Andalusia flamenco e code

“Guarda che fortuna, non c’è nessuno al check-in!”. Col cavolo. Siamo gli ultimi. Roba che se ritardavamo 10 minuti, saltava la nostra vacanza andalusa in terra di Spagna. Eppure ero convinto della partenza dell’aereo alle 18,30 e non alle 17,30. Ce l’avevo scritto in mille salse. Avevo fatto la prenotazione quattro mesi prima… nel...
Scritto da: roger
andalusia flamenco e code
Partenza il: 26/04/2007
Ritorno il: 03/05/2007
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 2000 €
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“Guarda che fortuna, non c’è nessuno al check-in!”.

Col cavolo. Siamo gli ultimi. Roba che se ritardavamo 10 minuti, saltava la nostra vacanza andalusa in terra di Spagna.

Eppure ero convinto della partenza dell’aereo alle 18,30 e non alle 17,30. Ce l’avevo scritto in mille salse. Avevo fatto la prenotazione quattro mesi prima… nel mio cervello invece rimbalzava questo 18,30. Addirittura il giorno prima Max mi aveva telefonato chiedendomi se alle 18,30 ci fosse stato un altro volo Ryanair da Pisa per Siviglia.

Ho risposto con assoluta certezza: “Impossibile!” ed ho pensato: “Max non ha mai volato, non è pratico di prenotazioni con Internet, chissà che cosa ha letto”. Aveva letto bene.

Roba che se mi fosse venuto in mente del ritardo durante il tragitto verso l’aeroporto (dove abbiamo riso e chiacchierato, a velocità di crociera, pensando di essere in perfetto orario rispetto alle operazioni di imbarco) avrei minacciato, coltello alla gola, se resistente, il nostro amico Roberto che ci accompagnava, intimandogli di infrangere non solo i limiti di velocità, ma la barriera del suono.

Recupero il mio aplombe e assumo l’atteggiamento del non è successo niente dell’uomo in vacanza: occhio a pesce di colui abituato a girare il mondo, andatura ciondolante e sicura tipo calciatore con velina, palleggio con gli stress accumulati nei mesi precedenti, pronto a battere una punizione tipo “foglia morta” alla Mario Corso, infilando imparabilmente il controllo bagagli che ci attende.

Siamo in quattro, ognuno con il bagaglio a mano, valige mascherate da mini trolley, Lara con il suo beauty da 10 kg.

“Non ci saranno problemi all’aeroporto. Figurati, l’ho portato anche Londra questo inverno”.

I voli verso l’Inghilterra sono stati i primi nei quali sono state introdotte le nuove norme restrittive sui liquidi da portare a mano sugli aerei.

Io sono rimasto ai tempi di “Giù la testa” dove Sean (James Coburn) maneggiava con solerzia innumerevoli provette di nitroglicerina. Da quel film ho capito che con quella roba occorre un equilibrio ed una capacità fuori dal comune che non è solita nei vacanzieri cagiaroni come noi. Se avessimo trasportato nei nostri bagagli della nitroglicerina o similari, appena scesi dalla macchina sarebbe immediatamente saltato in aria l’aeroporto di Pisa, Torre Pendente compresa.

Passo prima io. So che devo togliere la cintura perché altrimenti, come sempre, suona l’allarme. I pantaloni (tipo safari) che indosso sono comodi e larghi. Dopo il primo passo calano quasi fino alle ginocchia. Alcune signore anziane sono scandalizzate; un altro paio, più giovani, devo dire che sembrano apprezzare. Ma forse è solo l’illusione di un rincoglionito di fronte ad una figura di merda.

Lara è ferma con un poliziotto e un addetto al controllo in un angolo della sala. Il beauty è aperto, tutta la “mercanzia” è sparpagliata nel raggio di due metri quadrati.

“Bisogna lasciare tutto qui”. Dice.

“Non avevi detto che a Londra…”.

“Mi è venuto in mente che il beauty l’avevo messo dentro la valigia. Era passato per quello”.

Penso di aver farfugliato una sorta di “GASP!” seguito da un “SOB” al pensiero che soltanto il giorno prima lei aveva comprato cremine, doposole, saponi liquidi, bombolette varie per un totale di euro 80,00. Chiudo il mio angolo fumettistico con un “GULP!” “Come faccio con la barba?” Il poliziotto, con un sorriso sarcastico, dice che posso tenere il rasoio, un quattro lame di ultima generazione, senza schiuma.

