Isola verde, isola rossa, isola nera
Una bimba che sorride è sempre un bel ricordo.
Gli abitanti di questa enorme, splendida isola sono una mescolanza di Africa, India e Polinesia. Sono belli, eleganti e sinuosi; ritraggono le meraviglie del sangue misto e la particolarità dell’isolano; sono un popolo unico ed insieme un cocktail di razze.
Nell’atrio dell’albergo una signorina strofina il pavimento in legno con un mezzo cocco rovesciato. Il guscio della noce di cocco liscia, pulisce e cera il pavimento. Tutti i pavimenti in legno malgasci sono di una grande bellezza. Ad accoglierci sull’isola stanotte sono soprattutto odori nuovi di una città di periferia che sa un odore forte, un odore di polvere, un odore di zebù.
Attraversare la capitale da Ivato al quartiere di Padre Pedro è sicuramente una delle esperienze forti del viaggio. La moltitudine di gente e la povertà che traspare da quelle case ci lasciano senza fiato. E quanti mercati. Prima ne senti l’odore; poi vedi la gente, ed infine la merce esposta per strada, al suolo o su tavoloni di legno o di cemento. I mercati. Li abbiamo incontrati subito e per tutto il mese non ci hanno più lasciato. Affascinanti e pieni di odori a volte buoni a volte nauseabondi. I malgasci hanno poco, ma quel poco è esposto con cura ed ordine. I pomodori sono sempre impilati a forma di piramide, i gamberoni allineati secondo la grandezza, le ceste rigorosamente impilate le une sulle altre e le zampe di zebù (ci faranno il brodo?) vendute sciolte e disposte in cerchio a formare grossi coni di zoccoli e pelo.
In ogni villaggio ed in ogni angolo di città possiede delle piccole drogherie: spesso si tratta di tavole in legno a ribalta davanti a grandi finestre. Nell’ombra vi sono sempre donne annoiate ma sorridenti circondate da bambini.
La cittadina-missione di Padre Pedro è impressionante. Si tratta di una città a tutti gli effetti, costruita sui resti di una discarica; dove ora ci sono le case più belle di tutta la periferia prima c’era solo pattume e disperazione. Strade in acciottolato pulitissime, gelosie colorate di azzurro e piacevoli casette in mattoni. Lasciamo ad una signora ed ai suoi bambini (ci porgono la mano e scandiscono concentrati un « bonziur madam’, mersì » con il loro accento malgascio dolcissimo) un po’ di medicine ed alcuni vestiti. Sono tutti un po’ di fretta è l’ora della messa domenicale. Ce ne andiamo in punta di piedi.
** Albergo a Antananarivo-Ivato : Le Manoir Rouge, 105’000 FMg la camera doppia con doccia e wc in camera, transfer dall’aeroporto e colazione inclusi. Non male se si deve ripartire subito. Cambio in nero : 1 Euro : 6’850 FMg, ma se all’aeroporto invece della banca ufficiale (che opera un cambio fluttuante tra i 6’600 ed i 6’800 FMg) cercate la ditta SOCIMAD, (presente anche in città, in una perpendicolare a Avenue de l’ Indépendence, sulla sinistra guardando la vecchia stazione, all’altezza del centro culturale francese Albert Camus) il cambio va dai 7’000 ai 7’200 FMg. Portate con voi biglietti da 50 Euro. Per i biglietti inferiori ai 20 Euro il cambio è sfavorevole. Non portate con voi vecchi dollari (quelli con le facce stampate in piccolo, per intenderci). Nessuno ve li cambierà, nemmeno le banche. Prezzo del biglietto Tanà-Sainte Mairie : 110.- euro contro i 93.- comunicateci dall’agenzia prima di partire. Comperate i biglietti in Europa se siete sicuri delle date in cui volate, e informatevi più volte sulle riduzioni di prezzi nei voli interni se volate dall’Europa con Air Madagascar. A noi hanno detto che non operano più riduzioni di sorta, e che i prezzi sono meno vantaggiosi che con Air France. Non ne siamo più sicure : sul posto ci hanno detto che i prezzi sono fortemente ridotti in caso di volo internazionale con la compagnia dell’isola.** “ Guarda! Una spiaggia bianchissima! Le palme! La barriera corallina! Ma come siamo bassi… Ma che fa? Atterra sulla spiaggia, questo arnese???? “ L’aereo scende.. “vedo la sabbia.. I bambini che corrono, li vedi ? Ma mica scende qui per davvero ??!! “ L’aeroporto di Sainte Marie è una capanna in mezzo ad un pianoro sul mare dove passeggiano gli isolani, spingendo i loro zebù gobbosi al pascolo, tra le ninfee degli stagni che si incontrano qua e là… Il nostro aereo se ne va subito rombando e carico di sole due ragazze italiane tutte rosse di sole che prima di salire gridano « Andate all’Île aux Nattes!».
La vegetazione è strepitosa. Dire lussureggiante è dire nulla. L’occhio passa incredulo da una specie all’altra, dalle palme da cocco, alle ninfee, alla papaia, all’albero del pane, agli ibischi del Gabon vestiti dei loro fiori rosso sangue. Notiamo molti uccelli e molte piante che non conosciamo. La macchina si arrampica scivolando lungo i fianchi di una collina da cui domina la casa padronale dell’albergo “Chez Vavate”. Ad ovest la foresta si dirada e la vista si apre sulla famosa Île aux Nattes e sull’oceano. Il tramonto scoppia là in fondo ogni sera. Il nostro bungalow é in pieno est, dove verso le 5 di mattina sorge il sole, affacciato su di una spiaggetta privata degna di cartolina delle Maldive… La barriera corallina è a 500 metri, là dove l’oceano indiano romba la notte scontrandosi con il corallo. Il vento è impietoso e tutte le notti scuote la capanna. Ma ad ovest il vento non tira mai e il tramonto ci riempie le serate; madame Vavate e Amédée ci servono ogni sera un “punch-cocò” sulla panchina di fronte al sole che si tuffa laggiù oltre il canale.
La sera viene servita la cena nella casa padronale, al primo piano, in una spaziosa veranda piena di finestre. Riso in bianco per accompagnare ogni sera una sorpresa diversa: zebù in salsa di papaya, aragosta alla griglia, pesce stufato con verdure, calamari e verdure,… E sempre un dessert.
Il giardino dei Vavate: 65 ettari di paradiso botanico. Amedée si offre di farci visitare una piccola parte della foresta. Con un machete l’ometto sorridente gratta sotto ai nostri occhi una corteccia grigia di un alberello grazioso per farci ri-conoscere la cannella. Poi mordiamo un grano di pepe dall’albero vicino, scopriamo che il caffé che beviamo la mattina viene da un albero poco più in là, per poi accorgerci che sopra le nostre teste sta slinguazzando un camaleonte!!! Amédée ce lo cattura e il camaleonte ci osserva, prima con un occhio … Poi con l’altro. Infine l’animaletto decide di arrampicarsi sulle nostre braccia, sulla nostra schiena. È un momento emozionante. “Ma quanto buffa sei, bestiolina?” A tutta risposta ci fissa con rimprovero puntandoci stavolta addosso entrambi gli occhi. Amedée è simpatico ed affettuoso. Il suo viso è largo e rotondo, i suoi passi sono silenziosissimi come quelli dei guardiani notturni alla nostra capanna. Sono così silenziosi che a volte ci spaventano, quando usciamo in piena notte, assonnate, per una pausa nel gabbiotto del water… E li vediamo aggirarsi… Probabilmente armati.
Amedée ci fa regali e ci attende sempre la sera, indovinando anticipatamente se uno scroscio di pioggia ci fa desiderare un secchio di acqua calda. Porta i secchi al bungalow, e sapientemente mescola acqua bollente ed acqua fredda per una doccia calda; una coccola che ci buttiamo addosso a secchiate prima di vestirci per la cena.
“Dai, Amédée, dicci che c’è per cena! Sii buono…” “Surprise surprise…” e se ne va ridendo, lasciandoci al secchio e all’acqua del bagno.
