Ciclabile del Medio Reno, da Strasburgo a Coblenza
2 Agosto 2004: prima tappa, da Milano a Kehl/Odelshofen (Germania) Mezzo: auto Km: 510 Dopo la lunghissima preparazione del viaggio, finalmente si parte. La nostra auto è stracarica, due bici sul tetto, una sul portabici posteriore, il carrellino di Costanza nel baule, insieme a cinque coppie di borse (due coppie ciascuno per me e per Ezio, la sola coppia posteriore per Cristina).
Nei lunghi mesi dell’inverno padano, Ezio ha fatto un meticoloso lavoro di ricerca su Internet e di consultazione di cartine e guide (spesso in tedesco) per organizzare il percorso, stabilire la lunghezza delle tappe, prenotare i pernottamenti e costruire il nostro “tappometro”. Abbiamo prenotato per lo più per telefono, usando il tedesco imparato nei due anni di corso serale al Consorzio Sud Milano per la Formazione Permanente, a San Donato Milanese, dal 1999 al 2001, e poi con le lezioni private impartite dalla inflessibile Zoia, la nostra giovane insegnante bielorussa. Ore di lezione interminabili, che forse non ci permetteranno di conversare dei massimi sistemi nella lingua di Hegel, di Goethe e di Einstein ma che hanno certamente rotto quella barriera di incomunicabilità che aveva caratterizzato i nostri primi viaggi in Austria, rendendoci familiari i suoni gutturali dell’idioma teutonico, le insidiose Umlaut, vertiginosa lunghezza di alcune parole, la scivolosa Inversion…
Per questo, il giorno della partenza è già di per se’ la conclusione di una faticosa tappa e allo stesso tempo l’inizio della parte più divertente di un viaggio che inizia molto prima di girare la chiave nel cruscotto. Nonostante sia l’inizio di Agosto, avendo scelto un giorno infrasettimanale per la partenza, non troviamo molto traffico, se si fa eccezione per l’ora di coda impiegata per attraversare il traforo del San Gottardo, in Svizzera.
Kehl, la nostra meta odierna, si trova nel Baden-Württenberg, a pochi chilometri dalla sponda destra del Reno, quella tedesca, dalla parte opposta rispetto a Strasburgo, che si affaccia alla sponda francese del fiume. L’hotel Krone è decoroso e lindo. Per cena diamo inizio alle sperimentazioni gastronomiche del nostro viaggio, non meno avventurose di quelle turistico-culturali, ordinando una calda Frittatensuppe e poi una valanga di Käsespäzle mit Speck, gnocchetti al formaggio con speck. Cristina, per distinguersi, li fa condire con una deliziosa salsina ai finferli (Pfinferlingensauce).
Siamo tutti consapevoli che dovremo pedalare molto per smaltire tutte quelle calorie, ma in fondo speriamo che sia un viaggio abbastanza faticoso da poterci concedere l’alibi per altre escursioni mangerecce senza avere troppi rimorsi di coscienza. E non saremo delusi.
3 Agosto 2004: seconda tappa, da Kehl (Germania) a Drusenheim (Francia) Mezzo: bici Km: 52,3 Dopo una frugale colazione, prepariamo le bici. A opera compiuta ci scattiamo una bella foto per fissare l’entusiamo del primo giorno di vacanze, che è il giorno più atteso dell’anno. Ci dirigiamo quindi verso Strasburgo, capoluogo dell’Alsazia. La spensieratezza della prima tappa ci rende allegri e loquaci.
Ma all’ottavo chilometro, proprio mentre stiamo imboccando l’Europa Brücke per raggiungere la Francia e Strasburgo, la prima foratura ci tende un agguato. Il pneumatico posteriore di Ezio diviene piatto come una sogliola sull’asfalto. In 15 minuti il nostro team (Ezio e Beppe) sostituisce la camera d’aria e si riparte. Un rapido giro per l’affollato centro di Strasburgo ci offre uno sguardo su una città i cui muri sono permeati di Storia. La torre della maestosa cattedrale di Notre Dame, dall’alto dei suoi 142 metri, testimonia il glorioso passato di questa splendida città imperiale tedesca fino al 1681, poi francese, poi riannessa alla Prussia dopo la vittoria nella guerra franco-prussiana (1871), poi di nuovo francese dopo la Grande Guerra, e ora sede di importanti istituzioni europee e internazionali, come il Consiglio d’Europa, la Corte Europea dei Diritti Umani e il Parlamento Europeo. Da questa città di frontiera tra più culture, diventata il simbolo della cooperazione tra i popoli dell’Europa, parte il nostro viaggio lungo il Reno, che ci porterà fino a Coblenza, nel cuore della Renania-Palatinato.
Allontanandoci dal centro città per prendere il corso del fiume, osserviamo la ricchezza di canali navigabili che ricordano un po’ Venezia e un po’ Amsterdam. Battelli da crociera all’attracco diffondono profumo di carne e pesce alla griglia. Attraversiamo boschi turgidi di vegetazione, il Bois de la Robertsau (la Forête) e il Bois Communal de la Wantzenau. Il sole di mezzogiorno picchia forte e ci disidrata. Ci fermiamo dunque a Wantzenau per cercare un po’ d’acqua fresca, ma non ci sono fontane. L’assenza di fontane lungo la ciclabile del Reno sarà un grosso problema per tutto il viaggio.
