Ritorno Down Under: Queensland & Kakadu di & Sydney
ROMA – FRANCOFORTE – SINGAPORE – BRISBANE (26.05.2005 – 28.05.2005) Per la prima volta ho “tradito” la Singapore Airlines per i miei voli in Oceania ed ho scelto la Qantas (perchè mi costava meno e mi permetteva di guadagnare miglia AZ): l’itinerario quindi prevedeva la prima sosta a Francoforte perchè ormai le uniche destinazioni operate da Qantas in Europa sono Francoforte e Londra. La prima tratta l’ho volata con Lufthansa con un A306 decollando alle 19.30 da Roma in modo decisamente “originale”…L’arrivo è avvenuto alle 21.00 e la partenza del QF6 per Singapore alle 00.00. Il volo per Singapore, un B744, è stato molto tranquillo e ha consentito a noi passeggeri di usufruire di una volo panoramico fuori programma sulla città causa traffico in aeroporto che ha ritardato l’atterraggio alle 18 locali, dopo 12h di volo. Il transito al Changi Airport per una volta non è durato una giornata come nei precedenti viaggi ma solo poche ore perchè alle 21.35 sono partito su un A333 per il volo QF52. Anche questa tratta per Brisbane è filata via liscia atterrando alle 06.40 di sabato mattina, dopo 7h05′ di volo da Singapore e 20h35′ di volo effettivo da Roma. Attendevo con curiosità il disbrigo delle formalità doganali perchè i precedenti ingressi in Australia o NZ sono sempre stati “interessanti” e mai banali…Questa volta niente cani antidroga o anti importazione di cibi, solamente il passaporto non veniva letto correttamente dallo scanner a causa del mancato aggiornamento del loro database e un controllo accurato del contenuto della valigia alla ricerca di cibo…Ormai all’arrivo in questi paesi metto sempre in conto una buona mezz’ora di perdita di tempo per il controllo dell’immigrazione e non lo considero più un fastidio ma un’occasione per socializzare con le addette ai controlli…Uscito dall’aeroporto ho preso una navetta door-to-door per andare all’ostello, il Brisbane City YHA.
BRISBANE (28.05.2005 – 30.05.2005) Giusto il tempo di una doccia e subito in giro per la città, tra downtown e i Southbanks, un tratto di lungo fiume che aveva ospitato l’esposizione universale dell’88 e che ora ospita giardini, passeggiate, locali e una spiaggia ed ho rivisto con piacere dopo alcuni anni la mia amica Kirstie che ha lasciato Roma un po’ di tempo fa ma naturalmente non la può dimenticare.
La domenica mattina sono andato a visitare il Lone Pine Koala Sanctuary che si trova a mezz’ora di autobus dal centro: è un grande parco pieno di koala e canguri, ma ci sono anche wombati, emù, diavoli della Tasmania, dingo, kookaburra, cassowary, cacatua, volpi volanti, insomma tutti i rappresentati della curiosa fauna australiana. I canguri sono liberi, pur all’interno di un’area limitata ma molto grande, di avvicinarsi e farsi avvicinare dai visitatori e di ricevere cibo dalle loro mani, i koala invece se ne stanno sui loro rami di eucalipto a sonnecchiare tranquilli e di tanto in tanto qualcuno di loro diventa il protagonista di una foto abbracciato al turista di turno.
Il lunedì all’ora di pranzo ho lasciato Brisbane per Hervey Bay, circa cinque ore a nord, dove avrei passato la notte al Colonial Log YHA e da dove sarei partito il giorno dopo per l’escursione di tre giorni e due notti a Fraser Island.
