Sardegna, da Stintino a Oristano

Sardegna Luglio 2007 18 Alghero mercoledì L’aereo Ryan Air parte da Pisa alle sette (andata e ritorno nominali E. 54,50 che diventano 162.74 con tasse e Baggage Fe). Lasciamo Massa alle 5.40 per arrivare all’aeroporto alle 6.15. Le procedure d’imbarco sono veloci così come il viaggio. Tempo bello, Valentina dorme. In tre quarti d’ora...
Scritto da: giovanni rutili
sardegna, da stintino a oristano
Partenza il: 18/07/2007
Ritorno il: 27/07/2007
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
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Sardegna Luglio 2007 18 Alghero mercoledì L’aereo Ryan Air parte da Pisa alle sette (andata e ritorno nominali E. 54,50 che diventano 162.74 con tasse e Baggage Fe). Lasciamo Massa alle 5.40 per arrivare all’aeroporto alle 6.15. Le procedure d’imbarco sono veloci così come il viaggio. Tempo bello, Valentina dorme. In tre quarti d’ora siamo all’aeroporto Fertilia. Scendono in fretta anche i bagagli. Alle 8 e qualche minuto Vale, che si è risvegliata, parla con l’addetta al servizio informazioni dell’aeroporto per sapere eventi e manifestazioni della zona per i prossimi giorni. Con Europcar abbiamo prenotato l’auto per le 9. Arriviamo invece alle 8.15. L’addetto, non molto gentile, ci avvisa che se vogliamo possiamo ritirare l’auto prima ma sporca. Chiediamo quanto sporca, replica con un generico “sporca”. Aspettiamo le nove. Intanto paghiamo 281,56 euro con convenzione Monte Paschi. L’auto è una Lancia Y “Silver bullet” 1.2 benzina (invece della 1.3 multijet della prenotazione). Si parte subito verso Santa Maria la Palma che dista dall’aeroporto una decina di chilometri. Passiamo davanti alla cantina sociale, attraversiamo il centro del paese e poi svoltiamo a destra, in una strada ai piedi della collina, disseminata di agriturismo e eucalipti. Alle 9.15 circa, arriviamo al n.88, casa di Luigi Carboni (tel. 079.999151) che ci mette a disposizione un appartamento grande (due stanze da letto, cucina, ingresso, terrazzo), arredato con mobilia in formica anni ’70 e ’80, senza aria condizionata ma pulito. Ci sono due case già costruite ed almeno un’altra in costruzione nell’appezzamento di terra di Luigi. Il colpo d’occhio complessivo è gradevole, anche se si tratta evidentemente di edifici costruiti in economia, quasi tra un condono e l’altro. Le note più liete sono il gazebo con braciere proprio sotto gli eucalipti e la quiete notturna, interrotta solo dal rumore di qualche grillo e dal fruscio delle lenzuola, smosse di continuo alla ricerca vana di un improbabile refrigerio. Scarichiamo le valigie e, su suggerimento (ottimo) di Luigi, andiamo al Lazzaretto, facendo prima una breve sosta a Fertilia per bancomat e cibarie. Mentre arriviamo al forno, sul corso principale, scopriamo la città fascista che era e che è, fondata nel 1936 da coloni veneti (?) giunti a dissodare una campagna ora fertile. Fertilia non è tenuta benissimo. Forse, pensiamo, c’è stato l’imbarazzo che si ha per segmenti di passato legati a ricordi infelici, percepiti come vergognosi anche se non necessariamente tali. Le architetture dei palazzi e delle chiese rimandano alle piazze di De Chirico. Ma sugli intonaci rughe di salmastro e incuria sbiadiscono i colori e segnano il tempo che passa.

Al Lazzaretto c’è parcheggio a pagamento custodito (5 euro al giorno) o semiabusivo incustodito. Scegliamo il secondo. La spiaggia è bella: circa un chilometro di lunghezza per una quindicina di metri di profondità nel punto più largo. E’ parzialmente attrezzata con ombrelloni, sdraio, pedalò, bar ristorante, cabine e docce calde.

Siamo senza ombrellone, un po’ tirchi e un po’ fortunati perché nella parte a destra, quasi in fondo, troviamo riparo sotto un cespuglio di siepe sporgente che ci fornisce l’ombra necessaria.

E’ il momento del relax: librino, passeggiata nel mare, bagno con la maschera e la giornata passa in un attimo.

Il mare è bellissimo, caldo al punto giusto, con colori che passano dall’azzurro quasi bianco al blu profondo. La riva è sabbiosa e bassa, ideale anche per i bambini (che non mancano), mentre a largo ci sono scogli e pesci per curiosi dei fondali marini.

Tornando a casa guardiamo, da fuori, il villaggio nuragico Palmavera, e poi scendiamo alla spiaggia delle Bombarde. E’ grande, attrezzata, con una spiaggia bianca e un mare cristallino che invita al tuffo. Rispetto al Lazaretto è meno intimo e più organizzato.

