Go Mongo
Ger Camp. Tranne che a Ulaanbaatar e a Murun abbiamo sempre dormito in questi campi. Sono composti di una ventina di tende circolari del tipo usato dai nomadi e di una piccola struttura di legno o mattoni adibita a zona docce (con acqua calda, quando c’è) e wc. I servizi igienici sono molto spartani, spesso i lavandini sono in comune con quelli delle donne. L’elettricità manca tranne alla sera, se il generatore va in moto. Quindi ci si può scordare di farsi una birra fresca durante il giorno. Le tende sono larghe, i letti duri ma comodi, c’è sempre anche una stufa a legna se fa freddo. La visita di un “topo mucca” non deve spaventare. Sono carini (non come le nostre pantegane), simpatici e poi tengono lontani i serpenti, come assicurano i mongoli.
Cucina. E’ di tipo mongola-cinese ma la colazione per i turisti è all’occidentale. Abbiamo anche trovato alcune volte i corn-flakes. Tenendo presente che la cucina mongola si base sulla carne, tre volte al giorno, si può ben immaginare quali siano i piatti principali. A pranzo e a cena c’era sempre una zuppa con carne, il piatto principale fatto di carne di manzo o montone o capra o yak, riso e verdure ed il dessert, di solito una barretta di cioccolato kit kat. La qualità del cibo anche in pieno deserto è sempre stata buona.
Insetti. Nelle tende ci sono degli insetti duri e neri che, durante la notte, ti possono cadere in testa. Ma niente paura, non sono pericolosi. Non siamo mai stati infastiditi dalle zanzare o dalle mosche. Basta non mettersi in mezzo ad una mandria di yak o di capre.
Guida/Tour Operator. La guida va bene quando tutto funziona bene. Nel momento di crisi o si defila o non si prende alcuna responsabilità. Quando fa comodo è del tutto inflessibile altrimenti modifica i dettagli del programma a piacimento. Molte volte bisogna cavar fuori le notizie facendo domande su domande.
Hot springs. Se pianificate un viaggio considerate le hot springs un optional secondario perché se non sono chiuse offrono un bel niente, a parte l’acqua bollente. Di positivo c’è il “massaggio mongolo”, cioè la possibilità di farsi fare per pochi dollari un massaggio ben fatto. E dopo una giornata di “frullatore” in jeep non c’è nulla di meglio.
Goat pot. E’ una specie di grande pentola a chiusura ermetica. Dentro ci mettono, a strati, pezzi di capra e pietre bollenti. Il pentolone viene poi messo sul fuoco per un paio d’ore. La carne di capra cotta lentamente in questo modo diventa molto morbida ma poco saporita.
Piste. Fanno parte del fascino della Mongolia. Sono diversissime: da quelle molto lente e sassose lungo i fiumi in secca a quelle veloci (da oltre 100km/h) nella steppa liscia e piatta. Si perdono all’infinito nelle valli immense. Ulaanbaatar. E’ una città “russa”, cioè particolarmente brutta. Raccoglie più di in milione di abitanti, è dotata di riscaldamento centralizzato alimentato da tre grandi centrali a carbone che vomitano fumo tutto il giorno e tutto l’anno. Di notte è meglio fare attenzione agli ubriachi, che sono parecchi. Acquisti. Molto bello e super conveniente tutto l’abbigliamento in cashemere, dai maglioni ai guanti. Anche i tappeti di lana sono interessanti. Si vende anche molta paccottaglia ad uso dei turisti tedeschi e coreani.
