Hondagua, km 248

Anche nella stessa provincia di Quezon, e' una localita' sconosciuta. L'oceano che profondo la lambisce, nel golfo in cui e' incastonata, ha un colore scuro e deciso, ma un carattere pacifico come il suo nome. Tutt'attorno verdi montagne la proteggono, la isolano. Alberi di cocco e banani lungo la spiaggia, poi la stazione. Hondagua ha una...
Scritto da: pablo68
hondagua, km 248
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Anche nella stessa provincia di Quezon, e’ una localita’ sconosciuta.

L’oceano che profondo la lambisce, nel golfo in cui e’ incastonata, ha un colore scuro e deciso, ma un carattere pacifico come il suo nome. Tutt’attorno verdi montagne la proteggono, la isolano. Alberi di cocco e banani lungo la spiaggia, poi la stazione. Hondagua ha una piazza che atipicamante ha come centro il campo di basket circondato da spalti di casupole in legno e lamiera e da cui si diramano piccole viuzze, che raggiungono in maniera capillare ogni cellula del paese. Vari negozi si affacciano nel cuore pulsante del borgo, alimentari, fruttivendoli, tabaccaio con caramelle coloratissime e un panificio. Odong prepara il pan di cocco con la moglie Coli’, per tutta la notte, poi si gioca il sonnolente mattino dietro al bancone di vetro del negozio aperto al vento su due lati. Di fronte a lui passeggiano lenti i circa 5000 abitanti di Hondagua, i suoi clienti. Oltre la strada e il campo da gioco in cemento, corrono non protetti, i binari. La ferrovia della Philippines National Railways, che l’attraversa con una linea unica, ha qui il punto di ricovero e l’officina. Tutti i treni che transitano fermano qui, anche quello presidenziale. Il diretto Manila-Naga oltrepassando senza sosta le grandi citta’ fa la sua fermata alla stazioncina del Km 248. E sui binari, tra un treno e l’altro, quei due o tre giornalieri, scorre la vita di Hondagua. Erik passa qui le sue giornate, seduto sul suo skate che posizionato sui binari, aspetta viaggiatori diretti a Calauag o a Lopez. Chiacchiera e ride con i colleghi nelle lunghe pause di attesa e osserva Odong, che con occhi socchiusi sfida quotidianamente Morfeo. Nell’intera giornata di lavoro guadagna il giusto per sfamare la famiglia numerosa, se la giornata e’ molto buona, riesce a farsi saltar fuori una bottiglia di rum.

