L’ isola delle banane e delle canne di da zucchero
Franca ci e’ venuta a prendere all’ aeroporto, ha portato con se un incantevole fiore tropicale ed il suo dolce sorriso; un paio di mesi prima, con un bel colpo di mano, avevamo strappato un paio di biglietti Nizza-Parigi-FortdeFrance (e ritorno) a 484 euro a testa, ma si poneva il problema del soggiorno: un bel “trova” con oggetto “alloggi martinica”, su un motore di ricerca, ci ha condotto a lei ed al suo sito (akimboo.Com), dove abbiamo iniziato a conoscerla e ad “invidirare” la sua scelta di vita (abbiamo letto: “genovesi, –“come no!i” primo commento con Ilenia- da anni residenti in questo angolo di paradiso, siamo a vostra disposizione…”).
Con la sua macchina ci ha condotto a Diamant, sulla costa sud, a 25 chilometri circa dall’ aeroporto, era li’ che, con il suo tramite, avevamo affittato un minialloggio; e, anche qui, una splendida accoglienza: frigo pieno, baguette, caffe’ e moka italiana, letto fatto, asciugamani da mare e salviette da camera incluse, ole’.
La prima notte ai Carabi, per chi arriva dall’ Italia e’ sempre cortissima: si arriva nel tardo pomeriggio locale (gia’ notte in Italia), ci si addormenta praticamente subito e ci si sveglia sconvolti e doloranti prima dell’ alba (mezzodi’ in Italia). Giustappunto: alle cinque eravamo gia’ belli brillanti seduti sul letto: che fare? Colazione e passeggiatina sulla spiaggia del Diamant. Prima sorpresa: i martinicani uomini sono accaniti footer, infatti prima delle 7 erano gia’ a farsi la loro bella corsettina sulla battigia (che meraviglia! noi ci alziamo e la nostra splendida vista autostrada, non ci consente nemmeno di aprire le finestre…).
Aspettavamo Franca per le 8 e ½ per saldare l’ appartamento e per avere due dritte sulle cose da fare e da vedere; puntualissima si e’ presentata con una caterva di cartine e di suggerimenti giusto per integrare la guida lonely planet per e avere esperienze piu’ dirette. Prima regola per le Antille: affittare un’ auto. Siamo andati con il supporto di Franca presso l’ autonoleggio piu’ genovese possibile; abbiamo scelto con criterio l’ auto “la plus economique”: per forza ci hanno dato quel gabinetto di macchina… una 106 con 70.000 km, per altro quasi tutti percorsi sulle montagne russe (le stradine da percorrere per scovare le spiagge piu’ belle), a volte sterrate, a volte, ma solo se si e’ fortunati, di cemento rigato; ergo: frizione al limite ed ammortizzatori zero totale. “Non chiudetela!” ci ha riferito il noleggiatore, “non perche’ possano rubarla –ovviamente-, ma perche’ qualche immigrato proveniente da Dominica o da Santa Lucia potrebbe aprirla, rompendomi il finestrino”…
La rete stradale e’ molto completa: una dorsale centrale collega il sud caraibico a FortdeFrance, alcune strade secondarie ed ordinate costeggiano l’ isola nei suoi due fianchi caraibico ed atlantico, e la mitica route de la trace parte poco piu’ a nord del capoluogo per raggiungere dapprima il vulcano e successivamente le spiagge nordiche; altre strade sterrate o poco piu’, arrvivano praticamente ovunque.
Abbiamo iniziato il nostro soggiorno cercando di toccare tutti i punti piu’ interessanti suggeriti dalla guida e confermati da Franca.
