Dove terra acqua fuoco e aria si incontrano

La sua storia ha inizio molto, ma molto, tempo fa. Occorre, infatti, tornare indietro di qualche milione di anni per capire le origini della Camargue, la zona umida che si estende nel triangolo compreso tra Remoulins a nord, Montpellier a ovest e Fos-sur-mer a est; la zona in cui il Rodano si riversa nel Mediterraneo, formando un delta vasto...
Scritto da: Daniela Palano
dove terra acqua fuoco e aria si incontrano
Partenza il: 06/08/2005
Ritorno il: 20/08/2005
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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La sua storia ha inizio molto, ma molto, tempo fa. Occorre, infatti, tornare indietro di qualche milione di anni per capire le origini della Camargue, la zona umida che si estende nel triangolo compreso tra Remoulins a nord, Montpellier a ovest e Fos-sur-mer a est; la zona in cui il Rodano si riversa nel Mediterraneo, formando un delta vasto (rappresenta, infatti, una delle tre zone umide più grandi in Europa insieme al delta del Danubio e del Guadalquivir) e selvaggio, un mosaico di ambienti in continua evoluzione.

Otto milioni di anni fa, infatti, il Golfo del Leone (le golfe du Lion) si estendeva a nord, fino a raggiungere la città di Lione (Lyon). Il succedersi incessante, nel corso del tempo geologico, di epoche glaciali e interglaciali, ha modellato questa zona, in un continuo alternarsi di avanzamenti e arretramenti del mare e della linea di costa. Una continua danza tra acqua e terra, che ha visto successivamente l’intervento, prima involontario, poi un po’ meno, dell’uomo. L’Uomo dà infatti una svolta alla sua Storia quando abbandona la vita nomade e diviene sedentario. L’agricoltura prima e la lavorazione dei metalli poi causerà un intenso disboscamento, con un aumento dell’erosione e conseguente aumento dei detriti che il Rodano inizia a depositare, iniziando a dar forma a questa terra. La storia della Camargue è anche la storia dell’Uomo e delle civiltà che si sono poi succedute nel tempo. Il nostro viaggio (siamo partiti dalla provincia di Milano in tre, io, mio marito e il nostro piccolo di quasi due anni) inizia il 6 agosto, in uno dei fine settimana da bollino rosso per gli esodi vacanzieri. Dopo 584 Km e 10 ore di viaggio arriviamo ad Arles e più precisamente a Pont de Crau, dove per una settimana alloggiamo al “Les Crins Blancs”; si tratta di una sorta di casolare dove l’appartamento, di 85 m2, è al piano terra e costituisce una porzione di quello che è in realtà un grande fienile. I proprietari, i signori Coule, sono infatti allevatori di cavalli camarghesi (qui appunto chiamati «les crins blancs») che pascolano in semi-libertà nel prato dietro casa. I cavalli camarghesi non sono molto grandi, hanno la testa grossa e le zampe robuste. Appena nati e da giovani il loro manto è marrone, per divenire candido da adulti. Sono i fedeli compagni di lavoro dei guardians, una sorta di butteri maremmani, anche se tanti vengono ora utilizzati per le passeggiate dei turisti. La casa è arredata con gusto e ben attrezzata e la spesa è di 400 euro per una settimana, acqua e luce compresi (per maggiori dettagli si può consultare il sito www.Lescrinsblancs.Camargue.Fr). Madame Angele e Monsieur Jacques sono stati molto ospitali, cordiali e simpatici. Un pomeriggio ci hanno fatto compagnia sedendosi con noi per bere del buon caffè, rigorosamente italiano (erano molto sorpresi nel vedere che avevamo con noi la nostra caffettiera). Erano arrivati a bordo di un furgone per il trasporto dei cavalli per aggiungerne un altro ai 5-6 che pascolavano dietro casa. Ci hanno invitato ad andare con loro, ad accarezzarlo, a far giocare il nostro bimbo e ad andare a vedere gli altri 35 cavalli di loro proprietà. Purtroppo per raggiungere il resto dell’allevamento occorreva attraversare un prato affollato da zanzare affamate e agguerritissime! Questa prima settimana, un po’ più distanti dalla meta reale della nostra vacanza, ci ha offerto, in realtà, la possibilità di visitare luoghi e ammirare paesaggi nei dintorni di Arles di estrema bellezza e suggestione. Arles, «distesa tra le praterie della Camargue, la pianura della Crau e gli aspri massicci delle Alpilles, sulla riva sinistra di un Rodano ormai prossimo a completare il suo cammino» offre «scenari naturali che, al pari delle imponenti vestigia del passato, tanto affascinarono Vincent Van Gogh, arrivato ad Arles due anni prima della sua tragica morte». Così cita la guida verde del Touring Club introducendo la “perla della Provenza”.