FRASER ISLAND (31.05.2005 – 02.06.2005) La mattina un pullmann mi è venuto a prendere in ostello, dove avevo lasciato la valigia in deposito per portarmi solo il necessario, per portarmi al porticciolo di Hervey Bay dove mi sarei imbarcato per Fraser. Il mio gruppo era il Cool Dingo Tour ed eravamo una decina. Il programma del primo giorno prevedeva due dei laghi interni all’isola, il Basin Lake e il Lake McKenzie ed un sentiero di alcuni km. Nella foresta fino Central Station dove abbiamo pranzato. Era piovuto nella notte, ma durante la mattina era tornato il sole, così i raggi del sole riuscivano a volte a penetrare la fitta foresta e l’effetto visivo risultante era molto suggestivo, soprattutto quando illuminavano le foglie ancora bagnate di felce rendendo brillanti le goccioline d’acqua. Il silenzio era “assordante”, rotto solamente dal rumore del vento che agitava le fronde degli alberi e faceva cadere le goccie d’acqua per terra simulando una piccola pioggia, gli odori erano quelli forti di un bosco umido con in più l’odore del mare che proveniva dalla costa. Gli alloggi che erano stati riservati al mio gruppo facevano parte del Wilderness Lodge, una dependance stile ostello del Kingfisherbay Resort, a pochi metri dal Dingo Bar, dove mangiavamo a cena e a colazione. I pasti erano a buffet con cibi di varie nazionalità, mentre i pranzo era un picnic dove ci trovavamo.
Il secondo giorno abbiamo percorso una buona parte della seventy five mile beach, che si trova sulla costa est sull’oceano, spiaggia adibita anche a pista per i 4×4 e per l’aeretto della Air Fraser Island che fa i giri turistici sull’isola…Quindi attenzione a passeggiare sulla spiaggia, guardarsi le spalle ogni tanto perchè l’aereo non ha il clacson…Così se vedete chi vi cammina davanti spostarsi all’improvviso verso l’interno della spiaggia ma non vedete fuoristrada in arrivo, guardate in alto…Il punto d’arrivo della spiaggia-pista è Indian Head, un promontorio la cui cima si raggiunge con un breve sentiero in salita e da cui si gode un magnifico panorama della spiaggia appena percorsa e dell’estremità nord dell’isola e ci si rende conto dall’alto di come la foresta tropicale verdissima spinge sulla spiaggia quasi a voler entrare nell’oceano blu…Quà e là dune di sabbia bianca o ocra separano foresta e mare rendendo la vista ancora più bella. Prima di cena, abbiamo potuto utilizzare la piscina e l’idromassaggio dell’albergo, soprattutto l’idromassaggio… Il terzo giorno siamo stati a Lake Wabby, un piccolo lago circolare verde smeraldo che resiste schiacciato tra la foresta ed una enorme duna di sabbia giallo-ocra alta una decina di metri…Ed è un piacere percorrerla a piedi scalzi e lasciare le prime impronte della giornata…Inutile sottolineare anche qui il silenzio che c’è…Oltre ad essere alta, la duna è anche lunga più di un km. Ed è separata dall’oceano da un tratto di foresta con un sentiero al suo interno che ci ha consentito di arrivare al mare, punto d’incontro con la nostra guida, in tempo per evitare il temporale.
Al tramonto ho ripreso il traghetto per tornare ad Hervey Bay e all’ostello: ho fatto la doccia ed atteso le 20 quando mi avrebbero accompagnato al terminal per prendere l’autobus delle 21 per Airlie Beach, dove sarei arrivato la mattina dopo.
AIRLIE BEACH & WHITSUNDAY ISLANDS (03.06.2005 – 06.06.2005) Sceso dall’autobus, sono andato a lasciare la valigia all’ostello, che si trova a pochi minuti dal terminal, e in attesa del check-in che sarebbe avvenuto in tarda mattinata, sono andato a spasso per Airlie che peraltro non offre grandi cose da vedere, è una piccola cittadina sul mare che viene utilizzata come punto di partenza per le escursioni alle Whitsunday Islands, l’arcipelago che si trova di fronte.
Il giorno dopo ha avuto inizio la gita in barca di tre giorni nell’arcipelago a bordo della Southern Cross, un 68 piedi già challenger di America’s Cup. Era la prima volta che salivo su una barca a vela e poichè un vecchio detto afferma che “in barca si è tutti uguali” ecco che noi 9 ospiti siamo anche stati “promossi”, prima ancora di salire a bordo, a membri dell’equipaggio per cui ci è toccato a turno ammainare lo spinnaker, lavorare al grinder, piegare le vele, risistemare le cime…Naturalmente la nostra attività in barca ha dato luogo a scene fantozziane…Durante la navigazione di giorno ci si spostava tra le isole, sostando per lo snorkelling o per il bagno; la notte si gettava l’ancora in qualche caletta riparata e si faceva notte chiaccherando o giocando con il resto della ciurma, avendo come tetto un cielo illuminato da milioni di stelle e attraversato dalla via lattea.
CAIRNS (07.06.2005 + 11.06.2005 – 12.06.2005) Il soggiorno a Cairns di tre giorni complessivi, è stato diviso in due parti dalla gita di tre giorni a Cape Tribulation, nel Far North Queensland. Il primo giorno a Cairns è iniziato all’alba perchè provenivo da Arlie Beach e l’ho passato a spasso per Cairns ma soprattutto a mollo nella lagoon costruita da poco sull’esplanade, dove quattro anni fa, ai tempi del mio precedente viaggio, c’era un prato utilizzato come solarium. L’alba si è presentata con il cielo diviso esattamente in due: ad est il sole che stava sorgendo, ad ovest un enorme fronte nuvoloso nero che si stava allontanando, nel mezzo un magnifico arcobaleno completo con tutti i sette colori dell’iride ben visibili, accompagnato poco dopo da un secondo arco.
I restanti due giorni li ho passati al mare, il sabato facendo un’escursione a Michaelmas Cay, dove già ero stato l’altra volta, una minuscola isoletta abitata da varie specie di uccelli che la usano per riprodursi e quindi molto protetta; la domenica mattina invece sono andato a Green Island, più vicina e più movimentata della precedente e decisamente meno bella. Nel pomeriggio di domenica poi ho lasciato Cairns per volare a Darwin in 2h.
CAPE TRIBULATION (08.06.2005 – 10.06.2005) La tre giorni a Cape Tribulation è iniziata con il trasferimento da Cairns verso il Far North Queensland, la regione che si trova a nord del Daintree River il quale fa quasi da confine tra il Queensland più “civilizzato” a sud e quello a nord ancora non contaminato dall’eccessiva presenza di turisti o di città e cittadine che attirano come api i turisti. Quando si attraversa il fiume, su un battello trainato da fune, sembra di entrare in un altro mondo, ci si immerge nella fittissima foresta tropicale, che è patrimonio protetto dell’umanità, interrotta solo dall’oceano e dalla barriera corallina, anch’essa patrimonio dell’umanità…È l’unico luogo dove si incontrano due aree così protette che stanno lì a testimoniare come era tutto il Queensland fino a qualche secolo fa, prima dell’arrivo degli europei e prima che essi iniziassero a distruggerla, un’unica immensa distesa verde che arrivava molto più a sud di ora. In questa oasi di pace, di silenzio, in questi due giorni vissuti all’interno di una foresta che sembra volerti sommergere quando ci cammini dentro, che ti fa sentire minuscolo per quanto è maestosa, mi viene di paragonarla alla foresta di Fangorn del Signore degli Anelli, ti dimentichi completamente del tuo essere “cittadino” e infatti il ritorno alla realtà caotica di Cairns (nonostante sia una cittadina e non una città) non è stato piacevole…A parte la serata con Heather con cui avevo passato i due giorni a Cape Tribulation…Il pernottamento a Cape Tribulation è stato al Crocodylus Village, molto bello, immerso nel verde a pochi km. Dalla spiaggia raggiungibile a piedi o in bicicletta. Una sera ho effettuato la passeggiata in notturna nella foresta, con la guida “Possum”, un simpatico ometto basso di statura e con la voce da citofono che conosceva tutto della flora e fauna locale e ha guidato me, Heather e altre persone che erano con noi in un interessantissima passeggiata tra alberi, uccelli, ragni e serpenti.
KAKADU N.P. (13.06.2005 – 15.06.2005) Quattro anni fa il Kakadu l’ho visitato a fine marzo, ancora nel pieno della stagione umida, ed il parco era parzialmente sommerso dall’acqua e quindi irrangiungibile in molte sue zone. Il mese di giugno invece consente di visitarlo completamente e così ho prenotato l’escursione da tre giorni e due notti di Kakadu Dreams, come suggeritomi dalla mia amica Sabina per averci partecipato qualche mese prima durante il suo viaggio. Eravamo un gruppo di nove persone, tutti giovani e quasi tutti europei, italia, austria, olanda e uk, a parte una ragazza del New Jersey. La prima tappa è stata l’Adelaide River lungo la strada per il parco nazionale, dove abbiamo effettuato una breve crociera per vedere i coccodrilli lungo il fiume e per vedere come saltano fuori dall’acqua per addentare il pezzo di carne che gli viene allungato dalla barca per mezzo di un bastone. La nostra guida-pilota-cuoco Justin aveva la guida sportiva sulle piste di terra rossa ma anche l’occhio attento agli animali che vedeva nel bush così, all’improvviso, inchiodava i freni faceva l’inversione e tornava indietro a tutta velocità per frenare di nuovo, scendere di corsa e correre dietro a qualcosa…La tappa successiva è stata all’estremità est del parco, a Ubirr, sito archeologico protetto dove si possono vedere disegni aborigeni sulla roccia raffiguranti scene di caccia e animali, ritratti però come fossero ai raggi x, cioè potendone vedere l’interno. Ubirr si trova al confine tra il parco e l’Arnhem Land, di proprietà aborigena. Salendo in cima alla roccia di Ubirr si domina l’intera valle alluvionale tra il South (a ovest) e l’East Alligator River (a est): quest’ultimo e un alunga cresta montuosa che si vede in lontananza divide il parco con l’Arnhem Land di proprietà aborigena ad est del Kakadu. Il sole cocente del primo pomeriggio non scalfiva di un niente la bellezza di quel panorama in cui l’occhio si perdeva per decine di km. Attraversando una valle verdissima che si stava asciugando poco a poco dopo mesi in cui era rimasta sommersa, e infatti ancora si vedevano alcuni laghi residui, fino ad arrivare all’orizzonte, a quella che sembrava una piccola catena montuosa, che nascondeva dall’altra parte una terra che erano almeno altrettanto bella e selvaggia di quella a cui noi turisti eravamo autorizzati ad accedere. Ed anche se era la seconda volta che mi ritrovavo seduto in cima a quella roccia, con le gambe penzolanti nel vuoto, a vedere un bellissimo nulla fatto di verde, bush, rocce, pinnacoli di termiti, scie di fumo che si alzavano dai luoghi dove gli aborigeni appiccavano piccoli fuochi perchè le loro sei stagioni annuali sono scandite anche da questi riti, azzurro intenso di un cielo che sembrava troppo vicino alla mia testa (sensazione tipica nel deserto australiano), il momento di iniziare la discesa è arrivato troppo presto…Ma il programma del giorno prevedeva ancora la visita al sito di Nourlangie Rock, una roccia molto grande e isolata in mezzo al nulla, per vedere altre pitture rupestri e poi il tramonto a Nawulandja Lookout salendo un sentiero molto panoramico dove ci siamo riposati ed abbiamo fatto merenda. Quando ormai era buio, siamo scesi praticamente a tentoni perchè il sentiero non si vedeva più ed infine alla spicciolata abbiamo ritrovato il fuoristrada per il trasferimento al nostro campo tendato, in località Jim Jim Billabong, dove avremmo trascorso le due notti successive. In realtà il campo c’era, mancavano le tende, che abbiamo costruito noi peraltro in pochi minuti, mentre Justin preparava il fuoco utilizzando la legna che avevamo raccolto in giornata nel bush. Il campo era al buio, le uniche fonti luminose erano il fuoco e le nostre torce, ovviamente c’era silenzio, altrettanto ovviamente le stelle erano uno spettacolo meraviglioso e le zanzare erano in tenuta da combattimento. Abbiamo cenato con un ottimo canguro stufato con patate. Dopo cena Justin ci ha guidati nei dintorni del campo per una passeggiata di notte alla ricerca di coccodrilli nel billabong o di dingo, ragni e serpenti nel bush. Nel campo oltre a mancare la luce, con gli evidenti problemi di batterie per le macchine digitali (per fortuna mi ero portato la macchina di emergenza non digitale!), mancava anche la doccia con altri evidenti problemi. Il mattino dopo la sveglia è stata alle 5 perchè dovevamo fare molta strada: il tempo di fare colazione attorno al fuoco perchè faceva freddo con pane tostato e nutella e subito siamo partiti a velocità smodata per le strade vuote di un deserto ancora al buio. Per tenerci svegli Justin aveva scelto una selezione musicale rap con canzoni provenienti da tutto il mondo tra cui ho subito riconsciuto le prime note di “serenata rap” di Jovanotti che ho cantato anche io e devo dire che alcuni dei miei compagni di viaggio la conoscevano. Il programma del giorno prevedeva due cascate, le Twin Falls e le Jim Jim Falls, a sud del parco, in una zona che quattro anni fa era irraggiungibile perchè semi sommersa. In effetti l’avvicinamento alle Twin Falls si è rivelato sempre più accidentato, su piste di sabbia dove in un’occasione ci siamo bloccati e abbiamo dovuto spingere. Il sentiero che abbiamo iniziato a percorrere dopo aver parcheggiato il fuoristrada era un’impettata di alcune centinaia di metri di dislivello per arrivare al livello della cascata e poi dei passaggi tra blocchi enormi di roccia per arrivare al letto del piccolo fiume che alimenta le cascate fino al rim. Il letto del fiume è costituito di roccia molto levigata per il passaggio dell’acqua, tutto intorno blocchi di roccia altrettanto levigati tra cui mancava solo Will Coyote; questa caratteristica fa capire che tutta quell’area, nella stagione umida, è sommersa dal fiume per molti metri di altezza e per una ventina di metri di larghezza. E noi piccolini seduti su una roccia che sembrava un balcone sullo strapiombo della cascata. Abbiamo poi ripreso il cammino procedendo contro corrente lungo il letto del fiume che alternava roccia a sabbia fino al punto dove ci siamo fatti il bagno nel fiume; un bagno rigenerante dopo la scarpinata che avevamo fatto sotto il sole che era diventato cocente anche se eravamo ancora a metà mattinata. Dopo il bagno siamo ritornati indietro lungo lo stesso sentiero, cioè il letto del fiume, fino a ritornare sudatissimi a valle. Da qui, siamo saliti in barca per arrivare alla cascata da sotto…Un breve tratto di fiume dall’acqua limpidissima lungo una gola fino a dove è possibile arrivare perchè uno sbarramento di blocchi di roccia venuti giù chissà quando impedisce alla barca di proseguire e noi abbiamo proseguito a piedi fino alla spiaggia che c’è sotto la cascata; anche se nella stagione secca la portata d’acqua è limitata la visuale da sotto è imponente e non è difficile immaginare quale potrebbe essere l’immagine di quello stesso luogo in inverno, quando il livello del fiume su cui abbiamo navigato aumenta di qualche metro e la spiaggetta dove abbiamo pranzato è sommersa. Dopo pranzo siamo ritornati indietro al parcheggio per ripartire in direzione delle Jim Jim Falls che sono poco distanti. Si raggiungono con un breve sentiero di circa mezz’ora lungo il fiume che scende dalle cascate con un ultimo tratto in cui si saltella tra un blocco e l’altro di roccia. Si giunge ad un canyon ad anfiteatro con al centro le cascate e in basso il laghetto con la solita acqua limpidissima. Sosta per bagno e pennichella pomeridiana necessaria perchè la giornata è stata lunga e stancante per il caldo torrido che ci ha accompagnati e che ci ha fatto sudare “enne” volte. Dopo la pennica, la merenda e poi il ritorno al fuoristrada: la strada per tornare indietro è lunga come quella della mattina, lungo il percorso due soste. La prima volta ci siamo fermati in un posto indefinito lungo la pista e ci siamo inoltrati nel bush per raccogliere la legna per il fuoco della sera: il sole stava ormai tramontando e i suoi ultimi raggi accentuavano il colore arancione della terra mentre tutto intorno era il silenzio. La successiva sosta è stata il Gagadju Lodge dove abbiamo fatto il pieno di carburante, di gelati ed ho acquistato per conto di Sonja e Birgit, le due ragazze austriache, una bottiglia di chardonnay spacciandomi per un cliente del lodge altrimenti non me l’avrebbero venduta come era successo a loro che avevano detto che erano di passaggio. La cena della sera è stata a base di spezzatino di manzo con purè di patate e verdure e il dopocena ancora una passeggiata nel bush dove sono mancati i coccodrilli ma abbiamo incontrato alcune rane velenose che Justin ha rincorso, ha preso per una zampa, ce le ha descritte, e molto efficacemente ha fatto in modo che non combinassero ulteriori danni. Anche il terzo giorno ci siamo svegliati prima dell’alba perchè dovevamo togliere le tende e partire: al momento di andarcene è venuto a salutarci un simpatico dingo che è restato a farci compagnia per un po’ fino a quando non siamo andati via prima di mettersi a cercare qualche nostro avanzo di cibo. La meta della giornata è stata Barramundi Gorge, una piccola ma suggestiva cascata che abbiamo raggiunto in meno di un’ora di cammino quasi tutto pianeggiante e al mattino presto così ce la siamo goduta per qualche ora in solitaria e l’abbiamo lasciata quando hanno iniziato ad arrivare altre persone. Abbiamo fatto il bagno in piccole piscine create dal fiume nella gola, nell’acqua tiepida e dolce, che si trovano al limite del rim. Dopo aver lasciato la cascata abbiamo ripreso la strada del ritorno con sosta per il pranzo in riva a un fiume. Usciti dai confini del Kakadu e ritornati purtroppo al caos della civiltà, cioè la Stuart Hwy, ci siamo fermati alle Berry Springs per farci il bagno. Si tratta di una sorgente di acqua dolce con un centinaio di metri di corso d’acqua che poi forma un laghetto: bisogna fare attenzione a muoversi verso il laghetto seguendo il corso del fiume perchè il letto è pieno di blocchi di roccia sommersi in cui è facile schiantarsi e farsi male; invece il laghetto è tranquillo per nuotare o per fare tuffi (vietati) dai rami degli alberi attorno. Siamo tornati a Darwin nel tardo pomeriggio e ci siamo dati appuntamento per le 20 al Vic, un locale lungo il Mall, per cenare insieme. Io ho recuperato la valigia in ostello, fatto finalmente una doccia dopo tre giorni e preparato il bagaglio per la partenza della notte per Sydney. Abbiamo passato una piacevole serata al locale e poi in un pub e alle 23 ho salutato tutti e tutte perchè avevo la navetta per l’aeroporto dove sarei decollato all’01.45 per Sydney.
SYDNEY (16.06.2005 – 18.06.2005) L’atterraggio a Sydney è avvenuto prima dell’alba, alle 06.15 e dopo un lento recupero del bagaglio sono arrivato in dieci minuti alla Central Station con il treno; a fianco della stazione c’è il Sydney Central YHA che avevo prenotato su internet prima della partenza. Come al mio solito, ho posato il bagaglio e sono uscito per andare subito verso la baia. Nei due giorni e mezzo di permanenza a Sydney ho camminato senza una meta precisa tra Circular Quay e l’Harbour Bridge, tra i Rocks e l’Opera House, tra Mrs. McQuarie Point e Martin Place, solo per il gusto di stare lì, in quella che secondo me è la città più bella del mondo al di fuori dell’Italia. Le uniche attività “nuove” rispetto alla mia permanenza a Sydney di quattro anni fa, sono state due: la prima è stata la salita all’Amp Tower, la torre che domina (ma neanche poi tanto) downtown: il panorama obiettivamente non è il massimo e me lo aspettavo, perchè la torre è circondata da grattacieli anche più alti e che coprono quasi completamente Circular Quay dalla vista, lasciando solo uno spicchio di Opera House e di Harbour Bridge, anche se poi si vede Manly, North e South Head e l’oceano. La seconda attività è stata la scalata all’Harbour Bridge rimandata quattro anni fa per il costo in quel momento eccessivo…Il costo è sempre notevole, sicuramente spropositato ma questa volta non volevo mancare. Ho prenotato la prima scalata del mattino, alle 08.45, check-in alle 08.30 e briefing iniziale comprendente tra l’altro la dichiarazione sulle buone condizioni fisiche e la prova del tasso alcolico perchè se si superano i limiti imposti non si sale. Siamo poi passati alla vestizione: viene data una tuta e bisogna lasciare negli armadietti tutto perchè per motivi di sicurezza non è possibile portare cose che potrebbero cadere sulle auto in transito di sotto, al punto che si passa sotto un metal detector. Poi si passa alla dotazione di gadgets di varia natura, come ad esempio l’imbracatura di sicurezza, la radio per ascoltare le spiegazioni della guida, un pile, due cappelli, la cordicella porta occhiali, i guanti e due fazzoletti di stoffa che si legano ai polsi per soffiarsi il naso e per non utilizzare la manica della tuta…C’è anche un simulatore per imparare come salire/scendere alcuni tratti di scale quasi verticali. Poi la partenza: il primo tratto è in piano lungo l’impalcatura metallica sotto il livello stradale fino al pilone di sud-est, da qui si sale per raggiungere l’inizio dell’arco est, poi si percorre l’arco fino alla sommmità, si “attraversa” il ponte per passare sull’arco ovest che si percorre in discesa fino al pilone di sud-ovest e poi si scende sotto il livello stradale per tornare indietro. Lungo il percorso ci sono diverse soste per ammirare il panorama che è semplicemente splendido e per farci fare le foto dalla guida: perchè se è vero che qualsiasi oggetto che si porta diventa pericoloso se cade di sotto, a cominciare dalla macchina fotografica, è vero anche che ciò diventa la scusa perchè la guida ti faccia le foto durante la scalata che poi ti venderanno a peso d’oro e che fai, non ti compri la foto in cima al ponte con lo sfondo dell’Opera House? O quella con lo sfondo di downtown? Ma assolutamente si, quindi altre decine di dollari che si sommano ai 160 del costo della scalata e che vanno ad alimentare questa gallina dalle uova d’oro che è l’Harbour Bridge…E moltiplicato per le 13-15 persone che compongono un gruppo e per il numero di gruppi che salgono ogni giorno dell’anno dalla mattina al tramonto ogni 15 minuti…Ma è giusto così…Se un monumento cittadino, quale è considerato il ponte, può rendere soldi è giusto che la gente paghi per visitarlo…Se lo facessero anche con i monumenti nostri invece di volere fare entrare gratis o quasi (al Foro Romano ad esempio)…Chiusa subito la digressione socio-politico-economica…L’intera scalata, dal check-in all’uscita dura circa 3h30′; ad ogni partecipante viene dato in omaggio un attestato di scalata e la foto di gruppo in cima al ponte. La scalata è decisamente facile, adatta per tutti: a meno di non soffrire fortemente di vertigini o avere problemi di deambulazione o avere manie suicide, dai 12 anni in su tutti possono salire. Le foto panoramiche che non si possono fare dal ponte, si faranno poi dal pilone di sud-est, dove c’è il piccolo museo del ponte, in cui si può entrare gratuitamente con il biglietto della scalata, da dove si vede lo stesso panorama solo da più in basso.
La mattina del giorno della partenza l’ho dedicato agli acquisti che avevo rimandato per tutto il viaggio per non appesantire la valigia, ad esempio, ma non solo, all’acquisto di cd musicali originali e soprattutto nuovi, per capirci quelli che da noi costano 20 euro, al costo, che noi ci sognamo, di 6 euro, e non perchè c’erano particolari promozioni in corso, ma solo perchè ci sono alcune catene di negozi che vendono al prezzo fisso di 10 dollari (cioè 6 euro) anche i dischi appena usciti…Inutile aggiungere che non esistono bancarelle per la strada dove si vendono cd taroccati…Non sono necessarie…
SYDNEY – SINGAPORE – FRANCOFORTE – ROMA (18.06.2005 – 19.06.2005) Il volo di ritorno è iniziato in modo simile al volo di andata…Cioè con una forte turbolenza che ci ha costretto a stare seduti, equipaggio compreso, per tre quarti d’ora. Il resto del viaggio, fino a Roma, è filato via tranquillo tra pasti, libro e sonno. Il decollo del QF5 da Sydney è avvenuto alle 16.20, l’arrivo a Singapore alle 22.05 locali (7h45′ di volo), la partenza da Singapore alle 23.50 e l’atterraggio a Francoforte alle 06.00 locali (12h10′ di volo): alle 07.00 la partenza per Roma e il ritorno a Fiumicino alle 08.30. La durata complessiva netta da Sydney a Roma è stata di 21h25′.