Per cena scegliamo Sa Mandra, un agriturismo abbastanza noto, tra Fertilia e Santa Maria della Palma. E’ il classico ristorante tipico, un po’ ammiccante verso il turista cui propone, in un ambiente bucolico, richiami alla civiltà nuragica ed a quella dell’antica campagna sarda. La struttura è grande, ci sono diversi locali e probabilmente almeno 150 coperti. Ci sediamo fuori, sotto una pompeiana in legno molto gradevole. Scegliamo il menù degustazione: 35 euro. Tutto carne. I proprietari sono originari della Barbagia e l’agriturismo, al di là del ristorante, funziona veramente. Quindi si comincia con una serie di antipasti dove brilla in positivo (10 e lode) Sa Vruche, un formaggio vaccino freschissimo servito con foglie di menta, pecorini di diversi tipi, verdure, salumi (8 alla salsiccia) e dei curiosi piedini di agnello in agliata (troppo difficili 5). Particolare anche il su Martinette, piatto tipico fonnese (Barbagia) con zucchine e scaglie di ricotta mustia. Di primo Ravioli alle sette erbe (9) e Malloreddos al sugo di Vitello (8). Secondo porcellino sardo allo spiedo (9) e Agnellone in ghisadu (tipo carne alla griglia) (9). Alla fine dolcetti sardi, mirto e frutta. Il tutto accompagnato con Cannonau della casa di buona qualità. Voto alla cena 8,5 per rapporto qualità prezzo. Prodotti freschi, abbondanti e cucinati sul momento. Pecche? Il servizio forse troppo rapido e gli antipasti: alcune cose (tipo funghetti, piedini, alcuni salumi) sono buoni ma non trascendentali e rischiano di sciupare l’appetito quando arrivano i piatti forti. 19 Alghero giovedì Ci dirigiamo verso Capo Caccia, dopo un’infruttuosa sosta a Fertilia (il bancomat è rotto). Ci dilunghiamo in fermate, foto, wow e oh! Di meraviglia. La strada ha un ottimo fondo, ideale per motociclisti e sale lenta per lunghi tornanti, da cui si aprono scorci abbaglianti sulla baia di porto Conte, sulla grande insenatura, sul massiccio di capo caccia. A pochi chilometri dall’arrivo saliamo verso un parcheggio panoramico da cui si gode una vista strepitosa sul promontorio, il mare è blu intenso, molto in basso e i faraglioni si stagliano davanti la costa alta e ripida. Arrivati a Capo Caccia, parcheggiamo di fronte al bar e scendiamo abbastanza rapidamente fino alla grotta di Nettuno. Il biglietto si paga in fondo. Meglio. C’è, infatti, una visita guidata ogni ora e costa 10 euro a persona, è in italiano ed in inglese e dura una mezz’oretta (servizituristici@comune.Alghero.Ss.It). Onestamente l’interno della grotta, che consta di due ambienti, un paio di stalattiti, qualche leggenda e qualche dato scientifico (interessante il livello del mare un paio di milioni d’anni fa), non vale il prezzo del biglietto. Il bello della grotta, infatti, a nostro giudizio è la scalinata nella roccia verso il mare, il vortice di colori, azzurro, bianco e blu, l’orizzonte che si nasconde dietro doccioni di roccia carsica per spuntare poco dopo, profondissimo. Il bello è già l’ambiente della prima stanza dove possiamo immaginare i pescatori che nei secoli scorsi trovavano rifugio mentre, impegnati nelle battute di pesca, venivano colti da improvvise tempeste.

Nel pomeriggio, sempre seguendo i consigli di Luigi, ci fermiamo alla spiaggia di Mugoni, proprio in fondo alla baia di Porto Conte. E’ uno spiaggione molto lungo, abbastanza stretto, con diversi punti attrezzati, qualche bar, il parcheggio a pagamento (80 cent per ora) in parte all’ombra. E’ un buon posto: c’è una grande pineta che arriva fino al mare dove si sta comodi all’ombra. Il mare è calmo, pulito, forse meno limpido delle Bombarde e del Lazzareto, ma il fondale è molto ricco: ci sono coralli viola, rossi e gialli anche vicino a riva, pesci di tutti i tipi e le Nacchere. Fanno impressione. Nuotando con la maschera, con la pineta alle spalle, in direzione di sinistra, verso la parte di scogli, si incontrano prima, sul fondale, pezzi di conchiglie perlacee, sembrano cozze, gigantesche, visto che arrivano a 30 centimetri di lunghezza. Sono inquietanti, si chiamano nacchere e sono specie protette. Su scogli coperti di alghe basse, ad una profondità di un paio di metri, non lontano da riva ma defilate, si stagliano conchiglie verticali alte fino 50 centimetri, larghe una trentina, slanciate, socchiuse, dove passa il mare e microorganismi. Chissà che spaghetti ai frutti di mare con mitili di 10 centimetri… Il sole arriva di sbieco, giallo bianco, impatta sul mare verde, rimbalza sul grigio chiaro del fondo sabbioso e si rifrange sulle rocce beige per le alghe. In serata andiamo ad Alghero. Facciamo il giro dei bastioni, le vie antiche, il duomo che alterna angoli bellissimi ad interventi posticci di dubbio gusto, il sole tramonta nel mare, gli ultimi raggi passano dai buchi delle cannoniere. Sembra una cartolina. Siamo abbracciati e abbiamo un po’ fame. Proviamo da Mabrouk, giusto a fianco della chiesa ortodossa. Ma è tutto esaurito per tre giorni e scegliamo Macchiavello (tel. 079.980628, mail@osteriamacchiavello.It, www.Osteriamacchiavello.It), vicino, con un lato sui bastioni e l’altro sui vicoli. Ceniamo all’interno. L’ambiente è curato, tovaglie di stoffa, volta a botte, personale numeroso. Io prendo le penne dell’Osteria, vale le linguine ai bastioni e da bere Vermentino bianco di Santa Maria della Palma. Di secondo una specie di orata rosa (parago?) pescato fresco, e cucinato all’algherese, con la vernaccia, servito con verdure grigliate. Alla fine spendiamo 55 di euro in due. Voto 7: primi un po’ anonimi (meglio quelle dell’osteria, comunque si sentiva poco il pesce), secondo eccellente, prezzo abbastanza onesto, un po’ troppo lenti per il conto (l’abbiamo chiesto 3 volte…). 20 Ittiri venerdì Lasciamo Santa Maria della Palma con l’unico rimpianto di non aver visitato la famosa cantina sociale. Un modo come un altro per dire solo arrivederci ad Alghero… Compatibilmente ai tempi della vacanza, puntiamo diritti verso nord: Stintino è l’obiettivo (www.Marenatura.It, info@marenatura.It per gite e altre cose in zona). Bruciamo i cinquanta chilometri di strada, tra campagna, pale eoliche, promontori e nuraghe in un’oretta scarsa. Alle 9,35 parcheggiamo di fronte alla Pelosa. (e. 1,25 l’ora i feriali, E. 1,6 i festivi). E’ venerdì e nonostante l’ora c’è già pienone. Per accedere alla spiaggia ci sono passerelle di legno e cartelli dove si invita a spolverarsi bene i piedi prima di tornare in macchina: ogni granello in meno è un pezzo di ecosistema che rotola via. Troviamo posto in terza fila. Ci facciamo poco caso. Entriamo in acqua e passeggiamo a lungo tra bambini che giocano, mamme che si rinfrescano, uomini con la maschera che provano la traversata all’isola Piana. Bordeggiando bordeggiando arriviamo alla fine della spiaggia, di fronte alla Torre e Vale sbatte contro una medusina. Torna indietro. Da solo provo ad arrivare a nuoto dall’altra parte ma mi ritrovo circondato dagli esseri irritanti acquosi e marroni, decido che è buona regola non sfidare troppo la sorte.