Bussiamo a due ristoranti, dove ci mandano via perchè la cucina è chiusa. Sono le 13,45 e abbiamo fame ma soprattutto sete. Al terzo ristorante ci dicono che non vendono acqua e poi, invece di farci accedere ai bagni per fare rifornimento, ci portano due bottiglie da tè, riempite di acqua del rubinetto. Siamo un po’ delusi dall’ospitalità alsaziana, ma ci accontentiamo. Alla fine consumeremo le nostre razioni K (provvidenziali scatolette di tonno, pane, qualche frutto e l’acqua tiepida delle nostre borracce) seduti all’ombra di una pergola, nell’area di protezione avicola di Wantzenau. Dalle cime dei pali dove hanno fatto il nido due cicogne ci osservano indifferenti.
Proseguiamo lungo il nostro itinerario, in mezzo a boschi e campi coltivati, e poi ai piedi dell’argine maestro (Hauptdam) del Reno. Il fiume non l’abbiamo più visto da quando abbiamo attraversato l’Europa Brücke, ma percepiamo la presenza rassicurante del Padre Reno oltre l’argine alla nostra destra, da dove proviene il borbottio lontano delle chiatte, che enormi e placide, trasportano materiali e containers, battendo bandiere di Nazioni diverse.
Nei pressi di Offendorf troviamo finalmente un bar dove esibisco un orgoglioso “eau mineral, pètillant”, che ci viene servita da un gentilissimo “garçon”, il cui sorriso riscatta anche gli alsaziani che ci hanno trattato in modo scortese. Sorseggiandola osserviamo una chiatta passare attraverso le chiuse di un canale laterale del Reno. Qui il fiume è soprattutto una via d’acqua, che unisce più di un popolo, incurante delle frontiere.
Venti chilometri di veloce pedalata ci portano a Drusenheim, dove abbiamo prenotato le camere per il pernottamento. All’albergo Couronne D’Or il personale, come il menu, è rigorosamente bilingue. Ceniamo a base di Assiette de Hors d’Oeuvre, Escalope de Porc e Porres Pailasson e Coupe Glacèe. Io come al solito mi accontento di una assiette de Cruditè, che fa inorridire i miei affamati commensali. Dopo tanto pedalare, comunque, è tutto eccellente. 4 Agosto 2004: terza tappa, da Drusenheim (Francia) a Lauterbourg (Francia) Mezzo: bici Km: 42,7 La colazione al Couronne D’Or non è all’altezza dei 6€ aggiuntivi che costa: niente affettati. Un po’ delusi ci facciamo i panini con la marmellata e portiamo via le monodosi di miele e zucchero per eventuali emergenze. Integriamo le nostre scorte alimentari con una veloce spesa al supermercato, dove è sempre piacevole indugiare tra le stranezze alimentari locali. La tappa di oggi è abbastanza tranquilla, non c’è il sole e la temperatura è perfetta per pedalare. La nostra andatura è modesta, non abbiamo fretta di arrivare, non abbiamo appuntamenti da onorare, clienti da incontrare, meeting a cui partecipare. La filosofia della lentezza, leitmotiv del nostro viaggio, fa da contrappunto alla frenesia delle nostre esistenze metropolitane. Respiriamo a pieni polmoni cercando di fissare dentro di noi le immagini, i profumi e i suoni di questa natura meravigliosa e selvaggia: il grido degli uccelli, l’odore di terra e di muschio, le infinite sfumature dei verdi nella vegetazione…
Abbandoniamo la strada secondaria seguita fin qui per imboccare una vera e propria ciclabile che corre su un argine secondario nel bosco, fiancheggiata da lussureggianti foreste fluviali. I centri abitati sono distanti. Lungo il percorso non troviamo ne’ fontane ne’aree di sosta: una specie di deserto verde in mezzo all’Europa. Per fortuna ci siamo muniti di viveri e acqua a sufficienza per essere autonomi.
Sostiamo per un picnic nei pressi di Beinheim, su una silenziosa spiaggia lungo un’area golenale del Reno. Costanza e Sofia giocano tentando di dare da mangiare a un gruppo di oche selvatiche. Poi tutti insieme facciamo a gara di “tiro del sasso” sulla superficie dell’acqua. Alla fine vince Beppe con 13 rimbalzi. Si vede che è stato un boy scout! Arriviamo a Lauterbourg verso le 16, così abbiamo tempo di sistemarci, lavare i nostri indumenti (attività che d’ora in poi verrà svolta quotidianamente al termine di ogni giornata), visitare il grazioso paese e sostare ad una invitante gelateria che scopriamo essere gestita da italiani. Un altro giro ci consente di localizzare un vicino supermercato, dove l’indomani faremo la spesa.
Ceniamo al ristorante “Au Bœuf”, che ci rimarrà impresso per la scortesia della titolare che, mentre ci serve borbotta in francese frasi sugli “Italiens” e che alla fine si rifiuterà di farci due conti separati. Un altro bell’esempio dell’ospitalità alsaziana.
Ci corichiamo sfiniti nelle linde ma torride stanzette del “Le deux Cygne”.