L’«Arelate» gallo-romana è una città tutta da vivere. Consiglio vivamente di andare a fare due passi ai mercati del mercoledì e del sabato mattina; il primo in Boulevard Emile Combes, in direzione della stazione ferroviaria, il secondo nel vicino Boulevard des Lices. Si assaporano odori, colori e gusti tutti provenzali. E poi è l’occasione buona per comperarsi un’abbondante porzione di paella, che qui cucinano come fossimo in Spagna. Essendo Arles a pochi chilometri di distanza, ha rappresentato anche la meta preferita per le nostre passeggiate del dopo cena, potendone così apprezzare la bellezza al tramonto, quando la città si fa più silenziosa perché non più affollata dai numerosi turisti. Dal belvedere subito accanto a Notre-Dame de la Major, una piccola chiesa romanico-gotica nell’omonima piazza, si gode un bellissimo panorama sui campanili e i tetti rossi di Arles, che si infuocano alla calda luce del sole che tramonta, mentre sullo sfondo si scorge l’aspra catena delle Alpilles. Non abbiamo mai mancato l’appuntamento con questo magnifico spettacolo! Arles è un autentico scrigno di bellezze storico-artistiche note a tutti i viaggiatori. Vorrei raccontare alcune delle attrattive che questa città offre e che tanti non hanno il tempo di goderne nei loro viaggi itineranti. In queste zone esiste, e si sente forte, soprattutto quando poi ci si sposta verso sud, verso Saintes-Maries, un attaccamento ai tori, che qui viene chiamato la “fè di bioù”, letteralmente la fede nel toro. Viaggiando lungo le strade della Camargue è infatti molto facile osservare mandrie di tori al pascolo, in semi-libertà, nelle “manade”. I tori della Camargue di razza pura hanno il pelo nero, generalmente più folto sulla testa e le spalle. Le corna sono una caratteristica che li contraddistingue: estremamente affilate, bianche alla base e nere verso la punta, sono rivolte maestose verso il cielo. Molto agili e veloci, i tori camarghesi sono in grado di sostenere, sulle lunghe distanze, il galoppo di un cavallo. Ecco perché gli spettacoli taurini sono da lungo tempo la ragione d’essere degli allevamenti dei tori camarghesi.

L’Arena di Arles propone tutti i mercoledì alle 17 lo spettacolo della Course Camarguese. Noi ci siamo preoccupati di acquistare in anticipo i biglietti (7 euro per gli adulti), perché verso le 16:30 si era già formata una lunga coda davanti alla biglietteria. L’atmosfera che si respirava nell’Arena, questa volta riempita da spettatori per lo più francesi e non solo da turisti, era molto eccitante. La Course Camerguese (o Course à la Cocarde) ha le sue regole precise: uno ad uno, sei tori (dai 5 anni d’età in su) entrano nella plaza per un tempo di 15 minuti. Ognuno porta una coccarda, un piccolo pezzetto di nastro rosso, in mezzo alla fronte e dei piccoli ciuffi di lana bianca (le “gland”) su ciascuna delle corna, il tutto tenuto insieme da del solido spago. In campo scendono 16 ragazzi, tutti in tenuta bianca. Nello spettacolo a cui abbiamo assistito erano tutti ragazzi (giovanissimi) di Saintes-Maries-de-la-mer. Tra di loro si distinguono i “raseteurs”, assistiti dai loro “tourneurs”.

