Volontaria ma non per caso in Ecuador
“ Perché non segnali la tua esperienza a “ Turisti per Caso”? Dopo tutto c’è “ qualcosa” di diverso e particolare nel tuo viaggio in Ecuador, qualcosa che magari altre persone vorrebbero fare…” Ci ho pensato un po’ su e sono giunta alla conclusione che Carolina aveva ragione: quest’anno in Ecuador non ho viaggiato nella mia consueta veste di turista, indaffarata con la sua macchina fotografica, ma sono decisamente entrata a contatto con la gente del posto perché ho lavorato come volontaria in una piccola comunità nel bel mezzo delle Ande! Ma procediamo per gradi… COME MI È VENUTA QUESTA IDEA? Finora ho viaggiato molto sia per studio sia per svago ma negli ultimi anni ho sicuramente preferito vedere il Sud del Mondo per trovare qualcosa di diverso, in grado di stupire, di emozionare e quindi di arricchire la mia sensibilità.
Durante i miei viaggi nel Nord Africa ho toccato con mano il divario, ormai innegabile, tra Nord e Sud: a quattro ore d’aereo da Milano si viene catapultati nelle strade di un paese dove la gente sopravvive con una dollaro al giorno. Ho avuto quindi l’occasione di riflettere e pensare a cosa “ fare “ di concreto, con la consapevolezza che certe divisioni si risolvono solo con la volontà politica di evitarle… nel mio caso si sarebbe trattato ovviamente di un piccolo contributo… Pensa che ti ripensa, ho cominciato a cercare persone con esperienze di volontariato alle spalle perché mi ero convinta che il lavoro, cioè il fare insieme, poteva permettere a un viaggiatore curioso ed attento di vivere la quotidianità del cosiddetto “ Terzo Mondo”.
E’ stata Valentina e il suo entusiasmo per l’esperienza di volontariato in Ecuador a fare il resto così il 18 luglio sono partita per Quito.
QUALCHE CONSIGLIO PRIMA DI PARTIRE IL VOLO AEREO La prima cosa che vi consiglio è di prenotare il vostro biglietto con largo anticipo rispetto alla data di partenza: sono molti, infatti, gli Ecuadoriani che lavorano in Italia e che si affrettano ad assicurarsi un passaggio verso casa almeno una volta l’anno. Se arrivate per tempo, e questo significa gennaio-febbraio partendo a luglio, potete anche trovare posto su un volo che non almeno non preveda cambi di aeromobili! Per esempio l’IBERIA effettua solo il cambio di aeromobile a Madrid, la KLM ad Amsterdam! A me che ho deciso di partire solo a giugno, è rimasta la possibilità, comunque fortunata ( ancora qualche giorno e sarebbero rimasti solo posti in business class!!) di cambiare ben tre aeromobili, per cui le mie tappe sono state: Milano-Caracas con Alitalia cinque ore di attesa a Caracas; cambio di compagnia : Caracas-Bogotà con Avianca cambio di compagnia: Bogotà-Quito con Avianca Ovviamente prima si arriva meglio ci si accomoda anche per il prezzo del biglietto che in alta stagione varia dai 1200 ai 1500 euro.
Da racconti di altre persone incontrate evitate di arrivare a Quito facendo scalo a Miami per via delle lunghissime pratiche doganali che vi costringono a lunghe code e inutile stress… Quando tornate in Italia, assicuratevi di avere con voi 25 $ in contanti da pagare come tassa d’imbarco sui voli internazionali. Non dimenticatevi di confermare il vostro volo 72 ore prima perché può capitare che le compagnie accettino più prenotazioni dei posti disponibili. A Quito trovate senza difficoltà gli uffici di tutte le più importanti compagnie. Per evitare spiacevoli sorprese arrivate in aeroporto due ore e mezzo prima della partenza.
CLIMA E ABBIGLIAMENTO In Ecuador praticamente non esistono le stagioni per cui qui si può godere di un clima di un’eterna primavera! Però, trovandoci all’Equatore, alle sei e mezza- sette della sera fa già buio e questo capita anche in estate, ma ci si abitua facilmente! Durante il mio viaggio ho incontrato la pioggia solo un paio di volte: per il resto sole ma anche molte nuvole che attraversano continuamente il cielo; la temperatura però è gradevole per cui vi conviene portare magliette a manica corta o indumenti leggeri; non dimenticate però che alle sera fa piuttosto freschino quindi portatevi un maglioncino o una felpa; se poi visitate le montagne, non potete dimenticare giacca vento o pile, mi raccomando! E se vi avventurate sulle alte cime di qualche montagna o vulcano spento,indispensabili sono anche gli scarponi da montagna! VACCINAZIONI Per affrontare questo viaggio, vi consiglio di partire tranquilli da un punto di vista sanitario, soprattutto se decidete di fermarvi a lungo in una comunità locale a lavorare: non stare bene impedisce di essere attivi e propositivi nel lavoro; inoltre è importante essere fisicamente disponibili ai frequenti cambiamenti d’ambiente e climatici che si verificano in Ecuador anche a distanze piuttosto ravvicinate.
Un mese prima della partenza sono andata all’Ufficio dell’ASL preposto alle Vaccinazioni internazionali. Qui mi è stato fissato un colloquio (che mi è costato ben 35 euro!) per avere informazioni sulle eventuali malattie e per stabilire le vaccinazioni necessarie.