In quest’isola (che fu per lungo tempo abitata dai pirati) facciamo conoscenza con l’etnia malgascia della costa. Hanno lineamenti dolci ed occhi leggermente tagliati a mandorla. Passeggiando sotto al sole lungo la strada principale che passa da un villaggio all’altro osserviamo le case, le scuole, i grambiulini rosa dei bimbi della scuola materna e quelli blu scuro degli scolari. Le case in bambù sono costruite bene ma sono fragili e le strade sono polvere. Qui, famiglie numerose vivono in capanni di 6-8 m2, senza servizi igienici, e cucinando nell’aia ricca di polli corridori. Lungo la strada, semplici bastoni piantati per terra germogliano spontaneamente formando staccionate allegre. Le donne spesso siedono su belle stuoie morbide in fibra di cocco che loro stesse intrecciano con sicurezza ed abilità. A due passi dalle capanne c’è il mare. Una piroga scavata in un tronco di palma è parcheggiata poco lontano; i bambini ci giocano attorno. Sembra una vita tranquilla.
Nell’unica cittadina dell’isola pranziamo al ristorante “la Bigorne”, sulla strada principale. Pesce al cocco (un piccolo dentice di 30 cm con salsina di cocco, pomodoro, peperoni e cipolla) e gamberetti alle verdure (una ricca zuppa di gamberetti, patate, fagiolini, carote, pomodori e cipolle). La cucina malgascia continua a promettere molto bene. A dire il vero la cucina malgascia meriterebbe un itinerario tutto suo. Regione per regione, etnia per etnia, piatto per piatto. Ci ha offerto un viaggio nel gusto a dir poco variato, sorprendente e persino intrepido nell’accostamento dei sapori.
Tornare a piedi in hotel è troppo. Contrattiamo il prezzo con un giovane tassista alquanto “maraglio” a detta di Cinzia che padroneggia un linguaggio bolognese vario e divertente a me sconosciuto. Il tassista ha l’unghia del mignolo molto lunga…E verniciata! La vernice è ormai consunta, ma ancora se ne vedono le chiare tracce rosa fucsia. Ci fa salire a bordo e appena chiude la portiera… Cade un parafango.
Le automobili malgasce… I malgasci stanno alle automobili di fattura francese come i cubani alle vecchie auto americane. Due cavalli e renault 4 battono ancora orgogliosamente le strade dell’isola, tenute in vita da una rete di meccanici locali di tutto rispetto. Spesso però, anche se il motore regge, la carrozzeria ed i sedili soffrono, ed ogni tanto osano una lamentela di protesta. Sono auto che paiono morte, ma resuscitano sempre. Vivono più vite dei gatti. Le abbiamo rinominate “Lazzaro”.
È ora di lasciare Sainte Marie. Ci siamo imbarcati su di una carretta del mare lunga 15 metri chiamata “Rozina” con una montagna di salvagenti sul tetto e delle panchine numerate all’interno. Il tutto aveva il gusto di un viaggio della speranza condotto da un folto numero di albanesi. Con noi viaggia anche un ragazzo francese con un grande coraggio: è paralizzato fino alla cintola da qualche anno, ma non ha rinunciato a fare dello sport e a viaggiare. Viaggia solitario attraverso questo paese scomodo. Tutti lo aiutano, lo issano, lo scaricano e lui avanza, con la sua sedia a rotelle ed il suo entusiasmo. Il ragazzo, la nostra polena d’eccezione, è stato legato con varie corde alla sua sedia mobile ed alla prua della barca, in piena acqua e vento. Sarebbe stato impossibile calarlo all’interno del barchino, e quindi i marinai (che ora ronfano al riparo da tutto sopra i nostri zaini) hanno optato per questa curiosa e preoccupante soluzione. Lui sembra tranquillo e sorride. Ogni tanto gettiamo uno sguardo preoccupato a prua, per accertarci che sia ancora lì, anche perchè un temporale ci segue e le onde a volte sembrano crescere.
** Albergo: Chez Vavate, bungalow con doccia all’interno ad acqua fredda, wc all’esterno, acqua calda per la doccia su richiesta, a piacimento, 65’000 FMg per notte. Colazione: 20’000 FMg a testa , cena completa di piatto principale e dessert: 27’000 FMg a testa. Piacevolissimo, raccomandabile. Pulito ed onesto. Ottime zanzariere fitte in cotone che puzzano un po’ ma sono assolutamente prive di buchi e spaziose. Ottimo il Punch-cocò da gustare davanti al tramonto, 10’000 FMg, a detta di tutti il migliore Punch coco dell’isola, tanto che molti alberghi vengono qui a comperarlo. Fatto da madame Vavate con Rhum e latte di cocco fresco principalmente.** La traversata del canale si conclude a Ivongo, un villaggio nebbioso e piovoso dove le galline razzolano nel fango. A suo modo affascinante. Ma fa freddo e piove. Ci tuffiamo nel primo taxi brousse del viaggio, accompagnato da Anna e Riccardo, una coppia di Trento con cui viaggeremo in parallelo per un po’. Il taxi brousse percorre una strada veloce ed asfaltata che attraversa paesaggi maestosi della costa e i tranquilli immensi bananeti dell’interno. Appare il Canal Des Pangalanes e con lui appaiono le signore che ad ogni stop di taxi brousse vendono gamberi di fiume fritti, assemblati in grossi anelli fatti di due o tre gamberetti alla volta. Testa-coda, coda-testa. Li proviamo. Sono ottimi. A Tamatave (Toamasina) decidiamo che il Canale non lo visiteremo. Troppo caro. In quattro e quattr’otto decidiamo di stravolgere il programma. Anna e Riccardo sono del nostro avviso. Ci dirigeremo dunque tutti e quattro ad Andasibe, il parco del lemure chiamato Indri.
** Tamatave (Toamasina), albergo sconsigliato: la guida lo descrive come un albergo nuovo. E nuovo non lo è di certo. Si chiama Salama (“come la salama da sugo… “ sbotta Riccardo con lo sguardo perso in languidi ricordi emiliani che tutt’ora lo deliziano) Hotel e si trova dietro l’Hotel Joffre. La stanza non è sporca, ma il bagno al suo interno è quasi inutilizzabile e abbiamo trovato vecchie caccole sotto al cuscino. Il sacco letto è stato inaugurato qui con uno sbuffo rassegnato. 76’000 FMg il prezzo della camera, senza colazione, wc e doccia in camera. Ottimi alcuni ristoranti sul mare. Evitate le patatine di “Adamo ed Eva” vicino all’Hotel Joffre. Punto positivo per l’internet café poco distante sulla strada principale: prezzi molto bassi. ** Taxi brousse fino a Moramanga, cittadina coloratissima e molto viva con una grande ed affollata Gare Routière. Ci lasciamo attrarre dai “sonambo au poisson”, dei grossi ravioloni fritti triangolari di solito farciti di carne e cipolla, ma qui eccezionalmente di pesce. Una delizia! I Sonambo, Samoas o Sambos, a dipendenza della regione sono reperibili ad ogni angolo del paese, e vanno da un prezzo di 250 FMg a 500 FMg al pezzo. Ottimi, sempre freschi e croccanti, sono migliori quelli comperati per strada, dove lo smercio è grande. Vengono serviti anche nei ristoranti, quali piccolo stuzzichino da accompagnare alla buona birra malgascia.
Parlando di bibite ricordiamo lo straziante incontro con il vino. Le guide parlano con gentilezza dei bei vigneti coltivati negli altopiani presso Fianarantsoa da gruppi di avventori europei più o meno abili. Spinte dalla curiosità abbiamo tentato ben due volte di assaggiarne il risultato. Forse il prodotto originario era bevibile, ma una volta che le bottiglie escono dalle cantine vengono trattate a botte di caldo e lunghi anni di riposo in cima a dispense polverose. Il risultato è terrificante. Il vino è troppo caro per i malgasci, e non sono molti i turisti che lo preferiscono a una coca cola, all’acqua o alla birra, con il caldo che fa.