Per non mortificare Lara, maledico in un silenzio: Al Queida, Bin Laden, tutti i terroristi di destra e di sinistra, islamici, cristiani, buddisti, Bush, fino al suo amico Berlusconi. Ce ne sarebbe anche per Prodi, ma sarebbe come sparare sulla Croce Rossa con tutti i problemi che ha in questo momento. Dell’Esecutivo attuale mando a quel paese soltanto Mastella, che mi sta sulle scatole almeno quanto Calderoli.

Sono molto irritato, ma non quanto quel luglio di tre anni fa a San Pietroburgo o Leningrado (fate voi). Le nostre valigie arrivarono dopo due giorni. Eravamo partiti con il caldo, ma in quelle zone il Generale Inverno è sempre in agguato. Dal Golfo di Finlandia arrivavano, durante la giornata, spifferi che abbassavano la temperatura di almeno 20 gradi in 3 secondi e le nostra valigie erano all’aeroporto di Brescia. Non avevamo bagaglio a mano se non due zainetti con apparecchiature elettroniche tipo macchine fotografiche e telecamere.

Un incubo.

Nel pomeriggio del secondo giorno, mentre percorrevamo abbracciati la Nevsky Prospect con i nostri pantaloncini corti, dei passanti ci allungarono commossi alcuni rubli. Fu la goccia che fece traboccare il vaso: mi precipitai sulla nave (era una crociera sul Volga) per scaraventare nelle gelide acque della Neva l’organizzatore del tour che ancora non aveva provveduto, come legge comanda, a rifornirci di abbigliamento di riserva. Ci venne incontro sorridendo con due sacchetti: all’interno c’era biancheria nuova. Tralascio sulla qualità della roba. Riferisco soltanto che mutande di quel tipo l’avevo viste soltanto una volta, nel 1967, a mio nonno, c’era affezionato, era un ricordo dei lanci aerei degli Alleati durante la lotta partigiana.

Non ci sono altri inconvenienti ed arriviamo a Siviglia addirittura mezz’ora prima.

Per Max e Maria il battesimo dell’aria è entusiasmante, anche se sono divisi di posto. Sui voli di quel tipo funziona così, chi prima arriva meglio alloggia, tipo autobus, e noi, visto il ritardo di cui sopra, siamo stati gli ultimi a salire in aereo.

Velocemente alla Hertz prendiamo possesso dell’auto prenotata dall’Italia: Ford Focus station vagon, senza satellitare, nonostante l’avessimo richiesto. Ne hanno soltanto quattro e due sono rotti. Bene, faremo senza. Effettivamente non abbiamo avuto grandi problemi nei nostri spostamenti ad eccezione proprio nel raggiungere la prima destinazione: Hostal Finca la Luz, prenotato nel sito Ryanair. Prezzo sbalorditivo per due camere contigue, visto il periodo della Feria sivigliana dove gli alberghi triplicano i prezzi delle camere. Noi siamo sui 170 euro in quattro per 2 sere.

L’Hostal si trova appena fuori Siviglia (direzione Carmona), in aperta campagna.

Vaghiamo per due ore fino a che un signore, dall’aspetto non proprio rassicurante, alla guida di uno scalcinato furgone, si offre di farci da guida. Quello che in parte ci tranquillizza è che con lui a bordo del mezzo c’è una signora. Ci invita a seguirlo. In mezzo al buio della campagna, tra stradine sterrate i nostri dubbi aumentano. Ci fermiamo davanti ad una cancello di un’abitazione: “Dall’aspetto non mi pare la nostra meta, almeno dalle foto su Internet”. Affermo.

L’uomo scende, noi chiediamo se siamo arrivati. Non risponde, ma ci fa segno di aspettare. Scende anche la signora, entrano in casa e noi rimaniamo in macchina, al buio. Ci guardiamo in silenzio.

Alcuni minuti dopo escono. La signora ha un neonato in braccio. Salgono sul camioncino e ripartono senza neanche guardarci.

“Andiamo bene… che facciamo?”. Chiedo.

“Vagli dietro”. Dice Massimo.

