Nel paese in cui le giostre vengono fatte girare

NEL PAESE IN CUI LE GIOSTRE VENGONO FATTE GIRARE DALLA SPINTA DEGLI UOMINI (Madagascar 12/8 – 5/9/05) Una domenica di metà agosto, una festa paesana, una piazza, una chiesa e una giostra, di quelle rotonde che hanno i seggiolini appesi a forma di cavalli e macchine. Sulla giostra bimbi felici di volteggiare nell’aria. Mi avvicino e scopro che...
Scritto da: Claudia ..
Partenza il: 12/08/2005
Ritorno il: 05/09/2005
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 3500 €
Ascolta i podcast
 
NEL PAESE IN CUI LE GIOSTRE VENGONO FATTE GIRARE DALLA SPINTA DEGLI UOMINI (Madagascar 12/8 – 5/9/05) Una domenica di metà agosto, una festa paesana, una piazza, una chiesa e una giostra, di quelle rotonde che hanno i seggiolini appesi a forma di cavalli e macchine. Sulla giostra bimbi felici di volteggiare nell’aria.

Mi avvicino e scopro che non è l’elettricità che fa girare la giostra, ma la spinta di due uomini!! Questo è il Madagascar, questa è l’Africa che cercavo e che volevo conoscere e questo è il racconto di un’esperienza che mi ha toccato, forse cambiato e sicuramente mi ha dato nuova forza e vitalità.

12 agosto 2005, prima era una qualsiasi data sul calendario, da oggi è qualcosa di più, è il giorno della partenza per il Madagascar, il primo viaggio mio e di Stefano, un viaggio fatto di vacanza e di terra di Missione.

Il primo incontro con la terra malgascia è la capitale Antananarivo (da tutti chiamata Tanà) ed in particolare la vita che si snoda intorno all’incrocio di fronte all’albergo in cui siamo alloggiati: un gran via-vai di macchine, di persone e di bancarelle!! Siamo qui per aspettare Don Luciano, che incontriamo di persona dopo mesi di mail, mesi di informazioni e di preparativi indispensabili per affrontare i giorni del “Campo Servizio” presso la Sua missione. Che bella persona Don Luciano: solare e cortese che ci fa compagnia mentre facciamo colazione e comincia a raccontarci un po’ di questo popolo e del loro sentirsi un mondo a se e di come per loro tutto inizia e finisce in quest’isola.

E’ tardi, la chiacchierata si è prolungata e la nostra guida IRI ci sollecita per iniziare il tour che da Tanà ci porterà al mare del sud. Salutiamo Don Luciano, l’appuntamento con lui è rimandato al 23 agosto.

Alla periferia della capitale c’è una moltitudine di donne che lava i panni al fiume e poi li lasciano asciugare distesi nel prato. Poi, appena fuori da Tanà, qualcosa che non mi aspettavo di trovare qui: risaie! Risaie coltivate a terrazzamenti e mi sembra di essere in Laos e Cambogia e non in Africa. Iri, la guida, ci spiega che ogni malgascio mangia riso per tre volte al giorno (colazione – pranzo – cena) e così la produzione interna non è sufficiente per il fabbisogno.

Trascorriamo 3h in macchina per arrivare ad Antsirabe, dove il mezzo di trasporto più diffuso è il pousse-pousse (una sorta di risciò). L’idea di essere trainati da un altro uomo non mi piace, ma capisco che per loro è un modo di sopravvivere e così decido per un giretto del centro, alla fine del quale Stefano prova a trainarmi rassicurandomi che non è così pesante come sembra.

A pranzo seguiamo i consigli della Lonely Planet e scegliamo il Pousse-pousse snack-bar, con sedie a forma di pousse-pousse: poteva essere diversamente? Inconsciamente ordiniamo carpaccio di zebù (la mucca malgascia), appena vedo il piatto mi ricordo le bancarelle con la carne esposta per strada e mi rifiuto di mangiarla. Il resto del pranzo però è ottimo.

