L’aria delle montagne d’oriente
Decidiamo di fare un trek di 9 giorni nel Ladakh alla scoperta della Markha valley. I dubbi sono tanti: a me la montagna d’estate non mi è mai piaciuta un granchè, non sono un trekker e non sono neanche allenata per camminare 6-7 ore al giorno. La voglia di arrivare in cima al mondo è però più forte quindi si parte come sempre senza tanti “ma” e senza tanti “se”.
4 AGOSTO: scalo a Delhi L’India.
Concedetemi un pensiero per la mia India.
Sono scesa a Delhi e mi sono sentita di nuovo a casa. Mi è passato davanti il viaggio dell’anno scorso e la tentazione di ricominciare di nuovo a vagabondare in questa terra è stata fortissima.
Ovvio che un pensiero sia volato anche dall’altra parte della costa a Calcutta. Non ho dimenticato.
5 AGOSTO: Leh Partiamo alle 7.00 per Leh, la capitale del Ladakh, questa piccola regione himalayana abitata da una folto gruppetto di rifugiati tibetani e da un popolo che ha la sua religione, le sue tradizioni e la sua cultura: i ladakhi.
Leh si trova a 3400 mt e appena si scende dall’aereo si sentono subito tutti e 3400!!! Ogni passo costa una fatica incredibile. Mi manca il fiato. Dopo che ho fatto la rampa dell’albergo ho il fiatone e mi chiedo come farò a fare il trekking…
La capitale (suona strano questo nome se si pensa a Delhi o alle grandi città indiane…) è carina. Al di là delle due vie principali che, come di consueto in oriente, propongono ai turisti un vasto assortimento di artigianato locale, i vicoletti di questo paese sono incantevoli. Nelle strade Leh è rimasta ferma a 50 anni fa: ci sono le botteghe che lavorano il legno e quelle che preparano il pane; i bambini giocano in strada e il mercato è ancora al centro della vita del paese. Ho subito notato che qui la gente è molto cordiale e sta bene con il poco che ha. Non si vedono scene di povertà estrema come in ogni città del resto dell’India.
Non si può parlare di Leh e della sua gente senza parlare della religione. Quasi ogni casa espone le bandierine di preghiera buddista e quasi ad ogni angolo sono presenti chorten in pietra.
Al centro della città c’è anche una bellissima moschea la cui architettura si interseca perfettamente con il paesaggio circostante. NOTE DI VIAGGIO: Alloggio: Hotel Horzey (15 euro a notte) Ristorante: Dreamland: buono e abbastanza economico. Il servizio è abbastanza veloce.
6 AGOSTO: Monastero di Tagthog e di Chemre Necessario a queste altitudini fare qualche giorno di acclimatamento così i nostri primi giorni in Ladakh sono dedicati a visite ai monasteri.
Questa mattina ci siamo alzati presto, abbiamo preso le jeep e ci siamo recati alla volta di due monasteri.
La premessa è che questi paesaggi mi hanno subito folgorata. Montagne immense, desertiche e in cima al cucuzzolo, come nei film, questi monasteri…E poi vallate straordinarie, incredibilmente verdi.
A rovinare il paesaggio a tratti mozzafiato, ci sono le colonie militari a presidiare questo territorio di confine…Così vicino al Kashmir ormai da anni territorio conteso tra India e Pakistan. Eppure io mi chiedo come si fa. Come si fa a contendersi un territorio che per le sue caratteristiche geografiche e culturali deve rimanere libero. Quassù, su queste montagne i padroni devono essere loro. Gli abitanti. E nessun altro. Arriviamo al monastero di Taghtong. Il monastero si compone di due parti: una parte nuova e una vecchia, entrambe molto belle.
La parte vecchia è più suggestiva; mi ha colpito molto la sala della preghiera fatta di argilla.
Il secondo monastero che visitiamo è quello di Chemre. Quello che più colpisce è sicuramente la posizione. In cima a una collinetta, il monastero si dispone per tutto il pendio. Da quassù si gode una vista straordinaria. A me sembra già di essere così in alto e invece devo ancora incominciare a salire…
7 AGOSTO: destinazione LAMAYURU Il Lamayuru è sicuramente il monastero più famoso di tutto il Ladakh ed è visitato da tanti turisti.
