km tappa: 1028.15 (639 Miles) Km totali: 2984.69 (1855 Miles) Luoghi visti: Bryce Canyon NP (Fairyland Point) Salt Lake City Jackson Ci svegliamo soltanto io e Sergio. Visto che oggi sarà una tappa di avvicinamento lasciamo i bimbi a dormire. Andando al bagno del campeggio scorgo “Cip” che giocherella con i residui della cena dei vicini entrando ed uscendo da una tana nel terreno. Ci dirigiamo verso Fairyland Point e lungo la scenic drive incontriamo dei cerbiatti sul lato della strada. Vediamo una distesa di pinnacoli che dall’alto offrono uno spettacolo impressionante alla luce del mattino.
Partiamo prendendo la UT-12 ed attraversiamo nuovamente il Red Canyon. Ci prendiamo un caffè al caramello a Panguitch e ci dirigiamo verso la I-15. Verso le 10.00 i bambini si svegliano per cui ci fermiamo per preparargli la colazione e poi ripartiamo. Intorno alle 14.00 ci fermiamo a Salt Lake City per preparare e mangiare i panini per il pranzo. Io esco a fare alcune foto ma il caldo è impressionante. Siamo vicini a Temple Square, cuore della città, che è strutturata secondo la consueta pianta a reticolato, e sulla quale si affacciano il Mormon Temple e il Tabernacle. Uscendo dalla città passiamo da Capitol Hill, il punto più elevato, sul quale sorge l’edificio neoclassico del Parlamento, che riproduce esattamente il Capitol di Washington.
Passiamo attraverso montagne verdi e vediamo diversi ranch e laghetti: ci addentriamo nei territori che hanno fatto da sfondo a molti films di cowboys. In particolare ci ricordiamo della storia di Luke Macahan e della sua famiglia che nell’ultima serie viveva in un rach vicino alla cittadina di Teton (!). Attraversiamo il confine dell’Idaho ma dopo Idaho Falls troviamo una strada ridotta ad una corsia per lavori in corso che rallenta molto l’andatura. Andando verso Jackson costeggiamo un bel lago creato da una diga sullo Snake River su cui pian piano tramonta il sole. Quindi in un giorno siamo passati dal paesaggio arido e rosso dello Utah a quello rigoglioso e verde del Wyoming. Arriviamo a Jackson intorno alle 20.30. Non avevo prenotato il campeggio dall’Italia perché sulle lunghe tappe non volevo eccedere nelle previsioni in più speravo che alla Cruise America ci avrebbero dato una lista con un maggior numero di campeggi rispetto da quelli che avevo trovato in internet (6). Cominciamo da quello più in centro che ci dice di essere pieno e ci consiglia di andare al Grand Teton direttamente. Però lì non hanno l’elettricità: noi veniamo da un parco senza elettricità, domani saremo nuovamente in un campeggio senza elettricità per cui ci piacerebbe dormire in un posto attrezzato per ricaricare le pile di telecamera e macchina fotografica. Cerchiamo ancora in città ma la signora di un RV park ci può sistemare in un posto per tende senza elettricità. La nostra idea era cenare a Jackson per mangiare una bella bistecca ma … torniamo indietro verso Hockback Junction (12 miglia a sud) chiedendo a diversi RV parks un posto per dormire ma ovunque rispondono FULL. L’ultimo ci dice di provare 23 miglia più a sud. A quel punto ritorniamo verso Jackson e cerchiamo un motel (secondo la guida è proibito sostare di notte nei parcheggi con il camper) ma ovunque c’è scritto NO VACANCY. Ormai sono le 22.30, incontriamo una macchina della polizia e spieghiamo al poliziotto che non siamo riusciti a trovare né un RV park, né un motel nonstante siamo tornati indietro di ben 12 miglia. Lui ci consiglia di andare al Grand Teton perché nella zona non c’è niente oltre agli RV park da noi visitati. Quindi ci avviamo a fare quello che non avevamo fatto 2 ore prima. Quasi all’uscita di Jackson vediamo sul lato della strada un’altra macchina della polizia ferma e tutta illuminata. Appena la sorpassiamo accende la sirena e ci viene dietro. Ci fermiamo ma nessun poliziotto scende dall’auto. Dico a Sergio di non scendere ma lui insiste che se non scende nessuno vuol dire che deve scendere lui. Così appena sceso esce fuori un poliziotto che lo fa risalire immediatamente e ci dice che nel Wyoming quando uno incontra una macchina della polizia ferma con i lampeggianti accesi si deve fermare. Ci chiede i documenti e noi gli spieghiamo che stiamo andando nel parco perché non abbiamo trovato un posto per dormire tra Hockback Junction e Jackson. Anche lui concorda con il collega che la cosa migliore è andare al Grand Teton. Arriviamo così al primo campeggio del parco che funziona con il sistema della busta e scegliamo un posto vicino ai bagni. I bimbi mangiano un po’ di pane e formaggio e crollano nel letto … ormai sono le 24.00.