Arriviamo al calar della notte. Andasibe è un ammasso di case di legno a due piani spesso appoggiate su cumuli di arenaria. Le strade sono come sempre sterrate.
**L’Orchidée è una vecchia casa di legno. Ci siamo fermati una notte sola. Sarebbe un posto molto gradevole se i bagni fossero migliori ed il soffitto ribassato rifatto. Ma il prezzo è basso, credo attorno ai 45’000 FMg per una camera senza doccia né bagno. Abbiamo cenato al ristorante dell’albergo, una saletta che ricorda uno chalet svizzero. Ricordate che dovete ordinare la cena con una buona ora di anticipo, andare a farvi un giro e ritornare per quando avranno preparato tutto. Consigliatissime le verdure saltate al burro. Da evitare gli spiedini di zebù ed il pollo che, visto quanto corre per le strade malgasce (e corre velocissimo per evitare di essere investito dai taxi brousse) è sempre molto duro e scarno. Le porzioni sono molto abbondanti. Camera e cena, bibite comprese: 136’000 FMg. I prezzi indicati in questi consigli tecnici sono sempre calcolati per due persone, salvo dove è specificato altrimenti.** La mattina ci svegliamo all’alba. Abbiamo imparato presto a seguire i ritmi di vita della grande isola rossa. La scarsa presenza di elettricità comporta un ritmo di vita solare: la gente alle otto di sera si rifugia in casa e appena sorge il sole esce a lavorare. È un ritmo gradevole e naturale, riposante. Ad Andasibe come dappertutto gli abitanti sono già tutti fuori per le strade, affaccendatissimi. Sul villaggio si è posata una fitta nebbia, che rende tutto fatato. Siamo in un clima di montagna e di foreste, e bambini vestiti di stracci sorgono dalla nebbia e dai rumori ovattati rincorrendo i polli o giocando con vecchie ruote di bicicletta ormai prive di raggi. Le case a due piani, con i balconi di legno a volte intagliato fanno venire il sospetto che di notte siamo state trasportate in un villaggio del Nepal. Anche la gente di qui, sembra confusamente nella nebbia che abbia gli occhi più a mandorla di ieri sera. Effettivamente sono di una tribù diversa, e gli occhi hanno un taglio particolare. Ci incamminiamo verso la riserva naturale. Ed ecco l’Indri. È un lemure quasi completamente bianco e privo di coda, con una testa piccola su di un corpo tozzo e due orecchie molto grandi. Sta mangiando… Ma tutto ad un tratto drizza le orecchie tonde e pelose e comincia a lanciare il suo caratteristico urlo. La foresta è ricca di orchidee, laghetti dove si tuffa il martin pescatore e dove nuotano molti pesci tra le ninfee viola. Notiamo libellule coloratissime, buffi ragni e la vegetazione affascinante delle foreste pluviali.
Le scarpe di Cinzia hanno ceduto. Si sono sfaldate sui fianchi ma confidiamo a che resistano fino alla fine della vacanza. Decidiamo di usare del mastice. Tutto il villaggio si mobilita per trovare alla “vasah” (che significa persona dalla pelle chiara, vasah è il nomignolo con cui tutti si rivolgono al turista, allo straniero) un barattolino di colla mastice per le sue scarpe. Si corre dai vicini fino a che appare una bottiglietta inutilizzabile di colla gialla che Cinzia compera commossa ma che non le servirà a molto… **Hotel Feon’ny Ala, bungalows con bagno in comune, molto belli e spaziosi, vista su di un piccolo lago, 60’000 FMg, con bagno 114’000 FMg. Ristorante buono. Consigliata la prenotazione. Abbiamo incontrato chi è dovuto tornare sino a Moramanga, a due ore di taxi brousse da Andasibe, perché tutti e tre gli alberghi erano al completo.** Anna e Riccardo ci hanno parlato molto bene di un albergo dove loro hanno soggiornato a Tanà (che sta per Antananarivo, la capitale). L’hotel ha un ottimo ristorante che serve cucina creola della Réunion e la serata è rallegrata da due musicisti improbabili che suonano vecchi strumenti malridotti. Passiamo una piacevolissima serata, anche se poi scopriremo che questo non è l’albergo migliore per questo prezzo a Tanà. Avere la possibilità di cenare in albergo è comunque un “sine qua non” nella capitale, che diventa pericolosa dopo il tramonto. Un tacito coprifuoco spedisce tutti a casa presto e noi non siamo del tipo che ignora certi avvertimenti silenziosi.
**Hotel Île Burbons, camera con wc e doccia da 100’000 a 116’000 FMg, colazione esclusa. Prezzi del ristorante normali, porzioni abbondanti. Ottimo pesce e carne di zebù. Un piccolo “coup de coeur” per l’ottimo cavolfiore gratinato con noce moscata. Situato in posizione comoda nelle vicinanze del centro.** Salutiamo Anna e Riccardo che ci mancheranno e ripartiamo sapendo ora che il prezzo di una corsa in taxi nella capitale va da 6’000 a 10’000 FMg, e non 25’000 come ci hanno fatto credere all’inizio. Lasciamo Tanà senza troppa malinconia, salutando la triste periferia fatta di fogne a cielo aperto, odori penetranti e povertà infinita. Alla Gare Routière, come sempre, un nugolo di persone circondano immediatamente il taxi chiedendo dove stiamo andando. Sono i collaboratori delle compagnie di trasporto. Diciamo “gli smistatori”. A volte sono utilissimi perché ti dirigono verso il mezzo che è già quasi al completo e dunque pronto a partire. Altre volte cercano mance o ti vendono un biglietto più caro di quello che è. È difficile sottrarsi agli smistatori. Attendono i clienti (malgasci o vasah) già fuori della stazione, e appena scendi dal taxi e carichi lo zaino in spalla già te lo scaricano dalle spalle e lo passano al ragazzino che lo legherà sul tetto del “loro” veicolo. Di solito li abbiamo seguiti ridendo, perché resistergli è impossibile. Contrattare difficile ma non impossibile. Una buona regola è quella di entrare sempre nel gabbiotto a comperare il biglietto. Ti viene chiesto il tuo nome, diligentemente ricopiato sul ticket, l’ammontare della somma e un timbro. Per facilitare queste cose burocratiche alla domanda “a che nome faccio il biglietto?” abbiamo deciso di rispondere “gatò”, un soprannome un po’ francese, corto ed interpretabile ma sempre molto comprensibile per ciascuno di loro. Una volta recuperato il biglietto si sale e si aspetta che il mezzo si riempia. L’attesa può essere molto lunga, ma mai noiosa. Nelle stazioni si vende di tutto, dai fermacapelli alle “madeleines” al burro, ai gamberetti fritti, ai sonambo. Non mancano mendicanti di ogni genere. Da quelli che portano le tracce della lebbra, agli storpi, ai matti, agli ubriachi. Le stazioni pullulano di gente, si trasformano in piccoli mercati e sono circondati da ristorantini chiamati “hotely” dove si mangia solitamente abbastanza bene per due soldi. E poi c’è il traffico.
Osservare taxi brousse di ogni genere e dimensione è un passatempo parecchio divertente: sul tetto di ogni mezzo viene caricato di tutto, dalle piroghe ai cesti carichi di papere, oche, tacchini e galline (che sporgono dai vimini a maglie larghe con colli e becchi), alle valigie, ai materassi, alle bombole di gas o ai sacchi di riso.
Impareremo presto che un taxi brousse non è mai pieno abbastanza. Le linee veloci poi possono contenere 4 passeggeri per sedile. Quando si guarda il sedile si ride, pensando che il guidatore ti stia prendendo in giro. Ma no, è davvero così. E la cosa peggiore è che pare funzionare. Ci si schiaccia e sorpresi si sbotta con un “però… Ci siamo stati sul serio…” dopo un quarto d’ora le gambe cominciano a gridare, le ginocchia formicolano ed i piedi si addormentano. Scendere da un taxi brousse è spesso più difficile che salirci. Per chi ha le gambe lunghe, un momento di zoppicamento è d’obbligo.
