In Cambogia tra storia arte gente e natura
Volo senza problemi. Arriviamo a Phnom Penh il 07.08 alle 20.00, appena fuori dall’aeroporto prendiamo un taxi e subito iniziamo a discutere con il taxista (cosa che faremo poi per tutto il tempo) che non ha molta intenzione di portarci all’albergo da noi indicato, ma riusciamo a convincerlo con la scusa di avere degli amici che ci aspettano lì. Ci sistemiamo al Narin1, stanza carina, senza troppe pretese, per 7$. Lasciamo giù gli zaini e ci facciamo portare col tuk-tuk (strano mezzo di trasporto a tre ruote, praticamente un motorino con rimorchio) al Golden River Restourant; una cena da leccarsi i baffi con gamberoni per Luca, granchio per me e birra buonissima, rinfrancante dopo il lungo viaggio.
Per il giorno dopo abbiamo in programma di raggiungere Battambang. Per farlo decidiamo di prendere un mezzo che ci permetta di avere un primo impatto leggero con questo paese: il pick-up. Contrattiamo il prezzo, 3$ a testa e ci sistemiamo sul cassone, circa 2m x 2.5m. Quante persone immaginate di potervi far stare…Due vecchiette, due studenti, quattro ragazzi, mamma e figlia con pidocchi, una donna, tre uomini, non dimentichiamo due biciclette, un motorino e diverse casse, secchi, sacchi. Basta così? Macchè, l’autista continua a caricare gente diretta verso Battambang. Alla fine ci ritroviamo in 23 su quel cassone, mancano poi tre persone sul tetto e possiamo partire! Ci aspettano sette ore di viaggio in condizioni da non poter muovere un alluce! Quello che vediamo lungo la strada ci allevia un filo le sofferenze, ci fa dire che ne è valsa la pena. Le stradine dei villaggi alla periferia della capitale, i contadini e le capanne, mucche, campagna verde e fertile, bambini, monaci; è stata una carrellata di immagini assortite e significative di questa terra. Alla partenza il tempo non prometteva bene, anche durante il tragitto il cielo si è mantenuto pressoché coperto, ma i pochi sprazzi di sole sono stati sufficienti ad ustionarci le spalle; se volete un consiglio, tenete sempre la crema solare a portata di mano e non fatevi ingannare dalle nuvole. Non manca un bel acquazzone, per completare il folklore del viaggio, e arriviamo in questa cittadina in stile coloniale. Ci liberiamo non senza difficoltà dagli autisti di motorino che voglio portarci nel loro albergo, troviamo una stanza al Gold Royal Hotel, 10$. Facciamo un giro per la città, ci arrabbiamo un po’ perchè è impresa ardua bere una birra fresca dato che quasi ovunque mancano i frigoriferi. Cena al White Rose, ottimi gamberetti con citronella, zuppa di verdure e pesce fritto in agrodolce, osiamo anche un frullato senza conseguenze gravi per il nostro intestino.
Al mattino prendiamo una barca per raggiungere Siem Reap sul fiume Stung Sangker. Anche questo viaggio ci permette di vedere dei magnifici paesaggi; villaggi di palafitte, case galleggianti, campi e risaie e attività di contadini. Questo, unito a ciò che abbiamo osservato ieri, rappresenta un importante scorcio di ciò che può essere la Cambogia. Lo consigliamo vivamente. Anche il tragitto in pick-up, alla luce di tutto, è comunque un esperienza da fare…Una volta sola.
Siem Reap è una cittadina nata per accogliere le orde di turisti che visitano il sito di Angkor, e si rivela all’altezza delle aspettative. È piena di locali occidentali, i prezzi sono più alti, la gente è abituata a relazionarsi con gli stranieri e lo sa fare molto bene…Sotto tutti i punti di vista. Qui troviamo le prime vittime delle mine, non a caso hanno trovato il posto più adatto per chiedere l’elemosina e non ne incontreremo più così tanti nel resto della Cambogia che abbiamo visitato.
Alloggiamo al Villa Bakong, 20$ a notte, stanza grande, pulita, gente gentile e disponibile. Visitiamo l’Artisans D’Angkor e compriamo qualcosa perchè se lo meritano proprio. Ceniamo al Samapheap Restourant, il localino è bello, molto a misura di turista ma qui è un po’ tutto così; riguardo al cibo posso esprimermi solo con un giudizio negativo e vi posso assicurare che noi mangiamo veramente tutto, non siamo affatto schizzinosi, ma non dimenticherò mai la mia zuppa di pesci piccoli con le verdure…Aveva un odore acido e il sapore non era da meno.
