Watamu e Masai Mara
Arriviamo alle 8 a Mombasa con circa 7 ore di volo effettivo. Il volo Fiumicino- Mombasa Blue Panorama NO 3512 è andato bene, ci hanno servito anche un pasto completo un’oretta dopo il decollo mentre s’era tutti mezzi addormentati e la colazione, prima dell’atterraggio. I bambini hanno dormito un po’, distesi nei posti liberi.
I pulmini degli alberghi ci aspettano ordinatamente appena fuori dall’aereoporto.
E’ già Africa. Nel parcheggio giacciono a terra gusci di leguminose giganti. Sembrano sciabole. Edoardo prova il loro effetto boomerang, ma non è un gran chè.
Per lo scambio di una valigia tra due turisti dobbiamo aspettare un’oretta. E’ piovuto da poco, la temperatura è mite, saranno circa 24 °C. C’è un custode che con il movimento oscillante di un curioso tagliaerba, una lama in punta a un manico lungo un metro, ripulisce il prato circostante. Ad ogni passata taglia qualche filo d’erba. Non c’è fretta.
Ci sorvolano un branco di enormi uccelloni neri grossi come avvoltoi, saranno bucorvi cafri? Bho.
Si parte per Watamu, strada piena di buche. All’arrivo sistemazione all’Aquarius e poi il pranzo.
Appena mettiamo la testa fuori dal residence siamo assaliti dagli avventori locali, i cosiddetti “beach boys”. Siamo i primi turisti della stagione, devono accaparrarsi i contratti per i safari e le escursioni e avviare il circolo virtuoso del passa-parola all’interno dei residences.
Siamo stanchi, con qualche difficoltà riusciamo a sganciarli. Ne riparliamo domani.
22/7/07 Vogliamo fare il Masai Mara, ma i beach boys che ci stanno contattando con Z. A capo, fanno grande propaganda di mirabolanti safari al parco Tzavo, comprovati da reportage fotografici, ma non mi sembrano preparati per il Masai Mara. Qui a Watamu tutti coloro che cercano di avvicinare i turisti (ovvero molti), parlano italiano.
Sto aspettando anche un’offerta dall’agenzia interna del residence. Vorrei fare dei confronti prima di decidere, ma oggi è domenica e le agenzie sono chiuse. Rimandiamo a domani. Il pomeriggio facciamo un’escursione a piedi alle bianche spiagge di Watamu, tutti in gruppo, accompagnati dagli animatori del residence. Ci accoglie un pescatore con un grosso pesce istrice in mano. Una palla spinosa con due occhioni e pinne sventolanti.
Faccio le foto, lui chiede i soldi, ma non li ho con me. Agli sguardi minacciosi del pescatore prometto solennemente che tornerò e pagherò un euro. La marea sta lentamente alzando, ci imbattiamo in qualche filamento azzurrognolo attaccato a delle vesciche sospette. Sono delle piccole “caravelle portoghesi” delle specie di meduse piuttosto urticanti. Avverto il gruppo di stare alla larga. I beach boys approvano.
23/7/07 Siamo circondati dai beach boys. Dall’albergo non mi hanno ancora dato i prezzi. Intanto abbiamo maturato l’intenzione di fare 3 giorni (2 notti) al Masai Mara. Non ci capita tutti gli anni di fare le vacanze in Kenya e vorremmo sfruttare bene la nostra permanenza in queste terre d’Africa, anche a costo di qualche ulteriore sacrificio economico.
Z. Non c’è, sta accompagnando un gruppo allo Tzavo. A. Si presenta molto sicuro per il Masai Mara, dice che ha accompagnato Licia Colò in un safari alle falde del Kilimangiaro per la registrazione del programma omonimo. Sarà vero? Bho. Poi mi mostra una brochure di un camp al Masai Mara: “Fig Tree Camp”, molto bello. E’ convincente. Devo decidere quindi passo all’azione. Andiamo in agenzia. Una stanza con un tavolo e dei poster alle pareti. Tutti i beach boys intorno. Inizia la trattativa. Lascio parlare A. Che scarabocchia delle cifre su un pezzo di giornale. Cerca di essere convincente e giura che il suo margine è ridotto all’osso. Ottengo qualche sconto, ma non spingo troppo sul prezzo, chiedo piuttosto di aggiungere delle escursioni a Watamu con lo stesso prezzo, d’altra parte restiamo due settimane e non vogliamo passarle dentro al villaggio. Chiudiamo una trattativa serrata includendo nel prezzo un safari blu, escursione alle rovine di Gede con visita a Malindi e gita in canoa alle mangrovie.