“Questa e’ certamente una giornata speciale”, pensa mentre accompagna lo straniero al paese vicino, e il pensiero del Tanduay gia’ gli scalda la gola. Lo straniero e’ il marito di Julieta, la figlia giovane di Nanay Tina e del povero Tatay Baltik. Erik lo conosce di vista. Ogni tanto appare, pallido come uno spettro e con i capelli lunghi e chiari, lo si vede in giro per un giorno o due e poi scompare per anni. -” Ti piace Hondagua?”- urla Erick, tra lo stridere di ruote sui binari e il rombo del motore. Penso che dietro quella domanda si cela la classica frase di chi ci vive “cosa ci trovera’ mai di speciale in questo posto.. “. O forse vuol sapere se questo personaggio ha davvero carpito la misteriosa bellezza del luogo, prerogativa di chi quel posto non lo lascerebbe mai. Mi volto e lo guardo sorridente allargando le braccia. Non ci sono parole per descrivere il tratto di ferrovia, quei 6 km che percorsi la prima volta vent’anni fa’ con uno skate tradizionale, cioe’ a spinta, stile riscio’. C’e’ il mare da una parte e la foresta dall’altra. Vaste risaie con uomini e carabao al lavoro nell’acqua. Palafitte da cui si vedono donne indaffarate e figli seminudi, giardini fioriti dai mille colori, capre, galli da combattimento legati ma coccolati come gatti. Chiese e cimiteri, bambini che giocano, banani, papaye e cocco tantissimi alberi di cocco. Partite di pallacanestro ti scorrono a fianco, poi ponti e fiumi, cani, uccelli variopinti, e profumi indescrivibili. La mente corre a ritroso, ai primi anni ’90. Chiudendo gli occhi, mi rivedo giovane uomo, qui su uno skate senza luce in una notte senza luna, con un nugolo di miei nipoti. Si tornava per salutare la nonna che ancora viveva in paese. E rivedo quell’albero, illuminato da centinaia di lucciole. Poi altri ricordi, flashback scollegati tra loro. La Hondagua degli inizi del nostro amore, quella senza strada per giungervi, senza telefoni. Quella con rare televisioni ma nessuna stazione televisiva da vedere. Chi la possedeva faceva pagare il biglietto per entrare in casa a vedere film d’annata da videocassette per il vecchio betamax, raffreddato dal ventilatore. Quella Hondagua della radio a valvole di Bal, con l’antenna prolungata piantata nel mezzo del giardino di orchidee. Il suo impegno veniva premiato dalla ricezione di una sola stazione, la Slow-Rock di Lucena. Mi par di sentire ancora la voce di Nanay che mi avvisa di non percorrere la strada della collina dopo il tramonto, per non disturbare gli elfi che li’ riposano. Le chiacchere a bassa voce sui militanti del NPA, le forze comuniste combattenti che scendevano dai monti attorno, armati e silenziosi nella notte, per chiedere un piatto di riso e una branda. Come in silenzio scendevano, silenziosamente risalivano sui monti prima dell’alba. Da noi non venivano mai perche’ avevamo sei cani nel cortile. Poi ancora vecchie case, con alle finestre griglie scorrevoli in narra e gli inserti in conchiglia. Per un attimo ritrovo Greg, l’altro abitante occidentale di Hondagua. Uscito dai ricordi del passato per bere di nuovo insieme allo store di Zeny e parlare, nella nostra diversita’, delle similitudini che ci univano . Chissa’ come gli va’ ora che vive in Australia con la moglie e i due figli; non torna da molti anni. Sicuramente avra’ un attivita’ diversa e piu’ remunerativa dell’allevamento di polli che aveva avuto qui, in attesa dei visti. Riemergo al presente a fatica ed eccomi nel caos di Calauag. So che dovro’ scendere. Juliet mi attende come d’accordo. Chiedo a Erick di aspettarci e mi avvio con mia moglie verso il centro. Calauag a differenza di Hondagua non e’ per nulla speciale. Sporca e rumorosa e’ una piccola cittadina attraversata da una processione continua di tricycle e jeepney fumanti. Mentre camminiamo lenti nel sole dei tropici, Juliet mi racconta storie che conosco ma che amo riascoltare. Mi parla di Tatay, mio suocero, scomparso due anni fa’. Aveva lavorato come macchinista per la PNR fino alla pensione, cosa rara in questo Paese, che premia solo i dipendenti statali. Comprava merci a Naga, Tatay, nel sud dell’isola grande di Luzon. Uova e verdure che caricava sul suo treno. Quando si trovava a Calauag rallentava e procedeva lentamente fischiando ripetutamente ogni curva. La vecchia locomotiva venduta di seconda mano dal governo giapponese, sbuffava e fischiava tre volte prima di Hondagua. Dalla casa a bondok, sulla collina ai margini della risaia grande, una Juliet ragazzina vedeva e sentiva l’arrivo del padre. Doveva correre a scaricare il treno per poi, con le sorelle, vendere in piazza la merce. Immaginarmi mia moglie ragazzina, ansimante e con le ginocchia sbucciate, scaricare sacchi dalla locomotiva mentre mio suocero, con le mani sporche di grasso, le urlava di tutto al minimo errore, mi ha sempre stretto il cuore. Tatay aveva una famiglia giovane e numerosa. Per integrare le entrate aveva anche tre skates, i primi a motore di tutto il villaggio e questo era il motivo della moderata velocita’ del suo treno in quel tratto. Un tragico giorno mori’ uno dei suoi uomini, ucciso dal treno di un collega distratto. Jordy era il figlio maggiore di Alin Pinin, la vicina di casa. Il treno arrivava da sud in piena velocita’ non visto dal passeggero ubriaco. Cosi’ Jordy riusci ‘ giusto in tempo a gettare fuori dallo skate il cliente salvandogli la vita, ma per lui non vi fu scampo. Furono molti a finire sotto i treni in quegli anni. Tuttavia il sistema di trasporto, ovviamente abusivo, sopravvive tutt’oggi. La regola e’ sempre la stessa, occhi aperti e se vedi un treno in arrivo, uno speciale, perche’ degli altri se ne conoscono gli orari, allora buttati di lato. Di Tatay sopravvive la leggenda che potesse dormire alla guida del treno riuscendo a svegliarsi esattamente prima della stazione di fermata, abitudine che ovviamente abbandonava solo nel tratto Lopez-Calauag e ritorno. Un’altra storia, questa sicuramente vera, che Juliet mi racconta di suo padre e’ di quando, giovane, aveva prestato servizio nella Marina Militare. Per provarne il carattere assieme ad altri fu costretto a gettarsi in mare e a nuotare di notte, in uno dei luoghi dove il mare raggiunge le massime profondita’ al mondo: la fossa delle Filippine. Di quell’esperienza lui raccontava che l’oceano aveva in quel punto un colore strano, rosso. Seppur lui sapesse nuotare davvero bene, aveva provato quella notte in acqua, un senso di angoscia, l’anticamera della paura. Di lui, personalmente serbo il ricordo di quando mi riaccompagno’ a casa dopo una lite con Juliet. Avevo preso la strada che porta allo store di Ate Zeny era notte, avevo bevuto e non ne volevo piu’ saperne di Hondagua, di Juliet, delle Filippine. Avevo poco piu’ di vent’anni. Nel buio una mano si poso’ sulla mia spalla. Di cosa potevo andare in cerca in quelle condizioni e a quell’ora a Hondagua Quezon? Forse di guai. Tatay ascolto’ il racconto del fidanzato straniero della figlia minore. Invece di prendermi a sberle, mi riaccompagno’ a bondok con un braccio sulla spalla. Non ne’ parlammo mai di quella volta. Una lezione di vita che mi commuove a tutt’oggi. Juliet mi indica un edificio grigio e alto. Evitando il riso steso ad essiccare sulla strada, lancio’ un occhiata. -“Quella e’ la mia scuola”- mi dice, e il discorso torna agli skates che la accompagnavano andata e ritorno, con pochi spiccioli in tasca per la merenda. Hondagua vive della propria economia grazie alla fabbrica della Philippines Floor Mills. Grazie ad essa il paese e’ sopravvissuto del suo, isolato dagli altri villaggi, ma collegato al mondo dal mare che portava alla fabbrica navi da ogni nazione e marinai con dollari da spendere nel mercato, alla discoteca del porto o presso le immancabili prostitute. Ora che la Floor Mills sta’ passando un periodo di crisi, le navi giungono sempre piu’ di rado, la discoteca non c’e’ piu’ e neppure le prostitute, andate in cerca di nuovi porti. Ma il paese vive ancora, per inerzia, sospinto dall’economia fiorente del recente passato. Vi sono 3 scuole e solo per le superiori gli alunni devono spostarsi a Lopez o Calauag. Sbrigati alcuni documenti in comune torniamo da Erick che ci attende con la cicca in bocca al gusto di menta. Scopro che molti anni fa’ lui stesso fu uno degli uomini di Tatay. Lo skate con i suoi 30 all’ora offre refrigerio anche al nostro piccolo passeggero, un ragazzino che viene in divisa di scuola. Si ferma a meta’ strada, proprio dove ci aspetta il rifornimento, una serie di bottiglie di Coca con dentro miscela per i motor. Anna che possiede lo store a fianco e il distributore, arriva sorridente ad incassare. Il ragazzino saluta e lancia un peso a Erick. Noi si ride per la cifra irrisoria, 1/70 di euro; queste sono le tariffe non scritte. Intanto un carabao con lunghe corna, grigio di fango e immerso in una pozza come un ippopotamo, ci rivolge uno stanco sguardo vuoto. Mentre si riparte, il mio pensiero torna per l’ennesima volta in questi giorni alla nuova ferrovia, moderna e funzionale, che a seguito dei recenti interessi stranieri, si sta’ realizzando. La profonda ristrutturazione non ridurra’ certo i costi del biglietto. Sara’ dura per la PNR riprendersi i passeggeri che hanno preferito nel tempo i piu’ rapidi e puntuali servizi d’autobus, cosi’ non mi resta che domandarmi cosa diavolo ne’ guadagnera’ la gente di qui. Ovvio che i Paesi in via di sviluppo hanno bisogno di infrastrutture che alla lunga daranno un ritorno, ma questa e’ la riproposizione del sistema economico dello scricchiolante occidente. Siamo certi che funzioni per tutto il mondo? Avrai un treno superveloce, avrai autostrade che ti ridurranno i tempi di percorrenza e grandi porti e aereoporti per girare il mondo o esportare le tue merci. Probabile che il contadino di Hondagua con i calli alle mani, tra i sorrisi d’imbarazzo si dica pronto agli ammodernamenti. Qualcuno sarebbe disposto a spiegargli anche il prezzo da pagare? Noi con i nostri ritmi di vita ne sappiamo qualcosa, noi che vorremmo fuggire da quello che ancora chiamano “benessere”.