Ma due o tre viaggi ed ecco che il gioco di squadra la vince: “Incrociamo le gambe così che io infilo il piede sotto e tu il ginocchio sopra, aspetta che mi devo spostare non sento più la chiappa, si spostati così che io vado un po’ di là…” insomma ci si arrangia offrendo la spalla ad una vecchia che si addormenta o un braccio ad un neonato che poppa. Il taxi brousse è un gruppo di gente in movimento, perciò le chiacchiere non tardano mai a nascere. Il viaggio, da scomodo si fa ricco di esperienze, voci, canti, musiche e risate in compagnia. Si chiacchiera con il guidatore, si canta con i passeggeri la canzone che ci seguirà dappertutto, ripetendo parole malgasce di cui nemmeno intuiamo il significato. Vederci cantare fa ridere i malgasci. A dire il vero li facciamo sempre ridere. Ci guardano e ridono. “Ecco, ci siamo riuscite di nuovo. Chissà come mai ora suscitiamo ilarità?… Che sarà stato stavolta? Le tue scarpe o i miei capelli modellati dalla polvere?”.
E poi ci sono gli stop. Il guidatore si ferma e borbotta “récréation!” … Come a scuola tutti escono sospirando di gioia e solitamente vanno a fare pipì poco lontano, mentre arrivano le donne o le bambine cariche di vassoi di banane, cosine fritte o gamberi di vario genere e dimensione. Noi facciamo sempre ginnastica e mangiamo cosette nuove. E loro ridono.
Ambositra è una città che estende tentacoli urbanizzati nella campagna circostante. Attorno al centro la foresta brucia e la notte la montagna è illuminata da molti fuochi. La deforestazione, in tutta l’isola è un problema molto grave a cui le autorità non sanno come far fronte. La cittadina è molto accogliente e carina. La gente è ospitale. Qui viene prodotto praticamente tutto l’artigianato malgascio, a parte le pietre preziose e poche altre cose. Decidiamo di seguire una piccola guida di 9 anni chiamata Raku nei dintorni di Ambositra, accertandoci preventivamente che questo non sia il suo lavoro e che vada anche a scuola. Passeggiamo per ore tra le risaie, nei laboratori dei torniatori di legno di rosa, scarpinando sotto il sole tra le case di fango. Guardando la montagna che brucia Raku mormora “Guarda come è triste. Non capisco perché bruciano gli alberi, sono così belli!” e poi consegna mezza pagnotta del suo pranzo ad un bambino mezzo nudo che gli offre in cambio un sorso d’acqua. Ridiscendiamo dal palazzo reale al villaggio dei torniatori. Una ragazza malgascia gira con forza e ritmo costante una grande ruota, la ruota fa girare una morsa, la morsa fa girare un pezzo di legno che un omone muscoloso intaglia pazientemente con le mani e con i piedi.
I piedi malgasci.
I piedi da sempre mi affascinano, mi attirano. Sono i punto di contatto con la terra e ciò che ci lancia contro al cielo. Ho cominciato ad amare i piedi osservando le statue di Giacometti, e non ho mai smesso di incuriosirmi per questo arto che può essere cosî bello come cosî brutto. I piedi malgasci raccontano più di una storia. Un popolo per cui le scarpe sono un bene troppo costoso trasforma il piede in qualcosa di più che un semplice appoggio. Il piede diventa un mocassino, un remo, una mano supplementare. Si appoggia interamente in tutta la sua larghezza e lunghezza, si spiana, si ingrossa. Le dita si allargano per fare presa su qualsiasi superficie ed i piedi si fanno quasi palmati. I talloni si crepano e le unghie molto spesso si perdono per strada. Un malgascio che cammina a piedi scalzi non farà mai lo stesso nostro rumore. Il tallone non batte mai rumorosamente, nemmeno sul pavimento più fine. Un cuscino di pelle e di carne lo rende felpato, silenzioso come una pantera e sembra non sentire l’asfalto che scotta. Pare che lo sterrato non punga mai con un sassolino mal piazzato. Il passo malgascio è sicuro e la gamba assume una piega, nel passo, come quella delle tigri. Leggermente circolare, un movimento leggero… Poi …Puff…, una piuma che si posa silenziosa e sicura. Niente a che vedere con un occidentale che in spiaggia, con le ciabattine in mano saltella goffamente e si morde le labbra soffrendo piccole cose.
Un piede malgascio mal si adatta alle scarpe. Trabocca su ogni lato e si fa insicuro. Ovunque però il malgascio ha scoperto le infradito di plastica. Ogni mattina ci sveglia il rumore della plastica che struscia sul selciato. La scarpa li rende rumorosi, impacciati, come un cane coi calzini. Ma sono felici e pigri, ed allora appena possono strusciano le loro infradito sollevando nuvole di polvere. Non perdono tuttavia il loro andare dondolante ed aggraziato. In particolare, le donne camminano leggere con quella straordinaria abilità di tenere qualsiasi cosa in perfetto equilibrio sulla testa. Non abbiamo mai visto cadere una sola goccia d’acqua da quei secchi riempiti al colmo ed issati in testa. Anche quando la donna che lo sorreggeva, passando accanto ad un giovane, dondolasse in maniera pericolosamente provocante il sedere.
** albergo Prestige Hôtel, camera con wc e doccia in camera, niente di elegante ma molto spaziosa, 67’000 FMg. Ci siamo trovate davvero molto bene al Grand Hôtel per cena. Una signora anziana e curva armata di pazienza e molta gentilezza serve e dondola tra i tavoli, prendendo le comande e scrivendo con lentezza in una calligrafia d’altri tempi. Il menù dell’albergo offre una scelta ampia e curiosa. In particolare ci hanno entusiasmato le “écrevisses”, i gamberoni di fiume. Abbiamo speso, bibite comprese, 80’000 FMg.** Fianarantsoa.
Le due cene che consumiamo allo Tsara Guest House saranno memorabili… Con noi abbiamo portato una piccola carta che riproduce il menù. Come resistere a non comunicarvene parte del contenuto? “Sottili fettine di anatra affumicata, lime candito al curry – Foie gras al pepe verde, banane alla griglia – Gamberi di fiume al burro di porri – Cosciotto d’anatra marinato alla cannella – Filetto candito alla crema di cacao – Petto d’anatra saltato al miele e al caffè – Delizia di cioccolato al liquore d’arancia – Fondente al mandarino, salsa al cioccolato “ . Ci fermiamo qui, ma questa non è che una piccola parte del menù raffinato che ci ha accolto. Scorrendo delizia dopo delizia il menù notiamo il logo particolare dell’albergo, e una piccola nota scritta a lato : “alloggiando in questo albergo contribuite allo sviluppo di un villaggio poco lontano dalla città di Fianarantsoa, nella foresta. Una percentuale del nostro ricavato va alle scuole ed all’educazione di questi bambini”. Saremmo venute qui lo stesso, ma l’annotazione ci fa sorridere di piacere. I piatti che ordiniamo hanno un retrogusto dolce in più. È bello che una struttura alberghiera abbia di queste iniziative.
Fianarantsoa è la città che più ci ha colpito per il suo mercato. I mercati malgasci sono un accumulo di colori e meraviglie da scoprire dietro ogni angolo. L’ordine della disposizione della merce nel mezzo di un caos di gente. E odori… E colori… Che la fa da padrone in Madagascar sono le ceste in genere: ceste a maglie larghe per rinchiudere polli, anatre oche e galline, a volte persino i tacchini (anche se più spesso i tacchini, vengono trasportati tenuti per le zampe. Sembrano sempre borbottare seccati guardandosi intorno dal sotto in su). Ceste di rafia intrecciate strettissime dove viene tenuto il riso, ceste basse, quasi dei piatti, dove viene pulito il riso, ceste diverse per granchi e gamberoni vivi.