Ora c’è da pagare…Ma non ho Euro contanti a sufficienza.
Allora si deve andare in banca a ritirare i soldi.
Vai, tutti a Malindi, un pulmino intero. Io e tutta la ghenga di Watamu. La Luli e i ragazzi mi hanno abbandonato a metà della trattativa e sono rimasti all’Acquarius (come si fa a non sfruttare quelle piscine vuote!).
Guida spericolata, buche, biciclette, mucche e tutta la popolazione della zona riversata a lato della strada. Ma non ci ferma nessuno.
Giriamo un paio di banche per trovare quella che rilascia il valore giornaliero più alto. Ci dobbiamo accontentare di un mucchio di banconote scellini Kenioti che non m’entrano nemmeno in tasca. Pago una parte subito, una la pagherò domani con carta di credito all’aereporto di Malindi, direttamente alla compagnia aerea e il resto al ritorno, se tutto va bene.
24/7/2007 La mattina, puntualissimi ci presentiamo all’appuntamento. A. E B. Ci aiutano a caricare le borse sul pulmino e si parte per l’aereporto di Malindi. a. È molto conosciuto e rispettato dalla comunità locale. Saluta ed è salutato da tutti, uomini, donne, bambini.
Strada facendo realizzo che A. E B. Appartengono ad un altro gruppo di beach boys che fa “ditta” per conto proprio, separatamente da Z., quello con il quale avevo confermato disponibilità a trattare. Vabbè, saranno affari loro.
Decolliamo con il Mombasa Air Safari, 18 posti. Dopo un paio di scali su piste intermedie del Masai Mara dove scendono gli altri passeggeri, atterriamo alla nostra destinazione finale. Ci ricevono una schiera di Jeep. La nostra è molto bella, sei comodi posti ognuno con megafinestrone a lato e tetto aperto. Il driver ci conduce al Fig tree camp per il check-in. Il camp è costruito su un insenatura del fiume Terek, con recinzioni elettrificate all’esterno lato savana, bosco tropicale all’interno e tutto il necessario, ristorante, bar, piscina, negozietto souvenirs e un bellissimo palco di avvistamento costruito addosso ad un alberone. Sarà il nostro rifugio nel dopopranzo per fumare il mio sigaro toscano e osservare la savana costellata di erbivori al pascolo.
Ah, dimentivavo: qui nessuno parla italiano, tutti parlano inglese o Swahili.
Dopo pranzo facciamo un riposino nella nostra tenda, posizionata di fronte al fiume. Verso le tre veniamo svegliati dallo schiamazzìo di una famiglia di babbuini che, vengono a bere proprio di fronte alla nostra tenda, dall’altro lato del fiume. L’eccitazione sale.
C’è un gruppetto di ragazzi americani che scendono dal muretto che separa il lato tende del camp dalla riva del fiume sottostante. I babbuini nel lato opposto del fiume non si scompongono. Passa un guardiano del camp che suggerisce caldamente ai ragazzi di risalire alle tende in visto che nel fiume ci sono i coccodrilli.
Intimo ad Edoardo che si stava avviando verso la riva di risalire im-me-dia-ta-men-te.