Non si puo’ fermare il progresso, che portera’ linfa vitale in molti centri agonizzanti… Ma per Hondagua, per il suo microclima umano e sociale, per la sua indipendenza economica, per il suo status di quasi isolamento che l’ha salvata in questi anni dal galoppante materialismo, sara’ la fine. E’ gia’ iniziata la ristrutturazione, con fondi di vari Paesi. Sopratutto i cinesi hanno una grossa somma da investire nel programma, in cambio di uno scalo merci e un porto internazionale a Infanta, piu’ chissa’ quali altri compromessi. Il nuovo progetto prevede di abbattere tutte le costruzioni a meno di 50 metri dalla linea ferroviaria, da Manila a Naga in direzione sud e nella nuova tratta, quella dismessa per mancanza di fondi negli anni ’80, gia’ in fase di ricostruzione verso il nord Luzon, con fondi coreani. Cosi’ Anna e il suo store che si allontanano alle mie spalle, la casa del ragazzino, tutte le palaffitte e casupole che scorgo dai binari, ognuna con il suo piccolo skate privato fuori dall’ingresso, dovranno andarsene. Cosi’ come meta’ Hondagua, quella abusiva dei senza terra, dovra’ essere rilocata in altra posizione, snaturandola. Andra’ persa la piazza del paese, che verra’ di certo ricostruita nuova, piu’ bella, ma senza storia e senza memoria. Centinaia di migliaia di persone dovranno abbandonare casa. A nord di Manila, dove abito, gia’ molti lo hanno fatto, forzatamente. Succedera’ anche qui a breve. La gente delle Filippine e’ abituata alle difficolta’. L’ennesima tempesta ha spazzato via un paese nel sud, pochi giorni fa’. L’uomo intervistato, che aveva perso figli e moglie ammetteva rassegnato, ai microfoni della tv nazionale:-” La natura e’ cosi’, non possiamo farci niente..”- anche se qualche responsabilita’ cercando, si sarebbe trovata. Sanno accettare situazioni inaccettabili, ecco perche’ sloggeranno all’arrivo delle ruspe e della polizia, senza protestare.