Mentre questi ultimi attirano l’attenzione del toro, un raseteur, munito di un uncino, la “razet”, si lancia di corsa verso il toro per cercare di raccogliere tutti i suoi “attributi”, spago compreso. Al primo suono di tromba il toro entra veloce nell’arena avvolto in una nuvola di polvere e ha un paio di minuti di tempo per riconoscere il luogo; il secondo suono dà inizia alla Corsa. I raseteurs sfilano a gran velocità davanti al toro, tentano l’azione vincente (la “raset”) e con un’agilità e un gioco di gambe straordinario saltano la staccionata rossa che nell’arena separa il campo di gara dalla zona sicura! Il problema è che i tori camarghesi sono altrettanto agili e riescono con un balzo a passare al di là. Allora è un fuggi-fuggi di persone; io ero del tutto impreparata a questo fatto, per cui quando il primo toro ha saltato sono scattata in piedi, con zaino e bimbo in braccio, pronta a fuggire!!! Tutt’altra atmosfera si respira, invece, durante uno spettacolo di Corrida, tema che suscita sicuramente orrore e disappunto. Anche io sono sempre stata contraria a certi tipi di spettacoli, ma ho potuto ripensarci un po’ su. Solo assistendo ad una corrida, forse, si riesce a percepirne il senso; pochi conoscono le fasi e i rituali che vi si celano dietro. Esistono vari tipi di corride, noi abbiamo assistito ad una “novillada sans picador” (ingresso adulti sugli spalti 8 euro; tribune 15 euro!).

La Corrida si apre con una specie di corteo durante il quale sfilano davanti al pubblico tutti quelli che ne saranno i protagonisti: per primi entrano due uomini a cavallo vestiti di nero, che si dirigono verso il palco dove siede la giuria. Penso siano coloro che dovranno accertare la morte del toro. Seguono i tre toreri, ciascuno accompagnato dai membri della propria squadra (in questo caso composta dai soli banderilleros). Chiudono altri due cavalli che porteranno il toro morto fuori dalla plaza. La corrida si divide in fasi, scandite dal suono di una tromba. Quando nell’Arena risuona la prima tromba, si apre la porta del torile, il toro entra (questi sono di razza spagnola, più grossi, tarchiati, con le corna ben rivolte verso il torero) e ha inizio così il duello. Il silenzio è davvero pesante e sembra sempre pronto ad esplodere, se in un applauso al matador o in un grido di paura questo non fa differenza. Inizialmente i toreri in campo toreano con una “mantella” color fucsia. Al secondo rintocco inizia la “suerte de banderillas”, durante la quale tre paia di banderillas vengono conficcate nella nuca dell’animale. I toreri si muovono come danzatori, ogni movimento sembra compiersi secondo un preciso rituale, immutato nel tempo.