La Pelosa è bellissima ma parecchio frequentata. Così decidiamo di tornare indietro: passiamo da Stintino, paese di pescatori costruito a fine ‘800 quando l’Asinara fu trasformata con atto d’imperio in carcere, per dare un’occhiata e comprare un panino. Scendiamo lenti verso sud, percorrendo tratti di strada vecchia, tratti di strada a sterro che ci porta sul versante di ponente della penisola: la costa qui è rocciosa, selvaggia, scarsa di turisti. Decidiamo di fermarci alle Saline, dopo aver rapidamente visitato il complesso delle Tonnare, trasformato in residenza turistica alberghiera d’eccezione. Le saline sono bellissime. La spiaggia stretta, bianca anche per le alghe seccate in riva. Non c’è molta gente, si parcheggia bene, il mare è bello, anche se rispetto alla Pelosa ci sono più scogli sul fondale e i toni del turchese e del bianco talvolta lasciano spazio al verde scuro. Rispetto all’altra spiaggia, però ci sono molti più pesci. Saliamo in cima alla torre aragonese (ristrutturata ma tenuta in modo approssimativo, da cui si gode una splendida vista su tutto il golfo dell’Asinara, lo stagno di Casaraccio, le saline, con gli ottocenteschi edifici per la lavorazione parzialmente diroccati, il bianco accecante del sale non più raccolto, la macchia e, sic!, le pale eoliche e le centrali termoelettriche intorno a Porto Torres (che non degneremo neanche di uno sguardo, nonostante la bella chiesa in stile romanico pisano).

Passiamo da Olmedo per trovare una sistemazione per la notte. Olmedo doveva essere, nelle indicazioni della brochure ricevuta all’aeroporto, un’amena località per amanti di turismo enogastronomico con cantine, pane ed altre specialità. In realtà il borgo ci lascia perplessi, la posizione in certo senso dominante sulla piana di Alghero è gradevole, il caldo però asfissiante. Molti i cantieri aperti, le villette in costruzione cui fa riscontro un centro abbastanza anonimo. Comunque ci fermiamo nella piazza principale, visitiamo la chiesetta romanica (XII secolo) di Nostra Signora di Talia e decidiamo di tirare di lungo con buona pace della brochure. Ci spostiamo un po’ delusi verso l’interno. A Ittiri stasera comincia il festival del folclore. Non abbiamo idea di che si tratti, ma la strada, una ventina di chilometri, gorgheggia tra campi di grano, nuraghe, insediamenti rupestri e poi lungo il lago di Cuga comincia a salire offrendo istantanee di paesaggi verdeggianti, piccoli appezzamenti di vite, orti. Ittiri è a 400 metri sul livello del mare. La temperatura è gradevole. La prima impressione è quella di una città trascurata. C’è caos nello sviluppo architettonico della periferia ovest ed i contorni della città sono disordinati. C’è comunque fermento. Troviamo, per la prima volta, solo un cartello con indicazioni d’agriturismo. Telefoniamo a Su Recreu (tel. 079.442456, 335.6529746, surecreu.Ittiri@tiscali.It) quando sono le sette di sera. Le speranze sono modeste. Ma c’è posto tanto a dormire quanto per cena. Così sottoscriviamo una mezza pensione a 50 euro a testa. L’agriturismo è un po’ fuori (4 km) in direzione Thesi (loc. Buttios, Regione Cammeda), su una collinetta dal cui vertice si intravede, in fondo, lontano, il mare. La casa è stata ristrutturata di recente, ci sono due o tre casette di legno intorno e il belato e lo scampanio delle pecore come sottofondo. Due cani lupi ci accolgono mentre scendiamo dall’auto. La camera è bella, fresca e pulita anche se un po’ piccola. Verde sui muri, arredamento un po’ arte povera un po’ Mercatone uno. Il bagno è funzionale. Si cena in un grande salone arredato in modo apparentemente spartano. Ad un’occhiata più attenta, invece, ci sono ricchi richiami agli strumenti, ai vestiti e alle stoffe della cultura contadina. A tavola siamo in quattro. L’altra coppia è formata da Angelo, un ragazzo di Cagliari che fa l’agente per il settore mobili e Giovanna, insegnante di Verona, che d’estate lo accompagna nei viaggi dai clienti. Ci spiegano che conoscono bene l’agriturismo e ogni volta che passano in zona lo scelgono per l’alta qualità dell’ospitalità. E in effetti Piera è ottima padrona di casa e si rivela una cuoca bravissima e i piatti genuini e saporiti: dai fiori di zucca fritti (delicatissimi 8) a tortine di pasta frolla ripiene di melanzane (9), affettati fatti in casa (8), pecorini, ravioli con sugo di pecora (10 e lode), e di secondo fettine di maiale con i pomodori e i cetrioli (8). Vino della casa. Anche qui, come a Sa Mandra, il cannonau ci viene servito ad una temperatura che non arriva ai 10 gradi. Stranezze. Comunque grande l’appagamento (8,5). Poco dopo le 9, soddisfatti e pasciuti salutiamo Gavino e si va in centro alla scoperta di Ittiri by night! La prima serata del 22° Ittiri Folk festa (associazione culturale e Folklorica Ittiri Cannedu, casella postale n. 25 Ittiri Sardegna Italia, tel e fax 079.440515, www.Ittiricannedu.It, e-mail: info@ittiricannedu.It) è “Sonos de Ballu” (8,5): un percorso itinerante con gli strumenti della tradizione. In centro un sacco di gente è in strada. I ragazzi colgono l’occasione per sfoggiare abiti all’ultima moda, le ragazze, poco più che adolescenti, mostrano già curve ed abiti succinti, mentre dentro le vetrine, i negozianti hanno allestito angoli con i costumi tradizionali sardi. Molto belli. Giovanna, che è appassionata di sartoria, ci racconta la storia di alcuni capi di abbigliamento. Scopriamo così che Ittiri è famosa per le sue sarte e qui si approvvigiona il maestro Antonio Marras, stilista algherese direttore artistico della maison Christian Dior (?). Ogni quartiere ha allestito un piccolo banchetto. La gente del paese ci ospita con un po’ di curiosità e ci offre a cuore aperto malvasia del Logudoro fatta in casa, cannonau, birra Icnusa, salami, pecorini fin’anche la capra in umido che alle 11 di sera risulta sfida troppo ardimentosa… Assistiamo a diversi spettacoli: il nutrito gruppo abruzzese La Partenza di Penna S. Andrea che suona chitarre e beve vino a fiumi, i locali Launeddas e Sulittu, i Tenores, di Abbasanta, che cantano a cappella canzoni sarde. Di boccale in boccale, battuta in battuta, canzone in canzone, strada e piazza la serata scorre veloce. Purtroppo non riusciamo a vedere le case aperte. Torniamo a Su Recreu: la strada vicinale per arrivare alla casa è illuminata dalle lampade fotovoltaiche: il tentativo, apprezzabile dal punto di vista ecologico ed ambientale, sortisce l’effetto di una galleria di lumini da cimitero. Andiamo a dormire cullati dallo scalpiccio scampanellante delle pecore nel frattempo ritornate all’ovile.

