Da Città del Messico al Chiapas a Playa del Carmen

Siamo Giacomo e Consuelo e per il nostro viaggio di nozze abbiamo scelto il Messico, unico modo per visitare questo splendido paese per noi che siamo a corto di soldi. Dal momento che non sopportiamo i villaggi turistici e i tour organizzati l’idea è stata quella di fare come sempre un viaggio fai da te, costruendo l’itinerario selezionando...
Scritto da: dieyoung
da città del messico al chiapas a playa del carmen
Partenza il: 07/06/2005
Ritorno il: 20/06/2005
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
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Siamo Giacomo e Consuelo e per il nostro viaggio di nozze abbiamo scelto il Messico, unico modo per visitare questo splendido paese per noi che siamo a corto di soldi. Dal momento che non sopportiamo i villaggi turistici e i tour organizzati l’idea è stata quella di fare come sempre un viaggio fai da te, costruendo l’itinerario selezionando tra i tanti luoghi che avremmo voluto vedere e prenotando dall’Italia i voli e gli alberghi, mentre per gli spostamenti via terrà ci organizzeremo in loco. Abbiamo notato che, contrariamente a quanto si crede e, ovviamente, se si ha un’idea più o meno precisa dell’itinerario, spesso è più economico fare così piuttosto che cercare alberghi una volta arrivati destinazione, che oltretutto è molto più stressante.

Il piano prevede l’arrivo nel Districto Federal, per poi scendere verso gli stati del Chiapas e dello Yucatàn e chiudere in relax nel mare del Quintana Roo, a Playa del Carmen. Per l’organizzazione del viaggio ci siamo avvalsi delle guide Lonely Planet e Routard, di Internet e dei preziosi consigli trovati su questo sito ed è per questo che abbiamo deciso di pubblicare il nostro racconto di viaggio, sperando che possa essere utile a qualcuno che voglia cimentarsi in quella fantastica esperienza che è un viaggio in Messico! I timori prima di partire erano diversi: il nostro primo viaggio intercontinentale, le notizie che spesso si leggono sui possibili rischi che si incontrano in certi luoghi e il fatto che giugno fosse indicato come periodo non proprio ottimale a causa delle quotidiane forti precipitazioni. Beh, niente di tutto questo, il sole ci ha assistito per tutto il viaggio (tranne una sera, ma fortunatamente eravamo di ritorno da un’escursione) e adottando le stesse precauzioni e gli stessi comportamenti di qualsiasi città europea i rischi sono gli stessi.

GIORNO 1 partenza: da Cagliari a Città del Messico Comincia l’avventura, sveglia presto in quanto ci attende il taxi per l’aeroporto, il volo parte da Cagliari alle 6.30 e faremo scalo a Roma e a New York, dove poi ci pentiremo di non esserci fermati qualche giorno. I voli vanno abbastanza bene e sono abbastanza puntuali, ma la stanchezza è troppa e a malapena riesco a mantenere un minimo di lucidità per compilare i moduli doganali e la richiesta di visto turistico (Consuelo neppure si cimenta a causa del suo inglese inesistente). Fortunatamente le formalità all’immigrazione sono veloci e il ritiro dei bagagli pure, così siamo pronti ad affrontare il primo spauracchio di Città del Messico, il famigerato semaforo al controllo bagagli: premi un tasto e se viene fuori il verde passi senza problemi, mentre se è rosso ti aprono tutte le valigie e ovviamente dopo tutte quelle ore di viaggio, il jet lag e la stanchezza accumulata, speri proprio di non doverlo fare. La sorte ci è amica e viene fuori il verde! Essendo sposati conviene compilare un unico modulo doganale in modo da premere il pulsante una sola volta per entrambi. All’uscita dall’aeroporto, in stato comatoso cerchiamo l’autista prenotato per condurci in albergo, unica azzeccata concessione di comodità che ci siamo fatti vista la tarda ora di arrivo a Città del Messico e le nostre penose condizioni; cominciamo ad innervosirci perché non lo vediamo, ma fortunatamente ci trova lui e gentilissimo ci accompagna in albergo dove arriviamo finalmente alle 22:30 locali, le 5:30 italiane, siamo svegli da 25 ore, di cui 23 di viaggio!!! Stravolti ci mettiamo a letto, sofferenti oltre che per la stanchezza anche per l’effetto altitudine (Città del Messico è oltre i 2000 metri sopra il livello del mare) e per il jet lag. GIORNO 2: Città del Messico Al risveglio siamo ancora un po’ stralunati e con un forte mal di testa, ma dopo la doccia siamo miracolosamente in forma e pronti per la nostra unica giornata nel Districto Federal. La colazione ci regala una prima sorpresa, il cappuccino con la cannella, non male e dopo una veloce telefonata a casa per dire che siamo arrivati e stiamo bene, usciamo alla scoperta di questa megalopoli. Visto il poco tempo a nostra disposizione decidiamo di evitare le escursioni alle piramidi del sole e della luna e di girare per quanto possibile per la città con mezzi pubblici e a piedi, in modo di viverla e conoscerla meglio. Entriamo nel nostro primo market messicano, prendiamo un po’ d’acqua e una cartina (sarebbe meglio dire cartona) di Città del Messico e ci dirigiamo verso la metropolitana. Durante la giornata visitiamo Paseo de la Reforma, Plaça de la Revolucion, lo Zòcalo, la Cattedrale, i mercatini di Moneda e Rebublica de Guatemala e il Templo Mayor. Tutto molto bello, unica precauzione stare attenti alle tasche dello zaino, la calca favorisce l’azione dei ladri e a me le hanno aperte 3 volte, ma fortunatamente non avevo lasciato niente. Inoltre, abbiamo scoperto che, per orientarsi, non bisogna fare affidamento sui monumenti a Cristobal Colon (Cristoforo Colombo), ci sono diverse piazzole con lo stesso monumento e si finisce per confondersi. Dal momento che adoriamo la cucina messicana (come un po’ tutte quelle etniche) eravamo molto ansiosi di provare il primo pranzo e abbiamo optato per un ristorantino self service nei pressi dello Zòcalo, il Mexico Viejo, economico e molto buono. Unico cruccio, non aver potuto provare il cibo offerto dai numerosi chioschi, nonostante fossimo fortemente tentati, per ovvi problemi di igiene e salute, insomma meglio evitare la vendetta di Montezuma. La sera decidiamo di cenare in albergo con un panino dato che l’indomani la sveglia sarà alle 4:30.

GIORNO 3 eccoci in Chiapas: dal D.F. A San Cristobal de Las Casas Ci precipitiamo in aeroporto, destinazione Tuxtla Gutierrez, il programma prevede di prendere all’arrivo un bus per San Cristobal de Las Casas, lasciare i bagagli in albergo e organizzarci per andare al Canyon del Sumydero; però, arrivati all’aeroporto di Tuxtla, notiamo una coppia di ragazzi italiani che sta contrattando un passaggio per il Canyon e allora cambiamo i nostri piani e ci uniamo a loro, così dividiamo le spese. Contrattiamo con il tassista e per 225 pesos a testa (poco più di 17 euro, un affare) ci accompagnerà al Canyon, attenderà che ultimiamo l’escursione, ci accompagnerà per il pranzo a Chiapa de Corzo e poi a San Cristobal de Las Casas. L’escursione al Canyon del Sumydero a bordo di una lancia (90 pesos a testa, un’ora e mezzo circa) che percorre il Rio Grijalve è un’esperienza che va fatta assolutamente: una natura fantastica, paesaggi mozzafiato con la compagnia di avvoltoi, coccodrilli e altri animali. Il pranzo a Chiapa de Corzo è ottimo (ristorante Jardines de Chiapa, segnalato dalla Lonely) e il paese molto pittoresco. Nel tardo pomeriggio arriviamo a San Cristobal de Las Casas e, lasciati i bagagli nella nostra bella posada, ci immergiamo subito nella realtà di questa bella cittadina. Relativamente agli alberghi, posade e quant’altro, va detto che nel Chiapas c’è un concetto particolare di pulizia, per cui non c’è da aspettarsi gli standard qualitativi europei. Noi per fortuna non siamo schizzinosi e lo spirito di adattamento non ci manca. Una volta in giro, come prima cosa ci rechiamo al più vicino ufficio turistico per raccogliere informazioni e poi ci dedichiamo all’esplorazione della città, che è molto turistica e lo si nota; la piazza principale offre musica e uno stuolo di indios, per lo più ragazzine con le loro madri, che offrono ai turisti i loro prodotti artigianali: coperte, cinture, ecc.. Per la cena optiamo per un ristorante consigliato dalla Lonely, il Tuluc in Insurgentes 5, ottimo anche se un po’ europeizzato come gusti, sarà il nostro ristorante di riferimento per i giorni trascorsi a San Cristobal.