5 Agosto 2004: quarta tappa, da Lauterbourg (Francia) a Germersheim (Germania) Mezzo: bici Km: 54,7 La colazione è finalmente all’altezza del nostro fabbisogno calorico, della golosità di Ezio e della previdenza di Beppe, con tanti bei croissant e pane e marmellata a volontà. Oggi il sole è minacciosamente caldo. All’ottavo chilometro ho la gomma posteriore a terra. Rapida sostituzione e ci rimettiamo subito in marcia verso Neuburg, non prima di aver fatto una mangiatina di more, che i cespugli che fiancheggiano la pista offrono in abbondanza. Come da programma, all’altezza del ponte per Karlsruhe deviamo a destra del Reno verso la città barocca. La ciclabile qui scorre di fianco ad una trafficata superstrada. Fa molto caldo, il sole picchia duro e dai cartelli stradali realizziamo che la città non è poi così vicina: la visita a Karlsruhe ci costerebbe altri 20 km che in questo momento nessuno di noi ha voglia di fare. Quando fa caldo possono capitare anche giorni in cui la fatica prevale sull’entusiasmo e si ha solo voglia di arrivare alla meta, fare una bella doccia corroborante e trangugiare una birra gelata. E non necessariamente in quest’ordine.
Decidiamo quindi di fare dietro-front.
Oggi, diversamente dalle prime due tappe, la vista del Reno ci accompagna lungo il tragitto. Qui il fiume non parla più francese, ora è proprio il Vater Rhein della mitologia tedesca e ci accompagna amorevole nel nostro itinerario, evocando le sue leggende, il canto di Loreley, l’oro del Reno, le gesta dei cavalieri Teutonici. Scorre ampio e lento, indifferente alle numerose chiatte, motoscafi e moto d’acqua che solcano le sue acque. Non è più costretto tra alti argini, si è fatto più largo e la ciclabile e il fiume sembrano quasi complanari. Anche oggi dobbiamo ringraziare la nostra previdenza per quanto riguarda il cibo e le scorte d’acqua. Beviamo tutto il giorno l’acqua tiepida delle nostre borracce, sognando boccali di birra imperlati da gocce di condensa. Non troviamo fontane, non troviamo bar, non troviamo aree di sosta dove poter appoggiare le chiappe su qualcosa che non sia triangolare. Ci mancano dei thermos e una coperta per sdraiarci nell’erba, che pullula di zanzare.
Alla fine cediamo. Appoggiamo le bici le une alle altre, improvvisando bizzarre sculture di tubi, ruote e borse e ci lasciamo cadere in un prato all’ombra di alti pioppi. Quasi senza parlare consumiano i nostri panini e le pesche a pezzettini con lo zucchero, che è diventato un tiepido e goloso sciroppo. Giochiamo a carte (Cristina ne ha sempre un mazzo) mentre aspettiamo che il solleone mitighi un po’ i suoi raggi. Poi arrivano le vespe a farci compagnia e alla fine il panico che creano tra le bambine (e non solo) ci costringe a rimetterci in movimento. Ma il sole è ancora allo zenit in un cielo quasi bianco per l’afa; la pista, anche se fiancheggiata dai boschi, è completamente esposta e l’asfalto riverbera su di noi un calore insopportabile.
Facciamo altre soste, ma le le zanzare sbucano dall’erba e infieriscono sulle nostre membra già provate dalla fatica. Alla fine dobbiamo per forza sostare, perchè ho i sintomi di un’insolazione, un forte mal di testa, sete implacabile, fastidio alla luce. Non ho avuto l’accortezza di coprirmi il capo, come hanno fatto gli altri, e ho appeso il casco al manubrio (brava!) perchè fa troppo caldo. Ora bisogna correre ai ripari. Mi sdraio nell’erba, mentre Ezio mi versa sulla testa e sul corpo l’acqua delle borracce. A poco a poco mi riprendo e posso rimontare in sella. Cristina si offre di portare le mie borse anteriori, ed è un bel sollievo per me. Le porterà fino alla fine del viaggio. Adesso ho in testa un bel foulard fucsia a fiori comprato allo spaccio della Bassetti di Burago, e non lo toglierò più fino alla fine del viaggio. Posso rinunciare a qualche vezzo estetico se voglio arrivare a Coblenza…
A un certo punto, tra Maximiliansau e Leimersheim la ciclabile passa attraverso un deposito di container. Enormi mezzi meccanici sono in funzione e sollevano questi mostri fino a dieci, quindici metri di altezza, per caricarli sui vagoni ferroviari. Noi e altri ciclisti, come insetti impazziti, facciamo lo slalom tra queste ciclopiche entità, mentre gli autisti dei mostri si fermano e ci fanno segno di passare velocemente sotto i loro giganteschi carichi, sospesi sopra le nostre teste. Sofia ha una crisi di nervi e si mette a piangere. Noi manteniamo il nostro aplomb, però tutti abbiamo avuto paura e il mito della Germania salutista e amica dei ciclisti comincia a vacillare. Più avanti nel viaggio questo mito subirà un altro duro contraccolpo.
Arriviamo a Germersheim alle 17,30. Siamo tutti provati dal caldo. Beppe, che ha rifiutato la mia crema solare a protezione totale, ha gli avambracci ustionati. Riguardando la cartina realizziamo di aver attraversato il confine tra Francia e Germania prima della deviazione per Karlsruhe senza essercene accorti. Adesso siamo nel Bundesland della Renania-Palatinato (Rheinland-Pfalz).