A venti km orari, questa è la sua esasperante velocità, continuo a seguirlo. E’ già passata quasi mezz’ora dall’incontro con la nostra improvvisata guida. Dieci minuti dopo si ferma di nuovo davanti ad un’altra casa. Guardo fiducioso attraverso la cancellata: “Non mi pare nemmeno questa”.

Non abbiamo scelta, ormai dobbiamo fidarci di lui, abbiamo perso completamente l’orientamento. Chiediamo ancora se siamo arrivati, ma lui scende dal mezzo e di nuovo non risponde.

“Ve lo dico io che ci è capitato un matto”. Afferma preoccupata Maria.

Scende anche la signora con il bambino. Senza neanche degnarci di uno sguardo entra in casa accompagnata dal nostro uomo.

Siamo ancora soli, al buio.

Qualcuno di noi, abusando di una frase fatta, dice: “Siamo su scherzi a parte”.

La “Guida per Caso” esce dopo alcuni minuti e nuovamente senza considerarci rimette in moto il furgone e riparte.

“Adesso?” “Vagli dietro”. Ribadisce Massimo, ridendo come un matto.

Cominciamo a ridere tutti fino alle lacrime.

Ancora cinque minuti ed improvvisamente, al termine di una leggera salita sterrata, appare il nostro BeB.

“Alè” esplodiamo in coro.

Il nostro uomo scende dal furgone con un sorriso smagliante.

Vorrei abbracciarlo, ma la pancia prominente, i peli lunghi dieci centimetri sulle braccia e la grattata al sedere che si dà prima di salutarci, mi fanno desistere dal mio eccesso di gratitudine.

Con Max concordiamo per una mancia, ma non ci lascia nemmeno il tempo di riflettere se è il caso oppure no per non urtare la sua suscettibilità, che si allontana lasciandoci in mezzo ad una nuvola di polvere sollevata dalle gomme e dal tubo di scarico.

Il proprietario dell’hostal ci fa entrare dopo aver aperto due lucchetti ed un catenaccio.

E’ un tipo preciso, alla tedesca, direi militaresco. Forse ha preso dalla moglie che abbiamo saputo successivamente essere nordeuropea. Ci spiega che non possiamo rientrare oltre la mezzanotte e ci fornisce una sorta di mappa, disegnata da lui stesso, dell’ubicazione della casa.

“Domani, quando andiamo a Siviglia memorizziamo bene il percorso perché con questa cartina rischiamo di ritrovarci in Portogallo”. Affermo, dopo aver dato un’occhiata al disegno.

“Come?” Dice il sergente austroungarico.

“No, dicevo se è bello il Portogallo”. Farfuglio impaurito nel mio anglo-italo-spagnolo.

E’ quasi mezzanotte. Ce l’abbiamo fatta, siamo in Andalusia, abbiamo un alloggio dall’aspetto spagnoleggiante, abbiamo due camere pulite, un bagno, quattro asciugamani per tutti che dovranno durare due giorni, quattro letti che scopriamo non rifanno, dei vicini di camera che russano come forsennati, un padrone di casa tedesco che ci ha fatto il contrappello, cosa vogliamo di più? L’autostrada per Siviglia è comoda, gratuita ed entri direttamente in città.

A questo punto qual è il problema di tutti i viaggiatori quando arrivano in una città sconosciuta a bordo di un auto e vogliono raggiungere il centro storico visitabile? Trovare il parcheggio.

Noi siamo stati bravi e fortunati. Bravi perché siamo stati decisi nel perseguire la meta, fortunati perché è il caso che ci ha condotti lì.

Bene. Se arrivate a Siviglia in autostrada da Cordoba, andate diritto (senza mai uscire) fino alla stazione ferroviaria finchè non vedete una grande rotonda. Fate la rotonda e prendete il primo viale a dx. Diritto fino allo stop (300 mt). Lì girate a dx. Avanti per circa 6/700 mt e comunque fino a che, obbligatoriamente, dovete girare a dx o a sx. Andate a sx. Avanti ancora per circa 500 mt finchè non arrivate davanti all’università. Lì c’è un parcheggio custodito con degli ometti che – a noi è successo altrimenti la prima volta non l’avremmo mai trovato – ti invitano ad entrare. Ti chiedono quanto ti fermi e di lasciargli quanto vuoi. Noi inizialmente gli abbiamo dato 5 euro poi, sapendo di fermarci fino a sera, ne abbiamo aggiunti altri 5 con grande soddisfazione dell’addetto.