21 Cuglieri sabato Al mattino, dopo una bella colazione, giriamo per l’agriturismo dove scopriamo che ci sono pecore, agnelli, caproni, maiali, mucche, una sala per la lavorazione delle carni ed una pre la preparazione del formaggio. Ottimo. Peccato che in aereo il carico sia limitato. Quindi salutiamo i nostri amici e torniamo ad Ittiri per visitare le case aperte. E infatti Ittiri, con questo nome che sa un po’ di malattia, è stata una città ricca, scelta dalla nobiltà di Sassari come dimora estiva e centro importante per gli allevamenti ovini e l’agricoltura, caratterizzata quindi, soprattutto nei primi del ‘900 da un interessante sviluppo architettonico. L’associazione culturale Carrelas ha quindi avviato il progetto “Domos” (9) “un itinerario architettonico e insieme etnoantropologico alla riscoperta di alcune dimore che conservano più autenticamente i tratti e gli stili dell’architettura tradizionale tipica del luogo.(…) All’interno delle case potranno essere osservati arredi, suppellettili e strumenti legati alla vita domestica e ai lavori agricoli e artigianali*”. (cfr brochure progetto domos)*. Abbiamo così visitato tutte le case tra cui spiccano, per bellezza, le nobiliari Casa Donn’Anna Solinas Filigheddu, con abiti da sera e nunziali dei primi ‘900, Casa Don Filippo Delegou. Colpiscono, invece, le ambientazioni di Casa Pes Scanu: qui, nello scantinato, freschissimo nonostante gli oltre 30 gradi al sole, Michele (?), un ragazzo di 15 anni che studia da perito elettrotecnico ma ama la cultura agricola dei padri e dei nonni, ci spiega, strumenti alla mano, come si produce il pecorino, la ricotta, come si tosano e quando le pecore. Anche casa Pinna, con la mola asinara, gli attrezzi per l’agricoltura, il letto del pastore, il pavimento in pietra antica ed il forno a carbone, è bellissima. Forse, però, la dimora più fascinosa è “su Palattu de Don Nigola Sussarello”, palazzo nobiliare dell’800, restaurato recentemente in modo incantevole dagli architetti-stilisti dell’Atelier Sartoriale De Mode. Al piano terra, c’è il negozio (termine forse modesto per un esposizione di abiti-capolavoro) mentre al primo piano, parzialmente ristrutturato 4 sale sono utilizzate per le esposizioni. Le soluzioni architettoniche, che coniugano efficienza e tradizione, richiamano minimalismo e gusti barocchi per un’eleganza mai fine a se stessa.