Decidiamo di dormire in una guesthouse proprio vicino al monastero in modo da poterlo visitare all’alba quando non c’è nessuno. Per andare al Lamayuru la strada è lunga (circa 4 ore di jeep da Leh). Il paesaggio è straordinario. In particolare c’è un punto dove si congiungono due fiumi dove si ha una vista strepitosa. Le montagne cambiano colore ad ogni curva, ad ogni inclinazione della luce, e poi immense vallate, verdissime che si contrappongono a una montagna arida.
E poi canyon profondi, fiumi e terra…Che terra. Facciamo due tappe.
Prima ci fermiamo al monastero di Alchi. La sala della preghiera è stupenda. Risale al XI secolo e dentro ci sono quattro Buddha enormi e al centro un chorten. La seconda tappa la facciamo a quello che, secondo me, sarà il più bel monastero che abbiamo visitato: il monastero di RISONG.
Ci fermiamo con le jeep alla base della montagna e, dopo un chilometro di camminata, si apre davanti a noi, in tutta la sua grandezza, questo bellissimo monastero. Sopra solo le nuvole. Il monastero ha alla base la scuola per i piccoli monaci e di fronte la catena montuosa dello Zanzskar.
La vista è favolosa. Quanto sono belle queste montagne. E’ difficile da spiegare lo stupore che ho provato perché non pensavo di emozionarmi così davanti a una montagna. Ma sono così alte e così imponenti che mi trasmettono un senso di libertà che non provavo da tanto tempo.
Il monastero si compone di diverse sale per la preghiera e delle stanze dei monaci. Paolo ha la fortuna di essere invitato nella casetta di un monaco che gli offre il the al burro di YAK. Mi dice che è un piccolissimo appartamento con il letto, una finestrella e tutto ciò che serve per la preghiera.
I monaci a me fanno tanta tenerezza. Soprattutto i bimbi mi emozionano particolarmente. Tutto è come in Italia qualche decennio fa…I bambini giocano fuori la scuola con quello che hanno cioè poco o niente. Le loro classi sono semplici ma pulite e molto decorose.
Arriviamo al Lamayuru dove dormiamo in una guesthouse proprio vicino al monastero che è semplicemente strepitoso. La posizione è stupenda, e la sera quando il sole cala e i turisti non ci sono più dalla finestra della mia camera posso godere di uno spettacolo che non dimenticherò mai.
Scende la notte. E che notte. Fra queste montagne la notte è nera.
8 AGOSTO: ritorno a Leh.
La mattina ci alziamo alle 5.00 e andiamo ad assistere alla puja, che è la preghiera dei monaci buddisti.
Una parentesi sull’alba al Lamayuru.
Solo lo spettacolo che offre questo posto all’alba merita il viaggio.
E’ un luogo straordinario: il monastero antico e imponente, le montagne che lo raccolgono e lo proteggono, i monaci che lo popolano, la terra della luna che lo colora.
Ogni cosa è al suo posto.
La Puja dura un’ora e mezza ed è una bella cerimonia. Ci sono monaci giovanissimi che siedono rivolti verso l’esterno e monaci più grandi che invece siedono rivolti verso l’interno della stanza della preghiera.
I monaci durante la preghiera fanno colazione con burro di yak, farina e chai.
E siccome tutto il mondo è paese anche qui i bambini durante la preghiera fanno i capricci, e invece di pregare giocano e si fanno i dispetti. I monaci più anziani invece dirigono la preghiera scandita dal suono del gong, dei piatti e delle campanelle. La cerimonia è molto suggestiva.
Dopo la puja cominciamo la strada di ritorno verso Leh con una bella camminata attraverso la valle della Luna (moon land). I contrasti e i colori sono davvero belli: si alternano il giallo intenso, il nero, il viola, il verde e il rosso.
Con la jeep raggiungiamo, prima di arrivare a Leh, il monastero di Likir che è carino ma la cosa più interessante è che siamo arrivati durante un compito in classe dei monaci buddisti. I bambini sono molto concentrati e assistiamo divertiti a scene di cui ognuno di noi un giorno è stato protagonista: c’è chi ha i bigliettini, chi chiede aiuto al professore, chi sbircia e chi è il solito secchione…
9 AGOSTO: partenza per il trekking- 1 tappa 3350 mt.- 4 ore di camminata E mi sembravano mille ore…Durissima il primo giorno.
