Borneo
mercoledì 15: il valore dell’euro e la lezione cinese arriviamo in serata a Kota Kinabalu, la capitale, gli altri passeggeri scivolano velocemente oltre la dogana, siamo gli unici a dover compilare la carta d’ingresso in Sabah, i nostri due zaini già ci aspettano sull’unico nastro trasportatore dell’aeroporto.
All’uscita, si fa per dire, lo scalo è così piccolo che passata la dogana sei già fuori, siamo sorpresi di non trovare un cambiavalute, per fortuna qualche taxi c’è ancora; qui come nel resto della Malaysia per prendere il taxi devi prima passare al relativo sportello e dire dove andare, ti danno un piccolo coupon riferito al tragitto interessato (sicuramente vanno per fasce chilometriche), paghi e porti questo tagliandino al primo tassista libero: non c’è da contrattare nulla, non c’è tassametro rotto, non c’è richiesta di mancia, convincente, bravi malesi…Solo che non abbiamo nemmeno un ringitt in tasca!…Che fare? Prometto all’addetta che pagherò direttamente all’autista una volta arrivati in albergo.
Dopo la sistemazione a Bangkok categoria meno 1 stella, gli occhi di Silvia reclamano qualcosa di più decoroso, ma ho già in mente la sorpresa, il Berjaya Palace Hotel, è su una piccola collina a ridosso della città e dalla strada di accesso il colpo d’occhio serale è magnifico; è costruito come un castello con torri e merletti, sorrido compiaciuto anche perché so essere l’hotel in promotion-rates, mi accenderei un sigaro con 1US dollar se lo avessi.
Entrati, espongo alla reception il mio problema, ho bisogno di 15 RM per pagare l’autista, ecco i miei 5 euro…La ragazza prende la banconota la guarda, la rigira, la mostra alla collega, “non possiamo accettarla, non sappiamo quanto vale”, il sorriso si smorza improvvisamente, ma come? United Europe? Prodi? Italiani-spagnoli-tedeschi, una faccia-una razza? di nuovo…Che fare? è lei stessa a cavarci dall’impaccio anticipando il cash, che “potrò restituire domani a banche aperte” …Efficienza femminile! Solo il tempo di appoggiare il bagaglio nella stanza e di nuovo fuori, siamo affamati ed comincia ad essere tardi, in quindici minuti camminando raggiungiamo il cuore di KK, vediamo il Port View Restaurant, all’ingresso ha delle capienti vasche con pesci di ogni tipo, lo so, le aragoste sono più felici in fondo al mar ma non resistiamo.
Il locale è molto grande, direttamente sul mare e soprattutto…Deserto, i tavoli sono apparecchiati ma non c’è nessun altro cliente, in compenso c’è un’infinità di camerieri tutti giovanissimi ed in divisa a fiori, le ragazze con abito lungo ed islamico velo, i maschi con sarong, intuisco che siano in apprendistato, magari provenienti da qualche scuola alberghiera; li abbiamo tutti a nostra disposizione solo che per quanto si diano da fare, chi ci gira il bicchiere, chi porge il menù, non c’è lavoro per tutti e quindi alcuni se ne stanno semplicemente davanti a noi, così…Guardandoci.
La serata potrebbe finire così, amabilmente pasteggiando in riva al mare nella nostra prima serata in Borneo, ma improvvisamente una scena surreale, una sorta di ciak alla Fellini si svolge davanti ai nostri occhi: dall’interno del ristorante esce il grande capo, il padrone, cinese, e con un ripetuto battito di mani, a mò di segnale, chiama a raccolta il personale, intendo dire tutto il personale, cuochi-camerieri-cassiera, solo i pesci rimangono nelle vasche, e li dispone a semicerchio sulla passerella del lungomare, quindi a 2-3 mt. Da noi che avevamo ovviamente scelto il tavolo più vicino alla riva.
Il suddetto grande capo sale sul muretto diventando così il punto d’attenzione di tutti, ed attacca una cazziata contro i dipendenti; amico cinese, perché?, perché strigli così i tuoi collaboratori, perché imiti scimmiottandola l’andatura dei tuoi giovani camerieri, e soprattutto…Perché lo fai davanti a noi, dopo che ci hai appena servito degli ottimi gamberoni? La filippica dura più di mezz’ora, non vola una mosca, ma non può finire così, a muso duro, il nostro è un padre-padrone si vede, e nei successivi dieci minuti finisce a tarallucci e vino raccontando aneddoti e gag esilaranti attingendo, lo intuiamo dalla mimica, dalla sua vasta esperienza di quando, giovane, era lui ad essere al loro posto. Risate ed applausi, con qualcuno che, non visto, ne approfitta per svignarsela.
giovedì 16: è forse Merdeka-day? Dopo colazione ci aspetta la conoscenza della città, il cambio valuta e soprattutto organizzare la salita al famoso Mt. Kinabalu; usciamo, il cielo è coperto ma l’aria è quella che già abbiamo respirato in altri viaggi, quel caldo e molto umido che subito ti si attacca alla pelle, e subito te ne dimentichi.
Indumenti estivi e sandali, Silvia indossa un prendisole, spalle scoperte, incrociamo una signora, qualcosa non gira, l’occhiataccia che le rivolge mi fa accendere la lampadina, siamo in una città islamica, dobbiamo stare attenti ai costumi locali, non rientriamo in Hotel, d’accordo, però al primo negozietto ti compri una maglietta e ti copri, la mia autorità maschile non ammette repliche, …Così almeno avrei voluto che fosse, naturalmente non se ne fa nulla, autorità maschile, dicevo.
KK non mi dispiace, per la maggior parte è distribuita a ridosso del mare, certo è un’alternanza di palazzi un po’ trasandati e sedi lussuose di banche ed assicurazioni, ma questo è una costante in questa parte di mondo, e così pure bancarelle e mercatini dove si cucina e si vende a tutte le ore del giorno.
Però è tutto “tutup” chiuso, le banche, l’ufficio del turismo, le agenzie, noi dobbiamo cambiare denaro ed informarci, ci sono molte bandiere della Malaysia che sventolano sui balconi, che sia la festa per l’anniversario dell’indipendenza, Merdeka?; vergognosamente ripieghiamo su un centro commerciale, lì il cambio è aperto e finalmente abbiamo i nostri ringitt. Il clima non migliora e non siamo quindi tentati dal classico giro al Tunku Abdul Park, per la nuotata aspetteremo, ci attende Selingan e in ultimo Sipadan, speriamo bene, intanto continuiamo a girare per viuzze e negozietti finché arriviamo al mercato, prima quello del pesce, molto chiassoso, i tavolati con in bella mostra il risultato della pesca notturna, e poi quello della frutta e cibarie; quest’ultimo mi appassiona, è un carnevale di colori e profumi, mango, jackfruit, rambutan, banane verdi e gialle ma piccole, ananas, mangostin, senza fortuna cerchiamo il tremendo durian, ma ora abbiamo sete, quasi tutte le bancarelle offrono il cocco da bere, prezzo politico 2 RM, scegliamo di sederci alla bancarella della venditrice più anziana.