Alle 4 si parte per il safari. La nostra guida Masai si presenta come Williams (il suo vero nome Masai, ci dirrà in seguito, è troppo lungo e complicato), ci accoglie e ci invita a partire. Uno spilungone di 2 metri, nero come la pece, con perline, bracciali copertina rossa, mazza Masai e coltellone d’ordinanza. Williams ha 29 anni, lavora al camp come guida da un anno e mezzo, dove ha imparato l’inglese. Vive in un villaggio a circa 10 km dal camp da cui viene e va a fine lavoro, a piedi, tutti i giorni. Ha due mogli e tre figli, uno di sette anni e due piccoli, di 10 e 11 mesi. Credo che da quando lavora al camp il suo tenore di vita sia sensibilmente migliorato tanto da permettersi la seconda moglie e altri due figli. Oh, ragazzi siamo nella savana, stiamo vivendo un documentario di superquark in prima persona. Animali dappertutto: zebre, antilopi, topi (non quelli di fogna). I topi sono delle specie di stambecconi con le gambe lunghe. Ecco, questi topi ce ne sono a centinaia. Dice che si vedono particolarmente al Masai Mara o Serengheti (l’altra porzione di parco sul territorio della Tanzania), mentre sono poco diffusi in altre zone. Ho letto qualcosa sui topi della savana e pare che quando scappano sono velocissimi. Possono raggiungere i 70Km/h. Non si dirrebbe, mi sembrano mezzi addormentati con quei musoni lunghi e quegli occhini appena sotto l’attaccatura delle corna… Poi giraffe, facoceri che trotterellano con quelle zampine corte e il codino ritto. Vari antilopi, i mitici dik-dik vicino alle frasche. Poi, il primo leone, tranquillamente addormentato sotto un albero. Ne seguiranno svariate famiglie compreso una madre con due piccoli di poche settimane di vita. A fine safari Edo ne contaterà 38 di cui un paio di maschioni con criniera.
Nel nostro percorso ci imbattiamo in una collina di gnu. Sono solo loro e qualche marabu nella vicina boscaglia. Dice che in questo periodo si stanno trasferendo dal Serengeti. Nei giorni seguenti vedremo delle file interminabili. A fine giro ci imbattiamo in una famiglia di elefanti. Madre, una serie di piccoli a scalare e un po’ più lontano, il maschio di famiglia.
Lui, si tiene a distanza. Ci fermiamo per le riprese fotografiche di routine. Dopo un po’ il maschione sgancia un cacatone mega con un paio di scorregge da paura. Con i bambini ridiamo a crepapelle, anche dopo cena, nel ricordare l’evento.
In serata arrivano i ragazzi Masai per una performance di canti e danze tradizionali. Seppur snaturati nel contesto del ristorante per turisti occidentali, i ritmi cadenzati e i suoni gutturali sono molto suggestivi. Evocano quanto di animalesco circonda questa gente. Arianna ne rimane intimorita. Edoardo viene inviatato a saltare insieme a loro in un’improbabile competizione. C’è un ragazzo americano, la cena fallita dei coccodrilli, che, spinto dagli amici, partecipa alla competizione di salto e strabilia tutti con la sua potenza. Però lui ha le scarpe da ginnastica ai piedi e poi si aiuta con le braccia, mentre i Masai saltano scalzi e con le braccia lungo il corpo, utilizzando solo le gambe…
25/7/07 Sveglia alle 6 per il safari mattutino. E’ abbastanza fresco a quest’ora, saranno 15 °C e viaggiando con quei finestroni aperti, un golfino, giacca a vento e magari un cappello fa veramente comodo. Ancora leoni vispi, iene e facoceri. E una famiglia di manguste. Un inglese che viaggia con noi è in maglietta. Verso il rientro, mossi a compassione, gli prestiamo un mio maglione di riserva, che indossa immediatamente ringraziandoci calorosamente. Alle 8:30 rientriamo alla base per un bel breakfast. I ragazzi apprezzano molto le uova affrittellate e le salsicce. Noi, pure.
Alle 10 si riparte per un altro safari. Andiamo lungo il fiume a vedere i coccodrilli e gli ippopotami. Scendiamo dalla jeep. Il nostro Masai scende lentamente sul letto del fiume. Ritorna con una manciata di sassolini scelti. Con una tecnica di leve: dita a forzare sulla mano opposta, li scaglia con una precisione incredibile. Nel lancio, questi sassolini subiscono una forte rotazione. Tale da emettere un ronzio ben udibile. Hanno una traiettoria sorprendentemente lineare. E’ talmente preciso nel lancio (o forse ha molto culo?) che colpisce un passerotto in volo a una quindicina di metri. L’uccellino comunque subisce solo una deviazione momentanea della sua traiettoria, niente di grave.
Gli ippopotami nel fiume sono un bel bersaglio però…
Dopo un solo tiro di calibrazione, il nostro Masai ne becca uno in testa. Ridiamo tutti divertiti. Gli hippos non la prendono bene e fanno dei ributoloni in acqua da paura. Il nostro inglese resta stupefatto dalla tecnica di tiro del nostro guerriero e cerca di imitarlo con risultati deludenti. Io fotografo con attenzione la posizione delle dita. Sarà argomento di studio approfondito al rientro in Italia.