Ci fermiamo a pranzo vicino a un torrente. Il paesaggio mi piace molto. Siamo ancora in un tratto di percorso che si può fare anche in jeep quindi ancora siamo in un posto abbastanza frequentato.
Arriviamo alle 14 al campo dove pianteremo le nostre tende.
Dopo cena alziamo gli occhi e sopra di noi si presenta una distesa di stelle come difficilmente ne ho viste altrove. Ci troviamo in una conca quindi il cielo è ridotto in un frammento ma è pieno di stelle ed è incredibilmente bello.
10 AGOSTO- 2 tappa- mt 4400- 7 ore di camminata Si parte alle 8 della mattina quindi sveglia alle 6.30, si smontano le tende, si fa colazione, si prende il pranzo al sacco e ci si incammina. Oggi è impegnativa. I miei compagni di viaggio dicono che il dislivello è parecchio. Capirò sulla mia pelle quanto pesa ogni metro di dislivello a queste quote.
La mattinata passa bene. Tra paesaggi mozzafiato, gole stupende e ambienti sempre diversi.
Alle 11 facciamo una piccola deviazione verso il vicino paesino di RUMBAK. Qui incontriamo una giovane donna ladakha che ci invita nella sua casa. Le faccio una foto e lei è tutta emozionata quando si rivede nel display della mia macchina digitale.
La cucina dove ci accoglie è molto semplice ma ordinata alla perfezione.
Non parla inglese come quasi nessuno degli abitanti di questi villaggi che incontreremo lungo la strada perciò ci si intende a gesti e sorrisi. Ma va bene così. Significa che il turismo di massa qui ancora non è arrivato con la sua irruenza e prepotenza. E’ arrivato in punta di piedi e in punta di piedi ogni anno a settembre se ne va. E speriamo che resti così per sempre perché questo è ancora un popolo vero e genuino e per questo tanto affascinante. Il paesino è composto da poche case in pietra e grandi campi di frumento che sono il simbolo del villaggio ladakho.
Dopo pranzo la salita è lunga e la quota si fa sentire. Ogni metro mi pesa come un macigno. La cosa incredibile è che faccio 10 passi e mi sembra di aver scalato una montagna per 10 ore e poi mi fermo e dopo un istante sono fresca come una rosa pronta a partire. E’ la quota si dice.
Comunque ad allietare la mia fatica sono queste facce di popolo che incontriamo per strada: la contadina, i bambini, i cavallanti. Il popolo. La mia passione.
Arriviamo nel primo pomeriggio al campo e come al solito montiamo le tende, ci diamo una lavata nel fiume (a 4400 metri l’acqua è freddissima!!!!) e aspettiamo la cena. La sera siamo stremati ma non possiamo rinunciare a guardare stupiti il nostro cielo che questa sera ci regala la luna, solo per un po’ prima di sparire dietro la montagna.
E’ la notte di San Lorenzo. Cadono le stelle cadenti. E io non ho desideri. Sto proprio bene così. In pace. E non posso volere niente di meglio.
11 AGOSTO: 3 tappa- mt 3300- passo a 4900 mt- 8 ore di camminata La camminata di questa mattina è durissima.
Sono 500 metri di dislivello e li vedo tutti davanti a me. In queste occasioni conta anche la questione psicologica…Insomma già fatico tantissimo…Per di più alzo la testa e mi vedo davanti una salita infinita… Cammino senza pensarci troppo e arrivo al passo a 4900 mt. E arrivati quassù non mi ricordo più della fatica delle 2 ore precedenti. Da quassù la vista è strepitosa e mi sento così in alto. La camminata che ci porterà al campo a 3300 metri è bellissima. La più bella di tutto il trekking. Si costeggia un fiumiciattolo e si attraversa una gola straordinaria. Una roccia color verde si fonde con una vegetazione arida ma rigogliosa.
Campeggiamo al paesino di SKIU sulla riva del fiume Markha dove facciamo il bagno. Che bello potersi fare il bagno dopo tante ore di camminata. Anche se l’acqua è freddissima il sole picchia forte e ci asciuga subito. Siamo completamente immersi nella natura di questo posto straordinario ed è una bella sensazione.