Questa vecchietta a vederla così diresti che è difficile che arrivi al panettone fra tre mesi, e invece lentamente si alza e con il piccolo machete assesta quattro colpi decisi al cocco in questione, dico quattro colpi, non è necessario ripassare con la lama, ed apre il pertugio per farci bere con le cannucce, è incominciata la sfida al virus intestinale.
venerdì 18 e sabato 19: il sacro monte Un giorno di riposo e due notti in un ottimo hotel possono bastare, stamani si parte, in auto, per il Monte Kinabalu, abbiano deciso nella preparazione di questo viaggio che, oltre agli scarponi da trekking, non avremmo portato indumenti pesanti come ad esempio felpe o giacche a vento, necessarie per raggiungere la vetta oltre i 4000 mt.; sappiamo già quindi che il nostro traguardo sarà il rifugio Laban Rata e che vedremo partire nottetempo gli altri escursionisti per la conquista del Low’s Peak, quando le temperature scendono a circa 5° o meno.
Lungo la strada che dalla città porta alla Direzione del parco ci fermiamo ad un mercatino di frutta, acquistiamo una casco di piccole banane gialle e un ananas che ci viene tagliata; questa frutta oltre ad essere meravigliosamente buona si rivelerà preziosa nella salita.
Eccoci dunque negli uffici della Direzione, non si può salire da soli, è un parco nazionale, il monte credo che sia lo stesso raffigurato nella bandiera nazionale, di conseguenza ogni gruppo ha una guida, essendo noi soli con Fabianus formiamo un terzetto da subito affiatato; Fabianus, che strano, nella vacanza più attesa, a migliaia di chilometri di distanza la nostra guida ha il mio stesso nome, adeguato alla lingua locale.
Siamo pronti, lasciamo i due zaini nel deposito, ci accompagnano all’ingresso vero del parco dove la guida si registra. Dopo il doveroso tributo al connazionale Marco DeGasperi, massimo rispetto a chi, con 2h e 36’ tra andata e ritorno mette in fila tutti i mountain-runner, iniziamo l’ascesa; non inganni il primo tratto in discesa che in breve porta ad una suggestiva cascata, non si deve aspettare molto ed il sentiero inizia a salire, ci aspettano 6 km per un dislivello di circa 1500mt.
Il sentiero è, praticamente, una serie infinita di gradini irregolari formati spesso da roccia o pietre, ma anche con tronchi messi di traverso e fissati con ganci di ferro, non è da dimenticare infatti che oltre ad essere un parco tutelato, il Mt. Kinabalu è di fatto una fonte di reddito; ai lati del sentiero la vegetazione è rigogliosa, piante ed arbusti che non conosco, oltre che ai rododendri nani e alle orchidee selvatiche, belle ma stranamente non profumate.
L’umidità è molto alta, bagna tutto, roccia e legno ed in breve bagna anche noi, ma che importa è la prima esperienza in Borneo ed è cominciata; parto bene, le gambe girano, Silvia dietro di me chiede che cosa ho mangiato stamattina…, niente sono lo stesso che di solito arranca dietro di te sui monti della Val d’Aosta, solo che ora mi sento come il bambino che apre il barattolo di nutella, felice, si può essere felici bagnati fradici di sudore e faticando in salita? Ogni kilometro c’è un punto di sosta, ci fermiamo il meno possibile, l’acido lattico non perdona, mentre saliamo, in senso opposto incrociamo chi scende, espressione soddisfatta di chi, partito il giorno prima, ha già superato la prova; come da regole non scritte ma valide sulle montagne di tutto il mondo, ci si saluta, quelli che preferisco sono i giapponesi, bravi amici giapponesi che in gruppi numerosi sorridete sempre, i miei pantaloni africani incuriosiscono, o è il casco di banane che ho legato dietro la schiena? Al terzo km la tappa è d’obbligo, ci sono gli scoiattoli, si avvicinano guardinghi, abbiamo una piccola tavoletta di cioccolato, proviamo, uno è più coraggioso, arriva e mangia direttamente dalle mie dita, mangiamo anche noi, l’ananas è dolce e succosa, bere è necessario; il percorso è impegnativo, non si può negare, raggiungiamo altri gruppi partiti prima, ma non c’è soddisfazione in questo, quando si è compagni di fatica.
Improvvisamente inizia a piovere, di quegli acquazzoni tropicali, molto forti, velocemente indossiamo i poncho, esperto Fabianus hai una giacca a vento; la pioggia non è ovviamente fredda quindi sopportabile, ma il sentiero si riempie d’acqua, in breve arriva anche la bruma, una leggera nebbia, credo dovuta ad un semplice scambio termico, si rallenta dovendo prestare maggior attenzione a dove metti i piedi, si suda ancor più ma è suggestivo.
Arriviamo all’ultima sosta, 5km, ci fermiamo, mangiamo le banane che in breve ci ristorano,15 minuti, troppi, alla ripresa non vado più, l’ultimo pezzo, l’ultima mezz’ora l’accuso, ho i muscoli rigidi, sono pesante, pesante come un film di Wim Wender, ma ecco il Laban Rata, siamo arrivati, stanchi ma enormemente soddisfatti, stringo la mano a Fabianus e abbraccio Silvia, è stravolta come tutti, eterna riconoscenza per condividere con me questi viaggi, e non solo.
Alla spicciolata arrivano gli altri, rimaniamo tutti sul pianoro antistante il rifugio per goderci ancora un po’ la soddisfazione, mi incuriosisce un nutrito gruppo di persone, hanno tutti la stessa maglietta, mi sembra un gruppo di locali in escursione, uno di loro è particolarmente estroso, forse il capogruppo; poi entriamo, il Laban Rata è un rifugio riscaldato, c’è un ristoro, ma ecco che Fabianus ci chiama, qualcosa non va’, lo raggiungo al banchetto-reception.
Nel manuale del viaggiatore indipendente credo ci sia scritto che un intoppo è ammesso, e forse inevitabile, cadaun viaggio, ecco il nostro: i nostri nomi ci sono nel registro, per fortuna, ma forse per un’incomprensione, non è specificato che alloggiamo nelle camerate del rifugio; ingenuamente dico, “beh che problema c’è, ci registriamo ora”, …Non c’è più posto, completo, full, c’è solo un’alternativa, dormire nell’ostello poco più sopra, non riscaldato, so cosa ci aspetta.
Non ci resta che sperare in qualche rinuncia, qualcuno che sopraffatto dalla fatica, abbia lasciato a metà strada e sia ritornato indietro, ma per questo si dovrà aspettare il buio, ovviamente per averne la certezza, ora sono circa le 14, aspetteremo, intanto ci riscaldiamo con un tè; subito dopo usciamo sul balcone, ci sediamo sul pavimento di legno, gli scarponi di fianco a noi, fumiamo un cigarillo, esce anche il tipo di prima, il capo gita, ci sorride, iniziamo a chiacchierare, sono di Sandakan, bellissimo non vedevo l’ora di incontrare qualcuno di lì, effettivamente è un bel gruppo di amici e parenti che ha deciso di fare sta scampagnata al Kinabalu è una cosa molto sentita per loro.
È’ un tipo garrulo, pacioccone, mi ricorda Sambillon l’amico malese fedele di Yanez/Philippe LeRoy; Sambillon vuole sapere qualcosa di noi, non ha mai incontrato italiani prima d’ora, poi una cosa lo incuriosisce, sono i nostri piedi, per meglio dire i nostri calzettoni, lui è a piedi nudi, non si capacita, tocca i piedi di Silvia, le calze sono asciutte, le sue appoggiate alla balaustra fradice, è il gore-tex spieghiamo, non fa passare l’acqua, la faccia che fa è divertente, non gli basta, tocca anche i miei, lo dice anche agli altri.