Per l’Ecuador non ci sono vaccinazioni obbligatorie ma vi consiglio caldamente di tutelarvi contro: • EPATIE A • TIFO • TETANO • FEBBRE GIALLA (solo nel caso in cui andiate nella foresta Amazzonica) Per quanto riguarda la malaria, presente lungo la costa e nella foresta, io non ho preso alcun medicinale che mi ero comunque portata dall’Italia: usando vestiti leggeri ma coprenti e un bel po’ di repellente, non ho avuto alcun problema! DOCUMENTI E VISTO Io mi sono fermata circa 40 giorni per cui non ho avuto bisogno di alcun visto: mi è bastato il passaporto con validità di 6 mesi dalla data di arrivo. All’ingresso nel paese mi è stato concesso un permesso turistico di 90 giorni, facilmente rinnovabile per altri 90 giorni ( suddivisi in tre permessi di 30 giorni ciascuno). Si può guidare con la patente italiana per i primi novanta giorni di permanenza.
MONETA L’Ecuador è stato dollarizzato nel settembre del 2000 quindi io mi sono portata i dollari. Anche gli euro sono ben graditi, ma il cambio euro-dollaro che viene fatto in Italia è più vantaggioso. Non ho avuto problemi per il prelievo da Bancomat a Quito o negli altri grandi centri; questo comunque comporta una spesa del 4% sulla cifra prelevata. Anche le carte di credito sono accettate senza problemi.
La circolazione di dollari falsi, sia in moneta che in banconota, è una triste realtà di questo paese per cui, su consiglio di amici, mi sono fatta una bella scorta di tagli piccoli , per esempio 1, 5, 10, 20 $; evitate i “ pezzi grossi” verso cui i negozianti mostrano una certa diffidenza. Quando ricevete il resto, controllate le banconote e se proprio dovete cambiare banconote di grosso taglio, fatelo nei supermercati o nei negozi “ turistici” dove i cassieri o i proprietari fanno attenzione al denaro che incassano. Vi capiterà sicuramente di recarvi ad un mercato; in questo caso, andateci con pezzi piccoli e aspettatevi di ricevere banconote appallottolate o un po’usurate. Questo non significa necessariamente che siano false, ma una controllatine non gusta mai! TELEFONO Si possono acquistare schede telefoniche da 3 $ che permettono di fare anche tre brevi telefonate in Italia; a Quito e in genere nei grandi centri si trovano molti punti Internet da dove si può anche telefonare da comode cabine col telefono a scatti.
Con il cellulare sono riuscita ad inviare e ricevere sms finchè ero a Caracas;già a Bogotà il cellulare che normalmente uso in Italia non dava più segni di vita! IL VIAGGIO Arrivo a Quito alle 23.30 ora locale dopo un viaggio tutto sommato gradevole. La traversata oceanica da Milano a Caracas è stata un po’noiosa perché non c’era nessuno seduto accanto a me, ma questo ha comportato anche l’innegabile vantaggio di potere sfruttare ben due sedili per “sdraiarmi” ( si fa per dire); durante la sosta di cinque ore a Caracas ho avuto il piacere di conoscere Dolores, una delle tante ecuadoriane che lavorano in Italia come donne delle pulizie: non si è risparmiata in particolari circa il suo paese e tutto in lei, parole, sorrisi e risate, comunicava la felicità di avere ritrovato “ casa” dopo un anno di attesa. Sono incredibili i sacrifici che queste persone fanno per tornare almeno una volta all’anno: Dolores lavora anche al sabato e alla domenica e sembra non farci caso perché la sua forza sta nel ricordo degli abbracci dei propri cari all’aeroporto e nella certezza che i suoi risparmi la porteranno a godere del fantastico clima equatoriale e della calda atmosfera di casa.
Con lei ho pranzato all’aeroporto di Caracas e ho cominciato ad abituarmi allo spagnolo, che avevo già un po’ imparato in Italia con un’amica colombiana; con lei sono atterrata a Quito dove mi aspettavano Cecilia e Michele, i responsabili della Onlus Ayuda Directa per cui avrei lavorato nelle settimane successive.
LA CASA DEI VOLONTARI A QUITO Con il buio non riesco molto a farmi un’idea della città, ma a bordo del taxi riesco a distinguere palazzi moderni, hotels e grandi viali. La conversazione con Michele e Cecilia è piacevole: nelle loro parole c’è già aria di progetti e di cose da fare per … domani! Arriviamo alla Casa del Volontario che si trova in quella parte della città chiamata MARISCAL SUCRE o GRINGOLANDIA data la massiccia presenza di Americani e Inglesi.
La Casa è grande e si compone di un ufficio, un ampio soggiorno dove i volontari si ritrovano a mangiare insieme, una cucina luminosa, due bagni, quattro camere da letto per i volontari e una veranda dove fare colazione alla mattina al sole! Nell’ufficio o Oficina Michele e i volontari lavorano ai progetti nelle diverse comunità sparse sul territorio oppure ricevono la visita di persone cui viene offerta assistenza sanitari: i medicinali costano una fortuna per chi ha un lavoro precario o è disoccupato. Chi ha invece bisogno di visite mediche o specialistiche può contare sulla presenza di Lorena, un’infermiera italiana che si trova in Ecuador dal settembre 2004: suo compito è quello di aggiornare la scheda dei pazienti, di andare all’Ospedale Baca Ortiz di Quito per prenotare le visite specialistiche, alzandoci molto presto alla mattina ( per intenderci, alle 3!!) per aspettare ore e ore in coda! LOS NINOS DE LA CALLE Con i miei occhi ho visto arrivare all’Oficina persone che non avevano mangiato o bambini “ della strada “ che, stanchi di elemosinare qualche centado vendendo chewing-gum o caramelle, trovano qualcuno che li “prende in considerazione” e restituisce loro il diritto di “ esistere per giocare”.