GIORNO 4: San Cristobal de Las Casas La sveglia mattutina sarà una costante della nostra esperienza messicana e dopo un’abbondante colazione siamo in giro per cercare una guida che ci porti nei villaggi indigeni nei dintorni di San Cristobal. Ci rechiamo nella piazza e come anticipato dalla Lonely ecco Mercedes col suo ombrellino colorato che ci offre i suoi servigi, ma non mi ispira molto e così attendiamo ancora un po’ fino a che incontriamo Alex e Raùl con i quali decidiamo di visitare San Juan Chamula e Zinacantàn. Il simpatico Raùl si rivelerà un’ottima guida e la compagnia è discreta: oltre a me e Consuelo ci sono i due ragazzi italiani con cui avevamo condiviso l’escursione al Canyon il giorno prima, una coppia di spagnoli, due simpatiche messicane e più tardi si aggregheranno altri due ragazzi italiani. San Juan Chamula è un villaggio particolare e i chamulani pure. I contrasti sono evidenti, uno su tutti una famiglia che vive in una villa con 5 auto nuove fiammanti eppure vedi i membri della stessa scalzi con addosso pelli di animali. Comunque si respira una diffusa povertà che non è però da compatire ci dicono, è il loro stile di vita e vivono così da sempre. I chamulani si amministrano secondo loro regole, hanno una loro religione che abbraccia il cattolicesimo solo per la presenza di un sacramento, il battesimo e sono perennemente in festa, nel senso che l’anno viene scandito da diverse feste religiose i cui preparativi, coordinati dalla majordomia, durano in pratica tutto l’anno. La chiesa di San Juan Chamula è poi quanto di più unico si può dire di aver visto: aghi di pino sul pavimento, statue adornate di specchi, carillon che suonano musiche natalizie in continuazione, nessuna croce, nessun altare, curanderos che effettuano i loro riti uccidendo galline, strofinando uova sulle persone da curare, bevendo coca cola e ruttando per cacciare gli spiriti maligni; il tutto tra gente che dorme, che piange, che prega. Dopo aver visitato l’abitazione di una Majordoma e assistito ai riti di preparazione di una festa (credo S. Antonio da Padova) ci rechiamo a Zinacantàn, altro villaggio indigeno ma dalle caratteristiche opposte a S. Juan Chamula. Tanto i chamulani sono chiusi ai rapporti con il mondo esterno quanto all’opposto i zinacantechi (si dice così?) sono aperti. La loro religione è simile alla nostra anche se occorre tener presente che comunque l’influsso della cultura Maya è ancora notevole, per cui quando pregano un santo cattolico in realtà stanno inconsciamente pensando a una loro divinità antica. Dal punto di vista politico, contrariamente a quanto possa sembrare, sono due comunità che mi è sembrato di capire schierate, in cambio di favori e concessioni, col Partido Revolucionario Institucional che ha governato il Messico per tantissimi anni (come la nostra vecchia DC) e quindi contro i desideri rivoluzionari propri dei Zapatisti e di numerose altre comunità indigene. La tappa a Zinacantàn si chiude con la visita nella casa di una famiglia del luogo dove la padrona di casa ci offre alcuni assaggi di prodotti tipici, tra cui una tortilla con farina di zucca, una grappa e alcune formiche arrosto; tutto molto buono…E sì… anche le formiche non erano malvagie!!! Sempre dalla signora facciamo acquisti di tappeti e poncho da lei prodotti con un vecchio telaio. Rientriamo a San Cristobal de Las Casas stanchi ma appagati e facciamo un giretto in città, non prima di aver però fatto tappa in qualche agenzia turistica per organizzare le escursioni per i prossimi giorni e, dopo un rapido confronto tra i prezzi e una verifica che le tappe siano di nostro interesse, prenotare il posto nei relativi collectivos; infine, tappa alla biglietteria ADO per acquistare i biglietti per i previsti spostamenti in bus.

GIORNO 5: San Cristobal de Las Casas Il programma odierno prevede la visita di alcuni luoghi di interesse naturalistico che raggiungeremo con un collectivo. La partenza è come sempre mattutina e la prima curiosità è quella di vedere chi saranno i nostri compagni di viaggio. Purtroppo stavolta sembra che ci sia andata male, infatti i nostri colleghi di escursione dire che sono antipatici è far loro un complimento. Si tratta di una combriccola di ragazzi islandesi particolarmente rumorosi e danarosi, una ragazza statunitense e un ragazzo giapponese che cercherà di rimorchiare l’americana purtroppo per lui senza successo. La prima tappa sono le grotte di San Cristobal, niente di particolare, tanto che le ricordo con piacere solo perché al di fuori c’erano delle bancarelle in cui ho comprato un portamonete non ingombrante che in Italia non riuscivo a trovare. La seconda tappa prevede la visita delle cascate Chiflon e qui il discorso cambia: sono davvero belle. Si tratta di alcune cascate disposte su un’altura che si incontrano seguendo un percorso alquanto faticoso e vi si incontrano anche delle famiglie che vanno a fare il bagno e a fare un picnic in zone appositamente attrezzate. Finita la visita alle cascate è la volta di un lungo trasferimento verso i Lagos di Montebello, spettacolari soprattutto per i colori che vanno dal viola, al turchese, all’azzurro. Per la prima volta però non vedo l’ora di rientrare in albergo, soprattutto per liberarci della fastidiosa compagnia che, forse anche a causa della stanchezza, è sempre più indisponente.