Il paesino offre un piccolo monastero e diversi chorten alcuni posti in posizioni incredibili in cima a speroni rocciosi raggiunti chissà come.
12 AGOSTO: 4 tappa-3800 mt-7 ore di camminata.
Stamattina si parte per una lunga camminata che ci porterà ai piedi del paesino Markha. Il percorso è molto lungo (17 km) ma molto piacevole. Il sole picchia forte oggi. Guadiamo il fiume Markha e arriviamo al campeggio che è stupendo. Ci siamo solo noi e gli abitanti della casa che ci è di fronte.
Mi presento subito alla gentile proprietaria che non solo mi concede una foto con lei ma quando si rivede nello schermo della digitale è così contenta che ci inviata a casa sua e mi offre dell’ottimo chai e a Paolo un bicchiere di chang che è la birra locale. Ci spiegano in un misto di inglese e ladakho che è un distillato dell’orzo e che è la bevanda abitualmente consumata dagli uomini ladakhi. L’assaggio anch’io: il gusto è molto diverso dal nostro e per me è decisamente troppo alcolica.
La cucina dove ci accoglie presenta una vasta gamma di stoviglie ordinate e lucidate alla perfezione.
Facciamo il bagno al fiume e la notte stavolta è insuperabile. Lo spazio dove campeggiamo è aperto e abbiamo un bel pezzo di cielo da osservare. Prima la luna illumina incontrastata poi sparisce dietro la montagna e le stelle entrano in scena, tutte bellissime protagoniste di un cielo senza paragoni.
13 AGOSTO: 5 tappa- mt 4200- 6 ore di camminata.
Partiamo come sempre di buon mattino e attraversiamo subito il paesino Markha dove incontriamo qualche bambino e due giovani donne che lavorano l’orzo. Il paese, poche case in pietra, è circondato da distese di frumento sapientemente irrigate.
La camminata è piacevole anche se è davvero molto caldo e i due guadi che ci aspettano ci rinfrescano e ci danno la carica per continuare. Incontriamo un bel monastero posto in cima a uno sperone roccioso.
Il pomeriggio la camminata è più faticosa ma il paesaggio che questa splendida valle ci offre mi fa dimenticare la fatica. All’orizzonte finalmente si vede la nostra meta: il Kang Yatze. Lo vedo lontanissimo eppure domani saremo lì, appena sotto la sua vetta.
La camminata continua tra villaggi e chorten e pietre incise di mille preghiere, campi di frumento e ponti sospesi sul fiume.
E si incontrano contadini e signore che filano la lana e le intrecciano con la pelliccia di yak.
Arriviamo al campo a quota 4200 in un bel campeggio in riva al fiume.
14 AGOSTO: mt 4850-6 tappa- 4 ore di camminata Dobbiamo arrivare al campo base del Kang Yatze.
La camminata è “breve” ma molto faticosa sia per la salita che per la quota.
Quando arriviamo al campo questo monte e i suoi 6200 mt di altezza ci sembrano solo un imponente collina…Solo ieri mi sembrava lontanissimo…Il campo dove piantiamo le tende è bellissimo. Intorno a noi ci sono solo montagne e niente altro a ricordarci di essere nel 2005.
15 AGOSTO: mt. 4800- 7 tappa- 1 ora La camminata è a questo punto una passeggiatina tra le colline… E’ un giorno di riposo. Il campeggio è carino ma il mio pensiero e rivolto a domani dove arriveremo a 5300 mt. Ho davanti la salita che ci aspetta…Non sembra poi così lunga ma lo è.
16 AGOSTO: 8 tappa- 3700 mt- passo a 5300 mt- 7 ore di cammino.
La salita è dolce e la soddisfazione di arrivare a 5300 mt è tanta.
La vista è magnifica: di fronte il Kang Yatze e di dietro una valle rocciosa profonda e inquietante.
La discesa è all’inizio molto faticosa perché è molto rapida. Sulla strada incontriamo qualche paesino e una scuola che visitiamo. E’ una prima elementare e già studiano l’inglese.
Nel primo pomeriggio siamo già al campo. Domani è l’ultimo giorno di trekking. Stanotte l’ultima notte in questo posto senza tempo. Saluto questo splendido cielo che mi ha regalato notti magiche con un arrivederci e un sincero grazie. Grazie di avermi ricordato che ancora esistono posti così fuori dal tempo e dallo spazio, dove ogni bisogno è annullato, dove finalmente ci si sente davvero liberi.