Mi rimarrà sempre impressa quella sera in cui Lorena ed io abbiamo accompagnato alla fermata dell’autobus due di questi bambini: un abbraccio al semaforo in mezzo al traffico e l’autobus su cui quei bambini sarebbero saliti per cantare e vender dolci… Ayuda Directa cerca di dare a “ los ninos de la calle” la possibilità di avere un’istruzione ma molto spesso l’interferenza dei genitori, che vedono nei figli una possibilità di qualche entrata in più alla fine del mese, impedisce a questi bambini di imparare a leggere e a scrivere… Sono tanti, troppi questi bambini, stanchi da non riuscire a tenere gli occhi aperti o con la voce trascinata a furia di ripetere sempre la stesse parole : “ por favor senorita, un centadito, senorita…” SI PARTE!! Arrivare di sera con il buio è sicuramente un vantaggio perché ci si addormenta per forza di cose, anche se in Italia l’orologio è indietro di 6 ore ( 7 in estate per via della nostra ora legale!) Così la prima sera dormo sodo fino alle 9.30 della mattina dopo, faccio una bella colazione con tanto di caffè italiano nella Moka e scambio quattro chiacchiere con Tina, una ragazza tedesca in Ecuador da un anno circa come volontaria. Per casa girano anche due ragazze americane ma Narcissa, che viene da Guayaquil nel sud dell’Ecuador, irrompe con un sorriso spumeggiante in cucina, dandomi il benvenuto con un calorosissimo abbraccio! C’è voluto davvero poco per sentirmi a casa e per decidere di partire il giorno stesso per Esperanza, la comunità indigena nella provincia del Chimborazo nel centro del paese, tristemente famosa per essere una delle aree più povere dell’Ecuador… Preparo uno zainetto leggero per una settimana: più viaggio e più mi convinco che bastano poche cose! Con Tina e Michele andiamo a prendere l’autobus che ci porterà a Riobamba, una città a circa quattro ore di viaggio.
IL VIAGGIO IN AUTOBUS In Ecuador, come nel resto dell’America Latina, l’autobus è un mondo, un viavai di persone, un’occasione per conoscere la gente del posto, quindi è un’esperienza da non perdere! Sono molte le compagnie che dispongono di mezzi coloratissimi, rossi con decorazioni gialle e scritte “portafortuna” che affidano all’occhio vigile del buon Dio la felice riuscita del viaggio: DIOS ESTA’ CON MIGO… c’è da dire, infatti, che da queste parti i conductores spesso si lanciano a velocità piuttosto sostenuta lungo la Panamericana o le altre strade a lunga percorrenza per cui capita spesso di vedere grandi cuori azzurri o rosa dipinti sull’asfalto a ricordare qualche sfortunato incidente… può capitare anche l’esatto opposto, e cioè di imbattersi in conductores, che, assistiti dai loro inseparabili colleghi bigliettai, effettuano più fermate straordinarie che ordinarie per caricare il maggior numero di persone possibili ed arrotondare, per così dire, le entrate… Molto spesso questi passeggeri si accontentano di viaggiare in piedi, dando prova di un buone doti di equilibrismo, visto che molto spesso sono carichi di bagagli e che gli spostamenti sono in zone di montagna con tutte le curve e controcurve che convengono al caso… Comunque, se volete assicurarvi un posto a sedere, basta acquistare alla stazione degli autobus il biglietto che riporta la data e il numero del posto.
Ciò che colpisce piacevolmente è la musica che non manca mai sugli autobus, sin dalle prime ore della mattina. Si tratta quasi sempre di salsa o meringhe, che non risparmiano decibel , o di canzoni d’amore in cui i sentimenti più ricorrenti sono il timore di esser abbandonati dalla propria donna “ La muher de mi vida, vera y comprensiva, quela que yo sonava… No quiero perderte… Me duole el corazon… ela fuè, mè abandonò… A queste parole può fare eco una dichiarazione d’amore al telefono di un passeggero alla sua amata che suona così: “ Te amo mucho, mi amor!” Tutto questo crea indubbiamente un’atmosfera calorosa anche perché le persone che salgono mostrano un sorriso e accennano un saluto; se poi capita che si siedano a fianco, basta davvero poco per iniziare una conversazione. Di solito la curiosità è suscitata dall’evidente diversità nell’aspetto fisico per cui la classica domanda è: “ Donde vienes tu? “ e da lì ci si può aspettare anche il racconto di una vita intera… I VENDITORI AMBULANTI L’autobus si trasforma spesso in un piccolo mercato dove i venditori ambulanti si susseguono alle varie fermate: non mancano quasi mai i venditori di patate fritte ( molto buone perché fatte in casa!), di fave o fette di banane tostate, di formaggio avvolto in foglie di palma accompagnato da panini caserecci, di yogurt o gelati, mandarinas o manzanillas! Gli ambulanti offrono la loro merce sempre con garbo, senza gridare e così come sono saliti, scendono, lasciando traccia del loro passaggio nel profumo che ben presto si sparge per tutto l’autobus! Molto singolari sono quei venditori che definirei veri e propri intrattenitori perché presentano i loro prodotti seguendo un copione ben prestabilito: si parte di solito da una breve introduzione di carattere generale in cui si mette per esempio a confronto la temperatura piuttosto fredda della mattinata con il clima mite e gradevole del giorno prima; da qui si passa alla considerazione che tali sbalzi possono causare seri problemi di sinusite, “ agrippe” reumatismi, mal di ossa per giungere alla conclusione che sia necessario preoccuparsi della propria salute . Non bisogna dimenticare che l’ argomentazione è sempre arricchita di esempi tratti dalla vita quotidiana del venditore o dei suoi familiari per cui la presentazione del prodotto, che in questo caso consta di una miracolosa pomata che vien dal Perù, non sembra così fredda e distaccata! Si passa quindi alla distribuzione del prodotto nelle sue scatolette di latta dorata che vengono poi ritirate dopo qualche minuto con molta discrezione e senza alcun obbligo di acquisto! Esempi come questi se ne incontrano a migliaia e viene spesso da chiedersi come facciano queste persone a sopravvivere visto che spesso ritirano tutte le confezioni distribuite! Eppure la processione dei venditori è incessante: alcuni propongono degli indovinelli oppure raccontano barzellette per accattivarsi l’attenzione dei passeggeri: si vendono quarzi che sprigionano un’energia miracolosa, caramelle, cioccolatini… in questo alternarsi di umanità si trova comunque il tempo anche per guardare fuori dal finestrino e godersi il paesaggio … anche se a volte questo risulta abbastanza difficile perché le tendine pesanti e scure, bordate di frange, coprono parte della visuale, ma, come avrete capito, il viaggio offre sempre possibilità di distrazione! IN AUTOBUS LUNGO GLI ALTIPIANI CENTRALI: QUITO- LATACUNGA-AMBATO-RIOBAMBA Nonostante le sue piccole dimensioni, l’Ecuador presenta una notevole varietà paesaggistica perché diviso in tre regioni molto diverse tra loro: la catena delle Ande, che percorre il paese da nord a sud; le pianure costiere a ovest delle Ande e la giungla del bacino amazzonico a est delle Ande.