Lasciamo Ittiri, passiamo Romana, Monteleone Rocca Doria, Padria, saliamo intorno al monte Navrino e scendiamo finalmente a Bosa. Impieghiamo circa due ore per percorrere sessanta chilometri di strada. Attraversiamo una campagna arsa dal sole, gialla con macchine di alberi verdi, qualche nuraghe e rari insediamenti antropici. Sono le zone meno popolose e frequentate del Logudoro e ricordano in modo impressionante il west di Sergio Leone e Clint Eastwood: montagnole che spezzano l’orizzonte con linee spigolose, quasi piane, e ripidi calanchi che s’addolciscono in vallate morbide, interrotte da improvvise meteore, doccioni di roccia che si stagliano d’improvviso, a forma di giganteschi nuraghe stretti in cima. Padria ha un duomo delizioso e ricco di storia e leggende (7,5). Merita. Arriviamo a Bosa poco dopo l’ora di pranzo. Sarà perché Valentina non sta bene, sarà perché il caldo è asfissiante, sarà perché i B&B che contattiamo non hanno posto e comunque non brillano per gentilezza ed economicità, sta di fatto che la cittadina non ci commuove. Andiamo sulla spiaggia di Marina di Bosa, faccio un tuffo: l’acqua è bella, anche se in modo diverso dalle spiagge del nord. Il colore è più scuro, forse anche perché la sabbia è di un colore grigio opaco. Ma ci si sta bene. Verso le cinque si va a fare una passeggiata in centro, dove ci sono palazzi alti, dipinti di colori vivaci, non belli ma curiosi. Bello il lungofiume con tanto di sposa in posa. Il castello Malaspina (8 per il panorama) è chiuso per ristrutturazione. Alle sette lasciamo Bosa per Cuglieri: la strada s’inerpica verso Turas, Magomandas, Tresnurghe attraverso paesaggi verdeggianti mozzafiato, vigneti di Malvasia (carissima ma eccellente), il mare e la bella chiesa di San Pietro Extremuros sullo sfondo. Il far west del Logudoro sembra lontano anni luce, invece di pochi chilometri. Arriviamo a Cuglieri, un paesone a 500 metri d’altezza, che domina il lato ovest del massiccio del Monte Ferru. In centro troviamo alloggio presso De Sogos osteria con alloggio (via Cugia 6, tel. 078.539660). E’ un locale storico, famoso per la carne alla griglia di razza Sardo Modicana, indicato nelle Osterie d’Italia dello slow food. Ci sono passati Linea Verde, la Nannini, Guccini, Arbore e tanti altri. L’accoglienza è buona, la camera bruttina arredata in stile primi anni ’80, con un ventilatore, l’affaccio su una stradina interna, il bagno arrangiato, con il wc che sbatte sulla doccia e improbabili piastrelle marrone-viola alle pareti. Ma la stanza è pulita ed il letto comodo. A cena purtroppo non c’è la”bestia” sardo modicana. Ci “accontentiamo” di un serie di antipasti tra cui spicca il formaggio con i vermi (8), ravioli e Malloreddos al sugo di pomodoro (6,5). Di secondo prendiamo la pernice (8). Sugli altri tavoli qualcuno ha scelto i gamberoni, altri il maialino. Vino Cannonau della casa sempre servito freddo. Poi una passeggiata fino alla chiesa della Madonna della Neve e quindi una bella dormita (fresco, silenzio 8). A colazione un caffè veloce. La mezza pensione costa 40 euro a testa. Per noi De Sogos vale 7,5. Ottimo il rapporto qualità prezzo. Non è l’ideale per chi cerca la qualità a tutti i costi, piuttosto una soluzione valida per famiglie/gruppi di amici. 22 Sinis domenica Puntiamo la Lancia Y verso S. Archittu, senza se e senza ma. La strada scende veloce fino alle pendici del Monte Ferru, lunghi rettilinei in fondo cui si vedono sprazzi di costa bianca e il mare (20 km circa). Ci fermiamo una mezz’ora a vedere l’insediamento paleocristiano di Cornus. Il sito è sicuramente interessante, ma ricostruire mentalmente i templi che furono, non è facile partendo dalle macerie. A s. Archittu, dove ero stato una quindicina di anni fa con i miei genitori, c’è gente, ma considerando che è l’ultima domenica di luglio, troviamo parcheggio e posto in spiaggia abbastanza agevolmente. C’è molto vento, ma l’insenatura dove l’arco di arenaria bianca si staglia contro il cielo, come un gigantesco e ruvido ponte di Rialto, è ben protetta, il mare è calmo e si sta da dieci. La spiaggia è piccola, il fondo solo parzialmente sabbioso. Con la maschera esplorare le cavità subacquee è spettacolare. Anche tuffarsi dall’arco, ognuno dalla sua altezza, qualcuno anche dal vertice, a quota venti metri, è bellissimo. Facciamo un giro in canoa (6 euro per mezz’ora in quella da due). Pranziamo al Bar Pizzeria da Rino (6,5), sul lungomare, dove per 12 euro e spiccioli, ci gustiamo una Iknusa da 66 cc e due crostoni niente male. Nel pomeriggio, a nuoto, attraverso l’Archiuttu e faccio il giro della penisola, passando in mare aperto. Ci sono vento, onde, schiuma. Si confondono i profili degli scogli e il mare è di un blu cupo che fa paura. Nuoto a gambe levate, se così si può dire, per circumnavigare il più rapidamente possibile la penisola. Verso le sei, arrostiti al punto giusto, si prosegue la marcia senza una meta precisa. A istinto Valentina svolta verso Putzu Idu, il paese più a nord della penisola del Sinis (www.Areamarinasinis.It, info@areamarinasinis.It), proprio sopra Oristano. Il paesaggio è estremamente dolce. La strada scende lenta, tra pascoli di vacche, fattorie, nuraghe, macchia mediterranea e spiagge lunghissime (Is Arenas non a caso). Entriamo nella penisola, alla destra ed alla sinistra stagni seccati dal sole, diventanti oasi naturali. Tra una sosta per la foto e l’altra sono quasi le 8 e non sappiamo dove andare a dormire. Proviamo diverse soluzioni. Non ci convincono locations o prezzi. Ci imbattiamo nell’agriturismo Bonfiglio o Angolo Azzurro (località S’Arena Scoada, Putzu Idu, tel. 0783.53505, 0783.52166, cell. 333.528872). Ci accoglie Francesca, squisita. La struttura è bella, molto verde, ristrutturata di recente. Il bungalow è grande, con un bel bagno, una camera da letto, un salotto con angolo cottura e la veranda esterna. Per il primo giorno scegliamo la mezza pensione: 55 euro a testa. A cena fregole ai frutti di mare e orata alla griglia con verdure miste. Da bere un rosato della zona. Poi dolcetti sardi. La cena è semplice ma di ottima qualità e abbondante nelle portate (7,5). Siamo nel salone da cerimonie: c’è un grande camino, attrezzi della campagna e diversi tavoli. Solo un grande tavolo centrale è apparecchiato e gli ospiti, una ventina siedono tutti uno a fianco all’altro. Un modo divertente di socializzare. L’atmosfera è famigliare così come la gestione. Francesca è aiutata in cucina e ai tavoli dai figli, mentre Andrea, il marito, si occupa della manutenzione della struttura e di coordinare l’attività nell’azienda agricola, un po’ più all’interno a San Vero Milis, dove ci sono campi e allevamenti che producono la maggior parte degli alimenti utilizzati in cucina (verdura, frutta, marmellate). Scopriamo, sfogliando le pareti, che la famiglia Bonfiglio è attiva nel settore dal 1982. Francesca ci spiega che sono stati uno dei primi tre agriturismo nati in Sardegna. E quindi la nostra soddisfazione (9) non è casuale.