Friday, 22nd of June Partenza: Grand Teton NP, WY Arrivo: Yellowstone NP (Canyon Village), WY Alloggio: Canyon Campground, Yellowstone NP, WY (Campsite K234) Prezzo: 18.50 $ (13.84 €) (prenotato tramite www.Xanterra.Com) Km tappa: 246.18 (153 Miles) Km totali: 3230.87 (2008 Miles) Luoghi visti: Grand Teton NP Yellowstone NP (Upper Geyser Basin) Yellowstone NP (Midway Geyser Basin) Yellowstone NP (Norris Geyser Basin) Visto l’orario di ieri sera anche stamani lasciamo i bimbi a letto e partiamo alla scoperta del parco. Vediamo subito la catena dei monti Tetons alla nostra sinistra. Si distinguono: South Teton (12514ft – 3814m), Nez Perce (11901ft – 3627m), Middle Teton (12804ft – 3902m), Grand Teton (13770ft – 4197m), Mt Owen (12928ft – 3940m), Tweenot Mountain (12325ft – 3756m) e Mt. Moran (12605ft – 3842m). Arrivati alla Moose Junction proseguiamo dritti e giriamo verso destra all’intersezione con la Antelope Flats Road. Qui incontriamo molti bisonti che stanno pascolando. Dopo poco sulla sinistra compare la casa in legno (Mormon row barn) che si vede in tante foto su internet e sulle brochures del Grand Teton. Mentre fotografo la casa con i Tetons sullo sfondo mi attrae uno strano animaletto simile ad un cane della prateria che costruisce tane nel terreno. Torniamo indietro verso il visitor center (dove timbro il passaporto per tutti e due i dormiglioni) e percorriamo la Teton Park Road fermandoci ai vari view points. Vorremmo salire al Signal Mountain Overlook ma per lavori in corso la strada è aperta solo il sabato e la domenica. Ci fermiamo all’area di Signal Mountain per fare benzina e per preparare la colazione ai bimbi, che nel frattempo si sono svegliati, e qui incrocio altri “cani della prateria” che si nascondono in tane scavate nei prati vicino al Jackson Lake. Ripartiamo e facciamo una deviazione a destra per andare all’Oxbow Bend dove lo Snake River curva di quasi 180° ed i Tetons si riflettono nelle acque del fiume. Ci avviciniamo all’uscita del parco costeggiando il Jackson Lake. Arriviamo all’entrata sud di Yellowstone NP, il parco di Yoghi e Bubu, ma dobbiamo fare ben più di 25 km per arrivare al visitor centre! Seguiamo il corso del Lewis River, che sfocia nello Snake River poco dopo l’entrata nel parco. Lungo la strada si possono vedere ancora le tracce dell’incendio del 1988 che bruciò il 36% degli alberi del parco. Circa 630000 anni fa nel cuore di Yellowstone ci fu una gigantesca eruzione che creò un cratere di circa 40km di diametro e 2000m di profondità. Dopo una lunga attività eruttiva il cratere sprofondò, formando la caldera di geyser e getti di acqua calda visibile oggi.
Al visitor centre prendiamo gli orari orientativi per le eruzioni di alcuni Geyser. Vediamo subito che non riusciremo ad arrivare all’eruzione dell’Oldfaithful Geyser delle 12.49 visto che ci separano altri 27 Km ma sicuramente potremo vedere la successiva. L’Old Faithful è un geyser dal getto molto potente (106-184 ft / 30-55 m di altezza), e soprattutto è il più prevedibile, visto che ogni 92 minuti erutta per 2-5 minuti. Ogni eruzione proietta tra 3700 e 8400 galloni (14000 e 32000 l) di acqua calda. Arrivati al parcheggio prepariamo i panini e li mangiamo strada facendo per prendere i posti sulle panche prima che sia tutto pieno. L’eruzione del geyser è veramente stupefacente! Anche se la magia è un po’ guastata dall’eccessiva presenza di persone chiassose e maleducate. Ad esempio una famiglia americana è arrivata all’ultimo momento e si è seduta sul muretto dell’anfiteatro davanti a tutti; nei preamboli dell’eruzione il telefonino della nonna ha squillato e tutti hanno dovuto parlare con la persona all’altro capo del telefono gesticolando e squittendo. Non contenti degli schiamazzi al momento clou dell’eruzione si sono alzati in piedi per farsi fotografare davanti al getto d’acqua prendendosi maledizioni un po’ da tutti visto che hanno rovinato vari filmini e foto. Decidiamo di prenderci un gelato ma l’idea non è molto originale visto che ci troviamo a fare una coda di 30 minuti. Anche con i gelati gli americani hanno dosi da cavalli: uno “small” corrisponde ad un nostro cono normale. La signorina infatti ci ha guardati sorpresa per il fatto che prendevamo uno “small” anche per gli adulti.