Cominciamo dal sud? Ci siamo chiesti. Ok. Da ovest? Ok. Via, verso les anse d’ arlet. Prima tappa obbligata un monumento agli schiavi che si trova ai piedi di quella che i martinicani chiamano “la femme couchet” (la donna sdraiata), ovvero un paio di picchi affiancati che si trovano oltre l’ estremita’ ovest della spiaggia del Diamant che, guardati con occhi romantici, appaiono come una donna sdraiata con capelli lunghi e ginocchia raggruppate. Il monumento in questione consiste in una trentina di statue chiare, testa china e atteggiamento dimesso che, disposte a triangolo con il vertice rivolto verso lo scoglio del Diamant, rappresentano, in senso generale, una presa di coscienza sugli orrori della schivitu’, ma, in modo particolare, ricordano la morte di parecchi uomini in un incidente successo, nei pressi della costa intorno ai primi anni 800: e’ molto suggestivo. Con la nostra carriola, ci siamo diretti poi verso petit e grand anse d’ arlet, preferendo la prima per la sua tranquillita’; e’ una spiaggina semplice di sabbia chiara ed acqua limpida circondata da qualche ristorantino e popolata da pacifici turisti francesi. Siamo stati li qualche ora ed abbiamo fatto il primo bagno, bianchi come lenzuoli ed unti e lucidi come la migliore focaccia genovese… Dopo un paninetto veloce consumato all’ ombra del nostro mini ombrellone, la prima giornata antillese si e’ conclusa con Anse Dufour ed Anse Noire, due insenature adiacenti e con una particolarita’, quasi uno scherzo della natura: mentre nella prima la spiaggia e’ chiara, nella seconda –divisa dalla prima solo da una piccola penisola vulcanica- la sabbia e’ di un nero intenso e brillante. Abbiamo passato anche qui qualche ora godendo della tranquillita’ e del refrigerio delle tiepide acque turchesi, nonche’ della vista di qualche bel pesce tropicale che abbiamo salutato quando, mano nella mano, abbiamo snorkelato attorno alla rocce vulcaniche.
Abbiamo tentato con una pizza, da inguaribili italiani: pessimo risultato; era (nell’ ordine): piccola, bruciacchiata, con formaggio (non mozzarella) e dolcissima…
Avevamo preso un bel po’ di sole, ma senza scottarci perche’ protettissimi con la crema fattore protezione 30; pertanto: oggi niente giornata-mare, ma giracchiamo un po’… Giardini di Balata, route de la trace, distilleria, paesetti del nord e ritorno per la parte orientale (lato atlantico) con bagnetto nella penisola della Caravelle. I martinicani, ma anche Franca, la chiamano autostrada ma, per essere in un’ isola caraibica, l’ incongruenza e’ notevole, e allora prendiamo questa benedetta “autoroute”… L’ accesso e’ via corsia di decelerazione, quindi ci assomiglia almeno nella forma; la direzione nord, passando per la periferia di FortdeFrance; “partite prestissimo! Non dopo le 7 e ½, perche’ trovereste coda” ci aveva detto Franca; maledizione! Aveva proprio ragione. Mancava ¼ alle 8, non era tardissimo, ma abbiamo beccato un casino che levati… Sembrava il raccordo anulare di Roma, si andava, non si era bloccati, ma la velocita’ erano i 20 all’ ora, le marce non oltre la seconda (ecco perche’ non c’era piu’ di frizione…), la ventola sempre accesa. Alcuni martinicani sono bellissimi, parecchi piuttosto corpulenti, altri proprio grassi… ovvio, bastava guradarsi o a destra o a sinistra durante la coda e spuntavano baguette che non ti dico e non con il velo di marmellata, ma con il jambon e il fromage… “Franca, ma perche’ i tuoi quasi concittadini non fanno colazione a casa?” le abbiamo chiesto qualche giorno dopo, quando l’ abbiamo inviata a cena da noi; “Risparmiano tempo!”, la pronta risposta… A noi sembravano cosi’ tranquilli, il tempo e’ diventato ormai un valore assoluto… Ho rigorosamente sbagliato uscita e ci siamo trovati nel megacasino di FortdeFrance, per fortuna e con qualche “s’ il vous plait”, abbiamo beccato la direzione giusta. Prima di arrivare ai giardini di Balata ci si e’ stagliata innanzi la basilica del Sacro Cuore di Balata, una miniatura, con proporzioni perfette, del piu’ famoso Sacro Cuore di Montmarte. Gradevole. Per noi, “buoni” Cristiani (“buoni” e’ un bel complimento, siamo tutti ottimi peccatori…), e’ stata una piacevole pausa di riflessione e di preghiera. Abbiamo acceso una candelina per ringraziare del mio nuovo lavoro giunto dopo un inaspettatamente breve trafilo di 3 colloqui in tre giorni.