L’autobus da Quito a Riobamba percorre gli altipiani andini centrali lungo la Panamericana che di estende quasi in linea retta lungo il cosiddetto “ VIALE DEI VULCANI”, una valle compresa tra la Cordigliera Occidentale ed Orientale , formate principalmente da vulcani. Questa valle ospita a nord la capitale Quito ( 2850 m. Slm) e a 442 km a sud la città di Cuenca, raggiungibile da Quito in 8-11 ore di viaggio in autobus.
Riobamba, o la Sultana delle Ande, si trova a 4 ore di autobus ( 3 $ a tratta ) conviene proprio raggiungerla durante il giorno per non perdersi la bellezza del paesaggio vulcanico.
Il primo vulcano che Michele mi indicA è il RUMINAHUI ( 4710 m) immediatamente seguito dal COTOPAXI ( ben 5897m) che pare proprio un cono gelato con la cima innevata; l’attività è scarsa, si tratta solo di qualche fumarola. E’ possibile fare escursioni nell’omonimo parco o scalate: in quest’ultimo caso è necessario però contattare un’agenzia per avere una guida, assolutamente indispensabile.
La montagne sono ricoperte di pinete non autoctone, ma che si sono create dopo secoli di disboscamento con piante importate dall’estero. A tratti le grandi distese di pascoli ricordano la Scozia! Con il Cotopaxi e il Ruminahui alla mia sinistra, mi giro a destra per ammirare altri tre vulcani: il CORAZON, che non può certo mancare in SudAmerica, e i due ILINIZAS, anch’essi ricoperti di neve. La visuale è molto ampia, senza troppi confini imposti da alti palazzi o stabilimenti … Adesso sì che mi sembra di essere in SudAmerica! A sinistra appare un altro vulcano, il QUILINDANA, e Michele mi spiega che nelle giornate belle limpide è possibile vedere anche il CHIMBORAZO che si trova a sud di Riobamba.
DA LATACUNGA A RIOBAMBA Arriviamo a LATACUNGA, capoluogo della provincia di Cotopaxi e ci fermiamo alla stazione degli autobus, quelli della compagnia “ NUCA LLACTA” che in quichua, la lingua degli indigeni, significa “ Terra mia”. Sul nostro autobus sale la senora Clarito, niente di meno che la preside del Collegio dove terrò il corso di inglese per i bambini di una comunità indigena.
Ripartiamo alla volta del villaggio San Miguel de Salcedo, famoso per il gelato che ha la caratteristica forma di piramide, immortalata all’ingresso del paese in una gigantesca riproduzione in gesso. Immediatamente sull’autobus salgono venditori di gelato, che acquistiamo volentieri. Il gusto è buono, sa veramente di frutta: mora, fragola, naranjilla ( un frutto locale che ha il gusto di un’arancia amara).
Ci avviciniamo alla città di AMBATO ed ecco presentarsi in tutta la sua imponenza il CHIMBORAZO ( ben 6310 di vulcano!!). A sinistra appare l’altrettanto … TUNGURAHUA! Non so più da che parte guardare, mi pare di avere già visto così tanto in una sola giornata! Ambato, capoluogo della provincia del Cotopaxi di TUNGURAHUA, è famosa per i fiori che vengono offerti all’ingresso della città da una gigantesca fanciulla in gesso, dagli abiti piuttosto succinti.
Da Ambato altri 52 Km ed arriviamo finalmente a Riobamba: la strada sale fino ad un passo a quota 3600 m da dove si può vedere in tutta la sua bellezza il Chimborazo e un altro vulcano, il CARIHUAIRAZO (5020 m); poi si scende a Riobamba, situata a 2750 m.