L’ultimo atto è detto la “suerte suprema”, durante il quale il torero utilizza la muleta, una mantellina rossa, che nasconde la spada che utilizzerà per uccidere il toro. E’ il momento di maggior concentrazione, è questione di attimi; il torero invita il toro alla carica, gli fa abbassare il capo e proprio quando il toro gli è più vicino conficca la spada in un punto preciso, l’unico che segnerà il destino dell’animale. L’uccisione del toro è un momento duro, non ci sono dubbi; eppure per questi animali c’è un estremo rispetto. Né i toreri, né gli spettatori sono lì presenti per il semplice gusto macabro di vedere ammazzato un animale. Lo si capisce dagli sguardi, dalle espressioni, dai commenti degli spettatori più esperti. La tensione, il senso profondo del duello tra toro e torero si sente palpabile nell’aria in ogni istante. Nonostante tutto non credo che assisterò una seconda volta ad una corrida! Le testimonianze storiche e artistiche si possono trovare un po’ dappertutto anche nei dintorni di Arles. Posta su un’altura, a 5 km da Arles, si erge l’Abbaye de Montmajour, che deve il proprio nome all’enorme sperone roccioso, emerso dalla zona paludosa che andò prosciugandosi. Nel 1968 è stata annoverata dall’Unesco tra i monumenti del patrimonio mondiale dell’umanità. La visita (ingresso adulti 6.10 euro) dell’abbazia ha inizio dalla cripta, attraverso la quale, camminando lungo un corridoio scavato nella roccia, si sale alla chiesa del XII secolo dedicata a Nostra Signora, costituita da una navata, piuttosto spoglia e da un transetto. All’interno della chiesa abbaziale vi era ospitata una mostra fotografica e delle installazioni video di gusto piuttosto discutibile! Da qui si accede quindi agli edifici conventuali d’epoca medievale. Il chiostro è molto bello e dalle sue arcate si possono godere scorci suggestivi su parte del complesso monastico. Uscendo nel cortile si passa accanto all’imponente edificio diroccato, contraddistinto per la sua struttura classica, che ospitava il refettorio e il dormitorio, per poi arrivare all’ingresso della possente torre Pons de l’Orme. Unica testimonianza della fortificazione dell’abbazia, la torre merlata è a pianta rettangolare e dall’alto dei suoi 26 metri l’ampio panorama sulla Camargue e sulle Alpilles permette di cogliere l’importanza del ruolo difensivo di questa abbazia. Ai sui piedi, alle spalle dell’abside della cripta, sorge un cimitero rupestre, allestito in questo luogo molto prima che venisse costruita l’abbazia. Le tombe scavate nella roccia ricalcano perfettamente la sagoma del capo e delle spalle per distendersi nell’interezza del corpo immobile.

Proseguendo lungo la strada D17 si giunge alla vicina Fontvieille, borgo molto carino, dove si può fare una sosta e visitare il Moulin de Daudet (che fu fonte d’ispirazione per lo scrittore Alphonse Daudet) isolato nella garrigue, la tipica campagna provenzale. Si lascia l’auto nel parcheggio a pagamento (5 euro); seguendo le indicazioni, si sale una scalinata molto larga che porta, facendolo intravedere sempre più tra i rami della vegetazione, al mulino. E’ una costruzione molto ben conservata; le sue pale, integre, si stagliano alte nel cielo, come braccia aperte ad aspettare il soffio del vento. Nelle vicinanze ci sono altri due o tre mulini, ma molto mal conservati.

Andiamo avanti lungo la D17; già si può ammirare come il paesaggio muti gradatamente. Ci si avvicina sempre più verso le Alpilles, la roccia calcarea modellata dall’erosione crea un paesaggio aspro e suggestivo dalle tonalità dorate. Si arriva ad un bivio dove si segue la D78F che diviene D27 una volta superata Les Baux-de-Provence, una delle attrazioni turistiche più famose e affollate di queste zone. Noi proseguiamo lunga la D5 in direzione di Saint-Rémy-de-Provence, a pochi chilometri dalla quale, sulla sinistra, fanno la loro comparsa Les Antiques, due monumenti di epoca romana, gli unici rimasti a testimoniare l’esistenza di “Glanum”; si tratta di un mausoleo del 30-20 a.C., unico nel mondo romano e un arco trionfale del 10 d.C. Che segnava l’ingresso dell’abitato. Nel 1921 venne poi scoperto il sito archeologico di Glanum, il cui ingresso è sul lato destro della D5 (biglietto intero 6.10 euro). Le rovine sorgono in una valle stretta ai piedi delle Alpilles e la sua estensione la si può ammirare lungo il percorso di visita, salendo su un belvedere. La vicinanza della città ad un’importante via di transito di mercanti, nonché la presenza, in quel sito, di una sorgente d’acqua furono determinanti per la sua prosperità. L’enorme vasca che raccoglieva l’acqua piovana e la scalinata che vi discendeva sono ancora oggi ben conservate. Ai due lati di questa sorgono due tempietti, il primo eretto in onore di Ercole e il secondo dedicato alla divinità “Valetudo”. Di particolare fascino sono le rovine di quelli che furono i Templi Gemelli, di cui rimangono le colonne e la parte sommitale, ancora arricchita da preziose decorazioni. Nella zona del Foro spiccano per il loro stato di conservazione le piscine termali, di cui si vede il sistema di riscaldamento delle acque, nonché alcune abitazioni private. Siamo rimasti sorpresi ed affascinati da questo luogo letteralmente d’altri tempi e devo dire che non ha nulla da invidiare ai nostri famosissimi Fori Romani. Né ha nulla da invidiare al più vicino Pont du Gard, che vale sempre una visita. Non mi dilungo sulla descrizione di un posto tanto famoso; volevo solo fare un piccolo commento alla nuova sistemazione del sito. Sicuramente il centro d’accoglienza, con i vari musei e spazi culturali e commerciali è molto bello, ma a nostro parere le colate di cemento che costituiscono le vie d’accesso, sulle due rive del fiume, che conducono al famoso acquedotto hanno un po’ deturpato il paesaggio. Un primo assaggio di Camargue lo facciamo andando a visitare le famose saline che si trovano ad est dell’Etang de Vaccarès, nell’omonimo paese di Salin du Giraud. Su consiglio del signor Jacques percorriamo la strada D570 per qualche chilometro, quindi svoltiamo a sinistra per seguire la D37 e poi girare in una piccola e stretta strada di campagna che si inoltra nel folto della vegetazione in direzione “La Capeliere”. D’un tratto arriviamo nei pressi dello stagno più esteso della Camargue. Ci fermiamo presso i due punti di osservazione sulle sue rive; le acque dell’Etang de Vaccarès sono di un meraviglioso blu cobalto. Lo sguardo spazia all’orizzonte per cogliere il volo di tre fenicotteri che vanno a planare e a raggiungere gli altri già al pascolo. Il Mistral oggi soffia forte, come tante altre volte, rendendo limpida l’aria e nitidi i colori e le forme. Proseguiamo fino a raggiungere il paese Salin du Giraud. Un po’ più fuori dall’abitato, piuttosto deserto, si mostrano davanti a noi le saline. Un belvedere si affaccia sulle enormi vasche di concentrazione dell’acqua di mare, dove il sale inizia a cristallizzare, di un intenso color rosa. Rappresentano un luogo di notevole importanza non solo economica, ma anche ambientale. Subito di