Ceniamo all’Hotel Kurfürst e poi facciamo due passi in città. Vediamo la Weissenburger Tor e la fortezza, resti del passato militare di questa città circondata da un fossato, posta nel XIX secolo a difesa contro le truppe francesi. 6 Agosto 2004: quinta tappa, da Germersheim a Mannheim Mezzo: bici Km: 76,4 Ci svegliano i rintocchi delle campane della vicina chiesa cattolica, che imperversano per quasi un’ora. Facciamo una ricca colazione nella sontuosa veranda dell’Hotel. Il fabbisogno calorico ci rende tutti particolarmente voraci. Non ci alziamo prima di aver preparato un ultimo panino da portar via. Non sarà molto educato, ma dispiace lasciare nel piatto vivande che nel giro di un paio d’ore rimpiangeremmo amaramente. Temiamo i famosi “rimorsi della fame”. Prima di lasciare Germersheim, ci fermiamo ad un negozio di biciclette per cercare qualche accessorio di scorta, un paio di camere d’aria e un cavalletto per sostituire quello della mia bici che il peso delle borse ha piegato impietosamente. E poi via, verso Mannheim. Al sesto chilometro, salendo su un ponticello che attraversa un piccolo canale, Ezio spacca la catena della sua bici nuova. In 14 anni di viaggi in bici è la prima volta che Ezio parte senza lo smagliacatene. In ossequio alla legge di Murphy, quando non porti un attrezzo è la volta che ti servirà. Fortunatamente siamo in un centro abitato e una gentile passante ci indica un vicino negozio dove si eseguono riparazioni (Fahrradreparatur). Nel raggiungerlo ci fermiamo a raccogliere dolcissime prugnette rosa ai lati della strada. Perderemo un’ora e 28€ per la sostituzione della catena e per la regolazione del cambio, che da giorni faceva rumori strani. Ripartiamo verso Speyer (Spira), dove faremo una lunga sosta per ammirare la chiesa romanica più grande del mondo, lo splendido Kaiserdom, capolavoro del romanico tedesco, con la cripta dove sono conservate le spoglie di otto imperatori. Pranziamo su comode panchine nel vasto e ombroso giardino tra l’abside del duomo e i ruderi del castello, animato dal via vai dei turisti, ricco di fontanelle, di bar e negozi di souvenir, dove imperano le cartoline con la foto di Giovanni Paolo II, che fu qui nel 2000, anno del Giubileo. C’è perfino un lindo bagno pubblico, cosa molto apprezzata da tutti, dopo giorni di spartane privazioni. Appena il sole si fa meno torrido, e dopo un bel gelato, ripartiamo verso Altrip, dove (pensiamo noi) prenderemo il traghetto per raggiungere la nostra meta di oggi, Rheinau, sulla riva destra del fiume. Siccome è ancora presto, ci concediamo un’andatura molto turistica, fermandoci per raccogliere more e prugnette selvatiche, per far giocare le bambine e per bagnarci i piedi nello splendido laghetto nei pressi del Dammwachthaus. Quando alla fine arriviamo al molo di Altrip, un cartello ci informa che “DIE FÄHRE IST AUßER BETRIEB” (il traghetto è fuori servizio). Qui il mito della Grande Germania crolla definitivamente come il muro di Berlino, sotto le picconate della nostra stanchezza e della nostra indignazione. Ma non potevano mettere un cartello una ventina di chilometri prima? Non potevano offrire un servizio sostitutivo almeno per i pedoni e le biciclette? Non potevano. L’albergo prenotato è esattamente di fronte ad Altrip, a Rheinau, dall’altra parte del fiume e sono le sei di sera e abbiamo già percorso 50 chilometri. Verifichiamo che il primo ponte è a 13 km da qui, a Ludwigshafen. Poi dovremmo tornare indietro sull’altra riva, per altrettanti chilometri. Che fare? Decidiamo di cercare una sistemazione per la notte qui in paese. Ma con grande disappunto scopriamo che tutti i posti letto sono occupati. Ormai è tardi. Fiorella è distrutta. Sofia ha già fatto miracoli con le sue gambette di bambina, come chiederle di pedalare ancora? Costanza per fortuna dorme nel carrellino, la testa appoggiata sulla bambola di pezza cui ha dato il nome “Wie heißt du?”, e non si accorge della concitazione e del malumore.
Presi dallo sconforto, decidiamo di dirigerci verso Ludwigshafen. Ci fermiamo ad un Pennymarket per fare rifornimento di panini al prosciutto, benzina per i nostri quadricipiti, e ripartiamo. Ezio è l’unico a manifestare calma e a infondere ottimismo alla truppa.
“Keine Sorge!” (niente paura!) continua a ripetere, forse per autoconvincersi che tutto si risolverà senza problemi.
La ciclabile si allontana inesorabilmente dal Reno facendoci smarrire l’orientamento, le indicazioni sono pessime e puntualmente ci perdiamo. In vicinanza di Ludwigshafen fermiamo i rari passanti (ormai è ora di cena) per domandare la direzione per il “Konrad Adenauer Brücke” (il ponte di Mannheim). Il ponte è un cantiere e perdiamo altro tempo per cercare di capire come salirci. Seguendo le indicazioni di un anziano clochard, l’unico che ci risponde in tedesco in questa città brulicante di immigrati, saliremo sul ponte issando le bici stracariche per due rampe di scale, per poi scoprire che frotte di ciclisti arrivano pedalando dalla base del ponte, che noi credevamo inaccessibile… Infine percorriamo un tratto di superstrada al buio, ma almeno io ed Ezio abbiamo le luci lampeggianti, gli altri no.