La temperatura scende, arriva il buio, non c’è niente da fare per il rifugio, completo, dormiremo all’ostello, nessun problema se avessimo indumenti adeguati, ma avevo prenotato, credevo, due posti al rifugio ed anche rinunciato alla salita alla cima proprio in conseguenza alla scelta di non portare cose pesanti, ci sarebbero servite solo una notte e lasciate negli zaini per il resto della vacanza, inutilizzate in tutte le altre escursioni; ceniamo al calduccio, non è male, anzi è sorprendente tenuto conto dove e a che quota siamo, indi raggiungiamo l’ostello poco sopra, E’ un classico ostello, con camera a 4 letti-castello, fa già freddo abbiamo solo i sacchi a pelo che ci hanno dato, impietositi probabilmente, entriamo nella nostra stanza, gli altri due letti sono occupati, non ci sono le persone ma le loro cose si, ci infiliamo nei sacchi, speriamo nell’effetto stalla; nonostante la temperatura sia calata parecchio dai 35 gradi della mattina, mi hanno detto che nottetempo sarà tra i 5 e gli 0°, riesco a sentire un refolo gelido sulla faccia, non posso sbagliarmi, accendo la luce, la finestra è a 3 elementi, tutti del tipo a ribaltina, aperta/chiusa dalla levetta metallica.
Una serranda non è chiusa, non può chiudersi, ci sono appoggiate i calzettoni di lana di uno dei nostri sconosciuti compagni… e così un altro mistero si aggiunge al genere umano, …Chi ha costruito le piramidi?, Atlantide è esistita veramente?, ed ora, possiamo forse noi dormire a 3200 mt con il vetro aperto? sei forse un adepto dell’aromaterapia? Tolgo i calzini e li appoggio all’estremità del suo letto, chiudo il vetro, cerchiamo di dormire, ci sarà impossibile chiudere occhio, troppo freddo, per chi leggerà questo racconto, prenotate per tempo al Rifugio, ricontrollate la richiesta quando sarete alla direzione del Parco.
Dopo poche ore, alle 2 di notte, l’ostello si anima, tutti, completamente tutti all’infuori di noi due, si alzano, fan colazione, e torce alla mano partono alla conquista della vetta per altre 3 ore di cammino, al ritorno ci diranno che la vista dell’alba da lassù è impagabile, ma il freddo è proprio tanto; le ore passano anche per noi, di buon mattino usciamo dal nostro bacello, ci vogliamo riscaldare con il primo sole ma, orrore, i calzini sono ancora lì, al buio il nostro compagno di stanza non li ha trovati, li ha cercati invano sul vetro, ma erano di fianco al suo letto.
Compagno sconosciuto, a distanza di tempo io ti chiedo scusa, hai dovuto scalare la montagna con ai piedi gli scarponi senza calze?, non me lo posso perdonare, ma anche tu, ti sei alzato alle 2 hai fatto un casino dell’accidenti, ti sei vestito, hai mangiato qualcosa…Accendi sta cazzo di luce e cercati i calzini! Dopo colazione scendiamo, non posso certo dire che la discesa sia più impegnativa della salita c’è il sole per fortuna, però, per così dire, il movimento in discesa è più innaturale, preferisco la salita; all’andata, ieri, non era capitato, incrociamo i portatori, con passo svelto risalgono il sentiero con delle gerle dietro la schiena, tenute sulla fronte con un rimando di stoffa. Sono stracariche di viveri per il rifugio, queste persone sopportano una fatica enorme, temo per una paga irrisoria, per rifornire ciò di cui noi stessi ci siamo rifocillati, non mi sento molto bene per questo, posso solo ringraziare, Fabianus ci spiega che ognuno porta circa 20 kg, infatti da qualche gerla si intravede persino la bombola del gas per il funzionamento della cucina, ed ai piedi non hanno certo i nostri scarponi da montagna ma spesso delle semplici ciabatte infradito, e, da ultimo, il più delle volte sono donne.
Recuperiamo gli zaini al deposito, a malincuore salutiamo Fabianus, sono restio a dare soldi, preferisco lasciargli una maglietta, usciamo dal Parco portandoci al vicino crocevia dove aspettiamo l’autobus per Sandakan, non sappiamo l’orario ma prima o poi arriverà, e difatti arriva, non abbiamo aspettato nemmeno tanto.
L’autobus è grande, bus parisian, collega due capoluoghi, , ha grandi vetrate senza finestrini poiché, naturalmente, ha l’aria condizionata, però, naturalmente, non funziona, fa un caldo allucinante, le paratie d’ispezione del pavimento del corridoio centrale sono rimosse, per far girare un po’ d’aria, si vede il motore e sotto l’asfalto che corre; il paesaggio di fuori è un’ininterrotta piantagione di palme da olio, non sarebbe male, il fatto è che per impiantare questa cultura è stata distrutta un’enorme fetta di giungla, un ecosistema antichissimo.
Attraversiamo vari villaggi, ciò che vediamo dai finestrini è quello che si può indovinare fantasticando su questi luoghi, case semplici, banchetti lungo la strada e carrettini che trasportano di tutto; dopo 5/6 ore arriviamo a Sandakan, scegliamo l’Hotel City View, è spartano e costa poco.
Doccia, usciamo, basta il nome Sandakan ad evocare letture giovanili, mentre i miei amici erano divisi tra Tex e Zagor, io ero per Ragno di Mare, Giro Batol e naturalmente Tremail Naik; …La città però fa schifo, bisogna dirlo, fatiscente, ricostruita senza gusto dopo il bombardamento 2a guerra mondiale La commessa dell’hotel dice che ha un amica che lavora nell’agenzia, Cristal, che ha in gestione il resort sull’isola delle tartarughe, Palau Selingan, poiché non c’è assolutamente altro modo per visitarla, men che meno in maniera indipendente, accettiamo il contatto e prenotiamo già per l’indomani.
La camera dell’hotel è passabile, peccato che la vita nella strada sottostante non si fermi in notturna, quindi un po’ di casino lo si sente, ce ne ricorderemo dopodomani, al ritorno ci fermeremo un’altra notte per visitare Sepilok.
Domenica 20: Palau Selingan ed il ranger Frank (forse …Frank) Imbarcadero, nell’attesa della barca per l’isola delle tartarughe vediamo uno con la maglietta sigla Borneo Eco Tours, so che per andare nell’interno Borneo, Kinabatangan, è conveniente, forse non economicamente ma in termini di tempo e praticità di sicuro, affidarsi ad un organizzatore, lancio l’amo, facciamo conoscenza, gli offro un cigarillo.
Questa dei cigarillos va spiegata, Silvia ed io non fumiamo nel resto dell’anno, ma alla partenza di questi viaggi, al duty free li acquistiamo fumandocene successivamente 1 o 2 al giorno, in momenti che meritano, è ormai una tradizione; in più li offro, così per conoscenza, come qualcuno parla del tempo, io offro cigarillos.