Nomadi. Fermarsi davanti ad una loro tenda significa essere circondati da un bel po’ di bambini, timidi e curiosi. All’interno la stufa è sempre accesa con sopra i pentoloni in cui la donna di casa, in jeans e maglietta, un momento prepara il cibo ed il momento dopo è seduta ad allattare l’ultimo nato. E’ bello vedere il sorriso di bimbi e madre quando per contraccambiare la loro offerta di tè salato o formaggio (duro come la roccia) o latte di puledra fermentato, l’airag, offri biro, cappellini, caramelle o cioccolato. Però anche per loro la vita sta cambiando. Vicino alla tenda ora si vede non solo l’inseparabile cavallo ma spesso anche motociclette russe, fuoristrada Uaz, pannelli solari con antenna satellitare e all’interno il televisore. Chissà se i piccoli bambini nomadi che oggi cominciano a guardare i cartoni animati giapponesi, le soap coreane, le serie tv cinesi ed i film americani da grandi vorranno ancora vivere nelle loro ger nel deserto o andranno ad ingrossare il numero dei disoccupati ubriachi che popolano la capitale? Che cosa può essere il progresso per un nomade? La moto, la jeep, la tv? Gobi. Significa deserto. E’ bello volarci sopra e vedere le sue catene montuose e le ampie valli. Ancora meglio percorrerlo con un potente 4WD ed un autista in gamba. Ogni pochi km cambia, dal verde alla roccia, da vallate strette a spazi in cui si capisce cosa significa perdersi nell’infinito. Anche se per tutto un giorno incontri solo due auto non è mai un deserto morto. Gazzelle, cowmice (topi mucca), scoiattoli di terra, gru, aquile, avvoltoi, cavalli, asini e capre selvatiche e poi greggi di yak, capre, cavalli domestici punteggiano le distese. E qua o là spunta una bianca tenda di nomadi. Mal di schiena e cervicale. Andare in auto nel deserto non è il toccasana per chi soffre di questi mali. Per tenere fermo il capo l’ideale è portarsi il collare medico o arrotolare un maglione e legarlo stretto attorno al collo. Chi soffre di cervicale metta pure in conto un bel po’ di mal di testa. A parte i dolori viaggiare in jeep per tutto il giorno su piste di ogni tipo è comunque molto stancante Russi. Durante la loro permanenza hanno distrutto quasi tutti i templi buddhisti e imposto per forza l’ateismo. Di buono hanno costruito case, fabbriche (che ora cadono a pezzi), elettrificato città e hanno reso la scuola obbligatoria e gratuita. Strade. Letteralmente non esistono. Quelle poche che partono da Ulaanbaatar sono asfaltate nei primi km, poi continuano sterrate ed infine diventano semplici piste. Gli autisti evitano le strade sterrate perchè sono piene di buche e preferiscono correre sulle piste.
Servizio sanitario. La guida dice che è pessimo. I medici sono pagati meno degli impiegati statali.
Mongolia. Ci si va per vedere/vivere la sua natura affascinante. Anche se è ricca di storia rimangono poche vestigia storiche da visitare. Ulaanbaatar e le altre città (che poi sono dei paesoni) hanno ben poco di interessante da mostrare. La civiltà mongola era di natura nomade, quindi non troverete i resti di un partenone, Gli unici monumenti sono i monasteri buddisti. Ma sono stati quasi tutti demoliti dai russi.
Mongoli. E’ il popolo dominatore dei grandi Khan che conquistarono il mondo dalla Cina all’Europa. Ma il tempo è passato. Da conquistatori sono diventati conquistati. In ultimo, gli anni di dominazione russa sono serviti a livellarli, smussarli, inquadrarli. Anche se si sente molto tra la gente l’orgoglio di essere mongoli.
Tour Operator. Ho scelto Juulchin perché è l’ex tour operator statale, quindi il più grande e dotato di più strutture, tra cui anche alcuni ger camps. Forse proprio per questo motivo mi è sembrato un po’ troppo “seduto”. Non lo consiglierei.
Profumo dell’erba. Chi pensa che il Gobi sia una distesa arida sbaglia di grosso. Ci sono, è vero, delle parti completamente secche, ma per la maggior parte è verde. L’effetto ottico è curioso. Se si guarda ad altezza d’uomo verso l’orizzonte sembra un’immensa prateria verde. Abbassando invece lo sguardo per terra ci si accorge che tutto quel verde è fatto di piantine d’erba che crescono ciascuna a distanza di 20-30 cm dall’altra con, in mezzo, la ghiaia. Quello che colpisce è il profumo. Nel deserto non c’è inquinamento e la natura è ricca di profumi. Quello delle erbe e dei fiori è inebriante. Turista fai da te. In un paese grande quasi come l’Europa solcato solo da piste e senza neanche un cartello stradale il pensare di affittare una jeep e andare a farsi un giro nel deserto mi sembra poco appropriato. Non penso che in Italia siano in molti a saper guidare un fuoristrada sulle piste del deserto e della steppa mongola. Senza offesa per chi usa la Porche Cayen per portare i bambini a scuola. Italiani. In tutto il viaggio, ad esclusione della capitale, non ho incontrato nessun gruppo di italiani sbracati ed urlanti, solo un turista con la moglie americana, colti e con una ragguardevole esperienza di viaggi importanti alle spalle. E’ sempre bello imparare da chi sa molto più di te.
Itinerario.