Arriveremo all’albergo “Am Riedweg” alle 21,45. Ceniamo alle 23 sulla “Terrasse” dell’albergo, la parodia di un dehor, un triste rettangolo di parcheggio rubato al vicino supermercato, delimitato da improbabili paravento di canne per nascondere lo squallido sfondo industriale dell’area portuale Hafen 2 di Mannheim. Un pizzaiolo siciliano dal sorriso alternativo (un dente si e uno no), con inquietanti orecchini alla corsara e coperto di tatuaggi come il fiociniere di Moby Dick, ci serve quelle che lui spaccia per pizze e alla fine ci offrirà anche il caffè. L’accoglienza è davvero cordiale, senza contare che a quest’ora di solito le cucine sono già chiuse da un pezzo.
La camera è piccola e torrida. Costanza, cosa mai successa prima, cade dal letto e dorme per terra per due o tre ore. Comunque siamo soddisfatti: abbiamo percorso ‘solo’ 76 km! Sofia ha pedalato come un treno senza mai lamentarsi, Costanza è stata buona nel carrellino tutto il giorno, cantando e dormendo e inventandosi storie e senza mai disturbare, nonostante lo scarso spazio a sua disposizione. Nessuno ha fatto pesare questo “fuori progamma”.
Del resto l’inconveniente del traghetto rientra in pieno nella categoria dell’imprevedibile.
Comunque le ragazze hanno fatto capire che sono stanche. Ezio ed io ci scambiamo un’occhiata complice prima di spegnere la luce: sappiamo già che domani ci sarà un ammutinamento.
7 Agosto 2004: sesta tappa, da Mannheim a Oppenheim Mezzo: bici Km: 18,2 Mezzo: treno Km: 30 L’ammutinamento tanto temuto è arrivato puntuale. Le ragazze oggi si rifiutano di pedalare.
A colazione decidiamo comunque di fare una rapida visita alla città di Mannheim per poi prendere il treno per Oppenheim, saltando una tappa in bici. La decisione viene approvata per acclamazione.
Da Rheinau raggiungiamo Mannheim lungo la comoda ciclabile, che scopriamo passare proprio accanto all’albergo, che nessuno la sera prima ci aveva indicato e che al buio non avevamo visto.
Visitiamo la città: nella bella Friedrichsplatz, abbellita dai giochi d’acqua delle fontane, sorgono la Wasserturm e il Rosengarten (centro congressi). Il parco pullula di coppie di neosposi in posa per la foto di rito. Gli invitati, per ingannare l’attesa, stappano spumante intorno a tavolini improvvisati.
Raggiungiamo il Luisenpark, bellissimo parco cittadino non recintato eppure perfettamente in ordine, senza segni di vandalismo, dove pranziamo al sacco e dove le bambine si scatenano nell’attrezzatissima area giochi. Nella cura del loro patrimonio di verde e di fiori, i tedeschi sono insuperabili.
Ogni parco, ogni angolo di verde esprime tutto il loro rispetto per la natura. Anche nel centro delle città si possono trovare parchi e boschi invidiabili, profumati di terra, di muschio e di fiori. E i tedeschi, anche quelli d’adozione, se li godono, li vivono, li abitano gioiosamente, consapevoli di possedere una grande, verde ricchezza. Sul lato nord svetta la torre delle telecomunicazioni, alta 205 metri, con il ristorante girevole a 125 metri d’altezza.
Osserviamo la gente a passeggio e notiamo un variopinto andirivieni di etnie, costumi e idiomi non nostrani: si notano tanti arabi e asiatici e slavi. Anche il giorno prima, chiedendo informazioni, non abbiamo mai incontrato un tedesco (tranne il barbone). Alle 15,48 saliamo sul treno che ci porterà ad Oppenheim. Non vedremo Worms, fondata dai Celti e antica capitale dei Burgundi, con la sua bella cattedrale, ma in compenso riposeremo le gambe e il fondoschiena.
Sulla bella piazza di Oppenheim, circondata da splendide case a graticcio e dominata dalla mole della chiesa evangelica di Santa Caterina, capolavoro del gotico renano, sentiamo il vocìo degli avventori delle vinoteche che abbondano nella città, famosa per i suoi profumati Riesling, per i Weissburgunder dal gusto vellutato e per le cantine sotterranee che con i loro labirinti formano una città sotto la città (“eine Stadt unter der Stadt”, come ci spiegava la cameriera di Mannheim, tracciando nell’aria linee orizzontali).
All’Hotel Krone ci accoglie il gestore, un sanguigno valtellinese. Il basilico nell’orto, il profumo mediterraneo della cucina e la calda ospitalità ci fanno sentire subito a casa. L’accento lombardo del cameriere che ci serve completa l’atmosfera casalinga. Ordineremo la mitica pastasciutta, i totani alla piastra, e concluderemo la cena con un ottimo caffè, accompagnato dalle ciliegie di Vignola sotto spirito, omaggio della casa. Dalla finestra ci accorgiamo che il cielo si è incupito di colpo e ora sta diluviando, ma adesso a noi non importa un bel niente.
8 Agosto 2004: settima tappa, da Oppenheim a Wiesbaden-Biebrich Mezzo: bici Km: 35,5 Visitiamo le rovine del castello Landskrone sulla collina che domina Oppenheim. Poi ci dirigiamo verso Mainz (Magonza), la città che diede i natali a Gutenberg, l’inventore della stampa a caratteri mobili. La ciclabile attraversa splendidi vigneti, che danno alle colline una simmetrica e familiare geometria e dove giochiamo a rincorrerci lungo i saliscendi, senza mai perdere di vista il Reno che scorre ai piedi delle colline, dispensando la sua fertile vitalità. Il paesaggio qui sembra un acquarello.