Non ci pare vero di aver trovato parcheggio a 5 minuti a piedi da Piazza di Spagna e a 10 dalla Cattedrale, la Giralda, l’Alcazar e il Barrio Santa Cruz.

La visita alla tomba di Colombo dentro la cattedrale è d’obbligo, ma non perdetevi l’Alcazar, è una chicca, un antipasto della spettacolare Alhambra di Granada.

Bello anche il quartiere Santa Cruz, dove in serata mangiamo (ristorante caratteristico, ma caro, La Queva) una paella. Non è niente di speciale. Se la mia amica Cristina si trasferisse in Spagna farebbe soldi a palate con le paelle con cui è solita deliziarci a casa.

Le nostre passeggiate sivigliane sono contornate da un andirivieni di ragazze nei loro colorati costumi indossati per la Feria. Non siamo riusciti a vederne due uguali.

Per ultimo vogliamo andare nel quartiere dove si tiene la Feria, ma la difficoltà di parcheggiare nei pressi, il suggerimento che ci hanno dato (non so se vero) che i turisti non sono tanto graditi, la stanchezza della mezzanotte, hanno il sopravvento e rientriamo, senza l’ausilio della cartina, in “caserma”.

Una bella strada statale poco trafficata ci porta a Ronda. Caratteristica e famosa cittadina per un imperdibile ponte del 1700 su di uno strapiombo di 160 mt, ma anche per le suoi vicoli e la sua posizione, oltre che per l’arena, tra le più vecchie di Spagna.

Da lì, nel tardo pomeriggio ci spostiamo sulla Costa del Sol (1 ora) e alloggiamo al Diana Park che si trova sulla C.Tra per Cadiz tra Estepona e Marbella. Anche in quell’Albergo abbiamo una prenotazione per due giorni all’invidiabile costo di Euro 148,00 per 2 notti, colazione compresa. Consiglio questo hotel per il suo self-service (con 14,00 Euro mangi di tutto e di più) e per la simpatia della reception. L’addetto ci ha immediatamente rimproverato per le nostra carte di identità. Immaginiamo che negli alberghi vedano ogni sorta di documento di riconoscimento e quel ragazzo, simpaticamente, ci ha fatto notare che le nostre carte di identità non sono certo all’altezza dei tempi.

“Dite a Prodi di cambiare queste carte. Sono del tempo di Mussolini”.

E’ vero. Quel ragazzo ci ricorda quanto, anche nelle piccole cose, noi italiani, che spesso ci sentiamo al centro del mondo, siamo irrimediabilmente in ritardo, anche rispetto ai nostri cugini spagnoli, che per anni abbiamo ritenuto (sbagliando) alla nostra rincorsa. Non ho il coraggio di fargli vedere la mia patente che, dopo decine d’anni, somiglia sempre più ad un calzino raggrinzito e l’individuo fotografato all’interno ad un perfetto sconosciuto.

In verità qualcosa potremmo dirgli anche noi rispetto alle paurose colate di cemento su tutta la Costa del Sol, ma evitiamo.

Comunque, se vi capita di prenotare presso questo hotel evitate le stanze a ridosso della carettera, il rumore del traffico è notevole. Max e Maria hanno dormito lì la prima sera. La mattina dopo gli zombie della “Notte dei morti viventi” sembravano dei freschi fiori di campo rispetto all’aspetto dei nostri amici.

I km che separano Estepona da Gibilterra sono una cinquantina e li percorriamo velocemente, con traffico inesistente, in una splendida giornata di sole.

Ho letto su qualche recensione di viaggiatori che questa meta non merita una visita. A nostro avviso, invece, è obbligatoria. Ai piedi della rocca finiva il mondo conosciuto. Il nostro mondo di uomini e donne occidentali. Non puoi evitare, una volta che la funivia ti porta in alto, lassù tra le nuvole e il vento, alcune riflessioni che rimandano a quegli uomini che si trovavano a percorrere quel braccio di mare tra le colonne d’Ercole, con davanti l’ignoto. Ecco, in quest’angolo di Inghilterra tra la Spagna e l’Africa c’è il succo della storia dell’uomo, le sue ansie e paure, ma anche le speranze e illusioni.

