Una valigia per l’africa

Arriviamo all’aeroporto di Johannesburg dopo un viaggio durato tutta la notte. E’ mattino presto e mancano quattro ore alla coincidenza per Lilongwe. Siamo in viaggio da diverse ore, essendo partiti ieri da Bologna per Francoforte, e da lì, dopo un volo accompagnato da un piccolo passeggero cinese che non la smetteva di urlare per...
Scritto da: ROSSANO CROTTI
una valigia per l'africa
Partenza il: 07/08/2002
Ritorno il: 17/08/2002
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 3500 €
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Arriviamo all’aeroporto di Johannesburg dopo un viaggio durato tutta la notte. E’ mattino presto e mancano quattro ore alla coincidenza per Lilongwe. Siamo in viaggio da diverse ore, essendo partiti ieri da Bologna per Francoforte, e da lì, dopo un volo accompagnato da un piccolo passeggero cinese che non la smetteva di urlare per l’evidente motivo che la mamma non aveva i pannolini per cambiarlo, siamo arrivati nel continente africano. Il nostro viaggio è iniziato e il nostro pensiero è fisso a ciò che troveremo al nostro arrivo. La curiosità è tanta e l’emozione pure. La certezza di realizzare ciò che sognavamo è il nostro contatto. Forse questa esperienza ci cambierà un po’ la vita. L’aeroporto di Johannesburg è immenso, proviamo a riposarci sulle poltroncine di una sala dove decine di persone chiassose di tutte le razze arrivano e vanno ovunque. Nella sala fumatori penso di aver respirato fumo passivo abbastanza per tuta la vita. Ho la nausea. Provo a dormire, ma è impossibile. Io e Rossana siamo ansiosi di vedere l’Africa. E questo succede durante il volo per il Malawi, dove dall’alto, vediamo immense distese di terra rossa, la vegetazione brulla e un paesaggio a noi sconosciuto. Il clima che ci accoglie è freddo e ventoso per le nostre aspettative e per i nostri indumenti forse poco da viaggiatori e troppo da turisti. Arrivati nella capitale, ci trasferiamo nell’albergo sul lago che prende il nome dal paese, il lake Malawi appunto , una distesa d’acqua enorme larga ottanta chilometri e lunga cento, che dalle coste appare come il mare. Sappiamo che quell’albergo, quella parentesi comoda fra noi e l’altra faccia del mondo, serve solo per non traumatizzare troppo le nostre abitudini, ma non ci offre nulla che soddisfi le nostre curiosità. L’appuntamento con il nostro contatto è per il giorno dopo e la valigia rossa che ha attraversato il mondo aspetta di essere consegnata. A lei abbiamo legato sentimenti strani, un desiderio forte di arrivare fin qua con ciò che vorremmo sia giusto, un po’ meno disuguaglianze, un po’ più uguali. Le opportunità per tutti, le differenze abissali, le ingiustizie storiche…Troppi pensieri e energie che i nostri corpi stanchi partoriscono sotto la zanzariera montata su un letto a baldacchino. Io e Rossana ci addormentiamo nella nostra prima notte africana. Il giorno dopo ci appare con un clima decisamente più mite e coerente con i colori della terra e della scarsa vegetazione. Ci attende l’intervista con Harry, il nostro contatto locale. Harry è dello staff di Action Aid Malawi, e risponde con passione alle domande che ci eravamo preparati. Ci racconta della struttura sociale del paese, dove c’è ancora moltissimo dislivello fra chi abita le città e fra chi ( la maggior parte ), popola i villaggi. La cosiddetta popolazione rurale. Per loro, ogni bisogno quotidiano è un problema. Ogni esigenza sanitaria e di approvvigionamento dei beni di prima necessità. Le famiglie vivono in nuclei numerosi, in media vi sono cinque figli e spesso i parenti vivono sotto lo stesso tetto ( comunemente di paglia ). I problemi più rilevanti riguardano i bambini, per una mortalità infantile molto alta e successivamente un abbandono scolastico dovuto all’aiuto che i figli, soprattutto le bambine, devono dare in casa per aiutare i genitori in ogni gesto quotidiano. Prendere l’acqua, infatti, vuol dire percorrere anche tre chilometri a piedi. Chi è fortunato ha un piccolo pezzo di terra che può coltivare e successivamente vendere i propri prodotti la mercato. L’aspettativa di vita è molto bassa, quarant’anni, ed è un dato che sapevamo, ma sentirlo dire da Harry, ha un altro effetto.