fianco si trova un’immensa montagna candida di sale, scintillante al sole; sembra che tutto il mare si sia concentrato lì! Qui si producono circa 900000 tonnellate di sale all’anno! Terminata la visita proseguiamo verso sud, verso il mare. La strada percorre i bordi di stagni dove l’acqua si fa sempre più salmastra e dove il profumo di salsedine diviene sempre più penetrante. Giungiamo alla famosissima spiaggia di Piémanson, detta anche spiaggia di Arles. Il vento soffia forte, sollevando la sabbia a raffiche. La spiaggia è totalmente deserta, mentre alle sue spalle, nell’enorme parcheggio, si agita il folto popolo dei naturisti!!! Il 13 agosto salutiamo i signori Coule e ci spostiamo verso Saintes-Maries-de-la-mer, la capitale della Camargue, che sorge in riva ad un gelido Mar Mediterraneo. Poco prima di entrare nel centro abitato si incontra una rotonda, nel mezzo della quale si erge l’emblema della città, la Croce della Camargue, nella quale sono rappresentate, fuse insieme, una croce, un’ancora (o una barca) e un cuore, che stanno a simboleggiare le tre virtù cardinali; rispettivamente la Fede, la Speranza e la Carità. E’ da notare, inoltre, le tre estremità della Croce rappresentano il tridente, ossia lo strumento di lavoro dei Gardians camarghesi. A Saintes-Maries, a circa 2 chilometri dal paese, abbiamo prenotato il nostro secondo appartamento, presso il “Mas lou Faro”, gestito da una giovane coppia proveniente dal Belgio, Ronald e Fabienne (www.Camargue.Fr/masloufaro). Questa volta la casa è un po’ più piccola della precedente, ma ugualmente pulita e ben attrezzata. Il suo fascino è che si trova a due passi dall’Etang des Launes, uno dei tanti stagni che circondano la città, per cui i fenicotteri sono di casa. Il nostro balconcino si affaccia, inoltre, su un piccolo canale, affollato di pesci ed anatre, nonché da sciami numerosissimi di libellule. La spesa è un po’ più alta, 550 euro per una settimana, compresi sempre luce ed acqua. A Saintes-Maries si respira un’atmosfera molto festosa; i turisti sono davvero molto numerosi, tanti gli Italiani e camminare tra i vicoli stretti e colmi di negozi non è sempre facile. Il cielo azzurro e terso fa da sfondo alle case bianche dai tetti rossi, creando una magnifica tavolozza di colori mediterranei. Per avere una splendida visione d’insieme di questo vivace paese e della bellezza della natura che lo circonda è consigliabile salire sulla terrazza dell’Eglise des Saintes-Maries (biglietto 2 euro). Costruita tra il IX e l’XI secolo, in posizione strategica, la chiesa venne fortificata tra il ‘300 e il ‘400 con l’aggiunta di merlature, cammino di ronda e possente torrione campanile. Saintes-Maries deve il proprio nome a tre pie donne. Vuole la leggenda, infatti, che Maria Giacoma (sorella della Vergine), Maria Salomé (madre di Lazzaro), Maria Maddalena (la penitente) e Sara, la loro serva nera, approdassero a Saintes-Maries nel 40 d. C. Le tre Marie erano, infatti, state abbandonate in mare, su una barca senza vela e senza remi, dagli ebrei di Gerusalemme, mentre Sara, sulla riva, piangeva e si disperava. Allorché si verificò un miracolo: Maria Salomé gettò il mantello in acqua e Sara poté così raggiungere la barca. L’imbarcazione, grazie alla protezione divina, approdò in Camargue dove le donne si stabilirono. Sul luogo della sepoltura venne poi edificata la chiesa che oggi ammiriamo. Le presunte reliquie delle sante furono rinvenute nel 1448 sotto il coro della parrocchiale; nella cripta, illuminata da miriadi di lumini, si trova invece la statua di Sara, la protettrice dei Gitani, ricoperta di broccati e gioielli. Da sempre Saintes-Maries è meta di pellegrinaggi, in particolare a fine maggio e a fine ottobre.