Arrivo ad Ulaanbaatar da Beijing (ma c’è un volo diretto da Munich con la Miat che costa molto meno) per poi proseguire il giorno dopo con un volo a Dalanzadgad, cioè al sud della Mongolia ed in pieno Gobi. Da quel momento inizia il viaggio verso nord attraverso il deserto e poi la steppa, percorrendo la Mongolia con una grossa jeep, autista e guida che parla un perfetto inglese. I primi due giorni sono dedicati alle visite del Gurvansaikhan National Park, dell’Eagle’s Gorge e le dune sabbiose di Khongoryn Els. Il giorno seguente si arriva ad Ongi visitando a Bayan Zag le Flaming Cliffs dove sono stati ritrovati uova e fossili di dinosauri. La tappa successiva ci porta a Kharakhorum, la capitale dell’impero di Chinggis Khaan. Di questa antica sede imperiale non rimane nulla a parte una solitaria grande tartaruga di roccia che guarda mesta il monastero buddista di Erdene Zuu, o meglio quello che è rimasto della distruzione ad opera degli amici russi. Con le sue mure puntellate di stupa bianche dalla punta dorata è davvero imponente. Il Ger Camp proposto da Juulchin Tour è da evitare: vecchio e sporco. Giorno 6 Si va a Tsenkher Jigur, “famoso” per le hot springs. Il posto è bello e le sorgenti sono davvero bollenti, Per il resto è una delusione. La micro piscina è in fase di pulizia (alle 17 quando arrivano i viaggiatori), il locale termale è un sala con docce impossibili perché l’acqua scotta e manca quella fredda. Il giorno 7 si arriva al Great White Lake, un lago bellissimo circondato da basse montagne e dal vulcano Khorgo. Si può salire fino in punta del cratere del vulcano e, volendo, anche rotolarci dentro. Il giorno successivo è il più duro. Quasi 8 ore di viaggio su piste dure, sassose e estremamente lente per arrivare, quasi stravolti, al Jargal Jiguur Ger Camp, anche questo noto per le hot springs, e scoprire due cose. Primo che non c’è acqua. Secondo che il Ger Camp più vicino è a 5 ore di auto. Risultato: ci si lava nel fiume fangoso (è il periodo delle grandi piogge) mentre per i bisogni si va fra i maestosi abeti che limitano il campo. La guida fa una gran brutta figura: anzichè darsi da fare per alleviare i disagi preferisce giocare a carte con le amiche del camp. Il giorno dopo un altro lungo viaggio ci porta al lago Hovsgol immerso fra dolci montagne ricoperte di foreste di pini. La scelta è fra due ger camp: in uno si mangia male ma ci sono i wc occidentali, nell’altro si mangia molto bene ma c’è un solo wc alla mongola, cioè un buco per terra. Cosa avreste scelto? Mia moglie ed io, ormai diventati esperti di “imboscamento” abbiamo scelto la buona cucina, anzi ottima, ed i profumati abeti come toilette. Il giorno 10 è quello della grande fuga. Il programma prevede un giorno di sosta per riposarsi e per godersi l’amenità del posto. Purtroppo comincia a piovere e, dopo una lunga passeggiata mattutina lungo il lago, dopo il pranzo abbandoniamo il campo per tornare alla cittadina di Murun a 4 ore di fuoristrada poichè se continua a piovere anche per tutta la notte la pista viene allagata, obbligando così ad un giorno ulteriore di duro trasferimento. Il giorno successivo sosta forzata in questa brutta e noiosa cittadina di meno di 10.000 abitanti. L’unica cosa interessante è sapere che d’inverno si toccano anche i 40 gradi sottozero. Ma si vive molto bene, dice la guida, che qui ha insegnato inglese per due anni (ed è sopravvissuta). Il paesaggio attorno è invece, come al solito, maestoso. Alla sera si parte via aereo per Ulaanbaatar. Visitiamo il notevole monastero di Gandan, l’interessantissimo Museo di Storia Naturale (ci sono anche i fossili di dinosauri) ed il conveniente Gobi Cashmere outlet. A sera del giorno 12 si torna a Beijing con un volo di circa 2 ore. Conclusione. Anche se è stato un viaggio duro e stancante ne è valsa la pena. La Mongolia è stupenda e affascinante sia per i suoi paesaggi incredibilmente diversi, sia per la sua gente, soprattutto i nomadi così ospitali e solari. p.S. Il titolo di questo post “Go Mongo” è preso da una maglietta venduta ad Ulaanbaatar.