Le magie della Luna
Iniziamo da Djerba, quasi un satellite del paese. Il Sole è già alto. La compagnia è numerosa ma stranamente silenziosa. Ognuno aspetta quella scintilla che possa incendiare di passione le anime, accompagnandole nel lungo cammino. Donne accovacciate preparano il pane sulla pietra. La scintilla arriva quasi al termine della giornata. Siamo alle porte del deserto: Douz. A cavallo delle navi affrontiamo il mare dorato delle dune. Questi animali così flemmosi, così placidi ci conducono al tramonto nel silenzio di sabbia. Davanti a me montagne mutevoli di granelli sparsi dal vento. Tutt’intorno il silenzio, la solitudine. Tornando, mi volgo a ponente: il Sole mi acceca gli occhi, riesco a scorgere un fanciullo chino su una pietra nel giardino del silenzio. All’indomani, di buon ora, riprendiamo il cammino, paghi della gioia che ci aveva dato tanta bellezza. Attraversiamo velocemente una distesa cristallina, luccicante sotto i raggi del Sole: lo Chott el Djerid. Immenso. Cerco l’orizzonte. Mi perdo. Delle strane lingue d’acqua affiorano di tanto in tanto. Acqua rossa. La tentazione è forte: la raccolgo con le mani. Subito l’acqua si asciuga, le mani restano increspate, bianche. Ad un tratto una conca di verdi palme lussureggianti: la Corbeille. La natura così rigogliosa non poteva che dare come frutti le dita di luce. Siamo a Tozeur. Fatico ad immaginare la poesia di celebri canzoni. Le mura della città vecchia ci riparano dal caldo Sole. Le pareti di piccoli mattoni rossi nascondono cortili di luce testimoni del tempo che fu. Mangiamo in ciotole di ceramica il tipico cous cous di verdure e pollo. Di nuovo il tramonto. Di nuovo la magia del deserto ci rapisce. Siamo a bordo di possenti fuoristrada che scalano le alte dune: discese veloci col cuore in gola e poi ancora irte salite sulle dune e ancora giù, ancora più veloci. Questo strano ottovolante ci fa rivivere le emozioni dell’infanzia. D’un tratto l’ultima duna scopre un villaggio mai visto. Case di gesso. Cupole. Torrette. Antenne. E’ veramente un altro pianeta.
E’ ancora buio mentre iniziamo la nuova giornata di viaggio. Il vociare del gruppo sulle emozioni provate mi tiene sveglio. E’ l’alba. E’ giorno di mercato a Gafsa. Il mercato degli animali. Mucche, pecore, capre, ma anche galline, polli, perfino dromedari. Il Sole è al culmine quando arriviamo alla città santa. Gigantesche vasche ne delimitano l’ingresso. Non mi sento pellegrino. Non potrei esserlo. Indosso il tipico saio. Appena messo piede nel cortile una strana suggestione mi avvolge. Guadagno il centro della luminosa piazza. Centinaia di colonne di epoca romana e bizantina ornano il porticato che la circonda. Ancora pezzi di storia romana attaccati sulle mura del minareto. Mi avvicino alla sala di preghiera. L’ingresso è interdetto. Nessuno prega. Sul pavimento e sulle colonne delle stuoie. Anche l’interno è molto suggestivo: riparato dal Sole, quasi buio; l’atmosfera magica della nicchia che indica la mecca. Perdo la suggestione passando alla Moschea cosiddetta del Barbiere. Il rivestimento in maioliche, gli stucchi in gesso, gli intarsi del legno ne fanno uno dei gioielli dell’architettura araba. La medina di Kairouan mi ravviva con i mercanti, gli avventori, gli artigiani tessitori di tappeti, i colori, i profumi. Siamo nella fortezza. Scegliamo di accogliere la notte nella prigione fumando il narghilé.