E’ domenica e lo si vede dalla S.Messa delle 6.30 (di mattina!), a cui partecipiamo e con la chiesa strapiena di gente, ed è inevitabile il paragone con il numero dei partecipanti alla messa domenicale a cui assisto abitualmente.

La giornata è di trasferimento verso il parco di Ranomafama, la strada è tanta e piena di curve ma qui vedo quell’Africa che stavo cercando, fatta di piccoli villaggi e miriadi di bambini, scalzi, sporchi, mal vestiti che appena ti vedono chiedono un bon-bon o un cadeau. Gli diamo penne e quaderni, ma naturalmente non bastano per tutti e allora mi chiedo se questo “dare” abbia un senso.

Finalmente alle 17.30 arriviamo al parco di Ranomafama, appena in tempo per prenotare una guida per il tour notturno delle 18..Qui è già buio! La foresta di questo parco è verdissima e folta e mi ricorda l’amazzonia che ho visto in Ecuador. Eccoli i primi lemuri malgasci, uno piccolissimo vegetariano ed un altro carnivoro che assomiglia ad una volpe.

Mi aspettavo di vederne a decine, invece mi devo accontentare di poche unità, perché anche l’escursione della mattina successiva ci permette di vederne solamente altri due, il primo di dimensioni medie e di colore bianco e nero, il secondo più grosso e marrone. I lemuri mi stupiscono perché saltano da un albero all’altro come scimmie ed è difficile scovarli in questa foresta fittissima.

Dopo le 3 h di faticose ricerche dei lemuri, io e Stefano (forse più io) vorremo rilassarci nella piscina di questa cittadina e così paghiamo i nostri 2000 Ariary (1 euro ca) di entrata, ma poi vediamo lo stato dell’acqua e degli spogliatoi e cambiamo idea. Non perdiamo altro tempo e partiamo alla volta di Ambalavao, dove la foresta lascia nuovamente il posto alle risaie coltivate a terrazzamenti.

Siamo in un piccolo ristorante nella zona mercato di Ambalavao e vicino a noi c’è un tavolo vuoto ancora da sparecchiare e improvvisamente entra un uomo che si precipita sui resti dei piatti vuoti , mentre io e Stefano siamo indecisi sul numero di sambos da ordinare …E allora capisco cosa sia la povertà e la fame. Sempre allo stesso ristorante, mi reco alla toilette e non c’è acqua corrente, in alternativa hanno posizionato un bel secchio con tanto di barattolo per versare l’acqua nel water!! Questo è il Madagascar, mentre non lo è quello che incontro alla “fenetre del parco Isalo” (insediamento roccioso con vista sul parco omonimo), in cui vi sono tantissimi turisti made in Italy, tutti immancabilmente attaccati ai cellulari e i trilli delle chiamate e degli sms rovinano la magia del luogo.

La sera alloggiamo in bungalow che andrebbero rimodernati, ma che sanno di “genuino” perché alle 22.30 tolgono la corrente e il bagno non è separato da una porta, ma da una tenda.

Il parco Isalo che la sera prima mi aveva sorpreso per i numerosi turisti, l’indomani mi sorprende con i suoi bellissimi scenari naturali così estremamente diversi tra loro.

Iniziamo con il Canyon formato da gole e ruscelli, poi con una lunga camminata raggiungiamo le piscine naturali ed il bagno è inevitabile, anche se Stefano galleggia a fatica nei quasi 2 metri d’acqua: quando gli dico che deve fare il corso di nuoto non mi ascolta! Il pranzo è una bella baguette (unico pane che si trova qui) con il formaggino: quanto tempo era con non lo mangiavo? Poi via, altre 3 h di camminata per arrivare stremati alle cascate! Dal parco Isalo puntiamo verso sud alla volta di Tulear e la povertà aumenta, perché la terra è secca e non si può coltivare. Per strada ci sono pochissime macchine e l’unico mezzo di trasporto sono i carretti di legno trainati dagli zebù oppure semplicemente spinti manualmente. Tulear significa anche fine del nostro tour e un pezzo di vacanza che se ne va. Con un po’ di tristezza salutiamo il nostro amico IRI, promettendo a lui e a noi che ci sarà una prochaine fois.