23 Sinis lunedì Giornata di mare nel Sinis. Scegliamo Mari Ermi, vicino isa Rutas, (parcheggio a pagamento obbligatorio 3,5 euro per 6 ore), un po’ a caso, un po’ su suggerimento. Da Putzu idu sono una quindicina di chilometri in mezzo ai campi, poi, dopo una striscia di collinette basse parallele alla costa, si scende sul mare. Lo spettacolo è mozzafiato: la spiaggia bianca e lunga a perdita d’occhio, s’accosta a laghi quasi evaporati che di notte fan da giaciglio ai fenicotteri. Interrompe la continuità del paesaggio solo qualche capanno, coperto di canniccio, destinato a ristorante bar, e a nord un piccolo molo. Ci sono docce e passerelle per evitare di rovinare l’ecosistema con il continuo calpestio dei cristiani. La spiaggia è a chicchi grossi, passeggiare è faticoso. Più che un camminare sopra, è un camminare dentro, affondare. C’è un po’ di vento, il mare ha colori turchesi e bianchi. Bellissimi. Pranziamo al kiosco Bar Sole Mare (solemaremariermi@tiscali.It) un posto veramente carino, affacciato sul mare, fresco. Mangiamo anemoni di mare fritti, polpo, pane carasau con bottarga, birra e caffè (21,70 euro). La qualità è notevole, le porzioni modeste ed anche il servizio lascia un poco a desiderare (6,5 totale). A cena andiamo a Cabras. Prima passiamo dalle rovine di Tharres. Molto particolare la chiesa paleocristiana di S. Giovanni in Sinis (8,5), il paesaggio dalla torre aragonese rimaneggiata (9). La città romana è interessante (7,5), il colpo d’occhio con i templi sul mare e dietro le barche a vela fantastico (9) anche se gli scavi sono parziali, i cartelloni esplicativi un po’ consumati e non sempre di facile interpretazione (v. Per esempio la zona delle terme). Il biglietto costa 5 euro e vale anche per il museo di Cabras. L’orario è fino alle 8 di sera o al tramonto. Ci sono visite guidate ogni ora, l’ultima alle sette. Andiamo a Cabras, ci fermiamo nello stagno a vedere, nell’ora del tramonto, i fenicotteri scegliere il risposo per la notte. Le zanzare non mancano ma lo spettacolo vale la pena. Per mangiare la bottarga, fatta con le uova dei muggini che crescono qui, ci consigliano tutti il Caminetto (Angelo, le guide). Ma purtroppo il lunedì è chiuso. Giriamo un po’ e troviamo A.G.I. Di Virdis Antonio & C., in via Leopardi (0783.392597). Il ristorante è stato ristrutturato di recente. Colori sul rosa. Apparecchiatura impeccabile. Grandi condizionatori. Nel complesso lo stile ricerca l’eleganza ma finisce per essere un po’ banale, tipo ristorante per comunioni di campagna. Su consiglio del maitre, simpatico, scegliamo due menù a prezzo fisso. Spaghetti alla bottarga (7+), penne della casa (7), e di secondo tagliata di muggine (9), il tutto accompagnato da una bottiglia di vermentino di Oristano (cantina sociale 7,5). Spendiamo 50 euro compreso dolce (7), caffè e ammazza caffè. Per noi Agi merita 8- (unica pecca, si esce con i vestiti al sapore di mare). 24 Sinis martedì Giornata lunghissima. La meta è la Costa Verde, a sud di Oristano, oltre il golfo. L’ospitalità di Francesca ci fa scegliere di restare un’altra notte a Putzu idu, anche se magari non è vicinissimo alla nostra meta. Lungo il cammino ci fermiamo a Santa Giusta, un’abbazia in stile romanico pisano decisamente notevole. Il comune ha allestito per l’estate un servizio di guida turistica gratuito (offerta libera) e la visita, che dura una mezz’oretta, è proprio piacevole (8 la cripta e il Cristo “smontabile” alla moda spagnola). Proseguiamo verso sud per un pezzo di Carlo Felice. Passiamo San Nicola D’arcidano, giriamo intorno al golfo fino a Sant’Antonio di Satadì, e poi curva dopo curva arriviamo alla spiaggia della Torre dei Corsari. La baia è caratterizzata, ai due vertici, dalla presenza di due agglomerati urbani di recente costruzione e dubbio gusto. Sono, verremo a sapere successivamente, per la maggior parte, seconde case di oristanesi o stranieri. Nel mezzo una collina larga circa un paio di chilometri e alta centocinquanta metri, coperta da una lingua di sabbia di colore giallo paglierino. Volendo, si possono prendere a noleggio ombrelloni, sdraio, pedalò e quant’altro. Il mare è bello, come sempre. Molto mediterraneo, nel senso che il verde domina rispetto ai precedenti azzurri caraibici del Sinis e dell’Asinara. L’inizio è sabbioso, poi molto profondo, quasi mare aperto. Ai lati rocce e scogli per gli amanti dei fondali. E’ veramente molto ventilato. Troviamo riparo dietro alcune rocce. Pranziamo al chiosco Bar Centro Balneare Bea &Sea, c’è vicino il campo da calcetto o beach volley, una cantante si esibisce dal vivo anche a mezzogiorno. Posto bello. Certamente. Ma non ci innamora… Al pomeriggio sfidiamo ancora le curve della costa verde, sfioriamo porto Palmas, e arriviamo fino a Montevecchio Marina, al limite della cala di Campu Sali. Entriamo nella tenuta dell’Eni ed arriviamo fino al mare. Una piccola spiaggia, alcune ville ed una vecchia colonia per ragazzi fatiscente, che evoca paesaggi del cartone animato tipo Conan o Ken Sciro. Quando il vomito e il nervoso sale (dove stiamo andando, ci domandiamo tra una pecora e una mucca che traversano la strada), decidiamo di tornare indietro. In quaranta minuti arriviamo a Terralba, alla cui cantina sociale attingiamo per acquistare tre bottiglie di vino (di cui una di famoso Monica). Proseguiamo in direzione Arborea, ribattezzata Mussolinia nel ventennio. Siamo curiosi, dopo Fertilia, di proseguire il nostro viaggio nelle architetture fasciste. Arborea è una cittadina piccola, evidentemente