Ci spiega dell’importanza che ha sul territorio Action Aid, che, come tutte le ONG presenti sul territorio africano, sono di vitale importanza essendo a diretto contatto con la popolazione. E’ infatti ascoltando i problemi ed essendo vicino alla gente che gli aiuti possono essere mirati ed efficaci. Vi sono staff dislocati in tutto il paese con persone come Harry che raggiungono i villaggi e indicano quali interventi sono necessari per garantire un minimo di servizi a centinaia di persone. In questi casi, conta molto di più il lavoro di chi spiega alla gente i pericoli che incorre con rapporti sessuali non protetti, piuttosto che container di aiuti, molte volte inutili e sprecati. Il Malawi , storicamente protettorato britannico è, dal 1963 indipendente con la figura storica del leader Kamuzu Banda e dal 1994 una repubblica multipartitica e in pace con il mondo. Nel pomeriggio raggiungiamo la sede di A.Aid, viaggiando nel cassone di un pick up. Lo staff ci mostra orgoglioso le stanze dell’edificio di mattoni dove spunta anche un computer fra le cataste di carta e documenti ammucchiati ovunque. C’è anche un bagno, e tutti sorridono. Percorriamo sul pick up chilometri di strada serrata e la scelta del cassone ci agevola per le riprese ma ci fa arrivare coperti di polvere fine. La nostra valigia scivola ad ogni curva e l’orizzonte è al nostro occhio lontanissimo. Arriviamo al villaggio. La famiglia che ci aspettava ci mostra con orgoglio la loro fonte di sostentamento, una capra, e stendono a terra una stuoia per farci sedere con loro. A quel punto Harry e l’altra nostra guida, Francis, ci elencano la natura degli aiuti ricevuti in quella zona, mentre tutti, dignitosamente ascoltano. La bambina che abbiamo simbolicamente adottato è seduta composta sulla stuoia a fianco della mamma, dall’apertura della recinzione fatta di bambù, decine di occhi sgranati di bimbi curiosi è fisso su di noi : siamo tremendamente bianchi. Continuiamo la nostra missione, poco distante vi è il punto di arrivo della nostra valigia. Proseguiamo per la spianata sino a raggiungere una corte di costruzioni in mattoni : la scuola. Ci accoglie il maestro e decine di bambini, molte bambine hanno la divisa, un grembiule verde. I bambini sono in cerchio attorno a noi, ci scrutano divertiti. Sono di tutte le età, compresi ragazzi adolescenti. La valigia viene posta a terra davanti a noi. Prima di aprirla, mostriamo loro alcune cartine geografiche, e spieghiamo indicando su di esse, il tragitto che abbiamo fatto, l’Italia, il Malawi, i continenti . Apriamo la valigia, le urla di gioia dei bambini e dei ragazzi alla vista delle penne, delle matite , dei quaderni e dei colori ci lascia attoniti, sorpresi, felici, commossi. Quell’attimo è rimasto fermo dentro di noi come il senso di tutto il viaggio. Continuiamo col pick up, ancora polvere, chilometri, sabbia rossa e ad ogni partenza una coda di bambini mezzi vestiti che ci insegue salutandoci. Prossima destinazione : un’area dove l’ONG ha piazzato un motore che pompa acqua dal vicino fiume per irrigare piantagioni di mais. Prima, ci spiegano, il tutto veniva fatto a mano scavando attorno dei piccoli canali collegati fra loro. Più tardi arriviamo all’ospedale. Il silenzio è pesante come il tempo che passa lento e senza risposte a tante domande che qui verrebbe da fare. Purtroppo il primo problema degli ospedali è il numero, irrisorio per la popolazione che quotidianamente è a contatto con i problemi legati alle scarse strutture igieniche e all’alimentazione insufficiente. Le recenti carestie hanno incrementato i problemi, e visto che il Malawi basa la propria economia principalmente sull’esportazione di prodotti agricoli, il futuro di questo paese è negli ultimi anni