La poesia viene bruscamente interrotta da una scimmia che balza sopra lo zainetto di Max e ci rammenta che in questo spicchio d’Africa in Europa sono le padrone incontrastate.

Un consiglio: non entrate con l’auto. Parcheggiate davanti alla frontiera (ci sono molti posti disponibili) e attraversatela a piedi. Prendete poi il bus a due piani che porta direttamente in centro.

Una dritta (vietata ai minori e rivolta soltanto ai fumatori accaniti come me): le sigarette costano meno di un terzo rispetto all’Italia.

Dopo Gibilterra ci portiamo a Tarifa, la punta più a sud d’Europa. Un lungo molo con una fortezza alla fine (chiusa perchè zona militare) penetra in mare. Da una parte l’Oceano arrabbiato e ventoso, dall’altra il mediterraneo calmo e rilassante.

Sentiamo il primo caldo andaluso, nonostante il vento. Questo piccolo assaggio ci fa capire, mentre passeggiamo nel bel quartierino arabo della cittadina, che in piena estate il nostro tour è adatto soltanto a viaggiatori impavidi.

Rientriamo all’albergo passando dall’interno. Tocchiamo due “pueblos blancos”: Imenez de la Frontera e Gaudin. Sono bellissimi nel loro bianco abbagliante.

Nella piazzetta centrale di Imenez c’è un campanile isolato, naturalmente pitturato di bianco. Alcune anziane sono sedute al fresco delle verande, dei ragazzini stanno giocando a pallone, il campanile fa da porta. Una invidiabile dimensione di serenità che mi riporta alla mia infanzia. Allora quadri di questo tipo, dipinti da pittori fantastici ed immaginari, li vedevamo anche noi, anzi, li vivevamo da protagonisti inconsci.

Mi unisco ai ragazzi. Il richiamo del calcio giocato è ancora una passione non completamente sopita, in fondo da ragazzo, nella piazzetta del paese, era tra i migliori.

Lara e Maria mi richiamano invano. Siamo o non siamo i campioni del mondo? Non posso sfigurare. Rubo un pallone sulla destra, mi libero con una finta di un bimbo sugli otto anni ed in diagonale infilo il portiere, lasciando un bel segno nero proprio al sette della porta immaginaria del campanile.

Applausi a scena aperta, anche da parte delle signore sedute al fresco, che avevano seguito l’azione.

Palla al centro. Vengo di nuovo servito… all’unisono mi pressano in tre e sempre all’unisono mi massacrano di calci. Certo, calci di bambini ma sempre calci. Abbandono lo “stadio” infortunato, ma fra gli applausi.

Com’è strano questo calcio moderno, a tutte le latitudini non c’è più posto per i fantasisti.

Arriviamo a Granada intorno alle 10,30 del mattino. Facilmente raggiungiamo l’Atenas Hostal in Gran Via n. 38 anche perché, appena giunti in città, troviamo diverse indicazioni dell’hotel a più incroci. La cosa ci stupisce in quanto il nostro non è certo un cinque stelle, invece, pomposamente, il suo nome riempie le strade di Granada. Meglio così.

Centralissimo, con garage a pagamento a pochi metri. Euro 156.00 per 2 notti, 2 camere con bagno. Eccellente.

A piedi raggiungiamo subito l’Alhambra. Sappiamo della difficoltà nel reperire i biglietti d’ingresso. Ho provato per mesi a prenotare con Internet, ma erano esauriti visto il periodo di alta stagione.

All’ingresso troviamo una fila di alcune centinaia di persone ed un altoparlante annuncia che sono disponibili soltanto 150 ticket. Abbandoniamo, con l’intento di provare il giorno successivo.

Sempre a piedi saliamo fino al Mirabel che si trova nella collina di fronte all’Alhambra. E’ una bella piazza-terrazza proprio sopra il quartiere dell’Albacin. Da lì si domina la città e di fronte tutta l’imponenza dell’Alhambra. Un gruppo di ragazzi suonano delle belle melodie andaluse. Ti guardi intorno e vedi tutta l’Europa nei visi di giovani tedeschi, francesi, inglesi, italiani.