GIORNO 6: da San Cristobal de Las Casas a Palenque Oggi lasciamo il nostro albergo e a malincuore la bellissima San Cristobal, infatti ci spostiamo a Palenque e per farlo utilizziamo un collectivo che ci porterà a destinazione non prima di averci fatto fare tappa ad Agua Azul, a Misol Ha e alle rovine Maya di Palenque. La giornata è quindi piena e si rivelerà anche la più faticosa, soprattutto perché passeremo dalla temperatura mite tipica dell’altitudine di San Cristobal al vero e proprio forno di Palenque: 40 gradi all’ombra col 100% di umidità. A ciò si aggiunge anche la strada, un susseguirsi di curve di montagna costellate dai famigerati dossi (topes) che faranno star male più di una persona tra cui me che non soffro l’auto: dovrò ringraziare un benefattore spagnolo che mi darà una pasticca per il mal di viaggio che mi causerà un’opportuna sonnolenza. I compagni di viaggio sono una coppia di spagnoli, una coppia di austriaci che ritroveremo in spiaggia a Playa del Carmen, un ragazzo statunitense, uno messicano e uno tedesco che ritroveremo anche lui correre in spiaggia a Playa. Dopo diverse ore di viaggio arriviamo ad Agua Azul, le cui cascate sono splendide e le cui acque fortunatamente per noi riusciamo a vedere nel loro colore turchese, dico fortunatamente perché da agosto in poi si intorpidiscono a causa dei sedimenti portati dalle piogge. Riesco anche a farmi una bella nuotata, al contrario di Consuelo che non se la sente. Misol Ha è una cascata alta una trentina di metri che finisce su uno specchio d’acqua circondato da una lussureggiante vegetazione tropicale; è possibile anche passare sotto la cascata e molti hanno fatto il bagno andando fin sotto il getto dell’acqua. Il sito Maya di Palenque è molto vasto trattandosi di una antica città Maya immersa nella giungla. Alcuni nostri compagni di escursione hanno preferito non entrare e aspettare il mattino dopo per vederla, più riposati e al fresco e devo dire che potendolo lo avremmo fatto pure noi. Infatti il caldo opprimente e la stanchezza non ci hanno permesso di muoverci molto all’esplorazione del sito archeologico e soprattutto Consuelo si è sentita male a causa del caldo e quindi abbiamo cercato quanto prima un luogo ombreggiato per riposarci un po’. Da quel poco che abbiamo visto e soprattutto dai racconti di chi l’ha vista per intero è comunque un luogo magico, in particolare per l’atmosfera, circondato dalla foresta tropicale e col sottofondo delle scimmie urlatrici. Arrivati a Palenque città salutiamo i nostri compagni di viaggio e scendiamo al nostro albergo, un po’ periferico per cui una volta lasciati i bagagli, fatta una doccia ristoratrice e riposati un po’, prendiamo un taxi per il centro (i taxi sono super convenienti). Palenque è un inferno, il calore e l’umidità non lasciano tregua e ci ritroviamo grondanti di sudore in continuazione. Come se non bastasse, un inconveniente contribuisce ad aumentare il disagio. Il programma originale prevedeva per il giorno successivo una visita della cittadina e poi in serata la partenza in bus verso Merida, avremmo trascorso la notte in bus. Constatato però che Palenque città ad una prima occhiata è davvero bruttina, che è impossibile trascorrere una giornata in giro con quel caldo e ricordandoci di ciò che ci avevano raccontato i due ragazzi conosciuti a Tuxtla sull’esperienza vissuta in un bus notturno dalla sorella di uno di loro (posto di blocco della polizia con richiesta di soldi per proseguire), decidiamo di pernottare anche il giorno successivo a Palenque e ci rechiamo in un’agenzia per vedere quanto ci costerebbe l’escursione a Bonampak e Yaxchilan. Troviamo un’offerta interessante e paghiamo. Successivamente ci rechiamo in uno sportello bancomat per prelevare del contante e qui ecco una sgradita sorpresa. Lo sportello infame si mangia la tessera bancomat di Consuelo e, dal momento che la banca è chiusa, incazzati (io) e disperati (Consuelo) torniamo all’agenzia per vedere se è ancora possibile rinunciare all’escursione e riavere i soldi in attesa che il giorno dopo riapra la banca. Ci dicono che devono sentire i capi e nel frattempo torniamo in albergo dove prendo la mia tessera bancomat che chissà perché non mi accetta mai nessuno in Italia (evito di pubblicizzare il nome della banca), figuriamoci all’estero dico, e mentre comincio a pensare a come fare a trascorrere tutto il resto del viaggio coi pochi soldi a nostra disposizione, succede invece miracolo, il tanto bistrattato (da Consuelo) bancomat funziona!!! Torniamo quindi in agenzia per confermare l’escursione e apprendiamo con piacere che ci avrebbero restituito i soldi in caso di rinuncia. Ormai avvolti in un bagno di sudore cerchiamo di contattare il numero indicato per bloccare il bancomat perso ma niente, non ci riusciamo, quindi andiamo a cenare in un localino carino (anche qui si suda dannatamente) e dopo cena riproviamo a chiamare. Niente neanche stavolta, decidiamo quindi, dato il fuso orario, di svegliarci prima l’indomani e chiamare in Italia per far bloccare il bancomat dal padre di Consuelo. Andiamo quindi a goderci il meritato, mai come stavolta, riposo.

GIORNO 7: Palenque Fortunatamente la città di Palenque è bruttina, altrimenti avremmo probabilmente rinunciato all’escursione presso i siti Maya di Bonampak e Yaxchilan, che si sono rivelati invece decisamente belli. Il collectivo prenotato viene a prenderci molto presto e successivamente passa a prendere un gruppo di ragazzi francesi diretti a Tikal, in Guatemala. Dopo un paio d’ore di viaggio e dopo aver dato un passaggio a degli insegnanti autostoppisti che si recavano al lavoro, ci fermiamo a un bar sulla strada per una veloce colazione. Prima di ripartire cambiamo collectivo, aggregandoci ai nostri compagni di escursione che per l’occasione sono una famiglia statunitense, un ragazzo svizzero figlio di italiani e la fidanzata peruviana, mentre i ragazzi francesi proseguono per il Guatemala. Il viaggio è scandito dalla presenza continua di villaggi indios che si susseguono uno all’altro sui bordi della strada costellata da topes. Presumo si tratti di indios pro-zapatisti: condizioni di vita al limite, catapecchie sparse per la foresta, in cui basta un’alluvione particolarmente intensa per provocare decine di vittime. Tornando al viaggio, una delle caratteristiche meno simpatiche di Bonampak e Yaxchilan è sicuramente l’insopportabile afa e gli insetti che ci tormentano in continuazione, nonostante l’autan, perché attratti dal sudore. I siti sono molto belli, immersi nella selva lacandona hanno un’atmosfera molto suggestiva, amplificata dal fatto che eravamo in pochi data la bassa stagione; presumo che in alta stagione si perda molto dell’atmosfera. Il sito più bello, soprattutto per l’estensione e per la sua inacessibilità via terra è senz’altro quello di Yaxchilan. Ci si arriva infatti via fiume, percorrendo il Rio Usumacinta a bordo di una lancia e con un po’ di fortuna è possibile avvistare qualche coccodrillo e qualche iguana. È raccomandabile portarsi il passaporto, a causa della presenza dell’esercito che, essendo al confine con il Guatemala, fa servizio di polizia di frontiera. Abbondano infatti coloro che cercano di attraversare clandestinamente la frontiera e ne abbiamo visti pure noi. Comunqe i passaporti li avevamo lasciati in albergo su suggerimento dell’agenzia, fortunatamente avevamo con noi la carta d’identità e dopo un po’ di storie ci hanno permesso di proseguire. Durante il tragitto in lancia, dopo una battuta del capofamiglia statunitense sul fatto che non sembravamo italiani poiché non parlavamo in continuazione, abbiamo avuto conferma di quanto sospettavamo da tempo, cioè del fatto che spesso gli italiani non sono ben visti dagli altri turisti. Parlando con il ragazzo italo-svizzero ci ha confermato che molte volte gli italiani si fanno una cattiva fama in quanto non rispettosi delle regole e degli altri. Un esempio su tutti: durante le escursioni in collectivos, una volta arrivati nel luogo da visitare, si è liberi di andare dove si vuole e ci si dà appuntamento per ripartire a una certa ora: puntualmente gran parte degli italiani arriva dopo 1, 2 o addirittura 3 ore(!!!), lasciando gli altri ad aspettare. Facile a questo punto capire perchè gli autisti si raccomandassero soprattutto con noi la puntualità. Dispiace sia così, soprattutto perché noi, come credo la maggior parte dei turisti italiani, non siamo così, ma spesso il comportamento scorretto di alcuni contribuisce ad alimentare i luoghi comuni su un popolo. Esaurita la visita a Yaxchilan, una volta pranzato con un tipico pranzo del luogo, è cominciata quella che è stata una vera e propria odissea: il viaggio di ritorno verso Palenque. Il resto della compagnia si dirige in direzione opposta alla nostra e ci ritroviamo quindi in viaggio col nostro autista e un suo amico, entrambi un po’ brilli, che passano buona parte del viaggio a scaccolarsi e passarsi il “risultato” tra i capelli e sui jeans, ma non è questo che ci preoccupa. Durante il viaggio si scatena un temporale mai visto, la visibilità è pressoché nulla, ma il nostro autista corre come un pazzo e dopo un po’ cominciamo ad agitarci, anche perché il rottame su cui viaggiamo non ispira molta sicurezza, così come la guida del nostro amico che, oltre ad essere un emulo di Ayrton Senna, continua a distrarsi parlando e gesticolando con l’amico, togliendo entrambe le mani dal volante e senza mai diminuire la velocità. Ma soprattutto in tre frangenti la situazione è apparsa surreale. Come prima cosa, d’improvviso ci ritroviamo con un albero caduto in mezzo alla strada, al che il nostro inchioda l’auto, prende un machete da sotto il sedile e si dirige ad affettare l’albero per levarlo dalla strada. Io e Consuelo continuiamo a guardarci abbastanza preoccupati perché la guida del nostro amico è sempre più spericolata, la visibilità sempre più ridotta, la pioggia sempre più forte e fitta e la strada è un acquitrino, finché sbuca dal ciglio della strada una tartaruga gigante che l’autista vede all’ultimo momento e evita con una sterzata improvvisa, fortunatamente senza frenare altrimenti l’acqua planning ci avrebbe fatto uscire fuori strada. Il pazzo comincia a ridere mimando la tartaruga e urlando “Tortugaaaa”. Ormai non vediamo l’ora di arrivare, si spera sani e salvi, ma siamo veramente preoccupati di non farcela. Ma il momento peggiore deve ancora arrivare e si presenta quando dopo un dosso finiamo a tutta velocità su una pozza d’acqua, provocando un’onda che ci piomba addosso alla macchina che si inchioda all’improvviso. Ripartiamo e l’autista trascorre quasi tutto il resto del viaggio prendendo in giro l’amico che si è spaventato, distraendosi sempre di più, togliendo le mai dal volante per imitare l’amico e continuando ad accelerare. Ora è buio e a questo punto la visibilità è sempre peggiore, ma finalmente incontriamo i dossi che lo costringono a rallentare e l’effetto della sbronza pare svanire, così dopo poco capiamo che stiamo per arrivare e che ce l’abbiamo fatta. Siamo a Palenque!!!

GIORNO 8 Salutiamo il Chiapas: da Palenque a Merida Oggi ci aspettano nove ore di bus per il trasferimento a Merida. Lasciamo il Chiapas ed entriamo nello Yucatàn, dove capiremo presto di aver lasciato un Messico più vero e più bello per approdare in una trappola per turisti. Il viaggio con il bus ADO va piuttosto bene e arriviamo puntuali a Merida, dove ha da poco smesso di piovere. Prendiamo un taxi per l’albergo e una volta lasciati i bagagli ci dirigiamo in centro per visitare un po’ la città (che non è male) e per organizzare l’escursione a Chichen Itza del giorno dopo. Purtroppo una volta in giro comincerà ad affiorare la sgradita sorpresa che ci accompagnerà per il resto del nostro soggiorno messicano: la sensazione di essere visti come dei polli da spennare. Infatti da qui in poi comincerà ad avvicinarsi un sacco di gente che agli slogan di “Italiani amigos, napoli, siciliano, regalo per suocera, ecc.” cercherà di venderci di tutto, dalla droga a vari prodotti pseudo artigianali. In serata ceniamo in un locale che ci viene spacciato