Ciudad de mexico
Ciudad de Mexico e’ mangiare una paleta, un gelato che ricorda tempi andati, come il banco del Monte di Pieta’, stracolmo di umanita’ vociante e degna, come le oreficerie che si susseguono senza sosta, ma che invece di suggerirmi ricchezza sembrano quasi un rifugio dalla poverta’. Poverta! Non la si vede o quasi, non e’ urlata ma si sente, la citta’ vibra nel sottosuolo di una energia irradiata da questa lotta per tirare avanti, dai mille espedienti per non scivolare indietro. Eppure il capitalismo c’e’, anche qui non urlato, discreto in fondo. O forse il Messico e’ la porta di un mondo intero dove capitalismo assomiglia ad una parolaccia, dove basta prendere un pullman per le rovine di Teotihuacan per accorgersi che altri ruderi, che con gli Aztechi non c’entrano nulla, costeggiano la strada. Sono il primo scorcio di quelle favelas, che a Ciudad de Mexico sono in legno e lamiera, in Chiapas sono in legno e paglia e a volte attirano I turisti perche’ ci vivono I discendenti dei Maya. Invece nessuno oserebbe visitare queste baraccopoli e se non fosse per il fatto di trovarsi sulla strada per Teotihuacan, si potrebbe quasi far finta che non esistano. Ma in fondo, anche cosi’, basta scostare un poco la tendina. Polizia per le strade. Polizia davanti ai negozi. Polizia davanti ai musei, dentro I musei, armi abbassate, ma potenti e temibili. Si potrebbe pensare ad una citta’ in stato d’assedio, una tipica capitale di uno stato centro-americano, dove ogni pacifica dimostrazione potrebbe culminare in un sanguinosa sommossa, dove incombe la minaccia di un colpo di stato. E invece quella polizia ad ogni angolo sembra essere li’ a proteggere noi e il mistero e’: perche’ mi sento protetto? Contro chi o che cosa? Raramente ho provato in una citta’ di tali dimensioni, con una tale densita’ di gente di ogni tipo, un tal senso di sicurezza e di tranquillita’ sociale, nonostante le scaramantiche avvertenze del Lonely Planet.
Passeggio verso Hidalgo, lungo calle Tacuba, per arrivare al Ponte de Alvarado e tutto mi sembra familiare. Questa pioggia che ogni pomeriggio si impossessa della citta’ e quasi sospende ogni attivita’ non e’ che una calda parentesi, un dolce sipario. Mi calo nel mio passato, riemergo qualche cuadra piu’ in la’ in una specie di futuro, fatto di chioschi fumanti che vendono tortillas e enchiladas, di tombini maleodoranti, di banchetti pieni di libri a meta’ prezzo. Mi sento abbracciare, mi lascio abbracciare, mai il contatto umano, sconosciuto, mi e’ parso qualcosa di cosi’ desiderabile. Sopra di noi sventola l’enorme bandiera tricolore nel Zocalo, ricoprendo secoli di storia indigena, coloniale, repubblicana, rivoluzionaria. Un unico murales unisce Moctezuma, Cortes, Juarez, Diaz, Zapata fino a Vicente Fox e al Subcomandante Marcos. Ma nessun murales potra’ mai essere grande abbastanza per rappresentare la dignita’ di queste 28 milioni di anime, che sussultano stando immobili, in un vagone della metro, seduti davanti alla cattedrale con un cartello ad indicare la professione (idraulico, falegname, muratore), in cerca di qualcuno che gli offra un lavoro, per qualche ora o un giorno, immobili ma non fermi, irrequieti ma composti, rispettosi ma vivi, degni di un passato grande anche se il futuro non ha nome. Mexico, Ciudad de Mexico, Mexico City, D.F., Districto Federal, tanti nomi, un unico corpo, una sola anima. Per due volte mi sono staccato, per tornare, via aria, via terra, ogni volta mi e’ parso quasi un dovere, il ricongiungermi a te. Per testimoniare a tutti che non sei affatto brutta, invivibile, incivile, noiosa, che anche se per vivere piu’ a lungo si dovrebbe respirare a giorni alterni, tra le tue pareti grigiofumo e I tuoi chiassosi mercati mi sono sentito, sembra una esagerazione, davvero a casa. Non la casa dove vivo, forse quella dove ho abitato un tempo prima di cedere al male insondabile dell’apatia. QUE TE VAYA BIEN, MEXICO!!!! Ciudad de Mexico e’ il Restaurante Popular, tutto fantastico, meravigliosamente ‘popular’, nel senso piu’ nobile del termine, che e’ gia’ nobile di per se’. Dalle ‘mesere’ dal completino liso bianco-rosso e nomi quasi esotici (Julia, Vitoria, Ana), al ‘café con leche’ quasi psico-analitico (mi fa sprofondare in ricordi di infanzia, tipo ‘madeleines’ di Proust), ma soprattutto la clientela: nemmeno il piu’ fumoso café’ della Rive Gauche ha mai visto un tale concentrato di umanita’variopinta. Sembra un soggetto di Toulouse-Lautrec, illustrato da Diego Rivera. Mexico – Arrivare al tuo cuore e’ come cercare l’hotel Suarez in Cerrada 5 de Mayo. E’ una strada in costruzione, infangata e bisogna sporcarsi le scarpe, ma alla fine si puo’ anche arrivare a sentire il tuo aroma nascosto sotto una coltre di fumi di scarico. *
* Scritto in un lunedi’, musei tutti chiusi, niente da fare a parte passeggiare senza meta. Meglio cosi’, Frida Kahlo, in fondo, puo’ aspettare.