Dall’Italia avevamo intenzione di fermarci qui tre notti e visitare Angkor in due giorni, poi raggiungere Kompong Cham e arrivare a Kratie con una barca sul Mekong, ma abbiamo modificato il nostro programma alla luca delle difficoltà di spostamento con i mezzi disponibili. Questo giro ci porterebbe via troppi giorni e non siamo sicuri di trovare effettivamente il tragitto Kompong Cham-Kratie sul fiume, quindi decidiamo di fermarci un giorno in più per i templi e poi andare al mare e girare parchi e isole.
Non mi soffermerò a descrivere la bellezza e la suggestione dei templi di Angkor, credo che qualsiasi guida lo sappia fare benissimo. Descriverò il giro che abbiamo fatto e come.
Il mattino dopo ci svegliamo alle 04.45, prendiamo le bici noleggiate all’albergo per un dollaro e all’alba siamo davanti ad Angkor Wat, stiamo lì un paio d’ore e all’uscita siamo sudati come nel peggio pomeriggio d’estate a Milano, tanto che facciamo colazione con omelette e birra fredda alle 8.00! Giriamo sempre in bici, visitiamo Prasat Kravan, Pre Rup, pranzo con banane e un litro d’acqua, Banteay Kdei, Ta Phrom, uno spuntino poi Ta Keo dove ci rifiutiamo di salire perchè siamo stremati; vediamo il ponte Spean Thmor, Thommanon e torniamo ad Angkor Wat per il tramonto che però ci viene prontamente rovinato da un acquazzone. Al ritorno in albergo, dopo che Luca ha bucato una ruota ed è tornato comodo con un tuk-tuk, dopo aver bevuto quattro litri tra birra e acqua e aver sudato l’impossibile per tutta la giornata, ragioniamo sulla nostra scelta della bici come mezzo di trasporto: è stata una grande giornata, molto suggestivo, ma domani tuk-tuk! Cena al Soup Dragon e ci rifacciamo della sera prima. Antipasto con gamberoni fritti poi seppie al pepe verde e banana flambè. Il giorno dopo ancora sveglia presto per essere all’alba al Bayon, ci siamo solo noi ed è un po’ inquietante stare in mezzo a decine di facce che ci guardano da ogni lato! Successivamente visitiamo Baphuon, Phimeanaka, poi con il nostro tuk-tuk al Preah Neak Prean e ci facciamo portare fino al Baray occidentale. Lungo il tragitto ci rendiamo conto di essere stremati! Pranziamo al bacino artificiale in un posticino di legno senza tavoli, ci sono tappeti per terra e amache appese ovunque; siamo gli unici turisti ed è molto bello. Ci facciamo portare all’albergo mentre su di noi si rovescia un acquazzone. Dormiamo secchi nel letto per 5 ore. Per cena torniamo nel ristorante di ieri e prima di rientrare ci fermiamo al bar “Angkor What?” dove ci fidiamo del ghiaccio e ci facciamo portare due cocktails.
Ultimo giorno al sito di Angkor, sempre con il comodissimo moto-risciò visitiamo il raffinato Bantrasrey e ci facciamo portare fino al Khebal Spean; qui ci tocca una camminata di due Km in montagna fino al fiume. Mentre ci riposiamo su delle panchine notiamo un uomo che prende una foglia da un albero e comincia a suonare usandola come un’armonica a bocca…Noi rimaniamo sbalorditi, riesce a suonare in questo modo una bellissima canzone! Siamo molto stanchi anche oggi ma non abbastanza da rinunciare a salire sulla collina fino al Phnom Baken, manca ancora molto al tramonto così evitiamo le orde di turisti e ci gustiamo bene la vista di Angkor Wat, è un po’ un ultimo saluto.