Cominciamo a visitare la restante parte dell’Upper Geyser Basin, la zona al mondo con la più alta concentrazione di geysers, ed a prendere confidenza con alcuni fenomeni idrotermici che incontreremo varie volte durante la visita del parco.
Geyser – Il geyser è una tipologia di sorgente di acqua calda che ha delle eruzioni periodiche che creano delle colonne di acqua calda e vapore. Il nome geyser deriva da Geysir che è il nome del più noto geyser islandese. Essi sono una manifestazione del vulcanismo secondario, che si ha quando è presente una caratteristica struttura a sifone. In essa ci sono rocce permeabili, nelle quali circola l’acqua, circondate da rocce impermeabili, e nelle vicinanze è posta una camera magmatica. L’acqua piovana entra nella struttura a sifone, viene riscaldata, ma la pressione esercitata dal peso dell’acqua sovrastante e dalle rocce circostanti impedisce che essa diventi vapore. Si formano bolle sempre più grandi che non riescono a passare attraverso le intercapedini e quindi sollevano l’acqua sovrastante. Questo crea un diminuzione della pressione determinando un’ebollizione violenta: istantaneamente viene prodotta una grossa quantità di vapore che forza l’acqua ad uscire e così il geyser comincia ad eruttare. L’eruzione termina quando la riserva d’acqua si esaurisce o quando le bolle gassose diminuiscono di volume e riescono ad uscire senza sollevare l’acqua. I “Fountain-type-geysers” emettono acqua in varie direzioni da una vasca mentre i “Cone-type-geysers” hanno un getto direzionato da un cono o un beccuccio.
Hot Spring – E’ caratterizzata da uno stagno più o meno grande contenente acqua, di solito limpida perché filtrata dalla roccia. Si forma quando il sistema di canali sotterranei non è così costretto come nel geyser. Quindi l’acqua calda non è sotto pressione ma circola liberamente fino alla superficie dove evapora. L’acqua fredda ritorna nel sistema sotterraneo tenendo il tutto in equilibrio. I colori di queste piscine naturali sono determinati dalla presenza di minerali e soprattutto di alghe e batteri termofili. I termofili resistono alle alte temperature e sono caratterizzati da diversi colori: generalmente i verdi ed i marroni vivono nelle acque più fredde (sotto i 140°F o 60°C) mentre quelli arancioni e gialli in acque più calde (140-181°F o 60-83°C).
Fumaroles o Steam vents – Sono i fenomeni geologici più caldi di Yellowstone. Le fumarole cominciano come sorgenti calde ma per scarsità di acqua si trasformano in vapore. Infatti l’acqua calda risale dal sottosuolo ma arrivata in superficie il suo volume è troppo debole per farla zampillare o per creare uno stagno per cui si trasforma in vapore creando una nube grigia.
Mud Pots – gli stagni di fango sono hot springs acide e sono costituiti da fori nella superficie del terreno ripieni di fango stagnante e caldissimo. Questi calderoni si formano al di sopra delle fumarole che liberano un gas acido, il solfuro di idrogeno. I microorganismi presenti lo convertono in acido solforico che fa decomporre la roccia in fango ed argilla. La presenza di gas che fuoriescono dal fango causa il continuo ribollio. Ci incamminiamo verso Geyser Hill, una collinetta densa di fenomeni geotermici da cui si domina il paesaggio ricco di fumo e di colori in cui scorre il Firehole River. Il terreno è modellato da formazioni minerali depositate dall’acqua calda emessa dai geysers o dalle hot springs. Sono depositi di geyserite, costituita principalmente da ossido di silicio, che a seconda di come sono disposti permettono di capire il comportamento e l’età dei vari fenomeni geotermici. Questa zona è la più popolata di turisti ed all’inizio procediamo piuttosto rapidamente. Vediamo l’Anemone Geyser che sembra spento ma improvvisamente emette uno zampillo di circa 10 ft. Questo geyser dà molta soddisfazione perché emette il suo getto ogni 10-20’. Plume Geyser erutta ogni 60-75’ in più riprese raggiungendo i 25 ft (8m) di altezza. E’ un geyser relativamente giovane essendosi formato nel 1922. Grazie al suo stretto cono, il getto di Beehive Geyser può arrivare fino a 130-190 ft (40-55m) e durare 4-5’ ma questo avviene 2 volte al giorno. Heart Spring è una hot spring (7,5x10ft) di colore verde smeraldo, profonda 15 ft. La sua forma ricorda un cuore umano. The Lion Group consiste di 4 geysers connessi sotterraneamente tra loro: Lion, Lioness, Big Cub, e Little Cub. Lion presenta il cono più grande, che permette di ottenere un getto di 80 ft (24m), ed ha una fase attiva, che dura 1-7’, una volta al giorno. Spesso la fase attiva è preceduta da zampilli, emissione di vapori e rumori che ricordano il ruggito di un leone. Vediamo molte pools colorate tra cui una piccola che somiglia alla Crested Pool. Sawmill Geyser erutta ogni 1-3 ore per un tempo variabile da 9’ a 4 ore. Deve il suo nome (segheria) al fatto che durante l’eruzione l’acqua ruota nel suo cratere come le lame di una segheria. Spasmodic Geyser, come si capisce dal nome, erutta in maniera irregolare a diverse altezze attraverso diversi fori interconnessi. Questo è piaciuto molto ai bimbi proprio per la sua continua imprevedibilità. Bellissima la Belgian Pool di un azzurro trasparente nel centro e con una lingua giallastra laterale. Avvicinandoci al Grand Geyser, incontriamo il Rift Geyser ed il West Triplet Geyser, pozze che zampillano ed emettono vapore. Il getto imponente del Grand Geyser (200 ft- 60m) si può ossevare ogni 7-15 ore. E’ un classico “fountain geyser” che erutta a più riprese da una pozza molto grande per 9-12’. Oggi è prevista un’eruzione alle 18.00 (+/- 1 1/2 ora) ma per noi è un po’ tardi. Turban e Vent Geysers fanno parte del complesso del Grand Geyser. Beauty Pool è una bella hot spring di colore blu incorniciata dai colori dell’arcobaleno per l’azione dei batteri che hanno trovato un’acqua più fredda. E’ bellissima l’immagine degli alberi circostanti che si specchiano nell’acqua colorata. Sotterraneamente è collegata alla vicina Chromatic Pool, che ricorda una cometa, e spesso quando il livello di una sale quello dell’altra scende. Attraversiamo il ponticello sul Firehole River e vediamo Oblong Geyser che è situato sulla riva del fiume ed erutta notevoli quantità di acqua. Il Giant Geyser ha un enorme cono bianco di 12 ft. Dal 1997 erutta ogni 3-10 giorni per circa un’ora con un getto che raggiunge i 180 – 250 ft (55 – 76m). Quando siamo passati emetteva piccoli getti d’acqua che fuoriuscivano dall’immenso cono. Da lontano vediamo l’eruzione del Daisy Geyser il cui getto arriva a 75 ft (23m) e dura 3-5’. La sua eruzione è prevedibile con intervalli di 110-240’. Grotto Geyser ha un cono molto buffo che potrebbe essersi formato dalla geyserite deposta sui tronchi degli alberi che una volta gli crescevano attorno. Erutta senza previsione con una latenza che varia da 8 ore a 3 giorni con un getto di 10 ft (3m) con una durata variabile. E’ legato da canali sotterranei a Spa Geyser e Rocket Geyser. Vediamo una zona definita Chain Lakes costituita da molte pozze colorate in cui si notano miriadi di bollicine che salgono in superficie. Questo paesaggio colorato e bollente contrasta con la circostante vegetazione verde e rigogliosa. Attraversando un altro ponte vediamo Fan and Mortar Geysers che sono molto vicini e spesso eruttano insieme immettendo acqua nel Firehole River. Le eruzioni avvengono variabilmente nel giro di uno o due giorni o si fanno attendere anche mesi. Il getto del Mortar Geyser può arrivare a 40 – 80 ft mentre quello del Fan 100 – 125 ft. Spiteful Geysers sono costituiti da una geyser collegato ad una pozza azzurrissima che bolle in continuazione. La Morning Glory Pool deve il suo nome alla notevole somiglianza con l’omonimo fiore. La piscina è profonda 23 ft e l’acqua di colore azzurro è circondata da un anello giallo-arancio. Purtroppo questa meraviglia è stata vittima del vandalismo dei turisti che hanno gettato rifiuti tappando il foro interno, e di conseguenza hanno alterando la circolazione dell’acqua inducendo perdita di energia termica. Infatti la sua temperatura si è abbassata negli anni ed i batteri, che davano la colorazione giallo-arancio alla periferia della piscina, si stanno insinuando nel centro. Tornando indietro deviamo per il Riverside Geyser che è situato al bordo del Firehole River. Durante i 20’ di eruzione, una colonna d’acqua di 75 ft (23m) forma un arco sul fiume. Purtroppo il geyser erutta ogni 5-6 ore. Il visitor centre aveva segnato un’eruzione per le 17.30 (+/- 30’) ma arrivati lì l’orario era posticipato alle 18.00. Vediamo la trasparente Round Spring e la colorata Orange Spring. Castle Geyser è uno dei geyser più vecchi del bacino ed ha un grande cono da cui esce per 20’ un getto che raggiunge i 75 ft (24m) ogni 10-12 ore. L’eruzione è sempre seguita da una fase di emissione di vapore che dura 30-40’. Noi abbiamo visto solo un’abbondante emissione di vapore e qualche zampillo; oggi il visitor centre non dava previsioni.