A Tunisi ci attende un clima torrido, afoso. Il Sole è velato. Le piacevoli passeggiate nei souk, si trasformano in infernali traversate. Manca l’aria, manca il respiro. La mattinata è scarsa di emozioni. Arrivati al Bardo, però, uno spettacolo mai visto. Davanti ai nostri occhi centinaia di mosaici romani ornano le pareti di questo palazzo. Infinite tesserine colorate compongono il piacere della vita, la flora, la fauna, i miti, le muse. Avanziamo nelle stanze del palazzo. Immagini sempre diverse ricamate con la pietra ci lasciano attoniti. E’ l’arte nel suo massimo splendore, senza tempo, senza spazio. La vista dei mosaici ci riporta al tempo dei romani. E’ Cartagine. Più di ogni altra cosa mi stupisce il porto. Un cerchio perfetto. La ricostruzione ne evidenzia i ricoveri delle barche, quelle commerciali ma soprattutto le terribili triremi che dominarono il Mediterraneo. In cielo scorgo colonne di fumo nero. Urla, fiamme, gemiti. Cartago delenda est. In alto sulla collina il Sole si posa sulle bianche case. E’ quasi il tramonto. Siamo a ridosso della costa e il profumo del mare si fa sempre più intenso. E’ una bellissima giornata di Sole. Lungo le coste di sabbia migliaia di persone. Donne vestite si immergono nell’acqua cristallina. Più avanti il mare si allontana lasciando la sabbia molle. Ci nutriamo di pesce cotto sul fuoco. Il sapore è intenso, la carne tenera. Il mare è generoso con la terra. E’ l’ultimo pasto. La luce filtra dalle grate sopra le nostre teste. E’ un cunicolo buio, scavato nella pietra. L’odore forte degli animali ci chiude le narici. Al passare dei carri la polvere piove dal soffitto. E’ il momento. Con una carrucola ci alzano dal sottosuolo. Per un momento non riesco ad aprire gli occhi. Siamo nell’arena. Un immenso circo costruito per onorare qui i fasti di Roma: El Djem. Trenta metri di altezza, tre ordini di gradinate, fino a trentamila posti, ne fanno uno dei più grandi anfiteatri al mondo. Perché proprio qui? Quale ricchezza poteva dare questa provincia così lontana dalla città maestra? Salgo tutti i gradini fino all’ultima gradinata. Mi sporgo all’esterno degli archi. Una distesa di olivi a perdita d’occhio. Migliaia, milioni di piante che davano i frutti per il prezioso olio. Ecco cosa ricavava l’impero dalla città di Thyrsus. Carni arrostite, otri di vino rosso, musica di percussioni, archi, flauti. Lo spettacolo del circo è finito. Il pubblico abbandona gli spalti.
La Luna. Bianca, illuminata dal Sole. Dall’alto ci sorveglia. Segue il nostro cammino e lo segna. Raggiungiamo un punto panoramico sulle colline di Matmata. Intorno il nulla, soltanto il rincorrersi di colline aride, ora a destra ora a sinistra. Nient’altro. Immaginiamo tutti il paesaggio lunare fatto dell’immensità del nulla eterno. Per un attimo il silenzio pervade tutto il gruppo. Strane case scavate nella roccia ospitano la vita. Cunicoli stretti e profondi ci conducono all’interno. In mezzo una grande volta aperta al cielo per far entrare il Sole. La pietra tiene fuori il caldo. Dentro, semplici suppellettili ornano le fresche caverne. Una donna ci offre del pane appena cotto e insieme l’olio. Sopra l’ingresso le mani e il pesce a tener fuori gli spiriti. Dalla strada scorgiamo altri crateri che nascondono case e vita. E’ la vita sulla terra e nella terra. Proviamo di nuovo ad entrare. Strane porte scorrono al nostro passaggio. Tubi d’acciaio lungo i cunicoli. Ventole, grate, antenne. La fantasia ci porta di nuovo fuori dal sistema solare. Navi all’orizzonte. Il mare aperto è il nostro ultimo ostacolo. Lo attraversiamo facilmente. Siamo di nuovo alla partenza. Sulla mappa unisco tutti i punti. Un cerchio perfetto. La pagina bianca lo fa assomigliare alla Luna. Il canto lamentoso delle donne accompagnate da una musica malinconica di strumenti a corda, tamburi e campanelli, mi riempie il sonno. Siamo alla fine di questo lungo viaggio. Esco nel buio. Le palme mi salutano mosse dal vento. Seguo la stella più luminosa del cielo. Cerco la Luna. Alla mia destra dietro le nuvole fa capolino il Sole. Mi commuovo al pensiero delle belle emozioni vissute su questa terra. Lascio la Tunisia consapevole che non le potrò più rivivere così intensamente.