Siamo ripartiti in direzione Balata e piu’ proseguivamo verso nord, piu’ si avvicinavano i Pitons du Carbet una piccola catena montuosa che e’ parte dominante delle regioni centrali dell’ isola ed il cui picco e’ a circa 1300 metri. I giardini sono un ordinatissimo orto botanico, intreccio di numerosi sentieri che fiancheggiano alcuni bellissimi fiori e piante tropicali che, mentre nelle nostre case, non raggiungono i 70-80 centimetri, li’ hanno dimensioni sproporzionate. Alcune fotografie bucoliche e via, continuando verso nord. Quello che abbiamo apprezzato proseguendo la strada e’ stato che, tutto quanto abbiamo visto perfettamente allineato nei giardini, abbiamo ammirato selvaggiamente e naturalmente disordinato ai bordi dell’ asfalto, con macchie di bambu’ e felci gigantesche che primeggiavano su tutte le altre piante fino quasi a soffocarle. Siamo giunti a Morne Rouge quando i ragazzini uscivano dalle scuole… qui non c’e’ il casotto e la fretta che schiaccia FortdeFrance, le casette sono tutte ad un piano, i relativi giardini curati maniacalmente ed il “verde pubblico” quasi un’ ossessione. I fiori trovano la temperatura ideale per restare fioriti tutto l’ anno, inoltre, piovendo cosi’ spesso, sono sempre meravigliosamente vivaci.
La discesa che collega Morne Rouge a Basse Pointe e’ un nastro d’ asfalto in mezzo a continue piantagioni di banane gia’ tutte insacchettate e pronte ad essere recise ed imbarcate sulle bananiere che collegano settimanalmente la Martinica alla madrepatria.
A Basse Pointe il canale della Dominica porta onde lunghe e fragorose: non c’e’ spiaggia, ed il mare, casa di numerosi surfer, s’ infrange direttamente sulle rocce. Sotto un tettuccio di tegole rosse stile gazebo, ci siamo mangiati un po’ di frutta ed il panino che ci eravamo portati da casa. Ed iniziavamo a pensare… che bello, bastano 2-3 giornate di seguito fuori dall’ ordinario che il cervello entra di nuovo in funzione. Ci muoviamo in direzione Grand Riviere sotto il calduccio delle 2 per andare a visitare una distilleria, per noi profani poco interessante… quello che ci ha colpito e’ stato il meraviglioso profumo di rum che abbiamo respirato tutto intorno all’ edificio.
Tutti i paesi che abbiamo incontrato lungo la strada che da Macouba portano a circa meta’ della Martinica, ovvero all’ altezza della penisola della Caravelle, non hanno niente di interessante da mostrare, se non una lenta e rilassata atmosfera. Sono mozzafiato alcuni panorami a picco sul mare, ma non ci sono spiagge e la balneazione e’ vietata a causa del mare piuttosto incazzoso.
Cosa vendera’ quel furgoncino li’? Occupa un piccolo posteggio davanti ad uno slargo di un punto panoramico. Il poulet roti!! Con 4 euro ce ne siamo presi meta’, ce lo hanno infilato in un sacchetto di carta, ci hanno cacciato dentro della salsa e lo hanno shakerato ben benino. Forse la salsa non la volevamo, ma quando la ragazza ci hanno detto “sauce?” e noi non avevamo capito, invece del solito: “pardon?”, abbiamo detto belli fieri: “oui!”; e’ andata alla grandissima: quella salsa era una porcata di una bonta’ tale… Per non parlare del pollo, davvero delizioso… Il bagnetto a Tartane, sulla penisola della Caravelle si e’ trasformato in un ristorante sonnellino…
Le mosche “gna’-gna’” hanno massacrato Ilenia… E’ piena di bubboni rossi ovunque.