Stuoie. Tante stuoie di fibra di cocco. Stuoie morbidissime e profumate che accompagnano la vita fatta di intrecci dei malgasci. Sulle stuoie loro vivono, mercanteggiano, appoggiano la verdura con quel loro ordine quasi maniacale, discorrono. Accanto ai mercati di carne e di verdura ci sono sempre angoli di erbe medicinali e spezie. Questi odori sono quasi “pulenti”. Ti entrano dentro e scacciano l’odore di grasso della carne ricoperta di mosche o l’odore pungente delle banane al limite della maturazione. L’aglio è piccolo e molto meno aggressivo del nostro. Pare quasi dolce. Le cortecce intrecciate sanno di alberi antichi e saggi, ceppi di aloe vengono accuratamente accatastati. Le loro foglie pare curino i gonfiori dovuti alle slogature e disinfettino le ferite. Strani palloncini di strisce di corteccia vengono confezionati per essere immersi nell’acqua calda di un bagno rilassante. Dopo le erbe si incontrano i fiori; dopo i fiori le pentole; dopo le pentole i saponi; dopo i saponi grossi pezzi di alveari che vengono mangiati interi, con la cera, le larve ed il miele tutto insieme in un allegro morso; dopo il miele i pezzi di gesso che le donne incinte sgranocchiano per ovviare alla mancanza di calcio. Insomma si trova di tutto in questo dedalo di passaggi stretti. Ai margini del mercato vero e proprio c’è il mercato dei robivecchi. Stracci di ogni tipo e scarpe usate e riparate vengono riproposti ai passanti curiosi. Sicuramente molti di questi abiti provengono da organizzazioni umanitarie. Fa pensare, il fatto che questi abiti non vengano regalati, bensì venduti.
** Tsara Guest House, prenotazione caldamente raccomandata con un qualche giorno di anticipo, se volete farvi coccolare da un piccolo grande albergo a prezzi decisamente contenuti: camera con wc e doccia in comune (di una pulizia impeccabile è il minimo che si possa dire) 102’000 FMg. Cena più cara, un piatto principale costa mediamente dai 35 ai 50’000 FMg, e comunque il rapporto qualità prezzo non ammette repliche. Si paga con più di un semplice sorriso sulle labbra. Giardino riposante, bar fornito. Se volete fare una follia la carta comprende buoni vini francesi. Noi abbiamo lasciato perdere temendo che le bottiglie soffrissero sempre e comunque il caldo.** Oggi si viaggia in treno: un lungo percorso che, attraverso la foresta e le coltivazioni di banane, le risaie e le estese coltivazioni di tè arriva giù fino alla costa orientale, alla cittadina di Manakara. La gita dal treno si rivela fantastica. Incredibili sono i colori ed i profumi che entrano dalla finestra ad ogni stop, mescolandosi al diesel della motrice. Sono i profumi dei piatti delle ragazzine malgasce. Mille mani che sorgono dalla bassa banchina di ogni stazione ti porgono vassoi di vimini ricolmi di ogni ben di dio: dai gamberoni di fiume alle polpettine, ai pesciolini fritti, alle salsicce laccate, ai sonambo. Proviamo quasi tutto. All’interno del treno è un continuo “offro e ricevo”. È così che ci siamo ritrovate in mano un frutto malgascio di nome “cuore di bue”, frutto verde a forma di cuore, piena di semini neri e una pasta bianca, granulosa, che sa di banana, pera e pesca. Buonissimo. Naturalmente appena il treno riparte, dai finestrini esce una cascata di rifiuti: bucce di banana, vasetti di yogurt, scorze di gamberi, semi sputati senza riguardo verso chi si sporge dietro di te… Del resto non esistono divieti. Si sputa anche per terra, sempre ed ininterrottamente. Tra uno scossone e l’altro conosciamo vari personaggi. Chiacchieriamo con africani diplomatici in viaggio d’affari (ma quali affari in questo mare di povertà?), ragazzine studentesse armate di valigioni enormi che trascinano con fatica su bucce di gambero che ormai ricoprono il pavimento del vagone, una signora di Ginevra che si precipita alla finestra per scattare centinaia di foto ai bambini, una famiglia della Réunion in vacanza, un ragazzo dalla pelle scura con due occhi verdi da paura.
Guardo la signora senza capire perché si ostina a chiamare i bambini e a scattare loro centinaia di ritratti con quel suo potente zoom. La troviamo aggressiva. Anche noi abbiamo scattato parecchie fotografie a questi bambini dolcissimi, ma non ci è parso essere tanto invadenti. Il treno va e si ferma senza regole. I bambini chiedono caramelle, penne, soldi, bottiglie vuote, qualsiasi cosa. Chiedono anche solo di giocare un po’, quando il treno si ferma a lungo per caricare grandi quantità di banane da rivendere sulla costa.
A Manakara è il tramonto. Un’orda di ragazzi ci assale: fuori dalla stazione ci saranno almeno 50 pousse-pousse, il risciò malgascio, unico mezzo di locomozione in questa persa cittadina della costa est. Un ragazzo con un labbro gonfio e due afte ci propone il trasporto per 5000 FMg a testa. Montiamo sul carretto con zaino e tutto. Il disagio è grande da subito, quando il ragazzo scivola tra le assi, solleva il risciò e comincia a trainarci. Il pousse-pousse… Tutta la città è percorsa da questi silenziosi risciò (silenziosi anche perchè sono rari i ragazzi che posseggono un paio di scarpe anche solo distrutte). Ne abbiamo visti molti a Antsirabe, Tamatave, Tulear. Ma mai ci avevano tanto impressionato. Forse è perché qui il traffico è quasi inesistente, le auto sono pochissime. È tutto un fruscio di pousse-pousse tra le case coloniali fatiscenti, abbandonate da quei francesi che un tempo erano addetti alla ferrovia. È un’atmosfera desolante ma allo stesso tempo affascinante. Tra i fili della luce ed i lampioni enormi ragni tendono le tele ed attendono nel mezzo, armati di grande, proverbiale pazienza le loro prede. Nella luce della sera attraversiamo il canale delle Pangalanes che finisce qui. Scorgiamo le piroghe con le loro reti da pesca che tornano dall’oceano aperto, ricco di correnti pericolosissime e dello squalo bianco. Il ponte in metallo rosso che percorriamo è tutto arrugginito… Il sale del mare se lo sta lentamente mangiando.
**Hotel Parthenay Club, bungalow sulla spiaggia. Ristorante e piscina di acqua di mare. Niente di che l’albergo ma bella la vista. Piscina inutilizzabile. Umidità al 100%, temperatura attorno ai 25-30°C e compagnia di un topolino che oltre a camminare lungo le braccia e mangiarci tutti i TUC nello zaino non ci ha proprio fatto dormire. Bagno intasato. Cena ottima a base di pesce alla griglia e verdure; finale con un rhum aromatizzato alla vaniglia o alla banana. 70’000.- FMg la camera doppia, 75’000.- FMg cena e colazione. ** Ci svegliamo prestissimo e alle prime luci del mattino oltre la barriera del reef ci sono un’infinità di piccole piroghe di pescatori. Alle 7:30 ci vengono a prendere i pousse-pousse, gli stessi di ieri, che si sono offerti di portarci alla gare-routière per prendere il taxi brousse per Ranomafana, che dovrebbe partire in mattinata. Ci scaricano davanti al baracchino dei brousse, e li apprendiamo con disappunto che ci hanno raccontato una discreta palla e il taxi brousse non partirà prima delle 16:00… Un respirone e allontaniamo il giramento di palle. Non sono nemmeno le otto del mattino quindi si prospetta una discreta giornata… Ma siccome il nostro umore non è stato definitivamente messo alla prova dalla truce notizia ci pensano i 2 ragazzi dei pousse-pousse, che nonostante avessimo pattuito il prezzo prima pretendono 5 volte tanto… Mannaggia qui mi girano! Elo, che non ama contrattazioni e mercanteggiamenti, nonostante sia incazzata quanto me, tenderebbe a dar loro quello che chiedono per risparmiarsi la discussione, io invece (anche se la vocina interiore mi dice che sono solo pochi euro) mi inalbero. Dopo una buona mezz’ora di dibattito mi siedo: il “MURA MURA” (piano, piano, con calma) l’ho fatto mio, abbiamo anche tutta la giornata da perdere…Sicuramente si stancheranno prima loro. Infatti così è, appena il pubblico si allontana i due ragazzi accettano i 5000 più mancia e se ne vanno.
