Alla larga dalla Rambla

Approfittando del nuovo collegamento aereo tra Pescara e Barcellona, e di un appartamento gentilmente offerto da un nostro caro amico, dal 3 al 7 aprile io e la mia compagna abbiamo deciso di tornare in quella città che, in epoche e contesti differenti, ci ha comunque stregato il cuore, e viverla, così, per la prima volta insieme. Considerato...
Scritto da: delmondo
alla larga dalla rambla
Partenza il: 03/04/2007
Ritorno il: 07/04/2007
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 500 €
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Approfittando del nuovo collegamento aereo tra Pescara e Barcellona, e di un appartamento gentilmente offerto da un nostro caro amico, dal 3 al 7 aprile io e la mia compagna abbiamo deciso di tornare in quella città che, in epoche e contesti differenti, ci ha comunque stregato il cuore, e viverla, così, per la prima volta insieme.

Considerato che il volo da Pescara arriva intorno alle 22.30 a Girona e che per arrivare in città occorre un’altra oretta di pullman (la biglietteria è in aeroporto e gli autobus partono proprio davanti l’ingresso dell’aerostazione. Facendo il biglietto A/R, valido 30 giorni, si risparmia qualcosa), la nostra vacanza vera e propria è cominciata la mattina del 4 aprile.

Colazione in una delle pasticcerie storiche della città. Purtroppo è sulla Rambla ma il locale è splendido nei suoi eccessi, tipici del modernismo catalano, di cui ci si può riempire gli occhi mentre si gustano cioccolate e “postres” (dolci). Visita alla Bouqueria poco distante. C’eravamo già stati ma questo mercato (il più antico di Barcellona) è uno spettacolo a cielo (semi) aperto che quotidianamente si rinnova. Ogni giorno è diverso dall’altro e perdersi tra i chioschi multicolori e multisapori, tra profumi di frutta, spezie, erbe, formaggi e pesce appena pescato è davvero un’esperienza unica. La vita (degli uomini e delle donne che ci lavorano) e la morte (delle carni e dei prodotti esposti in bella mostra) si mescolano in un caos più organizzato di quello che sembra, dove tutti hanno un proprio posto assegnato e un proprio ruolo in commedia.

Con la Metro (il sistema pubblico dei trasporti è efficientissimo: 8 linee metro, Ferrocarril, bus turistici e non, taxi disponibili ed economici, coprono in lungo e largo tutto il territorio urbano ed extraurbano) siamo arrivati al Parc Güell. Fantastico, nel vero senso della parola, un luogo da fiaba in cui la celebre “salamandra” è solo una (e neanche la più bella) delle mille incantevoli e “gaudiose” diavolerie. Un posto in cui l’unico disagio che si prova è dovuto solo al numero spropositato di turisti che l’assale ogni giorno. Un consiglio, quindi: andarci la mattina presto, magari entrando da qualche porta secondaria, e salire le scale verso l’ultimo dei terrazzi. Il panorama che si gode da lassù lascia senza fiato (anche per la fatica di arrivarci!), con la città distesa ai vostri piedi ed il mare a separarvi dall’infinito.

Poco distante, abbiamo raggiunto a piedi l’Hospital de la Santa Creu I Sant Pau, progettato da un allievo del maestro Gaudì (Domènech i Montaner) sempre in stile modernista. Assolutamente funzionante, con tanto di sale di attesa e ambulatori, è un contrasto cromatico e sensoriale sconvolgente vedere camici bianchi aggirarsi tra tutti quei mattoncini rossi, mosaici in technicolor e sculture di straordinaria bellezza. Mai visto un luogo così “poco piacevole” come può esserlo un ospedale in un contesto così bello e pacificante.