“Siete stati in spiaggia dopo le 4 e ½?” ci ha chiesto la farmacista il giorno dopo; “si’, ci siamo addormentati”… Ci ha prescritto un antistaminico ed una crema. “possiamo stare al sole e fare il bagno?” “Certamente”… Fiuuu, sospiro di sollievo e via verso le spiagge del sud: terzo giorno.
La parte sud e’ senz’ altro la parte piu’ caraibica di tutta l’ isola: alberghetti, spiagge di sabbia chiara e mare azzurro; ma, fino a Les Salines, poco “interessanti”, molto “anonime”. Les Salines e’ invece davvero carina, la sabbia e’ granulosa e dorata, ci sono palme ripiegate verso il mare con numerose amache attaccate, tavolini di legno, cestini per il picnic, famiglie serene e bambini festanti, ambulanti che vendono costumi, gelati al cocco e bibite fresche ma senza insistenza.
Tant’ e’… Cercavamo qualcosa di piu’. Petit e Gran Macabu si trovano nella parte occidentale dell’ isola. Eccole, sono loro le spiagge che cercavamo: deserte. Palme, sabbia fine e bianca: nostre; solo nostre. Per tutta la mattinata: nessuno. La mattina del quarto giorno ci abbiamo provato. E’ un po’ difficilotto raggiungerle. Le indicazioni chiare, ma non ti aspetti di fare 2 chilometri di sterrato per arrivarci. Ci siamo riusciti. La nostra 106 al ritorno ha pianto. Se li e’ sparati tutti con la ventola accesa. Le due baie non si riescono a commentare, sono da vedere. Non si riesce neanche a parlare dal silenzio che c’e’: ti entra dentro. E si sta zitti-zitti, ci si deve armonizzare con il posto.
Il pomeriggio siamo andati a visitare le altre anse piu’ a sud rispetto a Macabu, quindi tra Salines e Macabu. Anse Michel, Grosse Roche e Cap Macre’ bellissime, con la barriera corallina che frena le onde dell’ Oceano e colori straordinari, sembra che in acqua ci siamo dei neon.
Siamo rientrati presto: ovviamente prima delle 4 e ½; le “gna’-gna’” non perdonano.
Vicini a casa una pasta veramente superlativa nata in una pasticceria francesissima ha deciso di tenerci compagnia quando abbiamo deciso di aspettare il tramonto al “bellevue pointe” fronte Rocher du Diamant. Ha avuto vita brevissima. In 4 e 4 8, ha preso la strada interna (interna a noi). Del Diamant ci siamo letti la storia sulla guida. Pare che a inizio dell’ 800 un gruppo di marinai inglesi lo battezzo’ con il nome del loro legno (Diamond Rock)e lo colonizzo’ con un gruppo di 120 marinai ed alcuni cannoni puntati verso il mare con lo scopo di colpire tutte le navi francesi che transitavano da quelle parti. Per una decina d’ anni ci riuscirono. Pare poi che un geniale ammiraglio francese riusci’ a farli intontire ubriacandoli con una scialuppa carica di rum; gli inglesi, sensibilissimi all’ alcol come tutti i marinai-pirati dell’ epoca, abboccarono e furono scacciati. Il nome rimase francesizzandosi in Rocher du Diamant (i francesi francesizzano tutto; un inglesismo per loro e’ peggio di una bestemmia).
A parte le leggende piu’ o meno realistiche, il tramonto e’ stato straordinario. La roccia si e’ accesa ed il mare tutto intorno si e’ incendiato, un mare di fuoco: grandioso.
“Perche’ non andare a vedere le spiagge del lato caraibico?” “Perche’ no?”.