Quando la pista abbandona le colline per tornare a correre sulla riva del fiume, passiamo dall’asfalto allo sterrato. Costanza piagnucola per i sobbalzi del carrellino. Dobbiamo sostare e offrirle qualcosa da bere o darle una carezza. Poi riprendiamo il viaggio cantando insieme a lei “Se sei triste e ti manca l’allegria…” oppure “Ci son due coccodrilli”. Adesso ride contenta, battendo le mani e mimando le strofe della canzone.
Soccorriamo un ciclista tedesco che ha forato e cerca una pompa per una valvola francese, chiedendola a degli italiani. In inglese. Se questa non è l’Europa unita…
Arriviamo a Mainz. La capitale della Renania-Palatinato, alla confluenza tra il Meno e il Reno, ci accoglie nella bella piazza del Duomo, dedicato a San Martino e a Santo Stefano, che assieme alle Cattedrali di Speyer e Worms costituisce il più alto esempio di architettura sacra romanica del Reno superiore. Lo visitiamo mentre un coro di quaranta elementi sta cantando divinamente. L’atmosfera è solenne e ci regala un brivido d’emozione indimenticabile. Raggiungiamo più in alto la chiesa gotica di Santo Stefano con le grandi vetrate disegnate da Marc Chagall. Indugiamo per le vie della Altstadt (la città vecchia), fermandoci a fotografare le romantiche case a graticcio, dalle facciate aguzze, con le finestre ornate da tendine civettuole, a volte un po’ kitsch, con i ciondoli appesi e cascate di fiori che esplodono dai davanzali. Sulla Schillerplatz notiamo gli austeri palazzi patrizi e la bizzarra Fastnachtbrunnen, la fontana del Martedì Grasso. Ma bisogna ripartire. Altri 6 chilometri e siamo a Wiesbaden-Biebrich, capitale dell’Assia, dove ci aspetta la graziosa Pension Anuska. Una bella doccia e degli abiti puliti ci restituiscono un aspetto da turisti cittadini.
Visitiamo il castello Schloss Biebrich, residenza estiva dei duchi di Nassau, con il bellissimo Schloss Park, dove avvistiamo frenetici scoiattoli e multicolori pappagalli che si rincorrono tra le chiome degli alberi secolari. I 280 chilometri fatti in bici fino ad ora cominciano a fare effetto. Le gambe sono indolenzite e si fa quasi fatica a camminare. Entriamo nella prima Gasthof per cenare, poi ci ritiriamo presto, perchè Fiorella non sta bene.
9 Agosto 2004: ottava tappa, da Wiesbaden a Bacharach Mezzo: bici Km: 64 Lasciamo Biebrich per dirigerci verso Wiesbaden, famosa città termale fin dai tempi dei Romani, che vanta ben ventisei sorgenti dove le acque curative sgorgano a temperature tra i 46°C e i 67°C. Purtroppo il centro è lontano e il percorso è un continuo saliscendi. Quando finalmente arriviamo alla Hauptplatz e alla Marktkirche rimaniamo un po’ delusi. L’atmosfera è un po’ decadente, c’è un traffico pazzesco, sembra di essere a Milano. La nostra guida ci consiglia di visitare il Neroberg, la boscosa collina di Nerone, che sovrasta la città dal lato nord, sulla cui cima, raggiungibile con una ferrovia a cremagliera lunga 245 metri, sorgono le terme Opel, da cui si gode una splendida vista sulla città. Data la nostra condizione di ciclisti sovraccarichi, non sapendo dove lasciare i nostri bagagli, decidiamo di soprassedere. Prendiamo quindi un caffè all’aperto in un Cafè sulla Hauptplatz e poi ci rimettiamo in movimento in direzione della ciclabile del Reno, che ritroviamo senza difficoltà. Abbiamo già percorso 15 chilometri. Puntiamo diritto verso Rüdesheim, dove traghetteremo per Bingen (forse).
Il sole oggi è decisamente torrido e ci costringe a continue soste, per bere e per riprenderci un po’. Pranziamo sotto una quercia, presso il castello di Eltville, dove visitiamo lo splendido roseto, dalla malinconica bellezza.
Anche oggi, niente fontane. L’unica acqua è la minerale che ti servono al bar per 2€! Continuiamo a pedalare sotto un sole africano. Gli occhiali da sole, le visiere e i chili di crema solare sono d’aiuto, ma il caldo ci mette a dura prova. La strada è uno sterrato sconnesso, una specie di Parigi-Dakar per ciclisti. Costanza piange in continuazione perchè non riesce ad appisolarsi a causa dei ripetuti sobbalzi, e anche noi siamo stanchi. Si va a 6 km/h, di più non si può. Arrivati a Östrich-Winkel, scorgiamo un traghetto diretto all’imbarco. Un miraggio. Ci mettiamo in coda e saliamo, credendo di essere già a Rüdesheim, che invece dista ancora 8 chilometri.