Nel frattempo ci raggiunge un altro gruppo di escursionisti. Per non offendere la loro sensibilità ecologica Williams smette subito di infastidire gli hippos che possono così tornare ad essere semplici bersagli fotografici. Si riparte. Uno gnu catturato durante la notte è stato portato su un alberone da un leopardo. Lo finirà di mangiare con comodo. Il pomeriggio ancora a vagare per la savana tra struzzi, famiglie di elefanti e carogne, resto di pasti di qualche bestia famelica.
Si vedono anche molti uccelli: avvoltoi, marabu, vari aironi, diversi tipi di aquile, serpentari, falchi e altri più piccoli e colorati.
26/7/07 Al safari delle 6 incontriamo il bellissimo gatto della savana, una specie di gattone con il mantello maculato, disinvoltamente a caccia di topi (quelli senza corna) e conigli. Troviamo una famiglia di giraffe che brucano le cime degli alberi lungo il Terek. Un’altra sorpresa viene da un grosso bufalo solitario che, nel vederci passare neanche tanto da vicino, avvia una carica verso la nostra jeep. Il driver, saggiamente, si allontana senza esitazioni e si posiziona a distanza di sicurezza, pur consapevole di averci privato di qualche scatto “interessante”.
Abbiamo chiesto di visitare il villaggio Masai come ultima tappa del nostro safari. Paghiamo la tariffa convenuta e allunghiamo una mancia al figlio del capo che ci accoglie e ci guiderà all’interno del villaggio. Le casette sono notoriamente disposte a cerchio e sono fatte, tetto compreso, di bastoni, arbusti e sterco di vacca come intonaco. C’è un bambino che proprio quando stiamo entrando nello spiazzo centrale, spande con le mani, una secchiata di sterco fresco sul tetto di una casa. Insomma siamo in un villaggio… Di merda. Ma, contrariamente da quello che ci si potrebbe aspettare, non c’è puzzo. Forse perchè è molto ventilato. Anche entrando all’interno della casetta, dove un quarto dello spazio è dedicato ai vitellini, non si sente puzzo. Le nostre stalle a confronto sono pestilenziali. Gli uomini ci accolgono con i loro cori e con le danze. Anche il nostro Williams, che vive in un altro villaggio, si aggrega divertito e, dall’alto dei suoi 2 metri surclassa tutti nella gara di salto, con il tripudio di tutti.
Le donne Masai prima si aggregano agli uomini con i canti poi prendono in mano la situazione e chiudono la festa con le loro danze. Terminiamo il giro con una passata dall’immancabile mercatino, anch’esso esposto su banchi di sterco secco.
Gli abitanti di questo villaggio, tradizionalmente nomadi, al pari del bestiame che segue i pascoli, hanno scelto una vita sedentaria a costo di grossi sacrifici, specialmente durante la stagione secca. Il ricavato di una povera agricoltura ed i proventi del turismo rappresentano un’integrazione vitale per la loro economia a sostegno del cambio di abitudini.
A Williams ho chiesto se è vero o se esite ancora la tradizione che i giovani, nel passaggio tra adolescenza ed età adulta, devono dimostrare il loro coraggio uccidendo un leone.
Lui dice che c’erano villaggi, in aree più remote e meno conosciute, che fino agli anni ’70 praticavano queste usanze.
Tuttavia, lui stesso, insieme ad altri giovani del suo villaggio, ha dovuto affrontare dei leoni solitari a protezione del proprio bestiame. Dice che ne hanno uccisi tre, con le loro lance e mazze, poi finiti con il pugnale. Durante uno di questi attacchi, purtroppo, un giovane guerriero è rimasto vittima.
Prima di lasciare il camp per il rientro a Malindi, ci segniamo il recapito di Williams. Restiamo d’accordo che gli invieremo qualche cartolina e magari un pacco con del materiale scolastico per i suoi bambini. Williams ci ringrazia sorridendo con i suoi dentoni bianchi.
Nel breve tragitto tra il camp e la pista degli aerei, ci facciamo un mini-safari denso di animali, compreso avvoltoi a ripulire una carogna e una famigliona di elefanti.