Facile far tacere i senza terra che non hanno voce. I terreni della famiglia di Juliet, a bondok, in Far Est street, verranno acquistati dal governo per rilocare una minima parte delle famiglie del posto, che al prezzo di 20 centesimi di euro al giorno, tra 30 anni avranno la loro prima proprieta’. Se ne andra’ per sempre il panificio di Odong e il negozietto di alimentari che tra le mille verdure, vende anche la marijuana in sacchetti. Addio ai tornei di basket e alle magiche notti della festa del patrono dove la folla assiepata guarda i vecchi balli di spagnola memoria. Si separa brevemente talvolta, per il giungere del vecchio sbuffante amico treno che si appresta alla sosta in stazione, per poi ricomporsi nuovamente gioiosa a seguito dell’ultimo vagone. Anche Erick e i molti colleghi dovranno trovare un altra attivita’, e un altra casa. Dietro l’abitazione di Juliet, abbandonata e ormai devastata dai tifoni vi e’ una sorgente naturale dove giungono in molti, da sempre, per una doccia o per lavare i panni. Taluni raccolgono l’acqua nei secchi per trasportarla a spalla fino a casa per uso alimentare. Prima di avvicinarsi, ognuno pronuncia la formula “Tabi-tabi Po”, la richiesta di permesso agli spiriti dell’acqua. Anche la sorgente morira’ tra le tubature di acque nere delle nuove abitazioni che li’ dovranno sorgere. Chi spieghera’ ai senz’acqua che la nuova ferrovia e’ una priorita’ rispetto alla loro sete? Per gli altri non ci sara’ piu’ necessita’ di dire alcun “tabi Po”, bastera’ girare il rubinetto e pagare la bolletta. Gli spiriti dell’acqua assieme agli elfi della collina, miei compagni nelle vuote giornate afose di vent’anni fa’, dovranno cercare di trattenere la collera e trovare un nuovo posto dove ricevere nuovamente il meritato rispetto.

Fuori dalla finestra di casa mia a Malolos vedo brillare nel cielo la grande M del noto fast food. Proprio come nel cielo della mia citta’ in Italia. Mi chiedo quanti siano i luoghi incontaminati dall’appiattimento di questa globalizzazione economica e culturale, che ci vorrebbe tutti uguali, fuori e dentro. Certamente pochi. Quando anche l’ultimo prezioso paesino del mondo verra’ ingurgitato dal grande circo, forse non ci sara’ piu’ il gusto di viaggiare, perche’ tutto sara’ simile, uniforme. Anche a Hondagua un giorno non lontano ci sara’ una grande M nel cielo. E del paese al km.248 con la sua gente, di quel piccolo gioiello e della sua anima, ne restera’ solo la favola. Pablo68



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