come offrente un’ottima cucina messicana, ma che si rivela poi molto deludente e artificiale, il solito trappolone per turisti scemi e contenti. Per la prima volta non veniamo trattati bene e ho anche l’impressione che il (presumo) proprietario abbia fatto il furbo con il conto. Inoltre, notiamo all’ingresso i soliti turisti che tutti contenti pagano per farsi una foto con un paio di tizi mascherati da presunti “tipici messicani” col sombrero, un po’ come si usa fare a Roma con i finti centurioni al Colosseo; perché poi la gente ci tenga così tanto a fare queste foto finte resta per noi un mistero, potrebbero farle tranquillamente in Italia con un paio di amici mascherati. Ci guardiamo sorpresi con Consuelo e ci chiediamo dove siamo finiti, la nostalgia del Chiapas è tanta. Vivacizza la serata il furto in diretta di un telefonino, col colpevole catturato immediatamente dalla polizia e la vittima che urla di continuo: el cellular!!! GIORNO 9: Merida La mattinata si apre con una sgradita sorpresa, difatti l’albergo in cui alloggiamo offre la colazione a buffet, anche se il termine colazione pare un po’ fuori luogo: consiste in vari piatti di spaghetti, fagioli, carne, pesce ecc. Un vero e proprio pranzo. Optiamo per un po’ di succo d’arancia, latte e biscotti ma i disonesti dell’albergo ci fanno pagare il buffet completo, anche se non ne abbiamo usufruito, pretendendo pure la mancia che ovviamente, per la prima e unica volta, ci rifiutiamo di dare. Subito dopo il mio stomaco comincia a dare segnali inquietanti, è in arrivo Montezuma, sicuramente a causa del succo d’arancia palesemente annacquato. Cominciano le due ore più lunghe della mia vita. Provo a far visita inutilmente al WC prima del viaggio in pulman verso Chichen Itza, ma i miei tentativi sono vani. Disgraziatamente dimentico in stanza l’imodium e come d’incanto non appena il pulman lascia Merida si presenta Montezuma in tutta la sua vendicatività. Dovete sapere che in Messico si trovano stazioni di servizio solo all’ingresso e all’uscita delle città e mai lungo le strade o autostrade. Per un’ora e mezzo soffro le pene dell’inferno, chiedo a Consuelo di dire alla guida di far accelerare l’autista che non ce la faccio più, ma Consuelo non mi è d’aiuto, sarà che si vergogna, ma mi elenca una serie di scuse sul fatto che non c’è alcun posto dove fermarsi e non sa come farsi capire; è poi così difficile dire cesso? WC? Comunque, dopo oltre 1 ora e mezzo di indicibili tormenti in cui ho davvero creduto di farmela addosso, vedo all’orizzonte un posto di blocco e alcuni militari col mitra spianato e, raccolte l’ultimo barlume di lucidità, mi alzo e chiedo all’autista di fermarsi. Scendo e corro verso il militare chiedendogli se c’è un bagno o qualcosa di simile. Sono fortunato perché mi indica una toilette in condizioni igieniche pietose e mi ci precipito, perdendo nello slancio gli occhiali da sole che si rompono. Poco dopo siamo a Chichen Itza, il caldo soffocante non ne facilita la visita, ma comunque è senz’altro spettacolare. Seguiamo un po’ la guida e poi giriamo un po’ per conto nostro, salendo al castillo (mamma quanto è faticoso) e gironzolando alla ricerca di un po’ d’ombra. Anche se non è comodissimo raggiungerlo con mezzi pubblici, sarebbe consigliabile visitare il sito archeologico la mattina presto per evitare la folla e il caldo e possibilmente senza accompagnatore, anche perché basta leggere una qualsiasi guida per avere le informazioni del caso. Il pranzo è previsto in un locale sulla strada di ritorno, locale che purtroppo offre un abbastanza patetico spettacolino per turisti, di quelle cose che non vorrei mai vedere. Tornati a Merida decidiamo di evitare il centro e ci dirigiamo alla ricerca di un locale per la cena nella zona in cui alloggiamo. Ne troviamo uno niente male, economico, cibo buonissimo e personale gentilissimo. Dopo l’esperienza col cafone del giorno prima è una bella sorpresa che ricambio con una adeguata propina che, a giudicare dalla faccia del cameriere, è stata decisamente apprezzata.