Mentre l’aereo rolla sulla pista l’ultimo sguardo cade su un gruppetto di Masai con i capelli tinti di rosso, a fianco del “duty free” fatto di lamiere. Un paio di ore di volo e siamo a Malindi.
Ci aspetta A., che, nei giorni passati ci aveva premurosamente inviato un paio di SMS per assicurarsi che tutto andasse bene.
27/7/07 Vita da villaggio turistico. Niente a che vedere con il nostro episodio al Masai Mara. Ma il mare è bello e la spiaggia è bianchissima e fresca, sembra di camminare sul bicarbonato.
Il pomeriggio andiamo con Edo e Ari a fare una passeggiata lungo la spiaggia, accompagnati dal gruppetto di beach boys. Ci imbattiamo in uno slanciato dromedario. Edo e Ari salgono su per una breve passeggiata fino all’imbocco della stradina che conduce alle scimmie. Abbiamo qualche banana con noi. Dietro i richiami dei ragazzi, una famiglia di scimmie scende dall’albero di chinino. Tra queste ce n’è una monca, ha perso il braccio in qualche incidente o in qualche trappola. I ragazzi ci dicono che le scimmie si avvicinano senza problemi agli uomini bianchi mentre i neri li tengono un po’ a distanza in quanto vi sono delle alcune tribù locali che catturano e mangiano le scimmie.
28/7/07 Pomeriggio ai ruderi di Gede, pochi chilometri da Watamu.
Una città araba del XIII secolo abbandonata nel XVII. Le scimmie ci accolgono. Noi ripaghiamo con le banane prese al buffet dell’Acquarius. Sono talmente veloci ed esperte che non lasciano il tempo di tirare fuori le banane dal sacchetto che sono già schizzate in testa a Edoardo a sgraffignare l’ambito frutto.
I ruderi sono immersi in un bel bosco tropicale con baobab, ficus che abbracciano le mura. Saliamo sul baobab su cui è stato costruito una terrazza di legno su tre rampe di scale. Alla fine del percorso, ancora un mercatino. Ma stavolta un po’ più originale. Sono oggetti fatti con i gusci dei frutti di baobab. Delle ingegnose trappole per topi (quelli senza corna) e piccoli bonghi. Molto carini. Cediamo per un paio di tamburini visto l’originalità ed il prezzo davvero economico.
Ripartiamo per Malindi dove facciamo un giro ad un rettilario, l’abbiamo sostituito con la classica visita alla fabbrica di legno. Di statuine non se ne può più. Ci accoglie una tartarugona terrestre delle Seicelles di 114 anni. Una giovanotta, visto che possono raggiungere 300 anni. Ci sono anche molti uccelli come gufi, falchi e aquile. Il guardiano ne fa volare un giovane esemplare che ritorna diligentemente al fischio e alla carne cruda, posizionata a mo’ di ricompensa sul guanto di cuoio.
Passiamo poi dal mercato vecchio di Malindi. Oggi è domenica e c’è un gran movimento di locali. Donne che vendono i gamberetti e pesce fritto, tegami e vettovaglie costruite con vecchie lamiere. Qui il riciclaggio è dominante. Su una collinetta a lato della strada un gruppo di Masai aspettano il pullman che li riporterà alle loro attività di guardiani e intrattenitori degli alberghi. Mi sembra di riconoscerne qualcuno che lavora nel nostro residence, si, quello che mi ha salutato.
Rientriamo a Watamu. La notte ci sorprende appena fuori Malindi. Non tutte le ceste di mango vengo tolte dai banchini lungo la strada. C’è chi veglierà tutta la notte su un giaciglio inventato.