Saintes-Maries è anche una piacevolissima località balneare. Certo, fare il bagno non è facile; l’acqua ha una temperatura media di 19-20°C (almeno quest’estate è stata così, anche ai TG parlavano di temperature eccezionalmente fredde), a causa, pare, di dispettose correnti marine. Ho capito solo allora perché non leggevo mai nulla circa vita da spiaggia sul sito “Turisti per caso”. Ad ogni modo le spiagge sono per la maggior parte in paese e sono tutte libere, spaziose e ben pulite, frequentate da famiglie e giovani. Noi eravamo oramai ospiti fedeli di una spiaggetta di fronte all’albergo “Les Anphore”, per il semplice motivo che appena al di là della strada si trovava una gelateria eccezionale, di cui purtroppo non ricordo più il nome. Abbiamo fatto merenda sempre lì da loro, con una vasta scelta di gelati, crepes, gauffre e strepitosi churros. Questa seconda settimana è dedicata interamente all’esplorazione della Camargue.

La Camargue si estende per circa 80000 ettari; solo la sua parte centrale, 13000 ettari compresi tra i due rami del Rodano, il Petit e il Grand Rhône, è dal 1970 Parco Naturale Regionale, comprendente riserve botaniche e zoologiche. La Camargue è una terra dai ritmi lenti; occorre del tempo e lo spirito d’osservazione giusto per cogliere a pieno la ricchezza e la varietà dei suoi paesaggi, che ad ogni stagione si rinnovano! Chi viaggia nel territorio si accorgerà presto come la Camargue sia costituita da due grandi zone, ben distinte: la Camargue laguna-marina, che subisce la forte influenza del mare e del sale e la Camargue fluviale condizionata invece dal Rodano. La prima è il regno delle piante ben adattate ai terreni aridi e salati, dove le uniche fonti d’acqua sono salmastre. E’ il regno della Salicornia (detta anche “Fleur du sel”, ossia fiore del sale) la sola che sopporta tassi di salinità impressionanti e della saladelle, chiamata anche la “lavanda del mare”, capace di filtrare l’acqua salata, per ottenerne di dolce. Questa zona prende anche il nome di Sansouire. Un po’ più arretrati i tamarischi. La seconda zona è costituita da depressioni occupate da paludi (marais) d’acqua dolce. La domina il canneto, divenendo così luogo di interesse ornitologico. Parte di queste zone sono ora dedicate all’agricoltura ed in particolare alla produzione di riso.

A testimonianza di come qui la natura sia intimamente legata non solo con la vita degli animali, ma anche a quella degli uomini ci sono le “Cabane”, le abitazioni tradizionali più antiche che si sono conservate fino ai nostri giorni. Le cabane, dette “cabane de gardian”, dai tipici tetti di canne, venivano utilizzate anche da agricoltori, pastori e pescatori. Secondo la tradizione erano orientate Nord-Ovest/Sud-Est, con la parte posteriore rivolta al Mistral. La croce posta sul tetto era in origine l’asse che sosteneva la copertura e che serviva ad ancorare l’abitazione a terra in caso di vento forte. Ora ha solo un significato simbolico di protezione. Le cabane si trovano numerosissime un po’ ovunque in Camargue. Ora sono diventate delle abitazioni moderne e confortevoli, ma il loro aspetto è ancora quello di una volta.

Un modo molto piacevole e rilassante per osservare, inoltrandovisi, la natura di questi luoghi è la crociera in battello (la “promenade en bateau”). Se siete ospiti, come noi, di Ronald e Fabienne, potete scegliere la barca “Camargue”, potendo così beneficiare di un piccolo sconto sul prezzo del biglietto (per due adulti 18 euro, anziché 20). Si parte dal Port Guardian, accanto all’arena di Saintes-Maries; la crociera dura circa un’ora e mezza ed è commentata in francese, anche se a bordo ti consegnano degli opuscoli con la traduzione in italiano. Si esce dal porticciolo e si percorre un breve tratto di mare, quel giorno molto mosso per il vento; la vista del paese dal mare è davvero suggestiva. Il punto in cui il Petit Rhône sfocia in mare è ben riconoscibile, le acque che si incontrano sono ancora ben distinte; blu intenso il mare, verdastra, se non marrone quelle del fiume. Qui il battello vira per iniziare una navigazione un po’ più tranquilla. Risaliamo lungo il Petit Rhône fino all’altezza del Bac de Sauvage. La luce è limpida e nulla si frappone tra lo sguardo e l’orizzonte molto ampio. La nostra attenzione è attratta dai tanti uccelli che popolano le sponde del fiume: garzette, gabbiani, aironi, mentre ogni tanto dei grossi pesci saltano, roteando in aria, per ricadere in acqua tra grossi spruzzi. Poco più in là un gruppo di cavalli si sta abbeverando; sono bellissimi. Facciamo sosta nei pressi di un allevamento di tori, dove si presentano i neri bovini, accompagnati da una graziosa “guardian” a cavallo. La scena sembra da film, ma poter guardare i tori praticamente negli occhi è ugualmente emozionante. Ma la Camargue è anche il regno dei fenicotteri rosa, qui chiamati più romanticamente Flamant Rose. Li si osserva ovunque ci sia uno stagno, alcuni isolati, altri in gruppi numerosi e rumorosi, mentre pascolano raschiando i fondali melmosi. La loro eleganza è inconfondibile, ancor più quando si levano in volo. La loro voce è un po’ stridula, certi atteggiamenti sono quasi buffi, ma rimangono comunque i protagonisti indiscussi di questi luoghi.