Arriviamo verso le 18.00 e nonostante l’imbrunire, la città è un brulicare di gente ed automobili: Riobamba è infatti un centro commerciale molto importante negli altipiani centrali, meta anche degli indigeni delle comunità montane limitrofe, che qui lavorano o provvedono a fare acquisti. E’ una bella città, placidamente adagiata in una grande pianura circondata da gigantesche montagne che però non incutono timore perché addolcite dalla neve! ALBERGHI E RISTORANTI Andiamo a riservarci una stanza all’Hotel TREN DORADO, ( htrendorado@hotmail.Com) , un albergo confortevole con camere pulite, ampie e arredate con buon gusto per la modica somma di 8 $ per una doppia; chiedete le stanze che si affacciano sul giardino non solo perché dopo la doccia potete rinfrancarvi all’aperto, ma perché le camere sono silenziose e lontane dal traffico della via principale. Un altro albergo è l’Hotel LA ESTACIÓN, sempre al modico prezzo di 8/10 $ per una doppia.
Depositiamo lo zaino e, dopo una velocissima sciacquata, andiamo alla ricerca di un ristorante. A ridosso dell’hotel, sul marciapiedi, è un pullulare di bancarelle che vendono piatti caldi: in genere si tratta di riso ( ARROZ ), carne di maiale con tanto di cotica ed intingoli non sempre molto invitanti. E’ abbastanza singolare l’esposizione che questi ristoranti ambulanti fanno di maiali interi, da cui si taglia direttamente la carne. Potete anche comprare pannocchie lessate o tostate, carne di pollo o il famosissimo CUY, ossia il porcellino d’India, piatto tipico della tradizione inca. A vederlo arrostito con le zampette al vento, i denti sporgenti e gli occhi chiusi, beh, non fa certo venire l’acquolina alla bocca, ma per i locali si tratta di una vera e propria prelibatezza! Non vi consiglio di fermarvi a questi ristoranti perché le norme igieniche vengono spesso disattese: è abbastanza frequente sentir parlare di dissenteria o della presenza nell’intestino di fastidiosi vermi, abbastanza comuni nelle zone rurali. Quindi è sempre meglio andare in un ristorante, cercando di evitare quelli che mostrano l’allettante proposta di un ALMUERZO ( pranzo) o MERIENDA ( cena ) a 1 $ o 1 $.50. Anche in questo caso la pulizia lascia abbastanza a desiderare… comunque si può mangiare bene e a prezzi per noi assolutamente convenienti un po’ ovunque! Per questa prima sera scegliamo un CHIFA, cioè un ristorante cinese. Non sono tantissimi qui i Cinesi, ma la loro presenza sta aumentando anche qui. Le porzioni sono davvero abbondanti, sia di riso che di LOMO ( bistecca) o di CAMARÓNES ( gamberetti ) per cui un piatto basta per due! Con tre dollari potete dichiararvi soddisfatti e lasciare il ristorante sicuramente felici, perché, come recita un famoso detto popolare: “ BARRIGA LLENA, CORAZÓN CONTENTO! MAL D’ALTITUDINE Verso le 10 di sera si fa sentire il fuso orario: incomincio ad accusare una certa stanchezza, forse dovuta anche all’altitudine che provoca anche forti mal di testa, mal di stomaco e, nei casi proprio peggiori, il vomito… Devo dire che durante il mese e mezzo trascorso in Ecuador non ho avuto problemi di salute: forse solo nei primi giorni ho avvertito un certo senso di stanchezza, soprattutto per la differenza oraria, ma per il resto… una bomba di salute! E non mi sono fatta mancare nulla! Forse ciò che mi ha permesso di stare bene è stato il forte desiderio di vivere appieno un’esperienza diversa! RIOBAMBA-CAJABAMBA Ci alziamo di buon mattino, facciamo una rapida colazione e passiamo davanti alla stazione da cui parte il treno per il famoso percorso: EL NARIZ DEL DIABLO che vi farà letteralmente rabbrividire nel tratto tra ALUSI (a sud di Riobamba) e SIBAMBA. Qui, infatti, i binari precipitano lungo una serie di tornanti molto pericolosi con ponti un po’ scricchiolanti e sospesi su precipizi. La cosa più divertente sembra sia la possibilità di viaggiare seduti sul tetto piatto del treno, senza alcuna protezione tra sé e la valle!! Purtroppo io non ho avuto il tempo di fare questo percorso e devo dire che i racconti delle persone che ho incontrato non erano così tanto entusiasmanti: “ Sì, è bello, il paesaggio è spettacolare, ma il tutto è molto turistico!” E se c’è una cosa che mi è piaciuta di questo paese ( Galapagos a parte!) è proprio il fatto che non è affatto turistico per cui non ho rinunciato così tanto a malincuore… Il treno parte il mercoledì, venerdì e domenica: da quello che ho potuto vedere è meglio comprare il biglietto il giorno prima anche perché la partenza è piuttosto mattiniera: alle 5.30, se non ricordo male! Il costo del biglietto è di 11 $.
Riobamba è anche un buon punto di partenza per le escursioni al Chimborazo, la vetta più alta dell’Ecuador! Partiamo per Cajabamba dove ci aspettano due volontari scesi giù dalla comunità di Esperanza per fare acquisti.
LE DONNE E I BAMBINI Qui ormai la lingua che si sente parlare è il QUECHUA e sull’autobus, come per la strada, si incontrano solo gli “ indigeni” delle comunità montane limitrofe. Qui il freddo si fa sentire, specie alla sera e alla mattina presto, per cui anche le donne portano il cappello di chiare fattezze maschili, gonne lunghe fino ai piedi, di solito blu e nere, maglioncini azzurri, rosa con sopra uno scialle di lana, pur’esso dai colori vivaci, come il fucsia o il verde smeraldo; si ornano con molteplici giri di collane fatte con perline di vetro soffiato dipinte d’oro che loro stesse acquistano al mercato e poi fanno a mano. Portano sempre orecchini d’oro molto semplici perché a queste donne basta davvero molto poco: il loro profilo, uguale da secoli, le rende indimenticabili. Sono timide, parlano poco e quando guardano qualcuno che viene da un paese lontano e diverso, ridono, girandosi immediatamente oppure nascondono il sorriso con la mano.