Tornati a Siem Reap, dopo una bella doccia che è diventata una meta agognata di ogni nostra giornata, cerchiamo di organizzare il viaggio di domani; vorremmo fermarci una notte a Kompong Thom per visitare il sito di Sambor Prei Kuk. (Non moriamo proprio dalla voglia di vedere ancora templi, dopotutto credo che con Angkor abbiamo visto abbastanza, ma ci passiamo e la guida dice che merita una visita.). Ci risolve ogni dubbio l’agenzia di pullman Capitol: un biglietto per Kompong Thom costa 3.5$, per Phnom Penh sempre 3.5$, se ci fermiamo a Kompong Thom spenderemmo per Phnom Penh altri 3.5$; incomprensibile, ma ci rifiutiamo di pagare il doppio per lo stesso tragitto e decidiamo di raggiungere direttamente Phnom Penh. A questo punto, ci poniamo l’obiettivo di raggiungere Sihanoukville entro domani sera, la guida afferma che è impossibile compiere questo tragitto in un giorno da Siem Reap, ma noi ci riusciremo! Cena al Bayon II, tutto buono ma la bomba è stata la carne nel piatto vulcano, imperdibile! Ci portano bocconcini di carne cruda e verdure crude, poi una piastra conica bucata posta sopra al braciere e attorno un piattino per metterci il brodo. Carne sulla piastra, verdure nel brodo e in cima un pezzo di lardo che si scioglie piano…Una cena un po’ faticosa, ci vuole un attimo di esperienza poi diventa anche divertente.
Il giorno dopo siamo seduti sul pullman come persone normali, ognuno ha il suo spazio e si sta tutti comodi. Arrivati alla capitale ci avviamo velocemente alla stazione degli autobus per provare a prendere l’ultimo che parte per Sihanoukville alle 14.00, ma non ci riusciamo. Non perdiamo le speranze, infatti ci attorniano subito decine di autisti di taxi e minibus, contrattiamo il prezzo e troviamo un tizio che accetta per 3$ a testa, ci porta con un tuk-tuk al mercato dove un suo amico ci carica su un minibus diretto a Sihanoukville. Partiamo alle 15.00, dopo aver caricato ogni genere alimentare avanzato dalla vendita al mercato. Ci stupiamo del fatto di essere solo in quattro su questo mezzo, possibile che l’autista non ha la possibilità di caricarlo di più?! Ci sono undici posti! Non finisco di pensarlo che ecco…Si ferma e ne carica subito altri tre, poi sulla strada che esce da Phnom Penh un ragazzo si sporge dal portellone del minibus e urla “Sihanoukville? Sihanoukville?” a chiunque…E ci rendiamo conto che un sacco di gente sta sulla strada ad aspettare che passi qualche mezzo diretto verso la loro destinazione! Insomma…In pochi minuti ci ritroviamo in ventitre su questo pulmino! Non ci possiamo credere, loro sono tranquilli e sereni e noi non facciamo altro che imprecare per tutto il viaggio! Oltre chiaramente ad ammirare il panorama che come al solito ci allevia un poco le sofferenze. A metà strada ho seriamente paura di avere le piaghe da decubito in regione ischiatica! Mi preoccupo un po’ per Luca, è intrattabile. Siamo quasi alla meta ma gli ultimi chilometri sono interminabili, ci fermiamo in continuazione a far scendere qualcuno e a volte dobbiamo anche aspettare che ritorni, incomprensibile; noi ci rendiamo conto di non poter sopportare altro, loro invece sorridono e ridono allegramente, non so come facciano dopo una giornata di lavoro. È quasi affascinante! Alla fine termina anche questo viaggio della speranza, siamo riusciti però a raggiungere il mare prima di sera. (A quale prezzo!) Ora tocca a me contrattare con gli autisti di motorino per raggiungere la zona che ci interessa, Luca è troppo nervoso! Non con poche difficoltà seminiamo i nostri autisti e cerchiamo l’albergo, ci fermiamo al “Mealy Chenda”, 13$ stanza doppia vista mare. Ottimo. Ceniamo benissimo in un posticino spartano di fronte all’albergo, “Romduol’s Restaurant” di cui consiglio l’amouk al curry e dove servono birra a prezzi quasi ridicoli (ma ci accorgiamo il giorno dopo che è un po’ così in tutta la città dato che è la sede della fabbrica dell’Angkor Beer).
Programmiamo per il giorno dopo una giro delle spiagge, siamo indecisi se prendere un motorino o la bici; ci informiamo circa il noleggio delle motorette, ma rinunciamo a causa del rischio di essere fermati dalla polizia senza regolare patente…Sembra che presti particolare attenzione ai turisti. Quindi vada per biciclette, un dollaro per tutto il giorno. Sono belle mountain bike, a parte un po’ di ruggine e il cambio non funzionante. Questa città è tutta un sali e scendi e ben presto ci pentiamo della scelta di questo mezzo di trasporto. È gia la seconda volta e ci ostiamo a non ammettere che ci manca il fisico! Ce la caviamo bene spingendo la bici a mano in certe salite. Sulla spiaggia restiamo basiti nel comprendere che occupare un ombrellone e sdraio non costa nulla; ce ne sono davanti ad ogni baracchino e i proprietari sono contenti anche solo consumando da loro una birra per tutto il giorno; alcune postazioni hanno anche l’amaca! Al ritorno ci godiamo un tramonto meraviglioso sul mare dal balcone del ristorante dell’albergo poi ceniamo qui perchè stasera c’è buffè con piatto vulcano, ormai stiamo esperti.