Fanno loro compagnia numerosi aironi cinerini e candide garzette; meno facili da vedere, ma ugualmente presenti sono i cavalieri d’Italia e i tarabusini, tutti uccelli presenti anche nelle nostre risaie e campagne ma che nella frenetica quotidianità passano quasi inosservati. A popolare i tanti canali dovrebbero esserci anche i castori; noi in realtà abbiamo solo incontrato tante nutrie, prolifiche e un po’ sfacciate! A pochi chilometri a nord di Saintes-Maries c’è un’oasi di natura e di serenità, il Parc Ornithologique de Pont du Gau (orari estivi: 9-fino al tramonto, ingresso XX euro). Da bravi vacanzieri mattinieri, eravamo all’entrata del parco alle 9 in punto, giusto per evitarci il gran caldo durante la visita. Occorre mettere in conto almeno 3 ore per godersi tutto ciò che questo parco offre. La prima parte del percorso è un po’ più organizzata: ci sono, infatti, tabelloni illustrativi, grandi voliere di rapaci e soprattutto enormi stagni, vivacemente popolati da germani, morette, volpoche, aironi e naturalmente fenicotteri.

La seconda parte è, invece, uno spaccato di Camargue selvaggia, silenziosa e solitaria, dove bisogna prestare più attenzione per avvistare qualche animale.

All’uscita vale la pena fare una visita alla Maison du Parc, dove si possono osservare e scoprire numerose curiosità sul luogo.

Ad una quindicina di chilometri da Saintes-Maries a ovest del Petit Rhône, tra stagni salmastri e saline, si erge Aigues-Mortes (il nome deriva da Eaux mortes ossia acque morte), caratteristico borgo medievale fortificato. Fa molto caldo. Lasciamo l’auto al di fuori delle mura e ci immergiamo in questo mondo misterioso; viste da fuori, infatti, le mura formano un complesso davvero impressionante che nasconde tutto al suo interno. Dentro è un brulicare di gente. Facciamo la visita della cinta aperta da 10 porte, cinque delle quali fiancheggiate da torri cilindriche e da torri merlate. Tra queste la Tour de Costance, che costituisce l’ingresso alle mura (biglietto adulti 6.10 euro); si tratta di un possente mastio cilindrico, collocato nell’angolo nord-ovest, circondato da un fossato collegato al resto delle mura da un ponte a tre archi! Dalla terrazza posta sulla sua sommità si gode un bel panorama sui tetti della città e sulle saline circostanti, che con il loro colore rosa creano un’atmosfera davvero suggestiva.

Il borgo ha il suo fulcro nella Place St-Luis. Testimone dell’imbarco di San Luigi per le crociate, la chiesa “Notre Dame des Sablons”, in stile gotico, è senza dubbio il monumento il più antico della città, dedicato alla vergine sotto il nome di “Nostra Signora delle Sabbie” in riferimento probabilmente alle palude sabbiose delle quale era circondata la città.

Torniamo a casa sabato 20 agosto con tanti bei ricordi di luoghi visitati e di persone deliziose incontrate.



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