Mi sentirò comunque meglio solo quando Danny, il ragazzo dei taxi brousse, ci sussurrerà che avevamo perfettamente ragione. La giornata scorre anche più veloce del previsto, e dopo ore di chiacchiere con Danny ci accorgiamo di avere una certa fame, così lo invitiamo a pranzo e finiamo a mangiare una strabiliante soupe chinoise wan tan-mine garnie (una zuppa con spaghetti di riso, coriandolo fresco, uova, verdure e ravioli cinesi) in un ristorantino in città.
Qui incontriamo per caso un gruppo di stupende persone che fanno parte dell’associazione Amici del Madagascar, insieme con un missionario francescano, Padre Antonio, attivo anche in Congo e Burundi. Ci ritroviamo a discutere animatamente della situazione malgascia e africana in genere. Ci era capitato raramente di incontrare gente di questa caratura. Spesso le organizzazioni umanitarie ci lasciano perplessi. Ma loro no. Queste persone hanno delle facce meravigliose, con quella luce speciale negli occhi e quella stretta di mano…Ci conquistano! Ci raccontano che fino a qualche decina di anni fa era tradizione diffusa in tutto il Madagascar che intere comunità si occupassero degli orfani. Non esistevano orfanotrofi e non esistevano abbandoni. Adesso le cose sono cambiate. Ci sono moltissimi orfani e bimbi abbandonati, così come ci sono molti bambini affetti da lebbra.
Anche la piccola Daniela, una bimba che abbiamo incontrato all’inizio del nostro viaggio, era in una di queste tristi strutture, l’orfanotrofio sull’Ile Sainte Marie. Lei però è stata fortunata ed è stata adottata da una famiglia francese, che ha adottato, dieci anni fa, anche un bimbo bulgaro. Moltissime sono le cose di cui parliamo. Ci raccontano dove e come lavorano. Un lavoro molto duro in un paese meraviglioso. Ci salutiamo sperando in un arrivederci. Questo incontro ci lascia con il sorriso sulle labbra e tante idee. Chissà che non si riesca a collaborare con questa gente così “giusta?” non sapevamo ancora che padre antonio lo avremo sentito presto, in Italia. E che le nostre idee potrebbero avere un seguito concreto.
Dopo una siesta sulla spiaggia a parlare di musica con Danny torniamo alla stazione dei taxi…Ancora un po’ di attesa e finalmente alle 18:30 si parte. E’ tutto buio da un pezzo, la città è illuminata solo dai fuochi e dai tizzoni dei fornelletti a carbone e da piccole fiammelle delle lampade a petrolio ricavate nelle vecchie scatolette di concentrato di pomodoro. Si intuiscono le sagome attorno ai fuochi e la gente parla a bassa voce, mormorando, l’effetto è silenzioso e pieno di pace come quando da noi nevica! La strada è cattiva, per fortuna però abbiamo i posti accanto all’autista. Dopo una pausa per cenare qualcuno nelle ultime file del taxi si sente male e vomita… L’aria si fa irrespirabile e così nonostante il freddo e l’umidità apriamo il finestrino.
E’ notte piena, e all’una e mezza arriviamo davanti all’ingresso del Gite du Parc de Ranomafana. L’autista carinissimo ci ha accompagnato fino qui davanti e ci consegna letteralmente nelle mani del concierge! Salutiamo tutti e prendiamo posto in una camerata tutta di legno.. Siamo le sole ospiti, un’intera camerata per noi. C’è puzza di muffa ma è quasi accogliente e il letto è buonissimo. I rumori di una donna che fa il bucato ci svegliano (scopriremo poi che è la signora ‘Von Cazz’, una giovane donna che non muove mai un dito, unica attività che le vedremo fare è questo bucato) la mattina. Ricca colazione, e in due minuti a piedi siamo al parco. Facciamo il biglietto, reclutiamo la guida e concordiamo anche una visita notturna (dalle 17:00 alle 18:30 circa).
Ci troviamo in pochi minuti nel mezzo della foresta pluviale secondaria, accompagnate dalla guida. Attorno a noi felci arboree, liane, insetti bellissimi e colorati, gechi-foglia, molte specie di lemuri, tra cui il sifaka e il lemure dal ventre rosso. Nella visita notturna, attirati da esche, si possono vedere i microcebi, bellissimi lemuretti grandi come il palmo di una mano, con enormi occhioni neri, e i timidi fossa. Sporche e infangate ma felici facciamo un bucato colossale e lo stendiamo sulla ragnatela di corde che abbiamo teso per tutta la camerata, e finalmente una meritata doccia… Usciamo di soppiatto in mutande dalla capannetta del bagno, ma non sfuggiamo alla signora Von Cazz , che come al solito è seduta davanti a casa con le mani in mano, e scateniamo una grande ilarità, effettivamente siamo anche buffe! Nella veranda del gite, in mezzo ad una collezione vivente di falene di tutti i colori ceniamo. Birretta, maiale e anguille (specialità del luogo), zebù alla malgascia e riso, unica nota stonata dei terrificanti quadri alle pareti.
Tutte le guide coltivano il mito per il quale qui a Ranomafana sia facile arrivare ma difficoltoso ripartire. Noi ci siamo sedute davanti all’ingresso del parco, aspettando qualche gruppo di turisti che ripartisse o qualche taxi brousse. L’attesa è stata resa più piacevole da un gruppo di lemuri che sono spuntati all’improvviso e che ci hanno deliziato con le loro evoluzioni per poi sparire nella fitta vegetazione. Senza nessuna difficoltà, salvo il solito incastro con il resto degli occupanti, i copertoni e i sacchi di riso, abbiamo preso un taxi brousse fino a Fianaratsoa, spezzando così il tragitto fino ad Ambalavao divertendoci parecchio scherzando con gli altri occupanti.
Ranomafana: ** Ostello “gîte du parc, Le Rianala” , 28’000.- FMg a testa per notte. Colazione a circa 45’000.- FMg a testa, così come la cena, più o meno. Doccia e wc all’esterno, non molto puliti né spaziosi, ma lo scenario ripaga di tutto. Ottimo il ristorante. Ingresso al parco: sempre 50.000F.M. A testa, studenti universitari con tesserino 8.000, più la guida.** La tentazione di tornare a coccolarci ci riporta allo Tsara Guest House, ma non hanno posto. Rimediamo con l’Hotel Cotsoyannis (carino e pulito)e una cenetta al ristornate cinese Il Panda, proprio lì vicino (ottimo, le rane hanno un aspetto fantastico).
Fianaranzoa: ** Hotel Cotsoyannis, 100’000.- FMg la stanza doppia con bagno in camera. Colazione non eccezionale per 20’000.- FMg a testa. Buon servizio e ottima posizione centrale.** Arriviamo ad Ambalavao il mercoledì, giorno del mercato degli zebù. La cittadina è davvero carina, con caratteristici edifici con balconcini di legno decorato, piena di drogherie e botteghe, e dappertutto fiori di bouganville e jacaranda. Il mercato degli zebù si tiene per tutta la giornata (e pare per la mattina del giovedì) su una collinetta appena fuori dall’abitato. E’ uno spettacolo incredibile. La terra qui è rossissima e la collina nuda senza vegetazione è invasa dalle bestie libere, centinaia e centinaia di corna e gobbe, tenute a bada solamente con la voce ed un bastone da “uomini vestiti di tovaglie”(come li ha descritti AndreaEsse.), e con cappelli (da baseball, di paglia, da donna con fiorellini.. Tutto fa brodo!) alla moda dei Bara.