Riprendiamo il camper ed arriviamo al Midway Geyser Basin: è un posto irreale! Qui si trovano due tra le più grandi hot springs del mondo. Appena arrivati vediamo colare nel Firehole River, attraveso canali di dreanaggio di colore arancione, dei ruscelli che originano dall’Excelsior Geyser. La giornata è bellissima ma c’è un bel vento per cui a tratti veniamo investiti dal vento fresco e poi dal vento caldo che, passando sopra la hot spring, ci riversa in faccia il tipico odore di zolfo. Prima del 1900, l’Excelsior (199°F, 276×328 ft) era il più grande geyser del mondo con un getto di circa 300 ft. Le violente eruzioni avvenute alla fine del 1800 hanno portato al danneggiamento del sistema di alimentazione del geyser stesso. Il geyser ebbe un sussulto nel 1985, quando eruttò per 2 giorni con un getto di 20-80 ft. Oggi è una hot spring produttiva che scarica circa 4050 galloni di acqua bollente al minuto. E’ affascinante assistere ai fenomeni di ebollizione che si sviluppano nel cratere di cui si vede un po’ dell’interno visto che l’acqua è trasparentissima. La Turquoise Pool (142-160°F, 100×110 ft) deve il suo nome al colore blu assunto dall’acqua. Le particelle minarali sospese nell’acqua aggiungono un’iridescenza opalescente alla pozza. Sotterraneamente è connessa con l’Excelsior Geyser. Infatti quando l’Excelsior era attivo il suo livello si abbassava di circa 10 ft. Incontriamo la piccola Opal Pool, molto infossata nel terreno. La Grand Prismatic Spring (147-188°F, 250×380 ft) è la più grande hot spring di Yellowstone, con un diametro di 370 ft ed una profondità di 120 ft, ed è considerata la terza nel mondo. E’ situata su un’ampia collinetta da cui l’acqua fuoriesce formando delle piccole terrazze. Deve il suo nome ai colori che la caratterizzano che ricordano quelli dell’arcobaleno. Nel centro ha un colore azzurro scuro che si schiarisce mano a mano. Le alghe verdi formano un leggero contorno ed estenamente è bordata da una zona giallo-arancio che dà origine a canali di dreanaggio. La Grand Prismatic scarica circa 560 galloni di acqua bollente al minuto e dalla sua superficie si sprigiona una notevole quantità di vapore sulfureo che sembra catapultarci all’inferno.
Passiamo da Madison e vediamo le Gibbon Falls (84 ft, 20m) del Gibbon River. Nelle vicine Gibbon Meadows cerchiamo si scorgere qualche animale ma non vediamo nessuno! Ci fermiamo al Norris Geyser Basin: il luogo più ”attivo” geologicamente, dove il terreno è caldo e dove i fenomeni termali sorgono improvvisi. Molte hot springs e fumarole raggiungono temperature superiori al punto di ebollizione (200°F) e molti geyser sono di tipo acido. La zona consta sostanzialmente di due bacini tra i quali è possibile camminare seguendo comodissime passerelle in legno. Scegliamo il sentiero del Black Basin (1,5 miglia – 2.4Km) dove incontriamo Emerald Spring, una sorgente calda vicina alla temperatura di ebollizione, profonda 27 ft (8m), dalle acque verdi-azzurre per la presenza di minerali, e bordata di giallo per i depositi sulfurei. Vediamo lo Steamboat Geyser, più grande geyser attivo del mondo, capace di zampillare fino a 110 m (350 ft) di altezza. Le sue eruzioni si manifestano circa due volte l’anno e nessuno sa predire quando. Comunque a noi è piaciuto lo stesso visto che continua a fare degli zampilli di 3m (10 ft) riversando acqua sulle rocce sottostanti. Cistern Spring è una pozza collegata allo Steamboat il cui livello si abbassa prima della fase eruttiva del geyser. Black Pit Spring è una pozza situata lungo il crinale di una collina e bolle in continuazione. L’Echinus Geyser deve il suo nome ai depositi che ricordano i ricci di mare. Dovrebbe eruttare più volte al giorno anche se non è prevedibile. La sua pozza si riempie gradualmente di acqua ed improvvisamente emette un getto di 40-60 ft (12-18 m) verso il cielo per circa 4’. E’ il più grande geyser acido conosciuto visto che il suo pH varia tra 3.3 e 3.6. Giriamo in un paesaggio veramente infernale dove i vapori di zolfo avvolgono il panorama e … siamo soli! Arch Steam Vent è una fumarola mentre Puff’n Stuff Geyser dà costantemente spruzzi d’acqua di pochi piedi. Vediamo alcune piccole pozze caratterizzate da bollicine che continuamente raggiungono la superficie. Black Hermit Caldron è una fumarola mentre Green Dragon Spring emette una nube di vapore da una caverna situata al bordo di una hot spring. E’ veramente impressionante. I pericoli che si potrebbero incontrare lasciando le passerelle sono testimoniati dagli scheletri di alcuni animali vicino alla pozza. Qui si osservano continui fenomeni di ebollizione. Blue Mud Steam Vent è una fumarola di cui si riesce a vedere un po’ l’interno. Yellow Funnel Spring è una pozza che emette continui zampilli ed è bordata da depositi di solfuro. Porkchop Geyser è un vecchio geyser che è stato danneggiato dalle esplosioni interne ed ora si sta trasformando in una hot spring. E’ bella la zona che lo circona costituita da acquitrinii bollenti dove i contorni delle pozze si fondono. Una formazione costituita da due pools zampillanti ci ricorda un paio di occhiali. Una delle due è Pearl Geyser, una pozza che emette bolle continuamente e, raramente, erutta con un getto che raggiunge i 10ft. Vixen Geyser è caratterizzato dal vapore che sale e talvolta dà brevi eruzioni. Nella stessa area Palpitator Spring sembra che pulsi continuamente come un cuore a causa delle bolle interne mentre Fearless Geyser emette continuamente vapore. Il Monarch Geyser crater è un geyser trasformatosi in hot spring. Minute Geyser, una volta eruttava ogni 60’’ raggiungendo altezze di 40-50 ft (12-15m). Anche qui i turisti hanno colpito: il suo foro più grande è stato ostruito da rocce e rifiuti. Ora le eruzioni sono irregolari ed originano dal foro più piccolo per cui sono meno spettacolari. Cominciamo a scorgere la East Fork del Tantalus Creek e la zona del Porcelane Basin (visitabile percorrendo un sentiero di 0.5 miglia – 0.8Km) ed ammiriamo il Cracking Lake dall’alto. La sua attività termica deriva dalle springs situate sulla riva sud, il cui scoppiettio ha dato il nome al lago. Vediamo Black Growler Steam Vent e Ledge Geyser in azione con lo spettacolare panorama del Porcelane Basin sullo sfondo. Questo bacino deve il suo nome al colore lattescente dei depositi minerali di geyserite che prima vengono portati in superficie dall’acqua calda delle hot springs e poi rilasciati nell’area circostante dove l’acqua fluisce. Black Growler Steam Vent è una fumarola con una temperature di 199-280°F (93-138°C) che rilascia vapore e vari gas nel cielo. Ledge Geyser erutta con un getto ad angolo fino a 200 ft di distanza con un ciclo di 4-6 giorni. Avvistiamo altri bisonti per la strada, arriviamo al campeggio alle 21.00 e ci prepariamo la cena. Attorno a noi ci sono molti camper “estensibili” come nel film Vita da camper. Gli americani infatti guidano questi RV che hanno le dimensioni dei nostri autobus, a cui attaccano dietro la macchina che spesso è una 4×4 o un pick up, magari con dentro uno scooter o delle bici. Incredibile! Saturday, 23rd of June Partenza: Yellowstone NP (Canyon Village), WY Arrivo: Yellowstone NP (Fishing Bridge), WY Alloggio: Fishing Bridge RV, Yellowstone NP, WY (Campsite A11) Prezzo: 38.15 $ (28.54 €) (prenotato tramite www.Xanterra.Com) Km tappa: 157.68 (98 Miles) Km totali: 3388.55 (2106 Miles) Luoghi visti: Yellowstone NP (Grand Canyon) Yellowstone NP (Tower Falls) Yellowstone NP (Mammuth Hot Springs) Yellowstone NP (Mud volcano) Dopo aver fatto colazione andiamo a visitare il Grand Canyon (lungo 20 miglia – 32Km e largo 1500/4000 ft – 450/1200m) partendo dal north rim. Vediamo il Glacier Boulder, un masso di granito in mezzo alla foresta. Arriviamo ad Inspiration Point dove subito uno scoiattolo ci fa festa. Qui abbiamo la prima visione del canyon e la cosa che colpisce di più è la policromia delle sue rocce vulcaniche: giallo, arancio, rosa, bianco, verde. Questo è il risultato dell’azione dell’acqua calda generata dai fenomeni geotermici sulla lava depositata 480000 anni fa. Alle fine dell’ultima glaciazione il canyon ha acquisito l’attuale forma a V. Le sue pareti scoscese sono alte 800 ft (240m) nella parte est ed arrivano a 1200 ft (360m) nella parte ovest. Da questo viewpoint si ha una bella vista sia a monte che a valle. Sul fondo del canyon scorre lo Yellowstone River ed i successivi viewpoints del north rim offrono viste sulle enormi cascate: Lower Falls è la cascata più alta del