Come sempre lasciamo alcuni euro ai bravi musicisti.

Scendiamo verso il centro attraversando il quartiere Albacin e proprio sotto le mura dell’Ahambra consumiamo alcune tapas e delle birre. Una ragazza ci tiene compagnia arpeggiando abilmente una chitarra classica spagnola.

Ci spostiamo nel quartiere arabo della città pieno di bancarelle e negozi con merce che però, oramai, troviamo anche da noi. Caratteristiche sono le teerie con svariate qualità di tè che meritano una sosta.

La nostra preoccupazione è che il giorno dopo, 1 maggio, non riusciremo a procurarci i biglietti d’ingresso all’Alhambra. Nel nostro albergo vendono un pacchetto euro 40,00 a testa comprensivo di entrata e guida al famoso monumento. Riteniamo sia un prezzo eccessivo rispetto agli 8 euro del biglietto per cui il giorno dopo, di buon ora, saliremo la collina con la speranza di non trovare troppa coda.

La sera ceniamo in un piccolo ristorante in Piazza Romanilla “Cafè ou lait” dove con euro 70.00 mangiamo in quattro e un chitarrista e una bella ballerina di flamenco ci intrattengono per una buona mezz’ora. Maria, nell’ultimo pezzo, si unisce alla danza. Al Cafè sarà ricordata come la serata degli italiani; potevamo strappare un contratto milionario con la nostra Maria, ma Max non se l’è sentita di abbandonare l’Italia, gli amici, i figli, gli affetti, ed inseguire l’avventura ballerina spagnola. Peccato, per me era gia pronta una super consulenza come procuratore.

La nostra vacanza spagnola sarà rimandata ai posteri per l’epica avventura davanti ai cancelli dell’Alhambra. Ma andiamo con ordine.

Alle ore 06.30 (dopo una notte quasi in bianco per un infernale casino imbastito da ragazzi spagnoli alloggiati nelle camere adiacenti alle nostre) io e Lara ci alziamo e alle ore 07.00, davanti all’hostal, prendiamo il pulmino che va all’Alhambra. Cinque minuti dopo scendiamo. La biglietteria è ancora chiusa. Più di duecento persone sono in coda, molti ragazzi con il sacco a pelo. Scopriamo più tardi che hanno dormito lì davanti. Accidenti, ma a che ora dovevamo arrivare quassù. Cominciamo a pensare che forse era meglio prenotare il pacchetto proposto dall’albergo.

Risaliamo la coda. Forse ci siamo, dietro l’angolo finirà. Svoltiamo. Da lì parte una scalinata che attraversa un piccolo parco fino al parcheggio dei pullman: c’è una coda infinita. Ci guardiamo desolati, ma andiamo avanti, velocemente, perché vediamo arrivare decine di persone e cinque minuti dopo siamo accodati.

Abbiamo davanti un migliaio di persone e sono le sette del mattino. Roba da non credere. Così come non si può credere che dietro di noi, dieci minuti dopo, si mettono ordinatamente in coda almeno altri due o trecento turisti.

La biglietteria apre e alle otto il primo inquietante annuncio in tre lingue che ti informa sulla disponibilità dei ticket.

Intanto dalla Sierra Nevada, completamente imbiancata, comincia a scendere un’arietta che dai piedi ti prende fino al cervello, inchiodandoti sul posto. Non avevo mai visto più di mille persone ballare tutti insieme. O meglio, le ho viste, forse anche di più, ma erano mascherati ed eravamo al carnevale di Viareggio.

Le ore passano, ci avviciniamo, ma la preoccupazione che non ce la faremo a raggiungere l’ambito traguardo è tanta.

Intorno alle 09.00 l’odioso altoparlante annuncia che ci sono ancora 900 biglietti disponibili.

Alle 09.45 i ticket sono 650.

Ho deciso: conto.

Risalgo la fila e tra l’ilarità generale, conto le persone che abbiamo ancora davanti. Sono più di 300. E dietro di noi un altro migliaio. Ce la faremo.