Ambalavao: ** Hotel buganwillées, 70’000.- FMg la camera con doccia. Wc all’esterno. Molto pulito e spazioso. Istorante buono: 45.000.- FMg a testa la cena (abbondante) ** Oggi andremo in taxi brousse fino a Ranohira. La strada è bellissima, e il paesaggio pure. Passiamo dalle piante in fiore alle foreste di eucalipti, alla vegetazione cespugliosa, a sterminate distese di nulla ed erba secca, zone bruciate, rocce e montagne bellissime. Fuori c’è un gran vento che potenzia il turbinio di correnti d’aria all’interno del bus. Questa volta io scenderò con un riporto dietro-davanti alla Dario Argento, la Elo invece, attorno alla cui testa giocano diverse correnti, pare Klaus Kinski, coi capelli avvitati in testa. A Ihosy si fa tappa alla stazione dei taxi per la pausa pranzo. Consigliamo l’hotely Trisept 777. Ottimo spezzatino di zebù e riso per pochissimi spicci. Ogni tanto in posti come questo ci siamo sentite osservate (per non più di due minuti), si verifica una sorta di esame, tra un boccone e l’altro viene misurato il grado di puzza sotto il naso da vasah. Finiamo i nostri piatti e facciamo i complimenti alla cuoca, una mamy gigantesca con modi rudi, e sguardi di soddisfazione incontrano i nostri: abbiamo superato la prova! Tutti a bordo, destinazione Ranohira.
Il taxi brousse ferma proprio nella “piazza” del villaggio. Su uno spiazzo di terra battuta si affacciano le baracche del mercato e poco più in là l’ufficio del Parco dell’Isalo. Le guide sono ad aspettare l’arrivo dei turisti. Noi ci affidiamo all’ esperienza di Mc Gyver che sarà la nostra guida per due giorni successivi. E ’ un ometto piccolo piccolo, magrissimo e sdentato. Ci viene a prendere la mattina e partiamo con la “ligne 11” (linea 11, ovvero le proprie gambe!!), attraversiamo 13 chilometri di savana, con la luce del mattino e in un silenzio incantevole, fino ad arrivare al massiccio del parco. Sembra di essere in Arizona. Tutt’attorno un panorama roccioso mozzafiato, aquile e poca vegetazione. Le zampe d’elefante (pianta della famiglia dei baobab, simile ad un grosso finocchio ciccioso) che crescono qua e là tra le rocce sono fiorite, unico tocco di giallo in mezzo ad una tavolozza con tutti i rossi, marroni e grigi. Mc Gyver cammina davanti a noi con le sue ciabattine infradito, e col suo passo molleggiato e ci mostra tutti i segreti del parco, cercando gli scorpioni sotto alle pietre, mostrandoci le tombe dei Bara, e spiegandoci le tradizioni di questa tribù e la loro usanza funebre del ‘retournement des morts’. Siamo diventate le sue “vasettes bon caractère”, così ci coccola evitandoci di incappare in altri turisti e ci aspetta paziente mentre ci godiamo un magnifico bagno in una piscina naturale degna di Laguna Blu, o mentre ci avviciniamo a dei lemuri talmente ben disposti che si lasciano perfino toccare.. Ci rimettiamo in marcia, o meglio noi marciamo, lui saltella, sfregando le ciabatte.. E’ buffissimo e non resisto “Mc Gyver assomigli ad un attore-cantante italiano, Adriano Celentano..” Esplode in una risata di gusto, ci dice che lo conosce, lo ha visto alla tv una volta, e ne fa l’imitazione alla perfezione. La giornata scorre veloce, con racconti sulle tradizioni magiche e religiose di queste genti. Rientriamo e nella piazza tutti sono indaffarati a dare la caccia a due galline che sono scappate. Contribuiamo anche noi… Ci siamo guadagnate una bella merenda! Anche il giorno successivo facciamo un trekking, che questa volta, dopo la solita marcia di 13 km ci porta ai canyon des singes e des rats. Incredibili gole tagliate da ruscelletti e, svolazzanti tutt’attorno, un’enormità di specie di uccelli. Le mie scarpe, ridotte ormai a ruderi, tenute insieme dallo scotch e dalle speciali medicazioni si sono comportate bene, resistendo anche ai trekking. Da domani solo ciabatte: le scarpe dopo un restauro e una vulcanizzazione torneranno ‘come nuove’, per il figlio di Mc. Lasciamo Ranohira e la nostra simpatica guida ancora saltellante per il coltellino svizzero che la Elo gli ha regalato e per qualche altra piccola cosa.
Ranohira (parco dell’Isalo): ** Hotel Orchidée, 110’000.- FMg la camera con wc e doccia privati, spazioso e gradevole. 50’000.- FMg a testa l’ottima cena al suo ristorante. Pare che nel villaggio vogliano costruire, per i turisti, una discoteca ed un casinò…Speriamo di no! Ingresso al parco: 50.000 FMg, solita riduzione per gli studenti 8.000 Fmg, più la guida.** In taxi brousse attraversiamo Sakaraha e Andranovory, villaggi famosi per le miniere e il commercio di zaffiri. I centri abitati sono pieni di negozi di pietre e le inferriate sono a tutte le finestre. Tutt’attorno baracche e capannette, e condizioni di vita e di lavoro inumane in pozzi di terra e fango. Magone. Ad Andranovory, in mezzo al nulla (ricorda ‘Dal tramonto all’alba’ di Tarantino), sorge un casinò, che pare alimenti anche la prostituzione. Ecco, argomento pesante quello della prostituzione in Madagascar. Ovunque ci sono manifesti contro il turismo sessuale. Due occhi neri e profondi che ti fissano: ‘Il Madagascar ti guarda!’. Peccato che guardi solo. Dappertutto abbiamo visto schifosi vasah dall’aria viscida in compagnia di ragazze (a volte poco più che bambine) locali. Non sappiamo spiegarci la stupida presunzione di certi uomini che si sentono in pace con le loro coscienze per aver pagato una ragazza con una cena, o addirittura offerto una doccia o un po’ di profumo. Altri magoni e parecchio nervoso. Per fortuna però abbiamo anche incontrato uomini con un elevato senso del rispetto per la persona, che hanno dato i soldi a una ragazza semplicemente per permetterle di non dover passare la notte nel letto con qualche porco.
Tulear ci accoglie con le sue strade polverose. Qui ci sono tantissimi indo-pakistani e i loro bazar in cui si vende di tutto -dalle tende alla marmellata, passando per i cappelli, i surgelati e le lavatrici- sono uno spettacolo. Appena fuori dalla città le dune di sabbia intervallate dalle mangovie arrivano fino al mare, ma occorre spostarsi fino ad Anakao a Sud, o a Ifaty a Nord per godere il bel mare. Non manca molto alla fine della nostra vacanza e fino ad ora lo abbiamo solo mormorato per scaramanzia.. “Se ci avanzano un po’ di soldi che ne dici di un colpo di vita? Voliamo fino a Morondava a vedere i baobab?!”. Controllo contabile: si può fare! All’interno dell’agenzia dell’air Madagascar c’è quasi fresco, rispetto al caldo soffocante della strada assolata. Dopo un’ora usciamo soddisfatte con in mano i nostri biglietti in mano: tra qualche giorno toccheremo i baobab.
Saranno davvero così lisci come sembrano? E’ ora di pranzo e ci rifugiamo in un ristorante cinese dove, in vena di follie, ordiniamo anche il pipistrello in salsa. Elo resta un po’ impressionata dalle alette, ma non si da per vinta, lo assaggia, lo trova anche gradevole ma prevale lo schifo per questa bestiola che pare un po’ un topo. ..Per toglierla dall’imbarazzo me ne occupo io: è proprio buono! Ha una carne tenera e un sapore dolce di frutta.
Tulear: **Hotel le Mangrove, 92’000.- FMg il bungalow. Doccia privata e wc all’esterno. Cena ottima, vista mare ma impossibilità di bagnarsi. Non consigliato in maniera particolare. Ristorante cinese ‘Le panda’…Date retta a me, è buono!** Lasciamo Tulear poco prima del tramonto, direzione Ifaty. Il taxi brousse che prendiamo è un grosso camion coloratissimo, al solito stracarico, col parabrezza bucato in più punti e riparato attaccandoci, tipo toppe, delle monete con il silicone. La strada è una pista di sabbia che corre tra le dune e le mangrovie lungo la costa. ‘Cos’è tutta quella gente?’ ‘Ma quelle sono lance… E la banda!!’. E’ una festa: sono tutti in costume e con splendide acconciature. Il festeggiato è un neonato avvolto in un fagottino piccolo piccolo in braccio al papà. Il taxi brousse è fermo e un’orda di gente (sarà un intero villaggio) ci scivola accanto festosa. Che meraviglia!! I papà… I papà malgasci si occupano tantissimo dei bambini, li si vede spesso coccolare i loro pupetti, portarli in braccio, cullarli, trascorrere con loro parecchio tempo. Dividono completamente la gestione della famiglia e della casa con le donne e sono molto premurosi.