parco (308 ft – 93m) mentre Upper Falls è più bassa (109 ft – 33m). Al Grand viewpoint si ha un’altra bella vista del canyon e del fiume. Al Lookout viewpoint si comincia a vedere bene la Lower Fall con un arcobaleno ai suoi piedi. Camminiamo un pò per il sentiero del Brink of the Lower Falls vedere la Lower dall’alto e la Upper in lontananza ma non lo percorriamo tutto per risparmiare le forze per l’Uncle Tom Trail. Al Brink of the Upper Falls è possibile vedere tutta la potenza del fiume che dà origine alla cascata e ci si sente piccoli piccoli davanti a questa forza della natura. Il rumore dell’acqua sulle rocce è quasi ipnotico. Attraversiamo il ponte e percorriamo il south rim da cui si godono viste ancora migliori. Ci fermiamo all’Upper Falls viewpoint dove vediamo la cascata da un’altra angolazione ed un arcobaleno nella parte bassa. Scendiamo per l’Uncle Tom Trail, un sentiero composto da 328 gradini che portano ai piedi della Lower, circa 500 ft (150m) sotto. All’inizio della scalinata c’è un cartello che avverte che la via al ritorno è faticosa e sconsigliata a chi soffre di cuore. Dopo esserci goduti la cascata, l’arcobaleno e soprattutto aver visto da vicino queste rocce dai colori particolari, cominciamo a risalire. Questa volta riesco a tenere a bada le mie vertigini, anche se con notevole sforzo, sia durante la discesa dell’ultimo tratto che durante la sua risalita. Arriviamo all’Artist Point, che offre una vista spettacolare del canyon in entrambe le direzioni e della Lower. A fatica riesco a staccarmi da tanta bellezza! Ci dirigiamo verso nord e oltrepassiamo il Dunraven Pass, a 2700 mt. Di altezza, che è il punto più alto del Parco raggiungibile in auto. Dalla sommità lo sguardo copre all’infinito la vastità di Yellowstone. Poco dopo troviamo un po’ di neve sulla strada. Vediamo anche molte persone al bordo della strada, che armate di binocolo, cercano di avvistare un grizzly. Al Roosevelt Village ci fermiamo per preparare i panini e mangiare. Subito dopo andiamo a visitare la spettacolare Tower Falls, alta circa 40 m (132 ft) dove un affluente dello Yellowstone River (Tower Creek) fluisce tra sottili pinnacoli di roccia vulcanica per immettersi nello stretto canyon in cui scorre proprio lo Yellowstone River. Ci dirigiamo verso Mammoth Hot Springs. Appena arrivati vediamo una colonia di elk femmina con i cuccioli. Alcuni piccoli stanno crescendo per cui hanno abbozzi di corna sulla testa. La particolarità geologica della zona è costituita da una serie di terrazze digradanti che ornano il fianco di una collina. Dall’alto cola acqua calda che assorbe una gran quantità di biossido di carbonio che trasformandosi in acido carbonico attacca la roccia calcarea, tipica di questa zona del parco, sciogliendola lentamente. Il calcare sciolto si deposita sottoforma di carbonato di calcio creando queste terrazze di travertino in cui si vanno ad insediare batteri termofili e alghe colorate che sopravvivono in un ambiente acido e danno colorazioni stupefacenti. Queste sculture sono dinamiche e l’attività idrotermica di ogni formazione può variare nel tempo, anche molto velocemente, ma l’attività complessiva dell’area ed il volume di acqua emessa rimane pressochè costante. La zona consta di due aree principali: Lower e Upper Terraces. Passeggiamo nel Lower Terrace dove ci sono i maggiori depositi calcarei. Giriamo attorno al Liberty Cap che somiglia ad un fungo giagantesco di 37 ft (11m) ma deve il suo nome ai cappelli dei rivoluzionari francesi. E’ stato creato da una hot spring la cui pressione interna era in grado di gettare acqua ad altezza elevata, permettendo ai depositi minerali di costruire pian piano questa formazione. Palette Spring è caratterizzata da un’area pianeggiante superiore da cui l’acqua calda fluisce creando delle lingue colorate di marrone, arancio e bianco che scendono lungo la collina. Minerva Terrace ha perso la sua attività di hot spring per cui è costituita da vuote terrazze bianche di travertino finemente scolpite. Mound Terrace è inattiva da decenni. Cleopatra Terrace e Jupiter Terrace si trovano al bordo di collinette e sono ancora attive nonstante abbiano avuto cicli di inattività. Canary Spring è caratterizzata dal colore giallo e bianco.