Ed ora Mare! Siamo ad Anakao, una striscia di sabbia bianca che corre lungo un mare cristallino e alloggiamo al “Prince Anakao”, un piccolo resort in stile Maldive con semplici bungalow di legno a pochi passi dal mare Per arrivare qui è stato necessario utilizzare tutti i mezzi di trasporto messi a disposizione dal genio malgascio, prima il carretto degli zebù, poi la barca e infine il camion.

E’ vero che noi siamo nei nostri bei bungalow di legno ma è anche vero che in questo villaggio di pescatori non c’è ricchezza, ma in spiaggia ci sono bimbi che ci chiedono la maglietta che abbiamo indosso in cambio di 5 colannine. Compriamo le 5 collanine, ma subito arrivano altri ragazzini con altre collanine e capisco che non potrò mai comprare a tutti.

Così come capisco che questo mondo è strano, qui ci sono moltitudini di bambini abbandonati a se stessi e da noi tante coppie che vogliono figli e non riescono ad averne..

Capisco anche che questa è la vita e che bisogna andare avanti e che io e Stefano siamo ad Anakao per riposarci e arrivare in forma alla missione di Don Luciano. Sono quindi giornate di sole e mare..O quasi, perché capitiamo in giorni di luna piena che vuol dire bassa marea e così alla mattina il mare letteralmente sparisce e quando ritorna al pomeriggio porta con se il vento che rende quasi impossibile stare in spiaggia! Pazienza, ne approfittiamo per visitare il villaggetto di pescatori che, nei metri di sabbia che dividono il mare dalle case, è un brulicare di attività e di piroghe di legno. Ha ragione Stefano quando mi dice che questa gente si è impossessata della spiaggia, ne ha fatto la loro strada ed infatti c’è di tutto: marinai che aggiustano le vele, donne che lavano i panni, piroghe che partono e piroghe che arrivano e naturalmente bimbi.

Un pescatore ci convince a pranzare in quello che per lui è un ristorante, mentre per noi sono quattro assi di legno piantate a terra. Ci cucina al momento un pesce appena pescato -uno di numero, il secondo non si trova -, lo divide a metà e ci apparecchia con piatti di porcellane e posate di ottima finitura e noi ci chiediamo dove li avrà recuperati.

Il 12 agosto avevamo salutato con un “arrivederci” Don Luciano, il 23 lo ritroviamo a Tanà con un “benvenuti”.

Benvenuti al campo servizio della missione orionina di Anatihazo. Tante volte ho ascoltato testimonianze di giovani che avevano fatto questo tipo di esperienza, ma credo che nessuna parola e nessun racconto o foto possa descrivere quello che ti succede dentro, quello che ti lascia nel cuore e come ti cambi la vita.

Voglio però provare a raccontare, perché possa essere di ispirazione e di sprono per tutte quelle persone che stanno cercando la via e il cammino da seguire! Stanchezza, tanta stanchezza , quella che ti fa crollare dal sonno alle 22 scarse e ti fa addormentare in pochi secondi; contemporaneamente la gioia di contribuire a fare qualcosa per gli altri e poi l’orgoglio di vedere quelle “benedette” aule scolastiche pulite, rimbiancate, nuove!! Si perché i primi gg in missione, Io, Stefano, Enrica, Loredana, Simonetta, Fausta e Patrick (gli altri ragazzi che incontriamo al campo servizio) siamo chiamati a pulire e ridipingere le 5 aule delle classi “Prime” della scuola. Sono anche gg che ci servono per creare l’unità del gruppo e far crescere lo spirito di condivisione di noi sette e tra noi e Don Luciano.