29/7/07 La mattina c’è bassa marea. Questa settimana è più “forte” a causa della luna piena. I ragazzi locali ci danno un po’ di pace, concentrati come sono sui nuovi turisti arrivi da poco e dal momento che abbiamo già comprato le targhette di ebano, il CD e praticamente tutto quello che hanno proposto. Passeggiamo intorno gli isolotti vulcanici. Enormi stelle marine tropicali, di un rosso vivace, vengono mostrate dai ragazzi del posto. Le piccole murene, a decine, vengono stanate con dei pezzi di polpo. In ogni piccolo cratere su cui resta l’acqua c’è un piccolo acquario. Scorgiamo bei pesciolini colorati, vari tipi di stelle marine con magre braccia che si muovono velocemente. Ricci con lunghi aculei. Il pomeriggio con Edoardo e Arianna, accompagnati da un gruppetto di beach boys, andiamo all’Hemingway, un residence nella baia accanto alla nostra, da dove organizzano escursioni di pesca d’altura, per vedere cosa hanno pescato. Leggiamo sulla lavagna dei trofei che il giorno precedente hanno preso un black marlin di 120 Kg. I ragazzi dicono che qualche settimana fa hanno tirato su uno squalo di 350 Kg. Oggi hanno preso qualche tonno, barracuda, king fish (molto simile al barracuda) e un paio di belle lampughe lunghe più di un metro. 30/7/07 Si parte alle 9 per il giro con la barca al parco marino. Abbiamo le maschere e boccagli per lo snorkling. Giunti sul luogo prestabilito ci immergiamo. Tanti pesci sergente e chirurgo. Vado giù a 3 o 4 metri. Da lì sotto posso guardare sotto i roccioni. Lì si che si vedono pesci: corvine, pesci angelo, pesci farfalla, tre cernie di cui una lunga un metro e una rossa. Vedo anche un pesce coccodrillo sul fondale bianco della sabbia. Una specie di scorfano piatto con il muso allungato. Mi chiamano dalla barca, sono rimasto l’ultimo ancora in acqua. Controllo sotto un’altra roccia e scorgo un piccolo pesce scorpione, ben ritirato. Consiglio ad un turista di dare un’occhiata. Dopo un paio di tentativi riesce a vedere il pesce scorpione. Lo sentirò discutere con orgoglio di questa esperienza la sera stessa, al ristorante dell’Acquarius. Ripartiamo per l’invaso Mida Creek, regno delle mangrovie. Lungo delle lingue di sabbia vediamo aironi, gru e qualche ibis. Scendiamo su un isolotto emerso per la bassa marea e ci imbattiamo in migliaia di piccoli granchi che si muovono velocemente a ondate, formando delle specie di onde, man mano che passiamo. Alcuni granchini, nella frenesia di scappare finiscono tragicamente tra le chele di fratelli maggiori che ne fanno incetta. Ci spostiamo ancora su di un isolotto di spiaggia bianca con capanne, barbecue e tavoli per il pranzo, mangrovie tutt’intorno. E’ caldo, il sole picchia ma è ventilato e all’ombra si sta benissimo. Si sta bene anche a giro per l’isolotto a prendere paguri, vedere i curiosi perioftalmi, persciolini con occhi sporgenti per la visione a pelo d’acqua che si muovono veloci sulla superficie e si aggrappano con le loro pinne pettorali munite di artigli, alle radici delle mangrovie, fuori dall’acqua. Ho letto che questi pesci vivono nei mari tropicali, li ho visti anche nel Mar Rosso, ma giuro di averli visti su delle rocce in Calabria, vicino a Capo Vaticano, qualche anno fa.
I ragazzi del posto ci portano a fare delle brevi escursioni e impariamo tutto sulle mangrovie (5 tipi) i loro semi che si staccano dall’albero e solo se riescono a infilarsi verticalmente sulla sabbia attaccano. I loro frutti, delle specie di melagrane grosse come poponi con all’interno una decina di semoni sagomati ad occupare tutto lo spazio disponibile. Con il frutto della mangrovia ci curano disturbi di stomaco e fa bene anche contro la malaria (il record comunque va alla pianta del chinino che cura 40 malattie). Edo e Ari fanno anche una partitella a bocce con i frutti della mangrovia. Troviamo anche un bel ragno bufalo di un rosso amaranto lucente con piccoli puntolini gialli e corna che ricordano appunto l’animale da cui prende il nome. Troviamo anche un paio di nidi di formiche brune fatte di foglie fissate tra loro con della seta, a mo’ di malloppo, sui rami degli alberi.
31/7/07 La mattina c’è un bella bassa marea, decidiamo di fare un’escursione a piedi nell’altra baia a sinistra del nostro Mapango. Attraversiamo il paese e ci avviamo verso quella che viene nominata “l’isola dell’amore”. La vista della baia è preceduta da lunghe palme e un piccolo cantiere navale. Ci sono odori sospetti provenienti da un ristorantino, accanto ai barconi. Il panorama è una distesa accecante di sabbia bianca contrastata dal verde delle alghe nella parte verso il mare aperto. Tutti gli isolotti neri di formazione vulcanica, con i bordi erosi dalle onde e sormontati da vegetazione, sono ora raggiungibili a piedi. Un rasta chiede insistentemente una mancia, non ho voglia di stare a discutere o negoziare, lo avviso garbatamente che sta perdendo il suo tempo.