17 AGOSTO: 9 tappa- 2 ore di camminata- 3400 mt La camminata di oggi serve solo per raggiungere il posto dove verranno a prenderci le jeep.
La mattina si riduce nell’attesa delle nostre jeep, nello splendido ricordo di un trekking memorabile e uno sguardo rivolto al Nepal.
Sulla strada del ritorno ci fermiamo al monastero di Hemis ma sarà il fatto di essere stati così bene per 9 giorni fuori dal mondo o sarà la gente che affolla questo posto diventato troppo turistico, il monastero non ci affascina per niente. Il pomeriggio siamo a Leh.
18 AGOSTO: Leh Ci riposiamo e ci prepariamo per partire per il Nepal.
IL LADAKH, I LADAKHI, IL BUDDISMO … Gente meravigliosa i ladakhi.
Un popolo ancora ancorato alle sue tradizioni, strettamente legato alla religione buddista che caratterizza non solo i paesaggi di questa terra colorati dalle bandierine delle preghiere buddiste e impreziositi dai monasteri e dai chorten ma anche la vita di questa gente in ogni suo aspetto.
Persone modeste i ladakhi, non abituate al turismo di massa ma curiosi dello straniero che di tanto in tanto d’estate gli fa visita.
Ci ospitano nelle loro case in cambio di niente e a noi non ci sembra vero. Ci offrono la loro cordialità, la loro cortesia, i loro sorrisi e il loro buon tè e noi in cambio offriamo solo un sorriso, un grazie e un po’ di imbarazzo. Non siamo abituati a tanta gentilezza. Certo noi non facciamo così a casa nostra con i turisti che ci fanno visita. Ma noi siamo proprio un’altra storia.
Le donne ancora vestite secondo tradizione, i bambini che vanno a scuola, i monaci che studiano nei monasteri: è tutto molto vero.
I monasteri appunto. Certo non si può parlare di questo Piccolo Tibet senza spendere due parole sui suoi monasteri. Stupendi nella posizione e negli interni. E affollati di anziani monaci e di giovanissimi monaci che studiano questa religione fin da giovanissimi. Il buddismo in fondo è nella sua natura è uno stile di vita più che una religione.
Un pensiero malinconico va al vecchio Tibet. Al paese delle nevi che non c’è più. E a questi monasteri che tanto fanno parte dell’immaginario collettivo del Tibet, in Tibet non ci sono più. E allora ci accontentiamo di questo Piccolo Tibet non senza farci domande, non senza dimenticare. E ci chiediamo come è possibile bruciare così le tradizioni di un popolo sereno e pacifico, come si può annullare una cultura così affascinante, come si possono distruggere questi meravigliosi luoghi di culto senza che nessuno si ribelli, incontrastati.
E ora che il Tibet è cinese, il Tibet non c’è più. La consolazione, piuttosto misera direi, è che i rifugiati di questa terra hanno ricreato dei piccoli paradisi sparsi qua e là soprattutto in India e in Nepal. E a noi hanno lasciato rabbia e rimpianto di non aver capito che stava succedendo in quel lontano 1956.
Il nostro piccolo Ladakh è ciò che resta del grande Tibet, così simile ad esso nella cultura e nel paesaggio.
A volte mi chiedo come si faccia a vivere in queste montagne che a noi sembrano così affascinanti ma che nella realtà presentano evidenti problemi di adattamento per la vita umana. Eppure il senso di pace di questo popolo è talmente genuino che alla fine penso che il loro modo di vivere è solo un modo diverso di vedere le cose, di disegnare le priorità. Non è ancora entrato nell’epoca delle bombe il Ladakh, e tutti i militari che invadono questa terra non sfiorano l’animo del popolo delle montagne.