Dopo un’ora e più arriviamo a Palau Selingan, l’isola è piccola, sabbia bianca e palme; qui succede qualcosa di straordinario, nottetempo arrivano le tartarughe a deporre le uova, così come avviene in altre parti del mondo, ad es. Sicilia, ma qui avviene tutte le notti, tutto l’anno. L’isola è a numero chiuso, credo 50 persone max, il giorno serve solo come attesa pranzo-spiaggia-mare, arriva la sera, si aspetta il loro arrivo, la prima tartaruga sbarca proprio nel tratto di spiaggia davanti al resort, la vediamo prima noi dei ranger che perlustrano l’isola, non si può andare sull’arenile, non si può accendere le torce, il rischio è di spaventarla inducendola a deporre le uova in mare, e che andrebbero così perdute ma, ancor peggio di non rivederla più qui nella prossima gestazione.
E’ a pochi metri da noi, non la vediamo, ma sentirla si, il rumore che fa spostando la sabbia per creare il nido è ritmico e suggestivo, ogni tanto il ranger Frank che abbiamo conosciuto prima le si avvicina e accendendo la torcia solo per qualche istante controlla la situazione; dopo circa un ora ci chiama, la tartaruga ha iniziato a deporre, è praticamente in trance, possiamo avvicinarci. Ci disponiamo a semicerchio, la torcia di Frank ora è accesa, illumina il buco, la tartaruga è molto grande, si è senz’altro accorta della nostra presenza ma non sembra infastidita, tutta concentrata nella deposizione; le uova scendono una dopo l’altra, più piccole di quelle delle galline ma più dure al tatto, alla fine saranno 84, grande sforzo. Via via il ranger le raccoglie e le pone in un secchiello, quando tutto è terminato lasciamo la tartaruga al meritato riposo, tra un po’ ricoprirà il buco rispondendo a comportamento che si perde nella notte dei tempi, solo che in questo caso, per fin di bene, nel buco non è rimasto nulla.
A ridosso del resort c’è la nursery, Palau Selingan è un parco marino sotto tutela, Frank con la pala scava un buco della stessa profondità di quello naturale, vi depone le uova, ricopre con sabbia e protegge il tutto con un cestino capovolto a rete metallica; ciò che si ottiene in questo ambiente recintato è di evitare i predatori terrestri, lucertole, varani, uccelli, anche se sorprende sapere che grazie a ciò la percentuale di nascituri che riusciranno a diventare adulti sale dall’1% ad appena il 3%, è evidente che la selezione naturale avviene perlopiù in mare.
Ci metteranno, se ho ben capito, due mesi e 5 gg per nascere e la temperatura all’interno dell’uovo ne determina il sesso, sopra i 32 gradi? Femmina, sotto i 32 maschio, conta quindi l’intensità del sole che scalda la sabbia e la profondità in cui si trova ogni singolo uovo. Poiché ogni notte arrivano tartarughe, nel nostro caso 9, ogni giorno avviene almeno una schiusa delle uova deposte due mesi prima, e questo è quello che facciamo subito dopo, liberare le piccole tartarughe. Torniamo sull’arenile a ¾ metri dall’acqua, sono un’infinità, le tartarughe appena nate muovono continuamente le zampette, a mulinello, il contenitore viene rovesciato, obbediscono alla loro natura dirigendosi velocemente verso il mare, richiamate immagino dal bagliore prodotto dalla luna poiché nessuna sbaglia, c’è emozione di fronte ad una cosa in fondo così semplice, un animale che cerca il suo ambiente, l’acqua, ci spiegano che è esattamente in questo momento, nei primissimo metri nel loro nuovo ambiente marino, che le tartarughe memorizzano la posizione, le coordinate, in definitiva la propria casa, perché poi se ne andranno, faranno migliaia di chilometri, Australia, Nuova Zelanda, ma in futuro le femmine divenute adulte, al momento di partorire è qui che torneranno.
lunedì 21: ritorno a Sandakan tra alti e bassi Torniamo al City View, Silvia non sta bene, la nottata è stata calda oltre che emozionante e le poche ore passate nel bungalow con aria condizionata hanno lasciato il segno, la commessa dell’hotel, gentile, ci chiede se rivogliamo la stessa stanza, al 2° piano, mi ricordo del casino notturno e chiedo un piano superiore.
Ci sistemiamo, la nuova stanza è identica, naturalmente, però, un momento, cos’è questo odore di muffa, di chiuso, cerchiamo di capire, ma sì, questa stanza non riceve ospiti da quando qui c’erano i giapponesi, non importa serve solo che Silvia si riposi, ed in effetti è così, gli effluvi hanno un effetto soporifero.
Nel pomeriggio giriamo per la città, nulla si aggiunge alla prima impressione, Sandakan purtroppo è bruttina, diciamo pure una schifezza, c’è ai margini un villaggio interamente costituito da palafitte, probabilmente l’originario nucleo costruito sul mare, ma ora a seguito di probabili opere di bonifica e ritiro del mare, si trova tristemente un paio di km all’interno, sulla terraferma.
Giriamo quasi tutta la città, c’è una pasticceria, si può resistere? Due dolci, uno rimarrà a lungo nella memoria, è una sorta di diplomatica al Durian, anche oggi, se chiudo gli occhi e mi concentro, mi sembra di sentire quel sapore nauseabondo, ma come si fa? Il durian è leggendario e naturalmente me lo ingollo.
Di sera la sorpresa, in taxi andiamo all’English Tea House, beh, se volete trattarvi bene è la Sandakan che non ti aspetti, su una collina, in perfetto stile inglese con tanto di campo da cricket e pavoni, si trova questa dimora ora adattata a ricevere ospiti, camerieri in divisa, bungalow nel verde e vista che spazia sul mare.
Notte al City View, l’aria condizionata non sminuisce il caratteristico aroma della 403, siamo costretti ad aprire le finestre, va meglio, c’è corrente, la mattina scoprirò che c’erano anche le zanzare, mi hanno mangiato, devono far parte dell’Avis locale; nonostante questo il giudizio sull’hotel è tale da consigliarlo, scegliete i primi due piani, più usati, il prezzo è contenuto ed oltretutto ha il ristorante più frequentato della città, la sala è piena di giovani coppie e gruppi di amici.
martedì 22: abbiamo in comune il 96% Dovevamo farlo da soli, Borneo Eco tours, l’agenzia del tipo che abbiamo conosciuto all’imbarcadero ieri mattina, ci propone, per mediare tra la loro domanda e la mia offerta, d’inserire Sepilok, accetto, non avremo lo sconto ma credo che sia un buon accordo, ci vengono a prendere, visita, e rientro all’imbarcadero per il viaggio a Sukau, insomma viene inclusa un’escursione in più.