Ci rendiamo conto di aver preso il traghetto sbagliato solo quando, invece che a Bingen, sbarchiamo a Ingelsheim, dove, come scopriremo poi, si trovano i resti del palazzo imperiale di Carlo Magno. Sono le 16. Dovremo pedalare ancora 4 ore prima di arrivare a Bacharach. Mentre lo costeggiamo nel suo procedere maestoso verso il mare del Nord, il fiume dei Nibelunghi si offre in tutta la sua teutonica bellezza, con gli ammassi dei verdi cupi della sua vegetazione, con il rosso mattone delle sue costruzioni, con le casette di marzapane dai tetti neri, aguzzi e spioventi, con le pietre scure, severe dei suoi castelli primitivi.
Oltrepassata la rocca della Loreley, la ninfa del Reno, sostiamo a Boppard per il tradizionale “Kaffee und Kuchen”, che è molto di più di un caffè con una fetta di torta, bensì una specie di rito che non fa rimpiangere l’italico “espresso” e a cui Ezio non può rinunciare quando si trova al di là delle Alpi.
Ordinati vigneti, a picco sul fiume, ornano le sue rive con sapienti pennellate verde scuro, anticipando il sapore deciso del Riesling che assaggerò a Coblenza.
Un intrepido nonnetto ci affianca e scambia qualche parola con noi. Poi si offre di farci da battistrada e con la sua Graziella “turbo” senza rapporti ci guida a velocità folle in un turbinare di gambe fino a Trechtinghausen, a 5 chilometri da Bacharach, incoraggiandoci e fermandosi ad aspettarci quando la fatica ci fa rallentare. Arrivati a Bacharach, sembra di venir proiettati in una finestra spazio-temporale nel bel mezzo del Medio Evo. L’incantevole borgo fortificato, circondato da mura turrite e sovrastato dal castello di Stahleck, ha attirato qui imperatori e principi, scrittori ed artisti. Ed ora tanti turisti che allegramente affollano i tavolini delle enoteche.
Ma la sorpresa finale è la ripida salita fino al Landhotel Blüchertal, che Fiorella e Cristina faranno a piedi borbottando improperi, mentre Sofia, esordiente delle due ruote, arriverà all’albergo pedalando en danseuse, come fosse all’inizio della tappa anzichè alla fine.
Il benvenuto all’albergo ci viene dato da un simpatico signore di colore della Costa d’Avorio.
10 Agosto 2004: nona tappa, da Bacharach a Coblenza Mezzo: bici Km: 62 Lasciamo Bacharach a malincuore e pedaliamo tutto il tempo sotto una uggiosa pioggerella. La grande città è ormai vicina, ma si fa desiderare. Il percorso è quasi tutto sterrato con molti sassi affioranti. Ad un tratto inizia a piovere forte e ci dobbiamo fermare per indossare le giacche impermeabili e per abbassare la cerata del carrellino, da dove Costanza scruta incuriosita le nostre manovre.
Il nomadismo in bicicletta dà un grande senso di libertà e di affrancamento se c’è bel tempo. Ma quando inizia a piovere sentiamo tutta la vulnerabilità della nostra condizione e la precarietà delle contromisure disponibili.
L’urgenza adesso è quella di arrivare. La fretta ci fa sbagliare strada, e imbocchiamo un sentiero che si fa via via sempre più stretto fino a terminare in un boschetto senza vie d’uscita. Poi, tornati sui nostri passi per alcune decine di metri, ritroviamo la giusta direzione. Incrociamo altri ciclisti che pedalano impassibili in maglietta e pantaloncini.
Smette di piovere, il sole si è scrollato di dosso lo schermo di nubi e splende su di noi, che ormai siamo vicinissimi a Coblenza. All’improvviso, senza quasi accorgercene, ci ritroviamo a pedalare lungo il Kaiserin-Auguste-Anlage, una delle più belle passeggiate lungofiume d’Europa. Il crescente via vai di turisti, famiglie, bambini ci fa capire di essere arrivati. Siamo a Coblenza, la città fondata dai Romani “ad confluentes”, alla confluenza tra il Reno e la Mosella, e rasa al suolo nel 1945 dai bombardieri alleati per costringere la Germania nazista alla resa. Ci fermiano al Deutsches Eck, che si affaccia nel punto dove le acque della Mosella si fondono con quelle del Reno. La statua dell’Imperatore Guglielmo II di Prussia ci sovrasta severa alle nostre spalle mentre ammiriamo la fortezza Ehrenbreitstein, che si erge imponente sui poderosi contrafforti della riva destra del Reno.
Risaliamo quindi la Mosella, superiamo lasciandolo alla nostra destra il Balduin Brücke, costruito nel 1343 e il Neue Mosellbrücke e attraversiamo la Mosella sulla diga che forma lo Stausee per raggiungere il nostro albergo, das Fährhaus. 11 Agosto 2004: decima tappa, per le vie di Coblenza Mezzo: bici Km: una ventina Alla Fährhaus la colazione è imperiale. I tavoli del buffet sono stracarichi di prelibatezze di ogni tipo: frutta fresca, kiwi e meloni affettati, muesli e yogurt, vari tipi di pane bianco e nero, croissant, miele, marmellate e poi affettati e formaggi, succhi di frutta e torte… Non mancano però le fette biscottate dietetiche della Wasa, per chi tenesse alla linea. Ma non è il nostro caso: oggi, che non avremo bisogno di molte calorie per visitare la città, l’euforia per aver raggiunto la meta ci ha messo appetito e ci alzeremo da tavola solo dopo aver assaggiato tutto.