SOTTO UN CIELO PIENO DI STELLE Non sono mai stata un trekker e non credo che lo diventerò mai. A me le montagne piacciono d’inverno e in discesa. Non credevo di rimanere particolarmente colpita dai paesaggi del Ladakh, non dopo km di cammino, ore di cammino. Non sono certo allenata io per certe sfacchinate. Faccio sport ma niente di più. Questo il mio stato d’animo quando sono partita. Curiosa certo di questo popolo e della sua cultura come sempre, ma “le montagne sono solo montagne”, mi dicevo. Arrivata in Ladakh ecco che tutto è cambiato. Dalla prima corsa in jeep, dalla prima camminata queste montagne, questo paesaggio così brullo ma incredibilmente vario di colori e forme mi ha rapito il cuore. E a mi ha stupito ogni giorno.
Alla fine di una salita il paesaggio è sempre diverso: puoi trovarti davanti a profonde gole, a valli verdissime, a immense catene montuose che ti ricordano che sei sull’himalaya e si vede.
E più si sale più diventa tutto più bello: pochi sentieri, pochi tracciati e poca gente.
E poi la notte. Che notte. La luna illumina queste altissime montagne donandole un aspetto ancora diverso. E quando la luna scompare dietro le rocce resta solo un cielo pieno di stelle.
IL LADAKH E IL XX SECOLO Fino agli anni ‘70 il Ladakh era una regione chiusa al turismo. Si dice che chi venne da queste parti nei primi anni ‘70 trovò una Leh in versione paesello di montagna. Da allora molte cose sono cambiate ma molte sono rimaste ancora genuine. Leh è un centro turistico e ci sono più alberghi che case locali, i monasteri intorno alla capitale sono affollati di turisti spesso invadenti.
Ma ancora è abbastanza facile perdersi fra le montagne e ritrovare le antiche tradizioni di questo popolo. I paesi sono ancora abitati e i monasteri sono ancora pieni di monaci. I turisti tra le montagne sono limitati al periodo estivo e non è ancora un turismo di massa perché la maggior parte dei luoghi che abbiamo visitato non sono raggiungibili in auto e la fatica che si fa per raggiungerli seleziona pochi turisti appassionati e rispettosi della montagna.
La paura è come sarà il Ladakh tra qualche anno. Perché dove arrivano le jeep arriva il turismo di massa che tutto distrugge. Siamo fiduciosi che chi leggerà questo racconto e deciderà di andare nel Ladakh ci andrà in punta di piedi e in punta di piedi verrà via, senza fare rumore.
19 AGOSTO: destinazione Kathmandu Ci sarebbe piaciuto arrivare a Kathmandu come da piano alle 13 ma l’errore è stato avere un piano.
Insomma siamo in India: avere un piano e come avere un sogno irrealizzabile.
Perdiamo la coincidenza a Delhi per Kathmandu in quanto il nostro aereo da Leh parte con tre ore di ritardo. La compagnia con cui voliamo ci prenota la prima classe per il giorno dopo e ci paga la notte a Delhi in un bell’albergo vicino all’aeroporto.
La giornata passa così aspettando di arrivare in Nepal 20 AGOSTO: il Nepal davvero.
La visita è dedicata alla capitale del Nepal, Kathmandu. E’ molto carina. Oggi è la festa della vacca e tutto il paese è in festa. La piazza centrale (Durban Square) è molto bella e caratteristica e oggi è anche particolarmente affollata, colorata e allegra. Dopo un bel giro fra le viuzze di questa città prendiamo un risciò e ci facciamo portare al tempio indù famoso per le cremazioni, come a Varanasi: Pashupatinath. Qui come a Varanasi l’ambiente è molto suggestivo ma io ho l’impressione di essere un occidentale nel posto sbagliato. Visitiamo il sito abbastanza velocemente, assistiamo a una cremazione e poi torniamo a Tamhel con un taxi.
Il Nepal ci intriga da subito moltissimo. Un aspetto che ci salta subito agli occhi è la commistione di culture e religioni che il Nepal ci offre. NOTE DI VIAGGIO: Il visto per entrare in Nepal si fa all’aeroporto di Kathmandu e costa 30 dollari.
A Kathmandu abbiamo alloggiato alla Kathmandu Guesthouse nel quartiere di Tamhel. Una camera doppia con bagno comune costa 6 dollari (390 RS). Le camere sono pulite e anche i bagni. La guesthouse offre ogni genere di servizio (non certo a buon mercato) e l’ambiente è molto carino e familiare.