Orang Utan Rehabilitation Centre, centro di recupero di questo tipo di scimmie, dal pelo arancione; c’è un centro, una sorta di infermeria che cura gli orang utan feriti dai cacciatori o dagli incendi, nonché gli orfani, per poi gradatamente riabituarli alla vita selvaggia. Questo centro, ai margini della giungla, dispone di tre piattaforme esterne, in ordine crescente di penetrazione nel fitto, le scimmie, a seconda dell’età e quindi del grado d’indipendenza, una volta curate e liberate ritornano giornalmente a far visita per nutrirsi di banane e latte che i guardiani due volte al giorno posizionano proprio su queste piattaforme. Siamo fortunati, ogni tanto qualcosa si muove nel fogliame, arriva l’orango, alla fine saranno 6 quella mattina, compreso una mamma con piccolo avvinghiato, piuttosto infrequente questo. Sono socievoli, sicuramente abituati alla vicinanza con l’uomo, la loro agilità è davvero notevole, alcuni se ne stanno sospesi davanti a noi semplicemente tenendosi con le dita prensili di una mano, a far boccacce, sarà ma ho l’impressione che ci piglino per …
I movimenti sono lenti, aggraziati, ci spiegano che in nostro DNA ha oltre il 96% di geni in comune con il loro, ma scusa, è solo grazie a quel 4% che mangiamo con le posate e guidiamo l’automobile? Dopo pranzo andiamo all’imbarcadero, è lo stesso da cui eravamo partiti per Selingan, ora ci aspetta la barca per Sukau, all’interno del Borneo, ed è proprio per il viaggio fluviale anziché su strada che abbiamo scelto Eco Tours senza cercare in Sandakan proposte alternative, ho una certa aspettativa per i giorni che ci attendono, il Kinabatangan, la giungla e le Gamanton caves. Il viaggio, oltre 2 ore, è molto bello, in mare aggiriamo la costa ed in breve entriamo nel Kinabatangan, anche se è impossibile stabilire il punto esatto dove finisce il mare ed inizia il fiume, comunque ci sorprende, il fiume è molto grande e l’acqua marrone, ricorda i fiumi sudamericani, ai lati una natura rigogliosa, già si vedono molti uccelli, aquile pescatrici, hornbill ed altri che non conosco. Ad un certo punto, in corrispondenza di una diramazione del fiume che allarga la visuale, si vede non molto in lontananza il profilo di un promontorio piuttosto grande, sono le Filippine ed è curioso pensare che siamo qui, vicini ad un altro Paese, un’altra storia, un altro viaggio forse.
Arriviamo al Rainforest Lodge, è tutto in legno, bello, troppo forse, poche persone a gestirlo, tutti giovani; il tempo di poggiare gli zaini e si esce in barca per la prima conoscenza della giungla, siamo appena partiti ed inizia a piovere, forte, da subito, è in questo contesto che abbiamo il primo incontro con le nasiche, le scimmie con la proboscide, aspettiamo che smetta per guardarle meglio e fotografarle. Sono davvero curiose con quel naso rosa che risalta nel pelo grigio, quello del maschio è più pronunciato, una piccola proboscide appunto, un’altra caratteristica è il loro modo di sedersi, schiena diritta, gambe piegate, come gli umani.
mercoledì 23: fiume e rumori Due giorni immersi nella natura, uscendo in barca è facile incontrare quello che viene chiamato il popolo del fiume, persone che vivono a ridosso dell’acqua, spesso su palafitte, bambini che fanno il bagno e salutano, donne che lavano; il fiume è in ogni caso il miglior punto d’osservazione, molte scimmie in cima agli alberi, nasiche e macachi in gruppi numerosi, uccelli di varie specie lo sorvolano per via dei pesci, possibilità di vedere coccodrilli in ozio sulla riva e forse il mio sogno, elefanti nella giungla.
E’ piacevole risalire i piccoli affluenti, hai proprio la vegetazione a ridosso; siamo insieme in questi giorni ad altre due coppie, un’olandese e l’altra svizzera, questi ultimi meritano il mio plauso, non più giovani, in giro per il mondo, …Solo che in occasione di un trekking si presentano vestiti alla Hansel & Gretel, bermuda, calzette bianche su scarpe da tennis e berretto con visiera, le sanguisughe ringraziano.
Di sera, da soli, facciamo sempre una breve camminata dietro il resort, torce alla mano, vediamo niente, assolutamente niente, ma sono sufficienti i suoni della giungla per affascinare, versi, strida, rumori indicano che qualcosa si muove tra i rami.
Arriva l’ultimo pomeriggio a Sukau, ultima uscita in barca, siamo in mezzo al fiume, ad un tratto li vediamo, il sogno si realizza, elefanti nella giungla. Nella mia testa, e dopo averli visti in Africa, gli elefanti stanno bene nella savana, nella giungla non me li figuro, non ci stanno… e invece no, mi sbagliavo, stanno benissimo, eccoli lì infatti nel loro ambiente, ci avviciniamo, sono sulla sponda rialzata del fiume, per ora ci danno il posteriore, va bene così, sono un bel gruppo, una decina, infastiditi dal nostro arrivo ora si spostano, in parte nascosti dalla vegetazione; ci sono dei piccoli, infatti ecco che qualcuno si arrabbia, la madre, probabilmente, si ferma davanti a noi e con la proboscide alzata barrisce per spaventarci, nessuno di noi fiata, è una bella emozione, poco dopo riprendono a muoversi lungo l’argine, riusciamo a seguirli per un buon venti minuti, l’incacchiatura della capo-branco si ripete altre volte, lei non è contenta, noi sì.
Poi scompaiono, entrano nel fitto e non li vediamo più, ma noi rimaniamo lì, oramai il sole sta tramontando e vogliamo goderci ancora un po’ l’emozione, seduti nella barca. Dopo un po’ un nuovo barrito, qualcosa si muove qualche decina di metri sulla nostra sinistra, dove eravamo prima, è un altro gruppo di elefanti, si stanno avvicinando, è veramente una circostanza fortuita, due gruppi così vicini, e infatti inizia una battaglia a distanza tra di loro, c’è una certa tensione, ad un nuovo barrito l’altro gruppo risponde, poi improvvisamente si mettono a correre nella stessa direzione presa dagli altri, di certo non vorrei trovarmi nel mezzo.
I loro versi proseguono per un po’, è strano ma mi sembra che tutto intorno si sia fatto silenzio, con gli altri animali intimoriti, nei parchi africani è assolutamente facile vedere elefanti, sono anche più grossi, ma non mi era mai capitato di sentirne la potenziale aggressività, il Borneo è una continua meraviglia.
giovedì 24: nidi, guano e la chiave inglese Breve trasferimento in barca al villaggio di Sukau, poi in auto, vedremo un tratto di giungla dall’interno, destinazione Gamanton caves. Arriviamo, dopo circa due ore su strada dissestata, non c’è nessuno solo i guardiani delle grotte, e sì perché oltre a avere un’occupazione pericolosa, i raccoglitori di nidi devono anche stare attenti a ladri occasionali.
E’ questo quello che si fa nelle Gamanton caves, si raccolgono i nidi che le rondini costruiscono nella volta interna di queste imponenti grotte, e per farlo i raccoglitori si arrampicano su una struttura quantomeno precaria fatta di lunghe aste di bambù e scalette di corda. Questi nidi vengono venduti, tramite intermediari, ai cinesi che ne ricavano una minestra considerata una prelibatezza e, a loro dire, anticancro; quello che voglio dire io invece, è che non sopporto più i cinesi, il loro concetto di medicina comporta spesso l’uccisione di animali già in pericolo d’estinzione, come la tigre del Bengala ed il rinoceronte di Sumatra, senza contare, ma qui divago, che in poco tempo riescono ad impadronirsi delle economie dei luoghi ove si sono insediati, vero Sabah?, vero quartieri Chinatown di varie città in Italia? Grotta nera, ancora prima di entrare senti un forte odore, come di ammoniaca, è così intenso che l’ingresso è sconsigliato a chi ha problemi di respirazione, risultato delle esalazioni di guano prodotto sia dalle rondini sia dai pipistrelli, la grotta ne è piena e il fondo è effettivamente un multistrato di guano indurito.