Il venerdi’ ci siamo buttati da quel lato li’; tappe pensate: scavalcare FortdeFrance, e visitare la citta’ di San Pierre, uno zuccherificio ed Anse Coulevre.
Siamo partiti alle 7, anche non in coda i martinicani che vanno al lavoro A FortdeFrance mangiano lo stesso: in velocita’; non c’ era coda. Siamo arrivati a San Pierre dopo avere dedicato qualche minuto ad ogni paesino che incontravamo.
San Pierre era l’ antica capitale. Era ricca. E bella. Si affaccia su una soffice spiaggia di sabbia nera, nera come tutta la sabbia del lato caraibico (testimonianza del vulcano –attivo ancora oggi-). Era molto attiva culturalmente, una Parigi ai Carabi. Attualmente non c’e’ piu’ quasi nulla, grande fascino senza tempo, ma null’ altro. Un vecchissimo e fatiscente albergo da 5 stanze e qualche ristorante. Ci sono i ruderi quelli si’. Alcuni nudi, cosi’ come li ha lasciati il Mont Pelee dopo l’ eruzione del 1902 che ha ucciso tutti tranne un prigioniero rinchiuso in un cella dai muri spessissimi, altri riutilizzati come fondamenta per i nuovi edifici, altri che costituiscono i resti del teatro che lascia intendere l’ antica maestosita’. Per il resto il vuoto. Due strade a senso unico senza marciapiede ed un casino infernale di macchine e camion. C’e’ solo una piazza recente e larga che ospita al mattino un bel mercato di frutta, verdura e pesci. Lo abbiamo visitato e fotografato. Abbiamo vagato ancora un po’ senza meta e poi via, direzione nord: meta l’ habitation Ceron, antico zuccherificio. Non abbiamo cessato di buttare un occhio sui paesini che incontravamo lungo la strada che ci ha ricordato un po’ il tratto di costa Ligure che collega Bergeggi a Varigotti.
L’ habitation Ceron e’ un antico zuccherificio molto ben conservato nel quale abbiamo osservato tutti i passaggi della lavorazione della canna che sono ottimamente spiegati da alcuni cartelli posti sopra le “cose da vedere”, ha un bel giardino con eccezionali piante e tantissimo verde molto curato. La 106 ha cominicato a piangere sulla salita-discesa che collega anse Ceron ad Anse Coulevre: ventola a stecca. “Favolosa”, il nostro unico commento. Di piu’ cadrei nel patetico. Ce ne siamo stati li’, un bagno nelle tiepide acque e sullo sfondo Dominica. Sabato torniamo a sud.
Les Salines non l’ avevamo goduta, ci preoccupavano i bubboni di Ilenia e poi, l’ antistaminico le aveva messo un sonno tale da non poter godere quasi di nulla.
Lungo la strada il cielo limpido ci ha permesso di vedere Santa Lucia e i suoi famosissimi Pitons.
Tanto riposo, domani si parte.
Abbiamo scopiazzato qualche giorno fa: prima Les Salines, poi Cap Macre’. All’ una, in mezzo allo spostamento, un altro camioncino, un altro poulet roti, un altro stragodimento.
Restituita la 106, domenica che si fa? Si resta a Diamant. Passeggiata e bilancio della vacanza. Decisamente positivo. Abbiamo fatto ancora due passi per assaporare l’ atmosfera festiva della domenica. Tutti sono vestiti magnificamente, sembra che abbiano costumi antichi; pettinature ricercatissime: uscivano da Messa. Acc… siamo senza macchina fotografica! Meglio, non e’ una sfilata ma la loro normalita’ domenicale.
Jean Pierre ci e’ venuto a prendere alle 3 (l’ aereo era alle 6); Franca non stava bene: per fortuna il giorno prima eravamo andati a salutare la nostra amica genovese-martinicana a casa sua.
Jean Pierre e’ un uomo di mondo, ci ha lasciato una massima fantastica, cerchiamo di ricordarla: “non esistono problemi senza soluzioni, esistono soluzioni ancora da trovare”.
Paolo e Ilenia