GIORNO 10: Yucatàn addio, da Merida a Playa del Carmen Altro lungo trasferimento col fido bus ADO e arriviamo nel Quintana Roo. Il paesaggio cambia ancora una volta: mentre gli spostamenti nel Chiapas erano caratterizzati dalla costante presenza della foresta e delle alture, il trasferimento nello Yucatàn proponeva un paesaggio verde e pianeggiante, l’arrivo nel Quintana Roo è anticipato da un tipico paesaggio costiero – balneare. Arrivati a Playa, cerchiamo un taxi per la nostra posada e ci arriviamo poco dopo. Una breve parentesi sui taxi: come prevedibile i prezzi aumentano man mano che ci si avvicina alle zone più battute dal turismo di massa. Economici in Chiapas, un po’ più cari a Merida, decisamente più cari a Playa del Carmen, anche se i prezzi sono comunque estremamente bassi se confrontati a una qualsiasi città italiana o paese europeo. La prima cosa che notiamo è che sembra di non essere più in Messico. È tutto molto artificiale e sembra fatto apposta per incontrare i gusti del turismo statunitense. Sapevamo già prima di partire che Playa si stava trasformando in una piccola Cancùn, ma speravamo comunque che il processo fosse in una fase iniziale. Credo lo sia ancora, ma sembra purtroppo già molto ben avviato. Ci rechiamo subito in spiaggia per rilassarci e fare la conoscenza del famoso mare caraibico: bello, anche se comunque in Sardegna siamo ben abituati da questo punto di vista e quindi la cosa non ci prende più di tanto. La nota più piacevole per Consuelo è che l’acqua, al contrario che dalle nostre parti, è estremamente calda e quindi lei, che soffre l’acqua fredda, può fare il bagno tranquillamente. Ormai abbiamo preso il ritmo delle escursioni e pensiamo a cosa organizzare per i prossimi giorni. Purtroppo però le escursioni, sia quelle subacquee, che quelle nei parchi e località circostanti costano decisamente di più di quanto costassero nel Chiapas e noi abbiamo esaurito i fondi, quindi a malincuore decidiamo di dedicare gli ultimi giorni all’ozio più assoluto.

GIORNO 11 e 12: Playa del Carmen Le due giornate trascorrono abbastanza tranquillamente e piatte tra spiaggia e tour serali, più che altro nella super turistica 5° avenida che, comunque, offre dei posti discreti dove mangiare. Occhio però che vi assalteranno per portarvi all’interno del ristorante ogni qual volta vi fermerete a leggere un menu esposto. Ricordi sparsi di Playa: la mia ustione al mare (mai preso una scottatura così… e in sole due ore di sole), una catena di pizzerie al taglio con l’insegna raffigurante i 4 mori (sicuramente aperta da un sardo), un paio di turisti vittime di colpo di calore (impressionante), la mia capocciata a una lampada della nostra stanza con conseguente rottura della stessa (fortunatamente la padrona della posada non se ne è accorta e la cameriera non ha fatto la spia), le dirette delle finali NBA alle 20 locali (goduria), l’insopportabile richiamo “italiano, suocera, siciliano, napoletano, spinello” che sentivamo ogni cinque metri da tutti coloro che volevano venderci qualcosa, l’arte di contrattare nei negozietti in cui sono diventato professionista, le scorte di tequila e mezcal, il nostro fido supermercato Oxxo, le squisite chips Sabritas, le scorpacciate di Queso Fundido y Chorizo, la crescente nostalgia del Chiapas acuita dalla consapevolezza che il viaggio stava per finire. GIORNO 13 e 14: il ritorno in Italia Ci svegliamo di buon’ora e ci rechiamo all’aeroporto di Cancùn per la partenza: faremo scalo a Miami, poi a Milano dove arriveremo, a causa del fuso orario, il giorno dopo e infine atterreremo a Cagliari intorno alle 13.30. Siamo un po’ tristi anche per il fatto che tra pochi giorni riprenderà il tran tran quotidiano e lavorativo. In aeroporto fanno dei controlli a campione sui bagagli, fortunatamente li evitiamo ma troveremo la sorpresa in Italia. Infatti scopriremo che all’aeroporto di Miami l’agenzia per la sicurezza del volo USA ci ha aperto le valigie senza avvertirci, forzandole e, in parte, rompendole. Abbiamo trovato un foglietto in cui spiegavano che non si sarebbero assunti la responsabilità di eventuali danni. Bah… avvertirci prima così gliele avremmo aperte no eh? All’aeroporto di Miami c’è pure il calciatore del Milan Gattuso che rifiuta di fare delle foto con alcune signore che gliel’hanno chiesto suscitando sdegno. Mah, in fin dei conti lo capisco, se ne avesse fatta una lo avrebbero tartassato i tanti turisti italiani presenti me compreso, rossonero fedele da sempre. L’arrivo in Italia è caratterizzato dalla profonda stanchezza, dovuta al fatto che in aereo non riusciamo a dormire, che prende il posto della tristezza per la fine del viaggio. Ci ripenseremo in seguito e ci pensiamo ancora oggi, è stato un viaggio davvero molto bello e la speranza di riuscire a tornare in Messico prima o poi resta viva.



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