Si cammina su una passerella di legno, ovviamente scivolosa, gli uccelli non prendono certo la mira, sarebbe un guaio cadere, certo c’è anche un corrimano ma sfido chiunque a sostenersi, ovunque, immobili al buio, un’infinità di grossi scarafaggi marrone, illuminati dalla torcia scappano velocemente, anche la nuda roccia merita attenzione, oltre a migliaia questi insetti e ai pipistrelli che dormono a testa in giù anche ad altezza d’uomo, vediamo un paio di centopiedi, mortalmente velenosi; non è un ambiente dove fare un tranquillo pic-nic, lo riconosco.
E’ un esperienza breve, non credo si riesca a stare più di mezz’ora all’interno, ma vale la pena visitare un luogo quasi unico, è filmato in più di un documentario, e rendersi anche conto delle condizioni in cui lavorano e vivono alcuni, il rischio di pericolose cadute è tutt’altro che remoto, nessuna imbracatura e, soprattutto zero assicurazione.
Terminata l’esperienza alle grotte ci facciamo accompagnare all’incrocio della camionabile intra-giungla con la statale, diremmo noi, che collega Sandakan a Semporna, nostra prossima destinazione. Raggiunto questo crocevia attendiamo l’autobus “parisian”, nello stesso tempo diveniamo oggetto d’interesse, oltre che di un considerevole gruppo di mosche, di autisti vari e procacciatori di clienti, ci propongono tutti di salire sul loro pulmino, già carico, che sì non va proprio a Semporna, però insomma, quasi … e poi oggi, dicono, gli autobus diretti non passano; non ho nulla contro i pulmini popolari, anzi è un buon modo per socializzare oltre che un risparmio, il fatto è che vogliamo arrivare a Semporna prima di sera per organizzare l’ultima parte della vacanza al mare, e un autobus diretto è necessario.
Infatti arriva, c’è voluto un po’ ma eccolo, è dello stesso tipo che abbiamo preso per Kinabalu/Sandakan, anche il viaggio gli assomiglia, ci aspettano 5/6 ore, l’aria condizionata non funziona, i finestrini non sono apribili quindi sono state rimosse dal pavimento del corridoio le paratie d’ispezione al motore, l’aria entra sì ma non è proprio fresca e profumata, pochi viaggiatori tra cui una signora anziana con una bambina piccola che gioca in giro per l’autobus, fa molto caldo, in breve ci addormentiamo.
All’improvviso un botto, secco, stralunati cerchiamo di capire che è successo, una grossa chiave inglese è caduta dal soffitto sfiorando di pochissimo la bambina che ora la guarda inconsapevole del pericolo corso, non sappiamo se essere stupiti più dell’azzardo di chi l’ha messa lì per tenere sollevata la finestrella per l’uscita d’emergenza dal tetto, o dall’indifferenza mostrata dalla nonna che non ha letteralmente battuto ciglio, nemmeno quando un ragazzo ha rimesso la chiave in quella precaria posizione, a mò di ulteriore presa d’aria.
Arriviamo a Semporna, cittadina turisticamente importante non per propria bellezza ma per essere imbarcadero per Sipadan/Mabul e altre isole, però è tardi, naturalmente non parte nessuna barca, ci infrattiamo al Dragon Inn, ci piace molto, è tutto in legno, una serie di bungalow normali, non lussuosi, sul mare; confrontando il giudizio della bibbia (LonelyPlanet) “la più grossa fregatura del Sabah”, devono aver fatto una consistente riduzione dei prezzi, buon per noi.
Di fianco all’hotel, ne avevo già sentito parlare, c’è Uncle Chang, segnatevi sto nome, costui, di evidenti origini non malaysiane, organizza escursioni con immersione a Sipadan, fornendo attrezzature e divemaster, partendo giornalmente dal porticciolo di fianco al Dragon, e soprattutto a prezzi contenuti rispetto ai resort presenti sulle isole.
Dunque concordiamo, già domani si parte per un day-trip comprendente 2 immersioni, siamo proprio curiosi di conoscere questa Sipadan così rinomata tra i Sub, anche se tentenno a definirmi tale, ho fatto 4 immersioni in tutta la mia vita lo scorso anno alle Perhentian, Silvia invece è decisamente più esperta.
venerdì 25: mama e zio Mattina presto, proviamo mute, pinne e calzari, partiamo in motoscafo, la terraferma si allontana dietro di noi, dopo circa due ore di tragitto ed un acquazzone che ha bagnato tutto, ecco Sipadan, è un isola molto piccola, tipo Perhentian Kecil, appunto, ma sembra meno bella, non importa ciò che la fa unica è il Reef di 250 mt., in molte vacanze il mare non è solo un’estensione finale per relax, ma ha bellezza almeno pari ad altre mete.
Olivier, il nostro divemaster, francese, è bravo trasmettendo calma nel ricordarmi le operazioni fondamentali per una corretta discesa, è quello che ci vuole, non avrò il fondale sotto di me ad estrema garanzia.
Appena scesi, è subito paradiso, coralli – squali delle rocce – tartarughe – nudibranchi – murene e molti di cui non conosco il nome ma che popolano la barrire corallina dei mari tropicali; effettivamente il Reef impressiona, il cambio di pendenza è repentino, la profondità si apre all’improvviso determinando un netto cambio dell’intensità del blu.
Tra le due immersioni si pranza sul pontile, cibo non so se trasportato nella nostra stessa barca, in casse termiche, o preparato dalla cucina di uno dei resort in loco, a proposito dei quali c’è da dire che sono più pratici che lussuosi, eviti gli spostamenti a cui va incontro chi soggiorna a Semporna, qui ti puoi immergere pochi minuti dopo essere uscito dal tuo bungalow; per contro a mio avviso è che non puoi far altro che quello, immergerti, nessun contatto con la popolazione, nessun altro tipo di interesse, ecc., …Però lo fai alla grande, le immersioni sono pressoché illimitate, in definitiva qui arrivano per la maggior parte turisti con viaggi organizzati e mirati alla subacquea, ed il prezzo ne è una conseguenza.
Rientriamo, restituiamo le mute, Uncle Chang e moglie chiedono com’è andata, un paio di battute sul fatto che a pochi km dal porticciolo siamo rimasti senza benza, raschiando il classico fondo del barile, ridiamo, ridono, già che ci siamo ci informiamo su Semporna, dove mangiare bene-che c’è da vedere.
Quest’uomo, una leggenda tra i viaggiatori indipendenti per l’opportunità che la sua attività fornisce, inaspettatamente ci invita a cena, sono stupito, davvero non so a cosa devo, ma so una cosa, se esiste un Dio dei viaggiatori, è contento di noi.
Doccia, eccoci a tavola, Silvia, io…E loro due, curiosamente mi ritrovo a rivolgermi a due estranei chiamandoli “zio” e “mama”; Uncle Chang, le cui sembianze mi ricordano “Fu man Chiù – mistero d’oriente” parla con tutti, siamo al ristorante del Dragon Inn, conosce tutti, solo che… Con me non parla, anzi a dirla tutta è seduto di taglio, mi volge quasi le spalle, forse si è pentito, che cavolo mi è venuto in mente, penserà, di invitare questi due, questo è il mio ambiente, non il loro.
