India e Nepal: un groviglio di immagini
Gente dappertutto, non si riesce a fare un passo senza un corteo di piccoli indiani che ci segue; all’inizio avvertiamo un certo disagio, non nascondo neppure una sottile preoccupazione, ben presto però non si può fare a meno di abituarsi e di lasciarsi conquistare da quest’estrema socievolezza. Chiunque è pronto a offrire consigli e suggerimenti non richiesti, a indicare la strada giusta nel dedalo di viuzze labirintiche dei paesi, persino i venditori insistenti diventano una compagnia consueta, con cui scambiare quattro chiacchiere e magari farsi pure due risate insieme. La povertà è sconvolgente, si tocca con cuore e con mano, permea ogni angolo di questo mondo. Passeggiare per le viuzze costipate della vecchia Varanasi mi ha tolto dieci anni di vita…Osservare una popolazione infinita che si abbarbica pressante in vicoli strettissimi, dove c’è più spazio per le mucche che per i bambini, gli anziani che vengono qui a esalare l’ultimo respiro sopravvivendo di elemosina, gli storpi che ci si aggrappano alle caviglie. Varanasi è tristezza infinita, e insieme forza spirituale sconvolgente. Nel mese d’agosto centinaia di migliaia di pellegrini vestiti d’arancio arrivano fin qui da ogni parte, a piedi nudi e sanguinanti, urlando e cantando a squarciagola le loro preghiere, per raccogliere una boccetta di quell’acqua sacra del Gange, dove si svolgono i più importanti rituali della loro vita. Ne abbiamo incontrati a gruppi foltissimi, macchie d’arancio che camminano a passo svelto ignorando tutto ciò che scorre a fianco, con un’unica meta. La spiritualità che si respira in questa parte di mondo coinvolge e stupisce. I templi induisti sono costantemente brulicanti di gente, che porta offerte, prega e canta. E’ una religiosità così diversa dalla nostra compostezza, è festa, è coinvolgimento, è sacro e profano, è gente che urla, balla, fa code interminabili per aspettare il proprio turno di accesso, e non si stanca di farlo. Dall’altra, in particolare in Nepal, c’è la minoranza buddista, accogliente e silenziosa, calma e serena, agli antipodi eppure così integrata e fusa insieme nel credo della gente. Gli unici con cui abbiamo avuto talvolta da ridire sono i musulmani, rigidi nelle loro regole, scortesi nel modo, così simili a noi nel loro porsi al di sopra sulla difensiva.
La pace conviviale dei piccoli paesi nepalesi, in cui la gente vive sull’uscio, fuori dalle case, dove la vita è intessuta di relazioni sociali, di conversazione, di tutte quelle cose per cui noi non abbiamo più tempo, noi che ci chiudiamo nei nostri spazi chiusi, davanti ad un computer. Che belle le piazze di campagna festanti di urla giocose dei bambini…Non abbiamo sentito un bimbo piangere in Nepal! Da questo lato l’India è diversa, è più popolosa, è più povera, i bambini non giocano sereni nei villaggi, ma ti si aggrappano ai vestiti per racimolare qualche spicciolo, magari si inventano un piccolo spettacolo in cambio di qualche rupia. Non dimenticherò mai gli occhi intensi di quel bimbo che giocava con me all’ingresso del ristorante e, quando si è accorto che sarei entrata, la corsa contenta verso la pubblicità del gelato, ad indicarmi che voleva proprio quello lì. Non c’era più quando sono uscita con le patatine fritte da portargli, ma la sua energia ce l’ho nel cuore.
Mille altre immagini mi vengono in mente…La pioggia battente durante la passeggiata in montagna con tutta la forza del monsone che in dieci minuti ci si abbatte addosso e il passo veloce di Tana, la nostra guida, che non si lascia scomporre per nulla (per approfittare poi di un comodo passaggio in auto lasciandoci in balia del temporale…Il furbo!)…Il bimbo che passeggia col suo dromedario lungo il fiume Yamuna, al di là del Taj Mahal e il suo ironico inglese con cui prende in giro con perspicacia le nostre palesi debolezze…La salita con gli elefanti al maestoso forte di Amber, da cui l’omino, già adeguatamente pagato, non vuol farci scendere al nostro rifiuto di sganciargli una profumata mancia…Il bel sorriso di una rifugiata tibetana che ci fa provare il suo telaio per i tappeti e si diverte della nostra goffaggine…La ruota panoramica che il giostraio girava a mano ad Orcha…Le corse pazze in tuc tuc coi nostri simpatici compagni di viaggio…Lo stupa di Bodnath, quella pace così rara da percepire che da sola vale tutto il viaggio…Il passaggio di confine dal Nepal all’India, a piedi, con tutti i nostri bagagli caricati sui risciò, quattordici stanchissimi profughi…Le verdi campagne indiane, sferzate dal monsone ormai passato, dove i bufali fanno il bagno nelle pozze allagate insieme ai bambini…Il piccolo monaco buddista che crolla addormentato durante la meditazione e non riescono a svegliarlo neppure infilandogli la veste dorata…Le scimmie dispettose a Galta, che si avventano sulle nostre guide colorate e ci osservano curiose gironzolare in mezzo a loro…Il pranzo “very very nepalese” nella baracca dove ci ha portato Tana l’ultimo giorno e le nostre facce perplesse e Nicola che voleva bere la bottiglietta dell’amuchina e il mio Sandro che voleva uscire e invece ha ordinato persino un’altra focaccia di lenticchie e ora lo ricorda con emozione… Ora siamo tornati a casa e la prima forte sensazione è un gran senso di solitudine, l’incontrare sguardi che scivolano addosso disinteressati…In India e in Nepal non si è mai soli, si è sempre circondati da qualcuno che ha qualcosa da dire o da chiedere; magari talvolta, nel pieno della stanchezza, tutta quella gente attorno ci è apparsa soffocante…Eppure là sei sempre qualcuno, e basta alzare gli occhi e fare un cenno per trovare chi fa un pezzetto di strada con te.