Viaggiano sole o con i bambini che caricano sulle spalle avvolgendoli in grandi scialli. E’ davvero incredibile la leggerezza con cui si muovono e la destrezza con cui riescono a caricarsi il bambino, stando in equilibrio sull’autobus.
Anche loro hanno sempre qualcosa da trasportare, questa è gente in perenne viaggio che sposta continuamente cose, scatoloni, sacchi di patate, secchi di vernice e mai una volta che si lamentano del carico, o del fatto che non ci sia posto a sedere: si arrangiano sempre, il più delle volte in silenzio.
LE COLLINE Mentre proseguiamo per Cajabamba, a destra e a sinistra è un susseguirsi continuo di colline vellutate, alcune verdissime, altre divise in tanti appezzamenti di diversi colori: la terra nera dei vulcani, le coltivazioni verdissime di patate, di foraggio, avena e ovunque altissimi eucalipti.
Qui la terra è molto fertile: questo paese potrebbe essere davvero molto ricco se solo si attuasse una politica agricola diversa… ma per non si sa quali oscuri meccanismi questa provincia dell’Ecuador è di fatto la più povera del paese, ragione per cui molte fondazioni, tra cui appunto AYUDA DIRECTA, operano all’interno delle comunità per introdurre anche metodi di coltivazione più moderni, grazie anche alla collaborazione di agronomi locali.
Arriviamo a Cajabamba, un piccolo centro commerciale che si sviluppa lungo la Panamericana, dove si trovano molti ristoranti, ambulanti e non, negozi e una ferramenta piuttosto grande dove ci aspettano Corrado e Lorena.: sono qui per acquistare della vernice colorata per le aule e la mensa della scuola, oltre al materiale per iniziare a costruire le gradinate del campo sportivo di Esperanza. IN CAMIONETTA FINO A ESPERANZA Dopo esserci presentati e avere provveduto a fare tutti gli acquisti, saliamo a bordo della “ camioneta” di Ayuda Directa: quattro persone stanno ben comode all’interno, io opto senza esitazione per stare all’esterno in compagnia di Lorena e… di tutto il materiale! Non vedevo l’ora di farmi questo primo giro all’aperto con i capelli al vento e tutto il panorama finalmente a mia completa disposizione, senza tende a limitare la visuale! Le “ camionetas”, normali furgoncini o pick-up scoperti, sono un mezzo di trasporto molto diffuso nelle zone sperdute di questi altipiani dove esistono ( se esistono) solo strade sterrate. A Cajabamba, come in qualsiasi altro centro, è possibile procurasi un passaggio contrattando il prezzo con il conducente! La strada sale dolcemente e le colline sembrano ancora più belle ora che mi trovo così allo scoperto! Passiamo davanti alla cappella di BALBANERA, molto semplice nel suo esterno in pietra, ma famosa perché costruita sul più antico sito religioso dell’Ecuador (1534). Raggiungiamo la LAGUNA DI COLTA, il cui colore azzurro appare a volte piuttosto scuro e inquietante: è comunque importante per la coltivazione delle canne, che nutrono il bestiame allevato dagli indigeni e che gli artigiani locali trasformano in stuoie o cestini. Proseguiamo ancora qualche chilometro ed ecco che imbocchiamo con la camioneta un sentiero piuttosto scosceso: è la strada, aperta solo nel 2002, che ci porta a Esperanza! Si sale, si sale a volte anche a fatica se la macchina è carica di materiale e si vedono qua e là le CHOZAS, ossia le capanne fatte di terra essiccata al sole e di un tetto di paglia, che ultimamente sono state sostituite da casette in cemento col tetto in lamiera.
Siamo nel bel mezzo delle colline, autentici patchworks punteggiati di eucalipti, che man mani si sale vanno a formare il PARAMO, ossia la prateria ad alta quota che presenta un clima piuttosto freddo.
Lungo il sentiero ci rincorrono dei bambini: in men che non si dica balzano sul retro della camioneta o vi si aggrappano, senza perdere l’equilibrio. E’ la loro giostra e quando arriva Michele ( qui immediatamente ribattezzato Michelito) o gli altri volontari, è una vera e propria gara a chi arriva primo e si aggiudica il passaggio! Ci salutano anche delle donne che trasportano fascine di legna o di fieno e che sono seguite a breve distanza da alcune pecore.