La moglie è più cordiale ma si limita a rispondere a monosillabi alle nostre domande, in linea con il ruolo che l’ambiente sociale prescrive alla donna in questa parte di mondo, dopo mezz’ora di freddura decido che così non va , se siamo qui dobbiamo parlare che cavolo, sennò possiamo anche andarcene, lui è conosciutissimo, chiunque passa si ferma e chiacchiera, anche dagli altri tavoli qualcuno si alza, a questo punto lo osservo, parla troppo veloce, i dialoghi non si concludono con una risata, quindi sono argomenti seri, credo di aver capito, parla di lavoro, con tutti, ora ci provo.
Gli chiedo da quanto tempo si occupa di turismo, di raccontarmi gli inizi,… si volta, finalmente, inizia a raccontare, ci parla di quando era garzone, e poi guidatore di barca non sua, la cena cambia, va molto meglio, la chiacchiera è sciolta, ora ce l’ha intendiamo a meraviglia, dopo cena ci porta nel retro del suo shop, è un centro massaggi (?), dal frigorifero 4 lattine di Tiger e prosegue spiegandoci come è arrivato ad avere un agenzia tutta sua, due barche e tutta l’attrezzatura per le immersioni, che ha quattro figli di cui due grandi, aggiunge con orgoglio, che studiano all’estero, chiede qualcosa di noi, di come siamo arrivati fin lì senza organizzazione, perchè la mia cos’è?, dice che di solito i suoi clienti sono australiani, giapponesi, e per l’Europa inglesi ed olandesi (sempre loro!).
L’incontro con Uncle Chang è simpatico, diventa proficuo nel momento in cui spieghiamo che vorremmo fermarci al mare per gli ultimi giorni di vacanza, evitando i resort di Sipadan, ma restare a Semporna ci costringe a fare avanti/indietro con i suoi boat-trip con i quali si risparmia, ma ci si spara anche 4 ore di barca tutti i giorni! Ecco la soluzione, zio Chang co-gestisce una Longhouse a Mabul island, con pasti oltre che pernottamento, è nel villaggio dei pescatori, e Mabul è vicina a Sipadan, con i suoi boat-trip sarà facile per i suoi passarci a prendere, perfetto!, troviamo subito un accordo, l’equivalente di 50 euro al giorno compreso le immersioni, domani mattina si parte.
Rientriamo in stanza al Dragon Inn, non è ancora tempo per dormire, prima ci aspetta l’asciugatura…, durante il temporale stamattina lo zaino si era bagnato e con esso il suo contenuto! Eccomi quindi come novello Totò in “…” appendo soldi e passaporti e poi sotto con il phon. da sabato 26 a martedì 28: longhouse ed immersioni arriviamo a Mabul fradici, acqua sia dal mare sia dal cielo, dobbiamo aspettare un po’ prima di poter attraccare, la longhouse è una serie di piccole stanze distribuite lungo il corridoio, l’ambiente è spartano, come deve essere, siamo su una palafitta direttamente sul mare, alle spalle il villaggio, semplicità e contatto con la gente, bene è quello che volevo.
Oggi, vista la variabilità del tempo, non andiamo a Sipadan, ne approfittiamo per esplorare Mabul; l’isola è piccola, abbastanza circolare, dalla parte opposta al villaggio c’è una bella striscia di sabbia bianca, guarda caso è proprio il tratto dove si trovano due bellissimi resort, hanno pochi turisti, la vita scarseggia , ne approfittiamo per girarli e scroccare un giornale in inglese, è dalla partenza che abbiamo tagliato con il mondo.
Per rientrare alla longhouse attraversiamo in diagonale l’isola, vedo da lontano dei ragazzi in maglietta che corrono, c’è un pallone, ci siamo è il destino a condurmi qui, un campo di calcio con due squadre di ragazzi che si affrontano, non possiamo non fermarci, Silvia non si esprime; c’è abbastanza gente a vedere, tutti giovani, di adulti ne vedremo comunque pochissimi anche in seguito, ci sediamo su una noce di cocco, imitando gli altri, il gioco è come dire, variegato, potrei propormi come tecnico ma, un momento, alcuni hanno un maglietta che mi sembra di conoscere, guardo meglio, Ina Assitalia, ma sì è la maglia della Roma, ma scusa come è possibile, “da Testaccio a Mabul”… Rientriamo per cena, noodles e pesce, molto buono, a cucinare è lo stesso ragazzo tracagnotto che ha messo le lenzuola ai letti stamattina, via via scopriremo che fa tutto lui, eppure nella longhouse soggiorna un gruppetto di ragazzi suoi amici che, almeno per il momento non sembrano molto occupati, durante il giorno suonano la chitarra o dormono ed ora, di sera stanno giocando a carte, insomma una pacchia; mentre Silvia legge un libro sulla passerella fronte mare, mi invitano a giocare, le carte sono del tipo bastone e denari, lasciate qui da chissàchi, il gioco è piuttosto semplice, mi frulla un idea, domani gli insegnerò a giocare a scopa, è una sfida.
Nel cuore della notte, fase Rem, un urlo sveglia me e forse tutto il villaggio, “un topo! un topo!”… è così che Silvia manifesta il suo disappunto per l’arrivo dell’ospite nella nostra stanza, è passato in mezzo alle assi del soffitto, è sceso lungo la parete camminando poi sul fianco del mio letto, poi se ne è andato uscendo sotto la porta,… ma scusa, un topo cammina sul mio letto e urli tu? Nuovo giorno, noodles per colazione, a proposito la differenza rispetto ai noodles per contorno a cena è che quelli per colazione hanno l’uovo fritto messo sopra!, si ritorna a Sipadan per immergersi, che dire, è veramente difficile raccontare a chi non ha ancora provato, la meraviglia della vita sott’acqua, mentre per chi è sub, è inutile, già sa, grosse tartarughe, ovunque, tranquillamente appoggiate a rocce sporgenti o confuse tra il corallo, una forte emozione la provo quando mi giro goffamente a pancia in su, pinnando per guardare il sole che da qui è un piccolo cerchio giallo, uno squalo sta cacciando sopra di noi…
Sera, cena, il gestore-cuoco-cameriere-contabile è proprio bravo, insieme ai soliti noodles alla soia ed al pesce stavolta aggiunge un delicata salsa di pomodoro e gamberetti, poi inizia la bisca, dico che scopa è un gioco importante in Italia, che tutti sanno giocare, i ragazzi, i fancazzisti, si guardano, me ne servono tre, iniziamo a carte scoperte, così per gradi al primo giro spiego che con una delle tre carte in mano, meglio se alta, si può prendere una o più carte dal tavolo, al secondo giro che se si prende la carta rimasta è scopa, e che fa punto, al terzo giro il conteggio dei punti, carte, ori, ecc… insegno un’altra cosa, e qui è goduria allo stato puro quando avviene: uno di loro gira la carta sbattendola sul tavolo con il tipico gesto secco, e grida “scopa”, esattamente come nei nostri bar, mi sento stupido e contento tutt’insieme.
Mentre giochiamo fumiamo, al solito, i consueti cigarillos, ribadisco che hanno un ruolo importante nella nostra vacanza, aiutano a socializzare, solo una cosa li lascia perplessi, perché l’assepigliatutto non fa scopa? Nuovo giorno, colazione, non serve dire con che, e poi Sipadan per l’ultima volta, nel tragitto di circa mezz’ora vediamo i delfini, credo che francamente non si possa chiedere di più ad una vacanza, le immersioni non sono da meno, in quella della mattina un branco di parrot-fish ci sfila di fronte, sono enormi, si fermano a raccogliere il corallo spezzandolo con i loro denti aguzzi, sarà un impressione ma mi sembra di sentire il croch! Rimaniamo a bocca aperta (?) è uno spettacolo vederli passare così vicino, hai la consapevolezza di essere nell’oceano; altra emozione nell’immersione pomeridiana, consueto paradiso di tartarughe, stranamente sono davanti al divemaster, giro attorno ad una grande roccia… e mi blocco, qualcosa stà a mezz’acqua, fluttuante, che cavolo è così grosso, torno indietro avverto Silvia ed Olivier, siamo nuovamente davanti a lui, ora, più calmo, posso accorgermi che si tratta di un calamaro di quasi un metro, prima d’ora ne avevo visti lunghi al massimo una spanna, sul banco del mercato; non si spaventa, ci guarda muovendo ritmicamente che cosa, le sue branchie?-pinne?-braccia?-corpo?, rimanendo agilmente fermo in sospensione, se penso che non ho ancora imparato correttamente l’assetto neutro! Rientriamo, Sipadan si allontana ma siamo sicuri che ricorderemo a lungo queste emozioni.
Per cena nuova mangiata grazie all’amico gestore-cuoco dal nome irricordabile, dopo cena si riapre la bisca, stasera “Papatencia”, è molto semplice da spiegare, nelle due o tre partite la donna di picche rimane nelle mani dello stesso ragazzo, che si becca così gli sfottò degli altri.
Concludiamo la serata fronte oceano, sulla passerella, dopo un po’ sentiamo che qualcosa si muove velocemente sul soffitto della longhouse, è il nostro nuovo amico, il topo, che sta tentando di scendere; è a questo punto che verifico l’adattamento all’ambiente da parte di Silvia, con calma inglese prende una scopa e si piazza proprio sotto il pertugio da cui fa capolino la belva, mi godo la scena, il topo è guardingo, evita un paio di colpi assestati con mira imperfetta, vuole riprovarci, chissà avrà del cibo da qualche parte lì sotto, si riaffaccia ma la minaccia è ancora lì, Silvia non molla, no pasaràn, alla fine desiste.
Nuovo giorno, ultimo di mare, penultimo di vacanza, oggi rimaniamo a Mabul, relax e sole, ovviamente ci infrattiamo nella spiaggia pulita dei resort, sdraio compresa, al punto che il nostro pacchetto potrebbe definirsi “la comodità di un 5 stelle al prezzo di una longhouse”; notiamo così che la bassa marea è davvero impressionante, gli abitanti del villaggio ne approfittano ed escono numerosi in cerca di ricci di mare ed altri molluschi che sono rimasti all’asciutto.
Non resisto una giornata intera sotto il sole, nel pomeriggio giriamo per il villaggio, come in precedenti giri è un continuo salutare, i bambini, tantissimi, ci chiamano con ripetuti “hello”, certo la povertà è evidente, abitano tutti in palafitte costruite con assi di legno, questo è però uno dei motivi per i quali preferisco alloggiare in strutture non ufficiali, che i nostri soldi, ad esempio per il cibo, rimangano alle persone che oltre ad averne più bisogno sono nella maggioranza dei casi i “proprietari” per nascita dei luoghi che amiamo visitare.
Rientro a metà pomeriggio alla longhouse, troviamo il gestore-cuoco-tuttofare sulla passerella, quella che in questi giorni è stata il nostro dehor con vista sull’oceano e tramonti da urlo, ha due bacinelle e una montagna di panni, attacca la canna, prende il sapone ed inizia il cleaning-cleaning, mi siedo incuriosito, non è sorpreso della mia sorpresa, e ancor più tranquilli sono i suoi amici, stanno lì, gli tengono compagnia, ma quanto ad aiutarlo non se ne parla, coerenti fino all’estremo.
Velocemente prepariamo gli zaini, passate le cinque vengono a prenderci, salutiamo i fancazzisti, un ultima occhiata a Mabul, siamo stati bene in questo villaggio dove la gente è cordiale, oltretutto penso che sia il posto più lontano che abbiamo toccato in giro per il mondo per vacanze, il gestore-cuoco-lavandaio viene con noi a Semporna, ha lì la famiglia e poi alla longhouse non ci sono altri clienti, ci gustiamo in silenzio quest’ultimo viaggio in barca, credo che chiunque viaggi in cuor proprio sappia, nonostante illusorie promesse, che ben difficilmente si ritorna negli stessi luoghi, quindi questo è il nostro saluto al Borneo poiché domani si fa rotta su KL per il graduale rientro.
Arriviamo, c’è l’attrezzatura per le immersioni da restituire, ma c’è anche Uncle Chang, dice che ci sta aspettando, che c’è una festa, non capisco, ci chiede di fare una doccia veloce, che ci aspetta.
Doccia veloce, usciamo, davanti al Dragon Inn la macchina di Uncle Chang e moglie, c’è un’altra persona, un parente, ci portano in Semporna, giriamo, periferia, non vedo segni di festa, chissà, però non siamo preoccupati, tutto troppo improvviso, mezz’ora fa eravamo ancora sulla barca di ritorno da Mabul, ora ci fermiamo davanti ad una casa, si entra, scale davanti a noi, in cima una anziana signora, vestita bene, elegante, ci accoglie sorridendo.
E’ la madre, siamo in casa di Uncle Chang, non me lo sarei mai aspettato, entriamo in soggiorno, la tavola è apparecchiata e piena di cibo, pesce, riso, pollo, verdure bollite e varie ciotole di salse, fra cui chili e l’immancabile soia, la signora si siede in disparte, non cede alla mia richiesta di unirsi a noi; è solamente un inaspettato invito a cena da parte di una famiglia, ma sono contento, direi felice, ci rendiamo conto che non deve avvenire spesso quando il parente sconosciuto, forse cognato, rivolto all’anziana signora ci indica con stupore, e la signora indica il figlio La cena prosegue, chiacchieriamo di cose generiche, terminata andiamo in salotto, la casa infatti non è molto dissimile dalle nostre, Uncle Chang ha senz’altro una posizione sociale sopra la media, ci presentano tutta la dinastia indicandoci le foto appese ai muri, c’è anche chi è emigrato in America, c’è addirittura una foto tipo “Attimo Fuggente” che rappresenta un loro parente insieme a Truman, nonché un’altra foto con un uomo anziano sotto la quale un piccolo altarino di candele, incensi e fiori.
Quando tutto è fatto sale in cattedra il parente-cognato, è un cuoco ma come passione fa’ giochi di prestigio, e così per oltre un ora è un susseguirsi di monete che scompaiono, carte indovinate nel mucchio, mazzi formati dalla stessa carta laddove prima del tocco magico erano tutte diverse, con Uncle Chang che sottolinea ogni finale di gioco esclamando “is magic”.
E così finisce, l’indomani dovrei raccontare di un’ultima giornata a KL tutta dedicata, come promesso, alle compere di Silvia per casa nostra e parentela varia, con il sottoscritto nel ruolo di confuso accompagnatore; preferisco invece chiudere con una emozione, di quelle da poco, forse, ma che lì, in quei luoghi, danno un di più alla vacanza.
Di quelle che rimangono impresse a lungo, forse per sempre.
Fabio