L’entrata alla Durban Square costa 250 RS e anche l’entrata a Pashupatinath. La corsa in taxi fino al sito indù costa 90 RS. Il ristorante della KGH è molto buono ma un po’ costoso (una cena completa per due costa sulle 600 RS).
21 AGOSTO: Bakthapur Arriviamo a Bakthapur di buon mattino. Lasciamo le nostre cose in hotel e visitiamo la città che è davvero molto bella.
Non ci sono macchine a Bakthapur e questo rende la città piacevolissima da visitare.
Al di là delle piazze che sono tutte splendide, dalla Durban Square alla Potter’s Square passando per Taumadhi Square, i vicoli lontani dal percorso turistico sono caratteristici: si possono incontrare donne che stendono il frumento ad essiccare al sole, botteghe di artigiani che intagliano il legno e semplicemente gruppi di persone intorno a un tempio indù intente in coloratissime e pittoresche preghiere. E ancora bambini che giocano, donne che filano la lana e uomini che giocano a carte, oggi che è domenica. E così seguendo una di queste stradine si arriva a Potter’s Square, piena di vasi lasciati ad essiccare al sole e poi a Tachupal Tole dove proprio dietro il tempio di Dattaraya c’è il Peacock Shop. Sul retro del negozio è possibile visitare la fabbrica della carta. Molto interessante. Il “boss” ci spiega tutte le fasi della lavorazione della carta e in particolare ci fa vedere il confezionamento dei bigliettini di Natale, fatti con la tecnica dello stensil. In questa piccola fabbrica lavorano 8 persone di cui 2 uomini addetti alle macchine pesanti per stirare e tagliare i fogli di carta e 6 donne che invece si occupano dei lavori manuali di disegno e costruzione del biglietto.
Dopo un the a Nataya cafè da cui si gode proprio una bella vista sulla piazza Taumadhi Square andiamo in camera a riposarci un po’ visto che inizia a piovere.
A cena accompagnano il nostro pasto un gruppo di nepalesi che cantano proprio sotto il ristorante, nella piazza.
NOTE DI VIAGGIO: Entrata a Bakthapur: 10 dollari Taxi da Kathmandu: 300 RS Golden Gate Guesthouse: camera doppia con bagno 500 RS Ristoranti: Marco Polo restaurant (economico) e Sunny restaurant in Taumadhi Tole (entrambi davvero molto buoni).
22 AGOSTO: Thimi- Patan La mattina andiamo a piedi da Bakthapur a Thimi.
Thimi è un tipico villaggio newari; la popolazione è dedita all’arte del legno e della ceramica. L’artigianato propone delle marionette interamente fatte a mano davvero molto belle. Non resisto, neanche ci provo, e ne compro una che adesso ho proprio qui davanti a me ed è stupenda. Al ritorno da Thimi prendiamo i bagagli e partiamo per Patan dove dormiremo una notte. La città è carina ma non è nulla di particolare. La Durban Square è la più generosa di templi rispetto alle altre città che abbiamo visitato ma oltre a questo non c’è nulla che ci colpisce.
Per la visita probabilmente è più che sufficiente un’escursione in giornata da Kathmandu o da Bakthapur che invece merita una sosta di almeno un paio di giorni.
NOTE DI VIAGGIO: Taxi da Bakthapur a Patan: 200 RS Mahabuddha Guesthouse: camera doppia con bagno 400 RS Ristoranti: Taleju Restaurant (molto buono, economico e veloce e offre una bella vista sulla Durban Square) e Cafè de Patan.
Entrata alla Durban Square di Patan: 150 RS
23 AGOSTO: Bungmati- Bodnath La mattina andiamo a Bungmati, tipico villaggio newari posto su uno sperone roccioso a pochi chilometri da Patan. Il paesino è davvero caratteristico: in particolare la piazza centrale raccoglie tutta la vita di questo villaggio fuori dal tempo. Molto carini quelle enormi catene di peperoncini essiccati al sole che spuntano da ogni casa e colorano questo paesino.
Torniamo a Patan, prendiamo i nostri bagagli e andiamo a Bodnath, sito e luogo di ritrovo e di vita di un nutrito gruppo di rifugiati tibetani alla periferia di Kathmandu.
Lo stupa è imponente e molto bello ma la cosa che rende suggestivo questo luogo è vedere la processione di monaci e fedeli in circolo intorno allo stupa, la sera quando i gruppi turistici se ne sono andati.