In lontananza, verso la barriera, gente curva in cerca di polpi. Ne seguo uno molto bravo a scovare le prede. Una volta individuata la tana, con un ferro sfrucona fino a tirar fuori il polpo. Ne ha già presi due grossi, saranno un chilo l’uno, più altri piccoli. Vagando con attenzione a non pestare i ricci, trovo una splendida stella marina rossa. Forse è stata lasciata lì da qualche beach boy come attrazione per turisti? La gente del posto le inventano di tutti i colori per avvicinarti e raccattare qualche mancia. Ritroviamo il pescatore. Oggi ha un pesce palla che lascia gonfiare in mano ai turisti. Fotografo ancora e pago il mio euro che avevo promesso. Si ricorda di me e apprezza il gesto. Anzi lo chiama ad esempio verso un fotografo che se la sta svignando senza pagare…
Mentre rientriamo al residence passiamo dai vicoli del paese e ci fermiamo al negozio di parei. Qui ci passano pochi turisti e i prezzi sono inferiori rispetto ai negozietti della spiaggia, più battuti dai villeggianti. Praticamente lo svuotiamo. Anzi gli commissioniamo altre borse e parei. Dovrà andare a Malindi a comprare le stoffe che cucirà e ci consegnerà entro giovedi all’Acquarius, prima della nostra partenza. Paghiamo un anticipo ed il resto alla consegna. Poi ci fermiamo alla fabbrichetta di sandali, di fronte alla moschea del paese. Il padroncino ci accoglie e ci fa entrare per scegliere sei paia di sandali, due borse e collanine. Mentre stiamo trattando il prezzo sento le lamentele di un praticante che sta uscendo dalla moschea e sbraita contro le mie nudità ritenute, forse a ragione, offensive (indosso solo la maglietta e mutandini da bagno). Indosso senza esitazione i pantaloncini per coprire le gambe e calmare il bravo musulmano. Per quest’anno abbiamo i regali di Natale già pronti. Fuori dal negozio c’è un banco con cinque giovani intenti a infilare le perline per le decorazioni dei sandali. Uno di loro dice che è un lavoro molto duro io rispondo che il muratore è peggio. Lui accondiscende ridendo.
1/8/07 Mare e piscina.
2/8/07 Il pomeriggio ci aspetta A. Per accompagnarci al parco Mida Creek, per la convenuta gita in canoa. Giunti all’ingresso del parco A. Concorda il prezzo e il tipo di gita con il guardiano e partiamo subito per l’escursione, lasciando una comitiva di bambini con le loro divise scolastiche. La guida, un ragazzo locale parla inglese e un po’ di italiano. Ha con se un dizionario Swahili-Inglese-Italiano e dice che lo deve studiare. In molte occasioni chiede la traduzione degli animali in italiano. Saliamo su un pontile di legno abbastanza traballante che ci conduce attraverso le mangrovie su una postazione per osservare gli uccelli. Edo e Ari si divertono molto e ci sentiamo tutti un po’ Indiana Jones. Arrivati all’osservatorio estraiamo i canocchiali, ma di uccelli se ne vedono pochi, giusto qualche ibis, un par d’aironi e qualche cicogna. Ce ne sono pochi di uccelli anche perchè in lontananza si avvicinano dei pescatori di rientro a piedi. Ce n’è uno che porta un fardello chiaro sulla schiena. E’ una tartaruga marina viva che ha pescato nella laguna. Chiedo alla guida cosa ne farà. Dice che la porterà al vicino centro di studio delle tartarughe che pagherà con 300 scellini, qualcosa più di tre euro. Una bella sommetta. Scendiamo dall’osservatorio e ci avviamo verso altri pescatori che stanno rientrando. Due ragazzi hanno fatto una pescata notevole: una bella razza maculata e qualche pescione, trasportati su di un bastone per dividere il peso. Faccio delle foto e pago la mancia, qualche scellino. Qui i diritti d’autore e le liberatorie si risolvono immediatamente.
Arriviamo al punto di imbarco delle canoe. Dove altri due ragazzi ci aspettano. L’acqua sta lentamente risalendo per l’alta marea. Saliamo sulle canoe e, spinti da dei bastoni ci dirigiamo, su pochi centimetri di acqua, verso un isolotto per le ultime notizie sulle mangrovie, granchi e paguri locali. In lontananza, in direzione di Watamu c’è un arcobaleno e sta piovendo. Chiedo alla guida se è il caso di rientrare. Lui, come da copione risponde “akuna matata”, non c’è problema, dice che quando piove laggiù non piove mai qui per via del vento che spinge le nuvole lontano. Io mi fido anche se non sono molto convinto. D’altra parte lui ci vive qui, quindi lo saprà meglio di me. Ma le nuvole, contrariamente alle aspettative si avvicinano. Allora, rakka-rakka (velocemente) rientriamo all’osservatorio ornitologico, ora raggiunto dal mare. Siamo un po’ bagnati e i bambini si asciugano alla meno peggio e indossano gli indumenti usati che avevamo portato dietro per regalare agli abitanti di un villaggio, a fine escursione.
Fortunatamente smette quasi subito di piovere. Terminiamo la nostra escursione visitando un villaggio vicino. Avevamo in programma di regalare degli abiti usati, ma ancora in buono stato, ai bambini. Diamo tutto ad una donna che distribuirà equamente i vestiti. Abbiamo anche dei crackers e delle cioccolate che i bambini meno timidi prendono e mangiano immediatamente, ringraziandoci. C’è un bambino piccolo, avrà quattro anni che rimane a distanza. I compagni e qualche adulto, ridendo cercano di convincerlo a venire a prendere la sua barretta di cioccolato. Lui piange disperatamente e non c’è verso di farlo avvicinare. E’ terrorizzato da noi estranei. Crede di morire se si avvicina troppo. In effetti, per rendere la nostra immagine ancora più inquetante io che ho un forte dolore all’orecchio, indosso una pezzolina rossa, mi sembra di essere un befano. 3/8/2007 Mare e piscina. Prepariamo le valige per il rientro.
Il pomeriggio piove, ma i bimbi fanno il bagno in piscina. E’ l’ultimo giorno e non si può sprecare…
4/8/2007 Sveglia alle quattro di mattina. Nel tragitto in pullman tra Watamu e Mombasa, 100 Km e due ore di strada piena di buche, troviamo una macchina appena uscita di strada con ancora i fari accesi e i conducenti di due grossi camion, parcheggiati nella strada, a prestare soccorsi. Un camion intraversato con le ruote posteriori su una scarpatella a lato della strada. Un camioncino “inginocchiato” nel mezzo alla strada con un semiasse rotto. Un rimorchio di un camion ribaltato, con tutto il carico riversato su di un lato.
Imbarco regolare, volo magnifico, grande servizio sul Blue Panorama NO 3513: colazione, pranzo, gelatino congelato, merendina con pizzetta appena sfornata. Durante il volo, vediamo la punta innevata del Kilimangiaro, giunti sulla Libia vediamo dei cerchi sul deserto del Sahara (in seguito, con google earth, appurerò che sono aree di irrigazione per coltivazioni agricole). Poi, in Italia vediamo lo stretto di Sicilia e le isole Eolie con Stromboli fumante. Atterraggio da manuale con applausetto liberatorio. Il ritiro dei bagagli tutto sommato è andato molto bene, solo 40 minuti di attesa. Considerando che in questi giorni a Fiumicino c’è un gran marasma con ritardi allucinanti sulla consegna delle valige.
Arriviamo a casa stanchi ma soddisfatti della nostra vacanza esotica. Forse tra qualche tempo ripensando alle nostre esperienze in Kenya ci verrà il “mal d’Africa”. Per ora io ho un gran mal d’orecchio. Gli ultimi giorni di vacanze, per le nuotate in mare e in piscina mi sono beccato un’otite, abbastanza nella norma per me. Curata a suon di antibiotici e antinfiammatori previdentemente portati dall’Italia (grazie Luli). Le foto del nostro viaggio sono disponibili su: http://www.Flickr.Com/photos/7693187@N08/sets/72157601312977063/