La sera dopo cena, nonostante la fatica, troviamo il tempo di divertirci, grazie a Fausta che è un vero vulcano di idee e che si è portata dall’Italia centinaia di palloncini. Li gonfia e li trasforma in spade, cuori, animali e un casco che finisce in testa a Don Luciano! Certe volte pensi di essere preparato alla povertà, perché hai viaggiato molto nei paesi poveri, li hai già visti i bimbi scalzi, malvestiti e sporchi, hai visto i reportage alle Tv, hai letto Korogocho di Alex Zanotelli, invece non sei preparato. Non lo sei perché non ti aspetti di essere ospitato in una baracca di legno di 1 metro quadrato, in cui si dorme, cucina, mangia..Insomma si fa tutto. Non capisci come la gente possa vivere in quelle condizioni e nella sporcizia, con madri malate di mente, padri inesistenti e poi i bimbi con la loro timidezza nei tuoi confronti.

Questo è quello che i miei occhi vedono e il mio cuore prova, durante la visita con Don Luciano e l’assistente sociale presso le famiglie dei nuovi iscritti alla scuole della missione. Ed è quello che vedono durante la visita alla villaggio di Padre Pedro, dove le persone vivono in una discarica e vivono con quello che c’è nella discarica.

E allora capisco che noi possiamo fare poco, ma anche che è importante e ammirevole l’opera dei missionari come Don Luciano che scelgono di dedicare la loro vita a queste popolazioni, che non potranno risolvere tutti i problemi di questa gente ma daranno loro gli strumenti (la cultura) per provare ad uscirne.

Qui in missione non ci si stufa mai, anche perché Don Luciano con il suo “ANDIAMO!” ci sollecita a muoverci e così ci porta allo zoo di Tanà, al mercatino artigianale per gli acquisti e poi alla missione di Faratsiho, situata alle porte di Antsirabe ed io e Stefano ripercorriamo la strada fatta 15 giorni prima , ma ora è tutto diverso.

La missione è nel centro di un altopiano vastissimo coltivato a risaie e di una gran bellezza. Don Sandro, che ne è responsabile, deve occuparsi della fede dei suoi parrocchiani ma anche dei costruire la struttura missionaria e di aggiustare ciò che si rompe. Che grande persona nel suo metro e 60 di altezza! Del we trascorso a Faratsiho voglio ricordare il matrimonio alle 6 di mattina, il mercato del sabato e Don Luciano che ci compra un’intera canna da zucchero per tutti noi, la stellata a 360 gradi, il guardiano della missione che usa una lancia per difendersi e poi la strada sterrata dove gli unici con la machina siamo noi e infine la doccia speciale (l’unica calda) nel lavatoio.

Quando sono partita per questo viaggio pensavo di sapere quello che avrei trovato, quello che non sapevo era di trovare in questo paese lontano, nuovi rapporti di amicizia e un rinnovo della mia fede.

Noi sette del campo servizio abbiamo veramente vissuto un periodo di condivisione, fatto di momenti di gioia, di allegria, di canti, di preghiera, di riflessione, ma anche di stanchezza e fatica.

Momenti diversi ma importanti che hanno permesso di far nascere “quel qualcosa” che ti porti dentro per tutta la vita.

Vi è stato poi il rinnovamento della mia fede, perché in Madagascar ho trovato Don Luciano, un uomo di Chiesa che ha saputo dare un’impronta giovane, vivace, riflessiva al mio (ma credo di poter dire nostro, includendo tutti noi sette del campo servizio) cammino di fede.

Prima di partire per il Madagascar, credevo che alla fine del periodo missionario avrei capito la mia strada di vita, in realtà ho trovato molto di più: ho rinnovato il mio cuore (dall’Omelia di Don Luciano). Un grazie sincero a Don Carlo, che mi ha suggerito l’idea del campo servizio; a Don Luciano per tutto ciò che ha fatto e detto; e a Stefano, Enrica, Fausta, Loredana, Simonetta e Patrick per avermi sopportato.

Claudia



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche