Bonjour vasaha, bonbon?

E’ facile cercare e trovare il Madagascar in Africa, è quella grossa isola (quarta al mondo) situata nell’oceano Indiano a qualche centinaia di chilometri dal continente, la cui forma ricorda quella di un piede sinistro. Lembo di terra staccatosi milioni di anni fa, flora e fauna conservano poco delle specie della terra africana. Niente...
Scritto da: Stefano Bonifazi
bonjour vasaha, bonbon?
Partenza il: 12/08/2005
Ritorno il: 05/09/2005
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 2000 €
Ascolta i podcast
 
E’ facile cercare e trovare il Madagascar in Africa, è quella grossa isola (quarta al mondo) situata nell’oceano Indiano a qualche centinaia di chilometri dal continente, la cui forma ricorda quella di un piede sinistro. Lembo di terra staccatosi milioni di anni fa, flora e fauna conservano poco delle specie della terra africana. Niente animali che abbiamo imparato a conoscere come tipici (felini, leoni, giraffe e via dicendo) ed il 75 % della flora esiste solo qui.

Anche la gente ormai tende a considerarsi un mondo a sé: guai a dire che sono africani, sono malgasci punto e basta. Vogliono inoltre un distacco culturale e materiale dalla Francia, anche se ancora si parla e legge francese, baguette e croissants fanno capolino sulle tavole (di chi se lo può permettere), e innumerevoli Renault 4 e 2 Cv circolano sulle strade. Ma intanto il nuovo governo bandisce la vecchia moneta perché il Franco, seppur malgascio, ricorda ancora il colonialismo, per essere sostituita con un rapporto 1 a 5 dagli Ariari, con poca soddisfazione della gente che a fatica cerca di convivere con il doppio corso ed armati di calcolatori fronteggiano il turista che possiede solo la nuova moneta. Anche il paesaggio ricorda poco l’Africa delle savane. Nel viaggio verso il sud povero, troviamo colline coltivate a riso ed altri vegetali, cui fanno seguito altipiani intervallati da canyon modellati dal vento e dall’acqua, e foreste fitte di vegetazione abitate dai lemuri, le tipiche scimmiette simbolo del Madagascar.

Ma se natura e paesaggi sono ormai distanti da quelli africani, e culturalmente la società spinge verso un’autonomia dalla Francia, ciò che abbiamo incontrato della vera vita, per nulla si differenzia dal resto dell’Africa. Difficoltà ad accedere a scuole, ospedali e generi di prima necessità, università solo per i più abbienti, ma pochi libri e si studia quasi esclusivamente dagli appunti. Mancano strade asfaltate nelle zone esterne al giro turistico; al di fuori delle città, circoncisione e riesumazione dei cadaveri sono ancora pratiche molto comuni; la gente vive di agricoltura, quando le intemperie non rovinano il raccolto, lo zebù (la loro mucca) diventa oro da vendere quando si ha bisogno di soldi e da comprare quando si ha denaro da investire. Giorni e giorni di viaggio occorrono per arrivare al mercato per la compravendita. Spiagge e strade diventano il centro del villaggio dove i bambini accorrono non appena ti fermi e con “gentilezza” ti assalgono, salutano educatamente (bonjour) l’uomo bianco (vasaha –pronuncia “vasà”) e attendono caramelle (bonbon) o regali (cadeau), per ricambiare con grida di gioia e per rallegrare la loro giornata.

Oppure donne che in banchetti improvvisati vendono i prodotti della loro terra (con i colori delle carote e delle fragole che contrastano con il rosso della terra), oppure ti offrono massaggi e ti chiedi in quale scuola li possono mai avere imparati. Giostre spinte a mano o torni girati dai bambini che lo prendono come un gioco, mentre i più grandi lavorano pezzi di legno per realizzare i più svariati oggetti.

Dopo aver visto tutto questo ci si chiede quanto mai può importare a questa gente se chi li governa abbia intenzione di isolarsi dall’Africa e dalla Francia, della moneta che cambia nome (tanto comunque difficile era guadagnarla prima e difficile lo è ora). Perché invece non pensare a dare speranza di un domani diverso per questa gente, a cui invece lavorano i missionari di Don Orione che abbiamo incontrato durante il viaggio. Per raggiungere una delle loro missioni a Faratsiho (Faraziu), al centro del Madagascar, bisogna percorre 40 km di strada sterrata, che durante la stagione delle piogge diventa un fiume; 7 sbarre comandate da uomini preposti unicamente a questo compito chiudono l’accesso se comincia a piovere e lo riaprono solo due ore dopo che ha smesso di piovere. In quel caso si va a piedi sotto la pioggia e tagliando per colline si risparmiano 8 Km ed in otto ore si è alla missione. In questa zona ci sono 65 chiese e 63 scuole elementari, più una decina di scuole medie ed un liceo. La chiesa più lontana la si raggiunte in 12 di ore di cammino, per cui i missionari vi si recano solo 2 o 3 volte all’anno per celebrare le funzioni, mentre nel resto dell’anno ci sono i catechisti cha fanno liturgia della parola. Qui sono prevalentemente contadini che coltivano in maggioranza riso per il proprio sostentamento e percorrono a piedi per ore strade rese impervie dalla pioggia, per raggiungere il mercato cittadino e scambiare i propri prodotti con altra merce. Si può quindi immaginare come la perdita del raccolto sia una piccola tragedia.

Per fortuna c’è chi invece pensa al futuro di questa gente e cerca di migliorare le loro condizioni; ai giovani di queste zone solo l’educazione offerta dalla scuola e dallo sport può offrire uno strumento per la propria crescita; non più assistenza ma insegnar loro a cavarsela da soli.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche