Cielo di Yucatan
Cielo come libertà, spazialità, profondità: dall’alto di una solitaria piramide a Edznà, dal bianco di una spiaggia abbagliante verso Tulum, percorrendo una strada infinita verso Chichen Iza attraverso la jungla bassa, sopra corre una finestra blu altissima e prospettica, gli occhi e il cuore si aprono e respirano, come sotto la presenza di una forte divinità che pervade tutto.
Questo non vuole essere un resoconto di viaggio, una lista della spesa con tappe e orari e meticolosità. Perchè non serve.
Non è servito a noi quattro, è sufficiente un volo aereo e un’auto a noleggio, il resto si può costruire e improvvisare senza alcun problema sul posto.
Iniziamo. E iniziamo sfatando un monito che sembra una cantilena da Cassandra invidiosa: attenzione! agosto è il mese peggiore, afa, umidità, pioggia, folle sudate, zanzare..
Beh io non amo i moniti, e sono partito lo scorso agosto. E ho fatto bene. Pioggia due volte, e per il resto un cielo da cartolina.
Prima meta Cancun.
Altro monito: brutta, moderna, americana, posticcia.
Non ho visto spiaggia più abbacinante e dalla bellezza irreale come a Cancun. NOn eravamo in uno dei mega hotel americani che seguono imperterriti la linea della costa. Eravamo all’interno, nella “vecchia” Cancun – che risale agli anni 50-60 ma appare come una città-villaggio popolare, a tratti godibile – hotel molto bello (Margaritas) a pochi dollari.
Da lì una navetta porta sulle spiagge, appunto. Gli occhi fanno male, il cuore fa male per la bellezza del mare che non sembra mare, per il bianco di una sabbia perfetta e diafana che magicamente non scotta, e alle tue spalle architetture da favola in cui puoi entrare e pensare di sentirti loro ospite.
Il primo filo conduttore di questo racconto sono le spiagge. Intese come le intendo io. Ossia la natura che ad un certo punto si trova davanti il mare, e decide di volta in volta di degradare con un palmeto solitario, di fermarsi con delle dolci dune, di incunearsi tra rocce e mangrovie.
Cancun è buona meta per delle visite giornaliere: – Tulum, è scontato dirlo. Sito in posizione superba, su uno sperone da cui si raggiunge una spiaggia che si tuffa nel blu. I monumenti sono poveri, i turisti dei villaggi – italiani sguaiati e ciarloni – tanti, ma l’incanto della posizione è notevole. E poi ci sono tante iguane, sulla spiaggia se dai a una di loro una banana, arriva tutta la loro famiglia che si mette a fare la lotta per rubarne un pezzo.
– Dopo Tulum, verso sud, una stradina quasi sterrata porta a solitarie spiagge da favola, c’è solo qualche ristorante di legno con capanne a 100 dollari a notte. Ma la spiaggia è libera, solitaria e bellissima. E volendo si può cenare a lume di candela, con la brezza del mare fra i capelli e una notte immensa piena di stelle.
– In quella zona ci sono anche aluni famosi parchi-lagune, costosissimi e fatti a modello dei parchi americani. Io ci sono stato, basta entrarci sapendo che la natura è stata contornata e plastificata da attrezzature affollate. Ma fare la discesa del fiume fra le mangrovie è stato davvero bello. Dicono che a sud di Tulum vi siano lagune simili ma libere, e deserte. Da provare..
– E saliamo su. Playa del Carmen. Bel paesino turistico, ma evitabile se di passaggio. Spiaggia da “occidentali”, molto grande, mare non spettacolare. Lì abbiamo trovato le nubi scure, e un improvviso acquazzone, uno dei pochissimi durante le due settimane. E i pellicani che si tuffavano davanti a noi per pescare i pesci.
– Isla Mujeres: autobus e traghetto da Cancun, poi si può affittare una bici o, come abbiamo fatto noi, 10 dollari per un giro con una barchetta che ti fa fermare nei punti buoni per fare snorkeling con le loro maschere e pinne. Mare bellissimo, pesci colorati, un barracuda a 5 metri che mi lancia uno sguardo assassino. Poi relax sulla spiaggia a nord, che termina con un’isolotto collegato da un ponte di legno: incredibile, nell’acqua bassa a pochi metri dai miei piedi c’era una razza placida e impavida. La spiaggia è affollata e sinceramente mi aspettavo qualcosa di meglio. L’acqua è caldissima e bassa, molte barche attraccate al largo completano il quadro un po’ troppo “civilizzato”.
Per chi non è mai stato in messico, il Mare è letteralmente diviso in due: i Caraibi fino a Isla Mujeres sono un mondo fatto di acque azzurre e trasparenti e spiagge bianche; da lì, poi, si cambia scena. Si entra nel golfo del messico ed è come voltare pagina. Mare scuro, torbido, poche spiagge, sembra che la gente non usi nemmeno frequentarle o bagnarsi. L’abbiamo visto a Celestun, bel paesino dove una barca ti porta nella laguna a vedere i fenicotteri (pochi) e le mangrovie.
E poi giù a Campeche – seconda nostra tappa d’appoggio dopo Cancun – dove sinceramente non siamo riusciti a trovare lungo la costa nemmeno un punto che potesse lontanamente assomigliare ad una spiaggia.
Chiudo il tema delle spiagge e apro il tema dei monumenti con l’immagine di una jeep scoperta gialla che percorre l’autostrada drittissima e solitaria Cancun-Merida.
Consiglio: evitare auto scoperte.
E usare l’autostrada a pagamento se il viaggio supera i 100 km. Per andare a Chichen Izà abbiamo scelto le strade statali, in un caldo gioioso e torrido. In ogni paesucolo, che fa pena per la povertà e l’inesistenza di futuro, la strada si interrompe continuamente con i rallentatraffico, sono altissimi e se non li vedi sfasci la macchina.
Unica fermata a pranzo a Valladolid, nella bella piazza coloniale, seduti ad un ristorante dentro ad un albergo con pale che giravano per fare vento e tempi d’attesa da far crepare di fame.
LE piazze coloniali sono abbastanza simili nello Yucatan: una grossa chiesa barocca, il campanile alto, la piazza enorme con i giardini e le panchine in cui la gente passeggia, chiacchera, ozia, all’ombra di alberi e palme, un clima rilassato e sereno. Così anche a Merida, ad esempio, e a Campeche, di gran lunga la più carina delle tre.
Chichen Izà.
Il sito chiude alle 17e30 e riapre dopo il tramonto per lo spettacolo di luci e suoni, kitsch ma da vedere, visto che è incluso nel biglietto.
Di giorno è caldissimo e affollatissimo, ma bellissimo.
Siamo sgattaiolati dentro verso le 19 dentro, e sfuggendo al blando controllo abbiamo fatto una passeggiata al crepuscolo per le rovine deserte, verso l’osservatorio astronomico. Silenzio, i contorni si fanno meno nitidi, mi sono arrampicato sull’osservatorio e la natura immobile sembrava riportarmi nell’incantesimo del passato. Impagabile.
Campeche La bipartizione del viaggio ci è servita per scoprire la zona sul golfo del Messico, e fare una puntata nel Chapas.
Cittadina sovrastimata, nel senso che due ore bastano per chi è affamato di monumenti. Sono tutte casettine coloratissime ad un piano, resti di mura di cinta, qualche discreta chiesetta, una bella piazza rilassante la sera, la cattedrale alta bianca, piccoli ristorantini veramente locali, uno stradone che corre come lungomare e pochi turisti.
Ma la cosa più bella è il tramonto. Il cielo si incendia, il sole si spegne direttamente nel mare e nel rosso si copre di milioni di uccelli frenetici che cantano e frullano e corrono a stormi giganteschi lasciandoti senza fiato.
Edznà A mezz’ora da Campeche, fra strade fra colline coperte di verde, campagne solitarie, siamo arrivati a metà mattina: entrati nel sito, davanti a noi l’enorme prato, le tribune e il tempio con la piramide immensa tutto deserto, nemmeno un turista, silenzio perfetto ed immobile; rimaniamo senza fiato, commossi, la bellezza ci invade i cuorei, avevamo quasi paura di muoverci e respirare.
Comincia la scalata della più bella piramide fra tutte, e dall’alto l’infinita giungla e il cielo immenso.
Da non perdere, sarebbe un delitto.
Palenque Qualche oretta di auto attraverso campagne verdi e pascoli e cavalli, un paesaggio che non sembra tropicale e non sembra zona a rischio, fuorchè alcuni blocchi di soldati, e arriviamo a Palenque. Dicono che vi sia la foresta pluviale, noi vediamo solo una cittadina colorata e spumeggiante e casinosa e carinissima, alloggiamo in un vecchio decaduto hotel vicino alla chiesa e mangiamo proprio bene in un ristorantino dipinto di giallo all’angolo della piazza.
Sole, caldo ma non più che a Pavia d’agosto.
Si parte.
Cominciano le colline e all’orizzonte le alte montagne.
Lo dico subito.
Il sito non è stato esaltante come me lo aspettavo.
Il resto si.
Nel senso che vi sono tante Costruzioni adossate in un paesaggio collinare, si ha l’impressione che veramente vi sia moltissimo da scoprire, ma l’effetto emozionale e scenico per me è stato quasi nullo. Saranno stati anche i troppi turisti, sarà stato il confronto con la splendida Edznà appena visitata.
Quello che colpisce è invece la foresta, che cupa ha il suo feudo subito dietro le rovine, ci addentriamo per scoprire dove sono le scimmie urlatrici, ne sentiamo i richiami un po’ feroci, ma non le troviamo.
Usciti dal sito si prende la statale che corre su per le montagne, ed è bellissimo. alcuni bambini tirano per la strada una corda, così ti obbligano a fermarti e ti vendono le banane che hanno raccolto o i loro dolcetti. Sarà anche un pedaggio, ma non puoi non fermarti.
E non riflettere, a parte il sorriso, su cosa sarà la vita per loro dopo il periodo dei giochi.
La strada devia due volte per le cascate. Cascate spettacolari e fragorose, le prime, cascata unica in una polla d’acqua solitaria l’altra, bellissimo farvi il bagno e guardare su su in alto dove sull’orlo del precipizio un enorme albero fa da guardia all’acqua che si tuffa..
Ed infine.
Infine la memoria stenta a voler razionalizzare le emozioni ricordate, gli altri tantissimi posti visti e a volte vissuti, i dettagli, le bellezze o i piccoli problemi.
Un solo consiglio. Andateci.
E andateci facendo tutto da soli. Basta un volo e un’auto, e magari qualche hotel già prenotato per sicurezza.
Tutto il resto sono chiacchiere.
Perchè andarci significa immancabilmente volerci ritornare..