Sempre a piedi, tornando verso il cuore della città, ci siamo incamminati lungo la “Ruta del Modernismo”, tra palazzi incantevoli, da scoprire praticamente ad ogni angolo di strada, ricchi di quei particolari che li rendono davvero unici (ringhiere, portoni, balconi) e ristoranti gourmet da individuare. A volte, le due cose coincidono: è il caso di “Casa Calvet”, di cui però non abbiamo potuto apprezzare la cucina. Anche da un punto di vista culinario, Barcellona è una delle città più all’avanguardia nel mondo ma in questi santuari “stellati” senza prenotazione è difficile riuscire a mangiare. E le liste d’attesa non si esauriscono nel breve tempo di una vacanza di pochi giorni. Comunque, a parte ciò, i ristoranti non mancano di certo. Carne, pesce, vegetariani, cucine del mondo, la città offre di tutto, per tutti e per tutte le tasche. E se c’è bisogno di fare un po’ di fila, si può ingannare l’attesa con gustosissime e sfiziosissime tapas, magari sorseggiando un fresco e gradevole vino bianco. Un unico consiglio: evitate i locali della Rambla, costosi, posticci e dalla qualità scadente. A pochi metri da lì, c’è tutto un mondo (gastronomico) che vi gira intorno.

Dopo la pausa pranzo, abbiamo girovagato a piedi tra i ricordi delle nostre precedenti visite, perdendoci tra la Iglesia del Pi, S. Maria del Mar (è impossibile resistere alla tentazione di rivederla ogni giorno…), le viuzze del Raval (il quartiere multietnico per eccellenza, in forte recupero architettonico), il mercato di Santa Caterina (con quella incredibile copertura colorata e ondulata), riposandoci sulle scale del Museo de la Storia de la Ciutad. E poi ancora Plaza Jaume con i “palazzacci” del Comune e del Governo, il ponte in finto “veneziano, ed arrivando fino al Palau de la Musica Catalana per prenotare una visita guidata (l’unico modo per vederlo dall’interno. Non sono previste visite in italiano ma, per chi non parla inglese e francese, in castigliano si capisce benissimo) per il giorno dopo.

A cena, dopo una breve attesa di circa un quarto d’ora, siamo riusciti a sederci ai tavoli del locale in cui Picasso si riuniva con l’intellighenzia dell’epoca. Ambienti splendidi e retrò, birra eccellente, cibo buono, prezzo onesto. Sfatti, a nanna.

La pioggia ha salutato il nostro secondo giorno in città. Dopo aver fatto una visitina alla Bouqueria per procurarci l’occorrente per il pranzo (acqua, salumi, formaggi, pane e frutta), con il combinato “metro + Ferrocarril” siamo arrivati in una mezz’oretta alla “Colonia Güell”, esempio di ideale città industriale, in cui una serie di architetti dal piglio modernista si sono divertiti a progettarne case, scuola, dopolavoro, botteghe artigiane e cooperative ed in cui quel mattacchione di Gaudì ha realizzato (anche se non terminato) una delle chiese più belle al mondo, un antro buio e solenne in cui tutto è storto, praticamente l’idea embrionale di quella che poi diventerà la Sagrada Familia. E lì, nel museo annesso, si può capire davvero dove arrivava il genio creativo e progettuale di quest’uomo vissuto e morto in solitudine prima che la città catalana gli rendesse il dovuto riconoscimento.

Nel pomeriggio visita al Palau della Musica, un luogo che lascia a bocca aperta e a testa all’insù, un esplosione di colori, vetri, stucchi, legno, mosaici, gruppi scultorei, un vero capolavoro, patrimonio dell’Unesco dal 1997, un luogo, anch’esso, unico.