Due ragazzi spagnoli davanti a noi, però raffreddano il nostro entusiasmo perché ci informano che si possono prendere fino a 4 biglietti a testa. Se tutti fanno così… Ma alle 10,30, dopo l’ultimo tip-tap con Lara ed un flamenco ballato con la giovane spagnola, anche lei intirizzita dal freddo, arriviamo alla meta.

Timoroso chiedo 4 biglietti. Mi giro lentamente e vedo all’infinito facce paonazze, assisto a svenimenti, ascolto ringhi e lamenti, sento tutto il peso della fila sulle mie spalle e mi assale un forte senso di colpa per aver preso due biglietti in più che avrebbero fatto la felicità di altri due compagni di sventura. Ma penso anche a Max e Maria con i quali vogliamo dividere la gioia di una visita all’Alhambra.

Infilo i 4 ticket in tasca e telefono.

“habemus papam”.

“Siete due eroi”. Risponde Massimo.

Scendiamo in città, sempre con il pulmino che fa un servizio impeccabile per 1 euro, e raggiungiamo i nostri amici nella fornita pasticceria di fianco al nostro albergo, nella centralissima Gran Via de Colon.

Da lì a poco transita il corteo del 1 maggio. Stesse richieste e stesse rivendicazioni nostre, precariato in testa. Tutto il mondo è paese, o meglio, tutta l’Europa è paese.

Ci uniamo al corteo, anche questo è uguale ai nostri: la cosiddetta sinistra antagonista o più radicale in coda. Noi, come ai tanti a cui abbiamo partecipato e partecipiamo in Italia, ci uniamo al folto gruppo della sinistra riformista.

Chi l’avrebbe detto, siamo dentro un corteo del 1 maggio in Spagna.

Nel pomeriggio, dalle ore 14.30 orario d’ingresso del nostro biglietto, visitiamo l’Alhambra.

Vale la pena fare un coda di 3 ore, soprattutto per i Palazzi Nasridi. Non puoi andare a Granada senza vedere gli interni di questa fortezza. Sarebbe come andare al Cairo e non vedere le piramidi, a Mosca la Piazza Rossa, ad Atene il Partenone ecc. Ecc.

La sera a cena, per chi non ha troppe pretese, potete tranquillamente andare ad nuovissimo self-service nella Gran Via, sempre vicino all’hostal. Con 10 euro potete mangiare a sazietà le più svariate forme di pasta, pizze, verdure, dolci e una birra o vino. Noi avevamo voglia di pasta e siamo stati molto bene.

Dopo cena io e Lara, i due eroi della giornata, risaliamo ancora la collina dell’Albacin e raggiungiamo il Mirabel. Vogliamo vedere l’Alhambra illuminata e sotto la città.

Ci sediamo estasiati sul muretto che limita la piazzetta del Mirabel e contempliamo e filmiamo la fortezza illuminata dalle luci e dalla luna. Sullo sfondo le nevi della Sierra Nevada, alle nostre spalle instancabili giovani musicisti lanciano alle stelle note multicolori.

Centonovanta chilometri di ulivi separano Granada da Cordoba. Montagne e colline piene. Mai visto niente di simile. La strada è comoda e veloce. La percorriamo sotto una pioggia battente. Anche Cordoba ci attende sotto al pioggia.

Alloggiamo all’Hostal Lineros in Calle Lineros n. 38.

In auto l’hostal si raggiunge facilmente. Arrivando da Granada si attraversa il fiume e si va a sx nel Lungo Rio verso la Mesquita. All’altezza di quest’ultima si gira a dx, poi ancora a dx e si va diritto per 500 mt. Si arriva proprio di fronte all’hostal. Hanno un parcheggio privato a 10 euro al giorno.

L’hostal non è un gran che, anche se caratteristico con il suo patio arabesco, ma è in pieno centro storico e per gente che si adatta come noi va benissimo.

Cordoba è la Mesquita. Quindi questa meravigliosa chiesa-moschea arabo-cristiana con le sue centinaia di colonne interne va gustata appieno.

Ma Cordoba è anche altro, come i caratteristici quartieri storici, quello ebraico in testa.

In quella zona all’interno di una teeria araba, oltre ai soliti e buoni te aromatizzati, abbiamo fumato per la prima volta anche il narghilè, ribattezzato da Max come “quella pompa” che fumi.

Rientro a Siviglia il mattino seguente e partenza nel pomeriggio.



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