Il giorno dopo facciamo un giro in barca al parco di Ream, il nostro albergatore ci ha organizzato tutta al gita. Con il loro pulmino ci portano a fare colazione e poi al parco, dove prendiamo la barca. Percorriamo il fiume dove ammiriamo le mangrovie sulle rive; ci capita di vedere un’aquila marina, alcuni pesci saltanti e meduse blu grosse come pentole. Arriviamo poi nel mare e ci fermiamo in una spiaggetta. Facciamo del “trekking” nella “jungla”, termini un po’ azzardati per quella che si è rivelata poi essere una passeggiata nel bosco; comunque è stato carino, caldazza indescrivibile, ma di breve durata. Abbiamo visto pochi animali: due serpenti non tanto grandi, una chiocciola, mille formiche giganti, senza contare poi un maiale, quattro cani e due pulcini. Dopo il pranzo con barracuda grigliato torniamo in barca e ci riportano indietro. Decidiamo di camminare un po’ per cena e scegliamo di andare all’Hawaii Seaview Restourant, un po’ difficile da raggiungere ma è proprio sulla sabbia, ci godiamo da qui il tramonto sul mare…Fantastico! Poi ceniamo con granchio e gamberoni. Che buoni! Anche per il giorno successivo chiediamo al nostro ragazzo dell’albergo di fare il giro delle isole. Non sono le isole grandi di Koh Rong e Koh Rong Samlon, abbiamo provato ad informarci per visitarle, ma ci vuole molto più tempo per raggiungerle e occorre una barca grande; non sappiamo a chi rivolgerci così ci accontentiamo del tour organizzato dal nostro albergo. Siamo in molti e in mare ci sono due bagnarole ad aspettarci, ispiravano tutto tranne fiducia. Va benissimo, siamo in 14 sulla nostra barchetta, più la guida e il pilota. La guida, per quello che intendiamo noi con questo termine, è solo un ragazzo che sa parlare bene inglese e porta in giro la gente con delle barche di alcuni pescatori che hanno avuto l’idea di guadagnare un po’ di soldi organizzando queste gite per i turisti. Facciamo un po’ di snorkelling poi ci spostiamo verso un’altra isola, più bella della prima. Ci fermiamo in una baia bianca con dietro alberi verdissimi. Dopo il solito monsone torniamo indietro.
Ceniamo al Treasure Island Restourant, ancora più lontano di quello della sera precedente, anche questo sulla spiaggia. Cena luculliana anche qui, prendiamo gamberoni con olio di fagioli neri e polpa di granchio, servita con curry e cocco. Questa polpa di granchio è per noi una grande scoperta, altre volte prendevamo il granchio intero, buono ma bisognava stare a litigare con i gusci. Al ritorno ci facciamo accompagnare in motorino dal tipo del ristorante perché la strada è completamente al buio e farla da soli a piedi non è assolutamente raccomandabile. I due giorni successivi ce la prendiamo con comodo, sveglia libera, colazione tranquilla e facciamo un po’ di mare senza troppi sbattimenti. Non si può stare sotto il sole ma ci sono le capanne con le amache che fanno al caso nostro! Conosciamo delle ragazzine che trascorrono con noi un pomeriggio, anche se non ce n’è nemmeno una che parla una parola d’inglese è alquanto divertente! Vi racconto questo aneddoto esemplificativo: ad un certo punto una bimba indossa gli occhiali da sole di Luca e scappa, si fa inseguire; noi stiamo al gioco, ma siamo quasi convinti che abbia intenzione di rubarli, sarebbe una delusione per noi che ormai eravamo fieri di starle veramente simpatici e di essere riusciti per la prima volta ad instaurare un rapporto con qualcuno del posto che non avesse interessi. In realtà non sembra avere seriamente intenzione di scappare, potrebbe farlo se volesse, quindi io continuo a giocare con lei. Luca invece si allontana a fare una passeggiata, a questo punto colgo l’occasione e le faccio cenno di andare con lui; lei sempre sorridendo, sgambetta e lo raggiunge, gli restituisce gli occhiali e lui le regala un accendino finito, lei è felicissima. A me rimane però un leggero rimorso per aver pensato male di questa bimba! È proprio difficile separarsi dai pregiudizi. Prima di andare via ci rubano la nostra crema solare, poco dopo ci viene un idea: potrebbero girare per la spiaggia e spalmarla ai turisti con pelle bruciata come la nostra, chi non darebbe a loro un po’ di soldi, anche solo per la simpatia? Sarebbe un businnes! Ma quando raggiungiamo le ragazze è ormai troppo tardi, se la sono già spalmata a vicenda, sono tutte bianche e se la ridono di gusto, l’avranno ormai finita.