I BAMBINI CI VENGONO INCONTRO! L’arrivo di un nuovo volontario anima sempre questa piccola comunità che si trova a 3600 m. Nelle Ande ecuadoriane e consta di circa 350 persone . I primi a presentarsi sono naturalmente i bambini con i loro ponchos viola, rossi e i volti pieni del freddo che a questa latitudine screpola la pelle. Alcuni mi porgono la mano coperta da un lembo del poncho: questo perché tempo fa Esperanza era un latifondo di proprietà di un “ padroncito” che, oltre a sfruttare la manodopera senza il benché minimo scrupolo, non tollerava di toccare la mano degli “indigeni”. Deduco che non è passato molto tempo da allora visto che questa abitudine è dura a morire! I bambini mi aiutano a scaricare il materiale e i bagagli: mi chiedono come mi chiamo, da dove vengo e quanto costa il volo per arrivare fino a qui! Il loro stupore non riesce a contenere una cifra tanto spropositata, visto che qui si vive con un dollaro al giorno o anche meno! Credo sia per loro ugualmente inimmaginabile pensare che una persona possa realmente guadagnare tanti soldi in una volta sola e che un viaggio in aereo possa durare 15 ore! Si guardano tra loro con gli occhi più grandi del solito e luccicanti all’idea che un giorno potrebbero venire a trovarmi in Italia! IL PRIMO GIORNO AD ESPERANZA Immaginate un grande rettangolo: sul lato più corto a nord ed in posizione rialzata si trova un’aula della scuola e a fianco l’ampia e variopinta stanza che fa da cucina e camera da letto per i volontari; sul lato opposto, a sud, il centro della salute, i bagni e una costruzione adibita a cucina nel caso in cui la comunità ospiti molti volontari; sul lato più lungo a ovest si trovano due aule della scuola e la mensa per i bambini; sul lato opposto un muretto che segna in un certo senso il confine con la chiesa. L’area all’interno del rettangolo è occupata da un grande spiazzo adibito a campo sportivo sia per le partite di calcio che di pallavolo. Questo è il centro della comunità che naturalmente consta anche di chosaz, sparse un po’ qua e là. Sullo sfondo si incrociano le colline e gli appezzamenti in un disegno stile naif, che culminano nel paramo verdissimo: nelle giornate particolarmente limpide e luminose si può scorgere il cucuzzolo innevato del Chimborazo! Dopo aver salutato i bambini, sistemiamo le provviste nella dispensa e ci organizziamo per la cena. Abbiamo a disposizione una bombola a gas e un fornello con un solo fuoco, però è facile iniziare il lavoro a catena: c’è chi taglia i pomodori per il sugo, chi le carote e le cipolle per il soffritto, chi procura l’acqua all’esterno, chi prepara la tavola. L’unico inconveniente è che a questa latitudine l’acqua bolle più lentamente e la pasta impiega più tempo a cuocere…Ma nell’attesa si chiacchiera del più e del meno, ci si organizza per il giorno dopo, si fa il punto della situazione di alcuni lavori già avviati o da iniziare.
Dopo cena non c’è molto da fare, anche perché qui alle sette di sera è già buio per cui, dopo aver lavato i piatti, rassettato e fumato una sigaretta fuori al fresco sotto un cielo zeppo di stelle , l’unica cosa che resta da fare è… dormire, anche perché spostare mattoni, fare il cemento, verniciare le pareti delle aule e costruire batterie sanitarie…Beh, alla fine stanca un po’… comunque vi posso assicurare che in situazioni simili ci si dimentica di cosa sia l’insonnia e ci si riposa per avere l’energia necessaria a proseguire i lavori del giorno dopo! AL LAVORO! Alla mattina ci si sveglia di buonora, più o meno col il levare del sole: d’altra parte andando a dormire verso le otto e mezza di sera, si riesce a fare una bella dormita fino alle sette della mattina! Il primo ad alzarsi di solito prepara anche la colazione ed anche qui, in un posto che non potremmo neanche immaginare circondati come siamo da grattacieli e traffico, anche qui iniziamo la giornata con il caffè fatto nella moka portata dall’Italia… come a dire… che basta così poco per accorciare le distanze! Gli abitanti di Esperanza sono di gran lunga più mattinieri di noi: succede a volte di sentire la loro voce che supera le colline per portare un messaggio a chi sta lavorando dalla parte opposta oppure Francisco, musicista e direttore del coro della chiesa, che dall’altoparlante fa qualche annuncio! Non è detto che ci si alzi sempre con il sole! Sono capitati risvegli immersi nella nebbia o nelle nuvole, raramente nella pioggia! Comunque sia, una buona ed abbondante colazione mette sempre di buonumore e pronti ad iniziare il lavoro! I primi tre quattro giorni mi servono per guardarmi un po’ attorno, inserirmi in un contesto molto diverso e stabilire le prime intese! Oggi, primo giorno, affianco Lorena nella preparazione della verniciatura della mensa: munita di carta vetrata e con l’aiuto di Hugo e Myriam, due bambini, mi metto a grattare di buona lena le pareti e intanto chiacchieriamo tutti insieme! Ecco, questo è indubbiamente il vantaggio del lavoro: ci si confronta, ci si conosce e nel frattempo si fa qualcosa insieme! Il risultato finale ha dentro di sé anche questo scambio, che pian piano permette di entrare nella percezione che l’altro ha del lavoro e del tempo: le differenze sono enormi e toccarle con mano stupisce perché a volte sembrano confermare lo stereotipo che vuole queste persone lente, disimpegnate e un po’ dispersive… sembra che abbandonino un gioco avviato per rincorrere un nuovo giocattolo appena arrivato e più variopinto… però a questo punto c’è da chiedersi :” Di cosa vivono queste persone?” “ Di poco o niente, di albe e tramonti, giornate brevi e molto faticose a coltivare la terra in pendenza… forse molto istintivamente seguono ciò che in un certo momento della giornata irrompe come cambiamento, vita o distrazione… certo, per costruire autonomamente qualcosa la costanza è fondamentale! Questo è infatti un obiettivo della Fondazione che, promuovendo il confronto diretto nel lavoro, cerca di educare all’autonomia. Anni e anni di servilismo al padroncito hanno probabilmente abituato queste persone ad essere comandate e a sviluppare una certa inettitudine verso l’organizzazione di attività mirate ad un risultato finale Ho assistito personalmente a delle riunioni con i rappresentanti della comunità e mi sono accorta che molto spesso si affidavano completamente alla Fondazione nella fase della progettazione.