ricca, circondata da campi e allevamenti, ben tenuta, con un centro curioso: le costruzioni anni ’20 non sono nel consueto stile rievocativo e magniloquente (Fertilia, Roma etc), ma neogotiche all’“americana” almeno per quanto concerne chiesa e comune. L’impianto delle strade è geometrico. Ci fermiamo in un supermercato a comprare bottarga, pecorino, mozzarella fresca, salame, posate, birra, piatti e ceniamo al tramonto sul lungomare di Marina di Arboera, dove, tra pineta e mare, insistono alcune vecchie colonie. La spiaggia qui è sottile, un po’ più trascurata, con dune e molto vento. Il mare di fronte sembra un grande lago salato. Due signori non più giovanissimi si abbracciano e baciano appassionatamente dentro una Fiat Tipo verde bottiglia. Tornando indietro passiamo dalla costa. Una pattuglia di fenicotteri plana piano in uno stagno. Li guardiamo atterrare, facciamo le foto da vicinissimo e poi di corsa a casa. 25 Santu Lussurgiu mercoledì Dopo la sfacchinata di martedì, optiamo per una soluzione nelle vicinanze di Putzu Idu. C’è molto vento, scartiamo Cala Saline, la Mandriola, e andiamo nella spiaggia tra Capo Mannu e Su Pallosu (parcheggio a pagamento 2,60 euro fino a 4 ore). Scegliamo una caletta nella scogliera, un anfratto con una piccola spiaggia e mare più quieto e rumoroso. La spiaggia principale è molto bella ma troppo ventilata. Il mare comunque perfetto per fare il bagno: uno scoglio, piatto e basso, poco sotto il pelo dell’acqua, chiude la baia per lungo. Così nello spazio di mare tra lo scoglio e la spiaggia si forma una stupenda piscina, di mare sempre calmo anche se la corrente è comunque forte. Faccio il bagno con soddisfazione. Poi saliamo a piedi su per la scogliera diretti al faro di Capo Mannu che dista dalla spiaggia alcuni chilometri. Lungo il sentiero vediamo falchi che, sorretti dalle correnti aeree, stanno apparentemente fermi a mezza altezza in attesa di lanciarsi in picchiata su topi ed altri animaletti della macchia. Intravediamo lontana sullo sfondo l’Isola di Mal di Ventre. La roccia bianca e alta assume profili fantasiosi, mentre i campi di grano arrivano a sfiorare l’orlo del promontorio. Nel pomeriggio, come velisti in regata, proviamo a cambiare lato, andando sotto Su Pallosu. La spiaggia è vuota, ma scomoda e piccola. Addirittura ingiovabile l’accesso al mare, con tanti sassi taglienti, tantissima corrente e alghe che nascondono profondità ed asperità. Lasciamo il mare per l’interno, direzione Santu Lussurgiu. Ci fermiamo a Milis. La chiesa Romanico Pisana vicino al cimitero è proprio graziosa, così come la villa adiacente. Peccato non si riescano a visitare. La campagna è rigogliosa, il centro ben curato tanto che ci fermiamo a fare qualche foto. Seguiamo l’indicazione di una sorgente e troviamo una bella fonte. Lì un signore spiega la storia del borgo diviso tra campagna e commercio. Da Milis la strada comincia a salire nelle pendici orientali del Monte Ferru, attraversiamo Bonacardo, la cui insegna è trivellata da una non proprio ben augurale manciata di proiettili, attraversiamo pascoli dove cavalli liberi brucano e trotterellano tranquilli. La temperatura diventa più accettabile mentre cresce l’altitudine. Alle sette arriviamo a Santu Lussurgiu, (503 m slm). Il primo impatto non è felice. Sembra un paesone di mezza collina cresciuto male. Le indicazioni per raggiungere Sas Benas (0783.550870), Ristorante e albergo diffuso, sono problematiche o forse noi poco svegli e ci vogliono venti minuti di viuzze per individuare Piazza San Giovanni. La scelta era caduta su Santu Lussurgu non a caso: eravamo curiosi di conoscere gli alberghi diffusi, strutture ricettive nati nei primi anni 2000 grazie ad una legge speciale della regione Sardegna, poi adottata anche altrove, che consente di trasformare case già esistenti in alberghi. In pratica, il ristorante è in un edificio, alcune camere in un palazzetto, altre in una casa. In questo modo da un lato si recupera l’esistente, dall’altro, estendendo la licenza a diversi piccoli immobili, viene meno l’esigenza di costruire nuove strutture recettive più capienti che favoriscano economie di scale. E si tutela il paesaggio. Ci danno una camera al piano nobile di un palazzo elegante di campagna, fine ottocento. C’è un bel terrazzo, il bagno grande, un letto alto, rifiniture di pregio, biancheria di qualità e un pavimento in mattonelle di graniglia originali. I colori sono bianco, rosso negli infissi, castano chiaro nei mobili. Il ristornate è ricavato al piano terreno di un edificio del ‘700 in quelle che dovevano essere cantine e forse in parte stalle. E’ fresco, discreto, i colori tenui con il grigio argento della pietra a vista che domina discreto. La cena è ottima per quantità e qualità. Livelli di eccellenza negli antipasti, per il carpaccio di sardo modicana lesso con le verdure (9), tra i primi le penne con il sugo di sardo modicana in cestello di pecorino sardo fuso (10), nei secondi porceddu (10) e bistecca di sardo modicana (10). Beviamo un eccellente Mamuthone, cannunau da 14,5 gradi. La notte dormiamo a ritmo alterno perché il letto è un po’ troppo morbido ed io un po’ accaldato per la cena. La colazione è di tipo “europeo”. Spendiamo 55 euro a testa per la mezza pensione, escluso bevande e dolci (22 euro di cui 18 per il vino, tra i più cari della carta). Sas Benas vale 9,5. Unica pecca il letto, un po’ troppo morbido. Forse tornando indietro sorvoleremmo sull’antipasto perché i piatti principali meritano tutto l’appetito e l’attenzione possibili…