Una mattina ci facciamo portare da un ragazzo in moto alle cascate Kbal Chhay, un tragitto abbastanza lungo da farne risentire i nostri glutei. Sono carine, c’è molta gente, tutti Khmer. Io vorrei fare un bagno sotto le cascate, non me la sento di mettermi in costume perché siamo già abbastanza osservati, quindi mi butto sotto la cascata con loro completamente vestita! Che strano! Ormai il nostro viaggio volge al termine, facciamo aimè le borse e ripartiamo verso la capitale. Questa volta prendiamo il pullman, non ci facciamo più fregare! A Phnom Penh alloggiamo all’hotel Indochine, molto carino, a parte il fatto che piove dentro in stanza a causa dei lavori il corso nell’edificio accanto. Per pranzare andiamo al Friend’s, un ristorantino che finanzia un orfanotrofio. Nel pomeriggio visitiamo il palazzo reale e la pagoda d’argento, poi, sotto il diluvio, ci rechiamo a piedi al Wat Phnom. C’è molta gente che prega e anche alcuni studenti attorno ad un insegnante; le statue di Budda all’interno sono tantissime e circondate da offerte, denaro o cibo o biglietti e preghiere. Affascinate. Alla sera decidiamo di mangiare qualcosa di poco caratteristico ma che sicuramente non ci capiterà mai di mangiare in Italia; ci rechiamo all’Happy Herb Pizza. Il nome è abbastanza esplicito. Una pizza così ci ha fatto passare davvero una strana serata. Merita, è un’esperienza simpatica. Il giorno successivo, l’ultimo di questo viaggio perfetto, andiamo a fare compere al mercato russo, il Psar Tuol Tom Pong. Ci passiamo l’intera mattinata, troviamo regalini per tutti e soprattutto per noi, Luca si compra una testa di Bayon in legno e io un quadro a olio raffigurante Angkor Wat all’alba. Nel pomeriggio visitiamo il museo Tuol Sleng, la prigione S21. Credo che sia uguale a tutte le prigioni e luoghi di tortura del mondo, qualsiasi sia il regime responsabile, l’ideologia che l’alimenta e il popolo verso il quale sono diretti. È orribile allo stesso modo. Torniamo un po’ scossi all’albergo, ma ci aspettavamo di trovare ciò che abbiamo visto. Ultima cena al Goldfish River Restourant. Poi a dormire con un po’ di tristezza.
Ci facciamo accompagnare all’aeroporto da un taxi, siamo già malinconici, taciturni, guardiamo fuori dal finestrino per un ultimo saluto a questo paese…Chissà se ci torneremo, sicuramente lo troveremmo molto diverso, sotto certi punti di vista non in meglio.
Dopo in cheak- in ci troviamo una bella sorpresa: 25$ per il visto d’uscita, non lo sapevamo, neanche la nostra “bibbia” (guida lonely placet) ne parlava, per fortuna ci avanzavano un po’ di soldi.
All’aeroporto di Bangkok, dove abbiamo sei ore di scalo, cominciamo a vedere i primi italiani, quelli di ritorno dalla Tailandia e dalle sue isole…Se posso essere sincera, guardando la maggior parte di questi personaggi e sentendo i loro racconti della vacanza, mi sono più volte vergognata di essere anch’io italiana e mi ha colto davvero la tristezza del ritorno e l’inquietudine di dover ripartire di nuovo il prima possibile. Spero di aver sempre la voglia e l’intelligenza di fare viaggi come questo che sta per terminare! Spero inoltre che questo racconto possa servire non solo a me che mi sono divertita nel scriverlo, ma anche a qualcuno che ha intenzione di visitare la Cambogia. Buon viaggio a tutti i viaggiatori che non possono far altro che viaggiare! Elena Luca