Di nuovo a zonzo tra la Ribera e il Raval, fino al Macba, il museo di arte contemporanea, e poi, dopo una cenetta sfiziosa (prezzo sempre sotto i 30 euro a capoccia), breve passeggiata notturna al Maremagnum. Breve, perché l’indomani la sveglia sarebbe suonata alle 7! La sveglia (quasi) all’alba è stata una scelta (quasi) obbligata per permetterci l’escursione al santuario di Monserrat. A partire dalle 8.36, i treni partono ogni ora (stazione Espanya) e considerato che tra metro, Ferrocarril e cremagliera ci vuole circa un’ora e mezza per arrivare sul posto, abbiamo preferito essere lì presto per riuscire a tornare in città nel pomeriggio per assistere così alla processione del venerdì santo. Comunque il posto merita il piccolo sacrificio mattutino, con il santuario incastrato praticamente dentro la montagna alta e rocciosa, con lunghe guglie che sembrano dita e alle quali, si dice, Gaudì si sia ispirato nel progettare la Sagrada Familia. Oltre all’aspetto religioso (il monastero è il principale luogo sacro della Catalunya, in cui i pellegrini vengono a venerare la statua della Vergine Nera), c’è la parte naturalistica che non è affatto secondaria. Con un sistema combinato di cremagliere si arriva fino ai 1.000 metri dai quali partono sentieri verso eremi scavati nella roccia. Paesaggi mozzafiato, aria buona, prolungati silenzi. Da qui, Barça e la sua vitalità sembrano così lontane! Sotto un sole discreto abbiamo riconquistato la città, piazzandoci davanti alla Cattedrale (la facciata è in ristrutturazione, così come il Palau Güell) e lì abbiamo atteso che uscisse il Cristo crocifisso. Portata a spalla da alcuni membri di una confraternita, la statua fa una specie di via crucis facendo un po’ il periplo della piazza, tra la folla sparsa nel mezzo e attorno. Poi rientra in chiesa. Quando tutto sembra finito, da una via laterale, anticipata da 2 giannizzeri a cavallo, da una marea di incappucciati e dalla musica solenne della banda, arriva la processione vera e propria. E’ assolutamente suggestiva e allo stesso tempo inquietante, con la folla che si apre al passaggio delle 3 “figure”. La prima è il Cristo con la croce che sale al Calvario; la seconda, quella più attesa, è quella della Madonna de la Macarena, bellissima, circondata da fiori e sostenuta da un canto lamentoso di tipo andaluso che mette i brividi. Al suo passaggio la folla le grida “guapa!” oppure “bonita!” e i più devoti piangono disperati. Le due statue si ritrovano sul sagrato davanti la Cattedrale e lì, fronteggiandosi, si dondolano e si agitano simulando una sorta di danza. Poco dopo arriva l’ultima immagine che rappresenta la Pietà, vale a dire Maria con il figlio morto tra le mani. Nel frattempo si è fatto notte e tra luci e lumini la cosa è davvero bella.

Il quarto (e ultimo) giorno abbiamo avuto (finalmente!) una sveglia comoda, dedicandoci alla preparazione dei bagagli e all’acquisto di qualche pensierino. Poiché il volo per Pescara c’è alle 18.20 (i pullman per Girona partono praticamente ogni quarto d’ora, sempre dalla Stazione del Nord), ci siamo così concessi un ultimo giro, direzione Barceloneta, uno dei quartieri della città più belli in assoluto. Visita al mercato rionale, anch’esso ristrutturato esternamente in maniera fantastica, acquisto di dolcetti e camminata sul lungomare fino al mitico pescione ferroso dell’architetto canadese Frank Garhy (su di lui, in questi giorni al cinema c’è un documentario molto bello realizzato da Sidney Pollack). Giro al Parc de la Ciutadella e da lì metro fino a Glories per vedere il simbolo della Barça moderna: il siluro (o supposta o pisellone o proiettile) della “Torre Aqbar” realizzato dall’architetto francese Jean Nouvel. E’ impressionante vedere come attorno a questo edificio che rappresenta la “nuova” Barcellona ci sia attorno praticamente il nulla: case diroccate e fatiscenti, mercato multietnico stile suq arabo… Un contrasto interessante e spiazzante. Purtroppo non (ancora) si può salire fin su perché è occupata da uffici (“Aqbar” sta per “Aqua de Barcelona”, la società che gestisce l’acqua) ma comunque si può entrare e vedere così da vicino i materiali utilizzati e l’interessante studio degli interni.

Da lì passaggio veloce a casa, sistemazione di buste e bustarelle, ripresa del bagaglio e destinazione stazione del Nord, dove alle 16 abbiamo ripreso l’autobus per Girona.

In conclusione, Barcellona si è confermata una città fantastica, dalle mille anime, fighetta e proletaria, esclusiva e multietnica, modernista e moderna, che conquista soltanto se ci si affida completamente. Ogni angolo è una scoperta, ogni palazzo una sua storia, ogni quartiere una sua peculiarità. E i luoghi nei dintorni della città sono di una bellezza unica, che da soli meriterebbero un viaggio apposta, ma che purtroppo spesso vengono “sacrificati” davanti alle bellezze che Barcellona è capace di offrire in gran quantità. Chissà, magari al prossimo viaggio…



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