E’ stupenda la commistione della cultura buddista e di quella indù, nei monumenti come nei fedeli delle due religioni che pregano insieme.
NOTE DI VIAGGIO: Taxi da Patan a Bungmati (A/R) e da Patan a Bodnath: 500 RS Lotus Guesthouse: camera doppia con bagno in comune 350 RS Ristoranti: Stupa View Restaurant (a parte la bella vista non è niente di particolare) e Double Dorie Restaurant (molto tibetano: economico, buonissimo, porzioni abbondanti e ricco di atmosfera).
24 AGOSTO: Kathmandu Oggi ci godiamo un po’ le comodità di Tamhel. I negozietti sono proprio carini e hanno un sacco di artigianato locale a poco prezzo.
NOTE DI VIAGGIO: Taxi da Bodnath a Kathmandu: 80 RS Kathmandu Guesthouse: camera doppia con bagno in comune 390 RS Ristoranti: Le Bistro e Kathmandu Guesthouse (molto buoni) NB: non telefonate dalla KGH perché le tariffe al minuto sono molto alte.
25 AGOSTO: Kathmandu- Delhi La mattina, dopo aver fatto un’ottima colazione in una delle bakery di Tamhel, andiamo al sito buddista detto anche tempio delle scimmie: Swayambhunath.
Si accede al sito alla fine di una lunga scalinata dove ci fanno compagnie un nutrito gruppo di scimmiette. Visitiamo lo stupa la mattina presto, alle 8.30 e non c’è un turista. In compenso ci sono tantissimi fedeli che pregano: indù e buddisti. E così tra una statua di Ganesh e un Buddha, un monaco prega e una signora indù si inchina e porge le offerte fatte di fiori e riso.
Molto bella la vista di Kathmandu da quassù.
Alle 14.15 abbiamo l’aereo per Delhi e la notte partiremo per l’Italia.
Così anche questo viaggio è finito.
NOTE DI VIAGGIO: Taxi da Kathmandu al sito: 80 RS Taxi da Kathmandu all’aeroporto: 200 RS Entrata al sito: 75 RS Tassa per uscire dal Nepal: 18 euro ARRIVEDERCI NEPAL Una settimana per visitare la valle di Kathmandu è il minimo. L’ideale sarebbe dieci giorni.
In una settimana non si può prendere di aver capito tutto di un popolo ma certo alcune cose sono da subito molto evidenti.
A volte si parla del Nepal come di un paese che è un po’ il prolungamento dell’India, ingoiato dalla sua cultura.
Il Nepal in realtà è molto di più.
E’ un paese che ha una sua tradizione, le sue religioni e i suoi popoli. Qui più che mai la religione è un’insieme di religioni che si fondono insieme in un unico credo.
Qui più che mai il popolo è un insieme di popoli e di tradizioni.
E’ tutto più piccolo rispetto all’India e così è molto facile allontanarsi per qualche chilometro dalla città per ritrovare vecchi villaggi newari, tradizionali e non toccati dal turismo di massa. Inoltre la vegetazione in Nepal occupa ancora gran parte del territorio.
E’ gente cordiale quella nepalese dotata di un grande senso di rispetto, come già avevo notato in India.
Avrei voluto visitare anche le montagne di questo paese e così conto di tornarci presto, magari per salire l’Annapurna o l’Everest… NAMASTE’, JULEY! E’ stata dura mettere insieme in 20 giorni un trekking nel Ladakh e la visita alla valle di Kathmandu ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Non ci siamo mai fermati neanche quest’anno.
I posti, i popoli, le culture che abbiamo incontrato, con cui ci siamo scontrati, che ci hanno incuriosito e che ci hanno fatto sorridere sono due culture che hanno fatto della pace la loro religione e delle montagne la loro forza. E così succede che ci dimentichiamo di tutto quassù, in cima al mondo, e che anche i militari non sembrano poi così cattivi. Si fa fatica a pensare a un concetto di guerra di confini quando si attraversa il Ladakh. Salutiamo il ladakh e la sua gente, il Nepal e i suoi newari ringraziandoli di averci accolto nelle loro terre con la simpatia e la cordialità tipica della mia India.
Perciò Juley alle faccie del Ladakh, Namastè al popolo newari.