26 Alghero giovedì Al mattino “tappone” di trasferimento per Alghero. Fino a Macomer strada normale, tra boschi lussureggianti. Poi a tutta birra sulla Carlo Felice. Usciamo un paio di volte prima per scoprire i paesini nella valle dei Nuraghi e per visitare la bella chiesa, sempre in classico stile Romanico Pisano, di San Pietro di Sorres (8). Scegliamo di tornare a Porto Conte per l’ultima notte. Prima sostiamo a Porto Ferro, bellissima insenatura, ruvida, selvaggia, incastonata in rocce rosse, e spiaggia chiara, con fascinose torri aragonesi agli estremi nord e sud. E’ una baia a nord ovest di Alghero, cinque chilometri da Santa Maria della Palma, frequentata in prevalenza da gente della zona e da qualcuno che si perde. Scegliamo un B&B li vicino, Graziano & Barbara (www.Grazianoebarbara.It, tel 079.919177; cell. 349.5802435), proprio dietro la località Porticciolo, alle pendici ovest del monte Doglia. Si tratta di un podere sopraelevato con il mare su due lati, la vigna d’intorno, sullo sfondo Capo Caccia. Proprio una bella posizione. Vediamo una bella veranda, un forno a legna, il bigliardino. Ci tocca l’ultima camera libera che è un po’ piccola e arrangiata, comunque pulita, e sufficientemente comoda almeno per una notte. Graziano è gentile e suo padre un ottimo cuoco. Ci racconta che sono tra i conferenti della cantina di Santa Maria delle Palme. La colazione il giorno dopo deliziosa (la migliore della vacanza, con budini, marmellate e dolci sardi casalinghi). Per noi Graziano & Barbara (26 euro giorno persona mezza pensione) vale 8,5. Andiamo al mare a Mugoni, che da qui dista tre chilometri (parcheggio a pagamento 3,20 euro per 4 ore). Relax a go go. La sera ceniamo ad Alghero al mitico Mabrouk, “solo pesce, solo fresco, solo la sera” (via S. Barbara 079.970000, 347.2390093). E’ un posto molto particolare: una trentina di coperti (non uno di più) in due piani di una vecchia casetta di vicolo marinaro. Atmosfera molto raccolta e festosa grazie ai ragazzi ai tavoli, bravi e simpatici, ed alla padrona che passa a chiaccherare tra i tavoli, pavoneggiandosi, tra una portata e l’altra. L’apparecchiatura è semplice: tovaglie e tovaglioli di carta, un solo bicchiere per acqua e vino. Si mangia a menù e ora fissa. I coperti, sono contati perché il pesce è fresco, acquistato, ogni mattina al mercato. L’antipasto, pesce spada, calamari, strane conchiglie di mare verdi, baccalà, è eccellente (8). La cena si articola in diverse portate, tanti assaggi: spaghetti allo scoglio (8), al nero di seppia e pisellini (6), e con ricotta e pomodorini (7), un’orata alla griglia in due (8), una (modesta ma delicatissima) frittura di acciughe (8), totani (8). I dolci sono acquistati altrove e dimeticabili. Spendiamo 40 euro a testa. La serata è stata sicuramente piacevole, il cibo ben cucinato, ma, a ben vedere, 40 euro per mezza orata, una manciata di totani e due acciughe, vino della casa, menù fisso forse è un po’ troppo (7,5). Passeggiando per i carrugi di Alghero finiamo davanti al Liceo Classico che ospita la mostra dello stilista Antonio Marras. La città ogni due anni gli dedica uno spazio. Il ricavato del biglietto, 3 euro, è per Emergency. L’esposizione si articola su tre livelli: nel seminterrato, un film con il bakstage del catalogo. Poi schizzi, bozzetti e appunti dello stilista, e all’ultimo piano progetti di foto, e una galleria di oggetti drammatici e talvolta cruenti. La cosa più bella, nell’androne della tromba delle scale, una cascata di abiti da sfilata che hanno fatto la storia del quarantenne artista sardo. Marras, infatti, unisce tradizione e modernità, tessuti della storia e linee contemporanee, creando vestiti di grande fascino. Dubbia portabilità? 27 Massa venerdì Prima di andare all’aeroporto facciamo l’ultimo giro intorno ad Alghero, torniamo al Lazzaretto per un ultimo lungo bagno con maschera e boccaglio. Poi aeroporto di Fertilia riconsegna dell’auto e attesa dell’aereo Rayan Air che in barba alle statistiche (90% di arrivi puntuali nel 2006) parte con due ore di ritardo e i soliti, fastidiosi problemi di comunicazione (perché nessuno stewart o Hostess esce e spiega i motivi del ritardo?) In sintesi Ristoranti: Sa Mandra, Fertilia, 8,5; Osteria Macchiavello, Alghero, 7; Su Recreu, Ittiri, 8,5; De Sogos, Cuglieri, 7,5 (7 per ristorante); Agriturismo Bonfiglio, Putzu Idu Sinis, 7,5; Agi, Cabras, 8-; Sas Benas, Santu Lussurgiu, 9,5; Mabrouk, Alghero, 7,5; Strutture recettive (cena e colazione): Affittacamere Carboni, Santa Maria delle Palme, 6,5; Su Recreu, Ittiri, 7+; De Sogos, Cuglieri, 6,5; Agriturismo Bonfiglio, Sinis, 8,5; Sas Benas, Santu Lussurgiu, 9; Agriturismo Graziano e Barbara, Alghero, 8,5; Spiagge: Lazzaretto 8,5; Bombarde 8,5; Mugoni 8,5; Porto Ferro e Porticciolo 8; Stintino 9,5; Le saline 9; Marina di Bosa 7; S’Archittu 8,5; Mari Ermi 9; Su pallosu 6; Torre dei Corsari 8; Marina di Arborea 6,5; Il nostro giro ideale (una settimana, ad anello, da Alghero): 2gg Alghero spiagge Mugoni, Lazzaretto, Bombarde e Porto ferro ½ gg a spiaggia. Passeggiata panoramica a Capo Caccia. Cena Sa Mandra + Mabrouk o Macchiavello; 1 gg a Stintino, Le Saline; 1 o 2 gg tra Chiese Lugudoro, Bosa, vigne Malvasia, pendici Monte Ferru e scavi archeologici; 2 o 3 gg nel Sinis (S’Archittu, Mari Ermi, Is Arenas, Tharros, Cabras); 1 giorno nell’interno come tappa di trasferimento Milis, Santu Lusurgiu, Lugudoro.

La costa Verde merita un paio di giorni per conto suo. I libri: Mal di pietre (Maria ); Redenta Tiria (Salvatore Niffoi).

Musica? Ramazzotti e Tazenda insieme come se piovesse



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