Jimba nel cuore
Temple Point è stato proprio come mi aspettavo: tipiche case a due piani con tetto in makuti, immerso in una bellissima vegetazione, lambito dal Mida Creek, peccato l’erba del giardino un poco gialla. Se è vero che non lo bagnano per risparmiare l’acqua, vista la siccità che ha colpito il Paese allora complimenti per la sensibilità. Speriamo che sia così. Ottima struttura, ottima animazione (discreta), meraviglioso interprete ambientale, Stefano, che sa rendere unica anche l’esibizione più che turistica del vecchio dell’isola in mezzo al Creek. Kiribiti, patron del villaggio gryama, con undici mogli che si esibiscono in una danza per noi al solo scopo di spillarci qualche scellino alla fine dell’esibizione. Ma come non commuoversi alla vista dei bambini che ti accompagnano fino alla barca silenziosi, camminando di fianco a noi, senza chiedere nulla. Uno, avrà avuto quattro anni, camminava isolato nella sua casacca azzurra della divisa scolastica, con la testa alta e lo sguardo dritto avanti, quasi a cercare qualcosa al di là della spiaggetta dell’isola dove ogni giorno arrivano le barche dei turisti come noi. Così dignitoso. Ecco cosa mi ha colpito: la dignità della povertà.
La seconda settimana ci hanno raggiunte mio marito e mia figlia Alice. Ci siamo trasferiti a Watamu in casa di Elena, proprietaria di Chiky Villa. E’ una bella casa con piscina nella zona residenziale degli Italiani a Watamu, vicinissima ai negozi ed anche alla bellissima spiaggia del paese, quella più grande per intenderci. Devo qui spendere due parole sull’accoglienza di questa casa e di Elena, anche perché ho letto commenti sul sito che non le rendono giustizia. Noi abbiamo pagato un prezzo più che ragionevole per un intero appartamento di due stanze da letto (belle), due bagni, sala, salotto, cucina e terrazzo. Ma in pratica tutto è a disposizione degli ospiti: la piscina, la doccia esterna, il giardino solarium. Elena ed il suo compagno sono stati propositivi ma discreti, anzi, nello spirito keniota “hakuna matata”, hanno cercato di renderci le cose il più semplice possibile. Ci siamo trovati benissimo e ci torneremo.
Il safari l’abbiamo fatto con l’agenzia per cui lavora il compagno di Elena. Sveglia alle 5,00, partenza per lo Tsavo Est in compagnia di Giovanni e Simba, le nostre guide, oltre a noi e la stessa Elena. Il tempo, quello meteorologico, non è stato molto bello, ma almeno non abbiamo sofferto il caldo. Gli animali: dei “big five” ne abbiamo visto quattro. Tanti elefanti, bufali, leoni, ghepardo, non il rinoceronte che vive in un’area protetta più a nord ed è presente in pochissimi esemplari. E poi tante giraffe, gazzelle, impala, manguste, struzzi, facoceri, uccelli. Ma quello che mi rimarrà sempre impresso nell’anima è il paesaggio, la terra rossa che sembra dipinta, il tramonto sullo stagno del lodge (eravamo al Voi Wildelife lodge) dove venivano a dissetarsi gli animali.
A proposito del lodge: bellissimo, come la posizione, ma ho avuto la sfortuna di capitare in una stanza in cui forse la zanzariera sopra la porta era bucata. Risultato: il mattino dopo, alle sei, mi sono ritrovata a fare un safari personale nella stanza a suon di ciabatte per tutti gli animaletti che erano entrati nella notte. Perlomeno non ho dovuto faticare a svegliare le figlie che dormivano nella stanza di fianco! Ma questa è Africa, quella vera, come quella che descrivono gli autisti dei pulmini dei safari quando tutti, ma proprio tutti, ti dicono che faranno un’eccezione al loro tragitto tradizionale ed invece di fare ritorno per la strada asfaltata, ma piena di buche, che porta da Nairobi a Mombasa, ti fanno fare una stradina in terra battuta, sempre rossa, più comoda, che passa per i paesini nella foresta. Qui il paesaggio è davvero quello che ti immagini quando pensi all’Africa: palme, jacaranda, flamboyant, capanne di fango e makuti, e tanti, tanti bambini che rincorrono il pulmino chiedendo le caramelle. Noi non le avevamo portate, seguendo il consiglio di chi ci aveva preceduto, ed un po’ mi è dispiaciuto, ma credo che sia giusto così.
I “beach boys”: ho scoperto che non amano essere definiti così, per favore non chiamateli così perché potreste offenderli. Anche io ne ho conosciuti parecchi sulla spiaggia, ma molti si avvicinano per il solo piacere di parlare con te e sentirti dire che il Kenya è un Paese meraviglioso e che ti trovi bene, e loro sono invece ansiosi di farti sapere che conoscono molte cose dell’Italia: il calcio, la Ferrari, Maria De Filippi, Berlusconi. Proprio così in questo ordine. Un’ultima cosa che mi ha fatto notare Michael, il ragazzo locale che faceva parte dell’animazione del Ventaclub (a proposito, è bellissimo, vale la pena di andare solo per guardare i suoi occhi, due gocce di smeraldo). Quando si parla della gente del Kenya noi la definiamo “keniota”. E’ sbagliato. Il termine keniota si usa per gli oggetti, mentre quando ci si riferisce ad una persona allora si usa “keniano”. Capito la differenza? Ho tenuto per ultimo l’argomento bambini e scuola, che per me e la “Jimba Gede Primary School”. Credo che sia stato il mio primo motore ed il fine ultimo del mio viaggio in Kenya. A sostegno di questa scuola avevo dato il mio modestissimo contributo promuovendo una raccolta fondi nell’azienda per cui lavoro, per un progetto promosso da Pangea attraverso Elena. Si trattava di costruire nuove aule e dei bagni per questa scuola immersa nella foresta, frequentata da 1100 bambini che provengono dai villaggi in un raggio di 5 Km, tutti rigorosamente a piedi. Il progetto è stato completato ed ho potuto vedere con i miei occhi la gratitudine del corpo insegnante e dei bambini mentre visitavamo la struttura. L’emozione è stata fortissima quando mi sono avvicinata ad uno di loro per farmi mostrare il suo quaderno e tutti gli altri mi si sono fatti intorno orgogliosi di mostrarmi i loro lavori. Avrei voluto poter fare di più, vorrei poter fare di più. Ci penserò e mi muoverò.
Capitolo vaccinazioni: le ho fatte quasi tutte, non era necessario. La profilassi antimalarica è fortemente consigliata nel periodo delle grandi piogge, aprile-giugno. In questo periodo di febbraio- marzo ne ho vista qualcuna, ma sempre meno che a Milano nel mese di luglio ed agosto. Certo le zanzare domestiche non portano la malaria, ma alla fine credo che se dovessi ripartire non la rifarei.
Teresa