Al ritorno vediamo due elk che gironzolano in prossimità di Palette Spring con gli zoccoli immersi nell’acqua calda. Ripresa la strada vediamo la parte di Canary Spring che scende lungo la collina e ci fermiamo a vedere Angel Terrace nell’Upper Terrace (la zona è meno attiva geologicamente) ma non possiamo proseguire perché la strada non può essere percorsa da RV. Angel Terrace è caratterizzata da formazioni bianche ed arancio. Tornando verso Norris ci fermiamo alla Roaring Mountain, dalla cui superficie vengono emessi rumorosi vapori e gas solforosi. La sua attività è scemata nel tempo e noi vediamo soltanto una fumarola.
Ripercorriamo il tratto Norris-Canyon Village e vicino al Canyon vediamo un elk maschio intento ad osservare una decina di “scocciatori” con macchina fotografica. Passiamo vicino alla Hayden Valley, una valle, lunga circa 20 Km, verdissima e ricoperta da grandi praterie, alimentate dallo Yelloswtone River, che qui forma dei grandi meandri. Ci fermiamo, sulla sinistra, al Sulphur Caldron: è una hot spring giallo-verde che rilascia nell’aria un fortissimo odore di zolfo e crea intorno a sé un paesaggio infernale. E’ la pozza più acida del parco con un pH di 1-2. Vicino c’è la Turbulent Pool ed il cratere di un ampio mud pot attivo che secondo i bimbi è la vasca per i fanghi di Sid, il bradipo dell’Era Glaciale. Subito dopo seguiamo il percorso di Mud Volcano (Vulcano di Fango), nome derivante dal fatto che qui ci sono parecchie sorgenti di fango bollente e di acque altamente solforose. Incontriamo Dragon’s Mouth Spring, sorgente di acqua e fango ad altissima temperatura, dai brontolii poco rassicuranti scambiati per quelli di un bisonte arrabbiato dai primi scopritori. Mud Volcano presenta un cono simile ad un vulcano (9x9m) che essendosi danneggiato, probabilmente per una violenta eruzione, mostra l’interno del suo cratere. Il fango grigio bolle in continuazione lambendone la parete posteriore. Io ed Irene ci incamminiamo sulle passerelle mentre Sergio ed Andrea tornano al camper. Incontriamo Grizzly Fumarole che è uno steam vent e l’intensità delle sue emissioni dipende dalle recenti precipitazioni. Sour Lake sembra una piscina ma le sue acque sono acide per la presenza di batteri che generano acido solforico a partire dal solfuro di idrogeno. Accanto Black Dragon’s Caldron è una grossa pozza che ribolle continuamente al centro creando onde concentriche. Churning Caldron ha un aspetto simile ad un calderone gigante delle streghe: bolle in continuazione creando onde sulla superficie e rilasciando vapori acidi nell’aria. La temperatura è di circa 73°C (164°F). Su di noi ha un vero effetto ipnotico … nonostante l’odore restiamo estasiate a guardarlo a lungo. Un tempo Sizzling Basin rilasciava una gran quantità di gas mentre Mud Geyser, che aveva un getto di 50ft (17m), recentemente è diventato inattivo. Mud Caldron è costituito da molte pozze di varie dimensioni in cui si scorgono bollicine che risalgono verso l’alto.
Arriviamo a Fishing Bridge attraversando un ponte sul lago dove si vedono anatre e gabbiani ed arriviamo al campeggio alle 19.30. Mentre loro vanno a fare la doccia, raduno i panni da lavare e pulisco il camper. Nel frattempo vedo un po’ di gente che si assiepa al margine della foresta. Vado a vedere, armata di telecamera … un bisonte era venuto a farci visita ma data la folla aveva deciso di tornarsene nella foresta. Con Irene vado alla lavanderia ma “l’ultimo carico si può fare alle 21.00” mi dice il signore con aria sorniona guardando l’orologio: sono le 21.02! L’ho fulminato con lo sguardo e siamo tornate al camper. Avendo l’elettricità utilizziamo il microonde per preparaci (solo gli adulti) una cena messicana (surgelata) con tanta salsa piccante. Anche a Yellowstone il cielo di notte è impagabile! La notte fa freschino e continuiamo a dormire con il piumino.