Nei tre anni di attività di Ayuda Directa molti sono stati i risultati raggiunti ma indubbiamente la fiducia è stato il presupposto fondamentale per avviare la collaborazione. La diffidenza è infatti molto diffusa all’interno delle comunità indigene a cui molto spesso sono state fatte promesse di interventi miracolosi, in seguito disattesi. Ayuda Directa ha operato sempre senza imporre nulla dall’alto, ha ascoltato e valutato di volta in volta le esigenze delle persone e, così facendo, è riuscita a costruire un centro della salute, i bagni per la scuola, le gradinate per il campo sportivo; interviene anche in campo educativo fornendo materiale didattico, organizzando una gita alla fine della scuola e i corsi estivi.
CAMMINANDO DA ESPERANZA A GAUHIJON Alla fine della prima settimana tutto è pronto per iniziare il corso di inglese nella comunità di Gauhijon, circa un’ora di cammino da Esperanza, che nel frattempo si è popolata di un folto gruppo di volontari, ben 24 ragazzi e ragazze provenienti dall’Ecuador e dal Canada. Ovviamente ne approfitto per avere il prezioso aiuto dei madrelingua e trovo ben tre collaboratrici! Ogni mattina alle nove partiamo per Gauhijon, attraversiamo i campi e camminiamo lungo il sentiero di terra vulcanica che sale e scende, mettendo a dura prova la nostra capacità di resistenza! Lungo il percorso ci imbattiamo in mucche o tori abbastanza tranquilli che comunque pascolano a debita distanza; con i cani bisogna essere più cauti perché possono essere aggressivi e rincorrere letteralmente i passanti; incontriamo dei campesinos che lavorano nei campi o che escono dalle chozas per salutarci in quechua. Così, pian piano ci avviciniamo al Collegio, che si trova però giusto giusto dopo una delle salite più faticose del percorso quindi il più delle volte arriviamo letteralmente senza fiato! I bambini sono lì che ci aspettano e alcuni ci vengono anche incontro! La lezione dura due ore ed i bambini, inizialmente timidi, pian piano si aprono e partecipano con interesse alle attività! In generale le bambine sono più chiuse e non sempre intervengono spontaneamente; i bambini, al contrario, sembrano più spigliati! Al di là dell’apprendimento della lingua inglese, le due ore sono più che altro l’occasione per questi bambini per stare insieme e giocare invece di andare a lavorare nei campi o a far pascolare le mucche! A GAUHIJON ALTO Un giorno un gruppo di bambini mi invita a vedere la parte alta di Gauhijon dove abitano: la salita è davvero durissima e mi ritrovo letteralmente senza fiato dopo pochi metri! Questi bambini, invece, scorazzano a destra e a sinistra, rincorrendo farfalle che mi portano tra le dita o raccogliendo fiori che fanno a gara a portarmi! In men che non si dica mi ritrovo tra le mani un magnifico mazzo di margherite e fiori di trifoglio! Arriviamo al paese e i bambini mi mostrano la chiesa evangelica della comunità; con grande orgoglio, mi informano che alcuni “gringitos” hanno provveduto a posare i tubi dove passa l’acqua che ora arriva direttamente nelle chozas! Washington ( così si chiamava uno dei bambini che mi accompagna!!) mi fa vedere il tubo che porta l’acqua a casa sua e poi mi mostra il suo allevamento di cuys! Non gli par vero che qualcuno stia ascoltando i loro racconti e che gli stia dedicando del tempo! Mi porterebbero fino in cima al paramo se non fosse che mi aspettano ad Esperanza per la verniciatura delle aule! I bambini diventano grandi presto da queste parti: dopo la scuola il loro posto è nei campi ad aiutare i genitori che molto spesso li lasciano anche soli a lavorare! Se cadono o si fanno male, i genitori si assicurano che non sia successo niente di grave e poi continuano nelle loro occupazioni. Il pianto rimane isolato e al bambino in questione non resta altro da fare che rialzarsi, come se niente fosse! FINE DEI LAVORI Dopo circa quattro settimane trascorse ad insegnare inglese a Gauhijon e a verniciare aule ad Esperanza, arriva il momento di lasciare le comunità: anche i ragazzi canadesi, che si sono ridotti ad una decina, hanno terminato con Corrado buona parte delle “gradas” ossia delle gradinate del campo sportivo! Decidiamo di festeggiare cucinando pizze a volontà! Per fortuna c’è Katia che sovrintende con abilità da pizzaiola napoletana ( anche se in realtà viene dalla Valtellina, ma, come si sa, gli estremi coincidono!) la preparazione di ben tre teglie giganti di pizza dentro alla minuscola ma efficiente panetteria di Manuel, fratello di Fransisco, il musicista! E’ davvero emozionante portare quasi trionfanti quelle teglie fumanti e in Ecuador, a 3600 metri, fare festa noi Italiani con dei Canadesi e gli abitanti di un villaggio che non è neanche un puntino sulla cartina del mondo! Ma quanta roba ci sta dentro! La serata si chiude col discorso di Francisco che ha deciso di farci venire le lacrime agli occhi: in spagnolo ringrazia tutti quanti, davvero di cuore e si scusa se qualcosa non è andato per il verso giusto ma lui, dice con invidiabile serenità, è soltanto un esser umano! Intanto accovacciati sulle ginocchia altre persone della comunità mangiano la pizza per la prima volta nella vita e, cosa che stupisce anche Michele, non mettono il cibo in tasca per portarlo via, quasi fossero dei ladri: forse sarà che si sentono a casa loro, anche con tutti noi! Miriam P.S nel caso voleste fare un’esperienza di volontariato in Ecuador, trovate tutte le informazioni che volete sul sito www.Ayudadirecta.Org e … buon viaggio!