messo in serio pericolo in termini di sviluppo. Il governo dovrebbe prendersi impegni seri e rapidi al fine di snellire la burocrazia, incrementare le infrastrutture , adottare politiche di sostentamento per le popolazioni che vivono di agricoltura e incentivare gli obiettivi perseguiti dalle ONG come Action Aid allo scopo di favorire l’istruzione e il sistema sanitario. Il Malawi si è qualificato come Heavily Indebted Poor Country ( nazione povera estremamente indebitata ) nei programmi di cancellazione del debito pubblico. All’ospedale vediamo il cuore dei problemi del terzo mondo e l’importanza vitale dei volontari che aiutano queste strutture. Arriviamo mentre in corso una vaccinazione antimalarica ad alcuni bambini, e in un angolo di una stanza con vecchi letti con materassi di plastica e senza lenzuola , una ragazzina sdraiata su un fianco ci sorride; dal suo vestito spunta una creatura che avrà avuto qualche ora di vita. Lo sguardo di quella ragazzina era fiero e soddisfatto, incosciente e inconsapevole, così come dovrebbe essere lo sguardo di chi da alla luce un figlio. Dietro a lei, a farle assistenza, non infermieri , ma due anziane del villaggio, che senz’altro, nella loro vita avranno visto cose e avranno partorito. L’unico medico dell’ospedale ci fa notare il problema dello stoccaggio dei medicinali e del problema dell’energia elettrica, non sempre costante. Arriva il momento di lasciare anche quel luogo. Il mulino ci aspetta. Il Malawi , all’interno di un’economia agricola che è il 38% del PIL, vanta di una notevole produzione di mais, tradizionalmente utilizzato per il sostentamento la popolazione locale ma anche esportato verso le nazioni confinanti. La famiglia che gestisce il mulino ci mostra il motore che macina il mais, acquistato grazie un progetto di A.Aid e mantenuto grazie alla tariffa pagata da chi utilizza il servizio. Al ritorno a Salima ci accoglie inaspettatamente il villaggio che ha improvvisato per noi canti e danze. Il rituale, ci spiegano le nostre guide, viene eseguito ad ogni avvenimento speciale, come il raccolto o un matrimonio e coinvolge tutti. Tre uomini suonano bongos alti un metro e tutte le donne danzano in cerchio intonando canti tradizionali. Dietro noi, bambini ci guardano curiosi. Ci preoccupiamo di far capire molto bene l’onore che ci ha fatto questo riconoscimento che sicuramente per quelle persone ha un valore molto alto. La notte sta calando, il rosso del sole allunga le ombre sul rosso della terra e ancora chilometri di polvere ci riporteranno nella nostra parentesi per spendere una notte africana che cala su una giornata densa di colori, odori ed emozioni indescrivibili per chi vuole parlare dell’Africa, quella vera, senza esserci mai stato. Nell’ultimo giorno di contatto con la “vera” africa, in occasione di una visita alla missione di Mua, incontriamo padre Claude Boucher, un sacerdote francese da trent’anni in Malawi . Questo missionario di mezz’età con folta barba austera e brizzolata che contrasta coi pantaloncini e la sgargiante camicia hawaiana, ci racconta di quel luogo che ora ospita un museo antropologico, uno zoo, un laboratorio di scultura ed una biblioteca; il tutto per mantenere la memoria delle tradizioni culturali di questo paese. La tenacia di persone come padre Claude e di chi opera nelle ONG in paesi come il Malawi, deve essere di riferimento a chi pensa che un piccolo aiuto è come una goccia nel mare. La goccia serve, e noi, non possiamo ignorare. Questo lusso, almeno, non possiamo concedercelo. Ho imparato una parola in Chewa ( la lingua locale) : “zikomo”, che significa “grazie”. Spero che questo popolo abbia molte occasioni per pronunciarla.

R.C.



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