Con le bici finalmente scariche ci sembra di volare, come Elliot nel film “ET”. Levitando sui pedali raggiungiamo il Deutsches Eck, dove lasciamo le bici per visitare la chiesa di St. Kastor, fondata nell’836 e dove nel 842 gli eredi di Carlo Magno stilarono il trattato che portò alla spartizione dell’impero carolingio. Quindi prendiamo il trenino panoramico della città per visitare il centro storico.
Si respira un’atmosfera mitteleuropea, fatta di garbo e di cura, di discrezione e di pulizia.
Dall’altroparlante del vagoncino apprendiamo cenni di storia della città. Le parole più ricorrenti sono “destroyed” e “rebuilt”. Più tardi, dal traghetto che ci porterà in crociera tra il Reno e la Mosella, vedremo l’unico edificio sopravvissuto ai bombardamenti alleati del 1945. Tutto il resto è stato ricostruito dopo la guerra. Come a Mainz, a Regensburg e a Würzburg e come in altre città bombardate dagli alleati, che abbiamo visitato, le guide spiegano se a bombardare furono gli amercani o gli inglesi, il numero delle vittime, il modello degli aerei e il peso e il tipo di bombe sganciate sulla loro città, limitandosi a narrare i fatti storici, ma senza mai commentarli. L’elaborazione del proprio passato e l’amara riflessione sulle responsabilità storiche della Germania, fatta dai tedeschi dopo la guerra, è come permeata anche nei più giovani e si esprime attraverso una specie di pudore, che lascia a chi osserva la dolorosa incombenza del giudizio morale e storico su quanto è accaduto. E’ quasi ora di pranzo. Ci fermiamo a osservare la Schängelbrunnen, la dispettosa fontana che letteralmente sputa il suo getto d’acqua dalla bocca di un monello sugli ignari turisti, quando meno se l’aspettano.
Dopo pranzo, visitiamo la Piazza del Gesuiti, la chiesa Liebfrauen e ci fermiamo a osservare la facciata del Museo del Medio Reno, con il suo bizzarro orologio che ci fa le smorfie. Nella Munzplatz ci fermiamo davanti alla “Haus Metternich”, dove, si dice, nacque il più illustre politico di Coblenza, il principe Clemens Wenzeslaus Lothar Metternich, deus ex machina della Restaurazione al Congresso di Vienna.
Prima di rientrare in albergo ci accorgiamo di aver perso Loreley, l’orsacchiotto viola a cui Costanza aveva dato il nome della bella sirenetta del Reno. Ne parleremo con nostalgia per tutto il viaggio di ritorno.
Terminato il giro della città non ci resta che recarci alla stazione per prenotare i posti sul treno per l’ultima tappa che ci riporterà a Strasburgo e, con un breve ultimo tratto in bici, alle nostre auto.
12 Agosto 2004: undicesima tappa, da Coblenza a Strasburgo Mezzo: bici + treno da Coblenza a Strasburgo (poi in bici fino a Kehl) Km: n.P.
E’ arrivato infine quel momento tanto temuto, il cui pensiero abbiamo cercato di esorcizzare fino ad oggi per poter gustare appieno le gioie che giornalmente abbiamo avuto la fortuna di godere: la fine del viaggio! Per fortuna sappiamo che quella che sta per terminare è solo la sensazione più fisica del nostro viaggiare: la sensazione dei pedali che si induriscono man mano che la salita si fa più erta, e poi il vento in faccia, l’ebbrezza della bici in corsa giù per le discese, il leggero fruscìo delle gomme sull’asfalto e lo scricchiolare dei ciottoli sotto le ruote, il calore del sole cocente sul nastro d’asfalto che corre verso la nostra meta, la magia misteriosa dei boschi e i chiaroscuri del sole che balugina tra le foglie, la rigenerante stanchezza che ci accompagna a letto ogni sera quando ci corichiamo, finalmente affrancati, anche se solo per pochi giorni, dalla nostra condizione di forzati del volante, in moto perpetuo tra la casa e l’ufficio.
Già da domani inizierà un altro tipo di viaggio, ma in una dimensione diversa, quella del ricordo. Le immagini che sono passate attraverso i nostri occhi e le emozioni che sono scivolate sui nostri cuori non finiranno quando metteremo il piede sul predellino del treno. Come già successo per i viaggi precedenti, esse torneranno a farci compagnia nei momenti più inattesi, scaldandoci nelle sere nebbiose dell’autunno e nelle fredde mattine dell’inverno milanese, ricaricandoci nei giorni in cui sarà più difficile dare un senso alla nostra vita di pendolari stressati e di impiegati costretti a un orizzonte chiuso tra una scrivania e lo schermo di un computer. Basterà un piccolo dettaglio della quotidianità per riportarci alla mente questi giorni e ci ritroveremo come per incanto a pedalare lungo questo possente e pacifico fiume, dentro i verdi corridoi d’ombra che incorniciano le sue rive, sotto lo sguardo vigile dei castelli aviti che ne custodiscono il lento incedere, punteggiando le colline di romantiche presenze.
Il modernissimo e pulitissimo treno su cui percorriamo l’ultimo tratto del tragitto ferroviario ci fa vergognare dei sordidi treni nostrani, con i sedili imbrattati, da cui sbucano cartacce e lattine vuote lasciate da locali orde di Unni metropolitani.
Raggiungiamo Strasburgo sotto un nubifragio. Percorreremo gli ultimi 12 chilometri in bici sotto una pioggia torrenziale e arriveremo a Kehl bagnati come i superstiti del Titanic. Alla fine il contachilometri segnerà 450 chilometri.