Nell’abitacolo dividiamo il sedile con un ragazzo col mal di denti, che nonostante il dolore –gliene hanno appena tolto uno, e ce lo mostra!- sorride sempre. Anche la ‘signora Indri’ sorrideva sempre con la sua dentatura composta dei soli incisivi centrali superiori e inferiori, esattamente come i denti dell’omonimo lemure… Devo ammettere che io ho una certa fissazione per i denti, e qui in Madagascar ci si rende presto conto che non sono uno dei primi problemi. Ma la gente sorride felice e anche le bocche più drammatiche hanno un’aria simpatica. Un detto malgascio dice: “Hai un dente solo? Sorridi almeno con quello”.
Arriviamo a Ifaty accolte dall’arcobaleno. E’ un villaggio di capannette, con le recinzioni tutt’attorno, e una rete di viottoli di sabbia. Vicino al mare c’è uno slargo che fa da piazza e da stazione, con un bellissimo tamarindo secolare. Non ci sono macchine e gli unici rumori sono quelli provenienti dalle cucine e dai bimbi che giocano. Chez Susie è grazioso e kitch assieme. Bungalow colorati in un cortile con le aiuole delimitate da conchiglie. Sembra un incrocio tra un giardino zen e uno di quegli orrendi prendipolvere di vongole incollate che si trovano sulle bancarelle della riviera romagnola.
Finora avevamo fatto esperienza e pratica con parecchi insetti. Ragni, falene grandi come uccelli, bellissimi coleotteri, scarafaggini, tarli che non ci hanno fatto dormire e blatte abbondanti, ma gli insetti ‘parlanti’ proprio no… L’incontro è stato in doccia, a lume di candela. Gli esseri sono lunghi 10-12 cm, grossi e corazzati ed emettono un CRRRCHHCHHCHRRRRR agghiacciante (a casa mi sono documentata, si chiama Gramphidorhina Portentosa o Madagascar hissing cockroach, “consigliatissima come animale domestico per bambini”, credo che solo un bambino con il sogno di fare l’entomologo vorrebbe una bestiaccia come quella, io opto per un classicissimo cane..). Notte barricate dentro alle zanzariere e poi decidiamo di coccolarci al Vovo Telo, in un bungalow con i piedi nell’acqua e senza bestioloni in giro.
Ci viziamo e impigriamo tra la spiaggia e le amache, godendoci dei tramonti meravigliosi. Lasciamo Ifaty la mattina prestissimo con un brousse scassatissimo che ci lascerà anche a piedi. Ma nessuna preoccupazione, tutti gli occupanti uomini scendono (le donne restano a bordo!?) a spingere e si riparte. Ogni guasto è vissuto con una serenità per noi inconcepibile, si spinge, si prova a ripararlo e, al massimo si prende fuori il cuscino dall’abitacolo, ci si sdraia sul ciglio della strada o sotto al cassone del camion al fresco a dormire aspettando soccorso. L’aeroporto di Tulear è un ricordo indelebile nella nostra memoria. Al check-in ci sono grosse bilance, come quelle dei mercati ortofrutticoli, su cui vengono pesati i bagagli e anche i passeggeri. Ci prestiamo a questa pubblica umiliazione “Sicuramente però questa bilancia non funziona!!!.. Con tutto il movimento che abbiamo fatto in quasi un mese…” e saliamo. Sorvoliamo con questo minuscolo aereo il fiume Tsiribihina le cui anse che creano un disegno intricatissimo, per poi atterrare (dopo una tappa con atterraggio praticamente nel giardino di una scuola) a Morondava, dove veniamo avvolte dal profumo dei fiori di frangipane.
Ifaty: **Chez Susie. 35’000.- FMg a notte il bungalow con doccia privata non funzionante, scarafaggi orrendi malgrado la sufficiente pulizia, wc all’esterno. A tre minuti a piedi dal mare.** ** Hotel Vovo Telo, 110’000.- FMg il bungalow con wc e doccia privati. Ottimo il ristorante, pulitissimi i bungalow, situazione sulla spiaggia fantastica, lettini, personale impeccabile. Una coccola.** ** ristorante Chez Micheline, ottimo. 25’000.- FMg a testa. Chez Thomas, ottima aragosta 40’000.- FMg a testa. Chez Alex ottimo il granchio con la mayonnaise ** La nostra sosta qui è davvero brevissima, domani ripartiamo. La città è piuttosto dissestata, sembra un grande cantiere, ma l’affollato mercato coperto sulla strada principale è molto grazioso, oltre che fitto. Il caldo è soffocante. Saliamo in camera e dal ventilato balcone dell’ultimo piano spiamo la vita sulla strada principale. Le signore con vecchissime macchine da cucire Singer, sedute sul marciapiede a riparare i vestiti. Il giovane fotografo con una vecchia reflex che scatta delle foto a una signora, facendola sedere nello ‘studio di posa’ sulla strada. Uomini con le galline sottobraccio. I ragazzini che si accalcano nel negozio di musica. Il via vai di donne elegantissime con grossi fardelli sulla testa. Il continuo spazzare davanti alle botteghe. Da quassù carpiamo anche tutti i segreti dell’arte di portare i bimbi legati sulla schiena, che tanto ci affascina. Facciamo pratica con un lenzuolo (ci sarebbero caduti almeno una mezza dozzina di bambini!! Siamo migliorate però..) sotto l’occhio vigile della nostra vicina di stanza, una ragazza sorridentissima, laureata in agraria che ora fa parte della pubblica amministrazione di questo distretto. Ma è tardi.. Abbiamo appuntamento con un taxista che ci accompagnerà nel nostro ‘capriccio’ all’Avenue de Baobab.
Qualche chilometro fuori del centro abitato la strada di polvere rossa corre in mezzo a risaie verdissime, specchi d’acqua completamente invasi da orchidee blu fiorite e qua e là giganti con buffe chiome che sembrano radici, nudi e quasi lucidi. Sospiriamo per la bellezza dei “baobab amoureux”, due baobab di almeno 600 anni perfettamente intrecciati, e ci arrabbiamo, avvicinandoci, per la pessima abitudine dei turisti di incidere i loro nomi sulla corteccia.
Arriviamo sulla famosa Avenue poco prima del tramonto. Sembra di essere sul pianeta dei baobab del Piccolo Principe… E’ la fine della giornata i carretti trainati dagli zebù disegnano ombre lunghe sulla stradina di polvere rossa che qui è talmente fine da sembrare cipria. E’ indescrivibile la bellezza del paesaggio che, con il cambiare della luce, si accende di rossi e rosa. Beh… Un capriccio, ma ne valeva assolutamente la pena! Morondava: ** Hotel Central, 50’000.- FMg con wc e doccia private e ventilatore. Pulito. Chiedete una camera che da sulla strada. Sono più ventilate. ** Tanà ci accoglie di nuovo in pieno giorno. C’è una bella giornata, il sole e i jacaranda sono in fiore. Macchie viola qua e là. Pare meno violento delle volte precedenti l’impatto con la città. Saranno i nostri occhi che si stanno abituando? All’aeroporto di Tulear un buffo signore francese ci ha dato l’indirizzo di un nuovo albergo qui in città e così ci ritroviamo in un giardino di orchidee e bouganvillées, in una stanza davvero carina. Scendiamo in città per una passeggiata e finiamo risucchiate nell’affascinante mercato. E’ composto di pagode in muratura e ogni viuzza raccoglie botteghe dello stesso mestiere. Pasticceria, calzoleria, abbigliamento, scarpe, ferramenta, stuoie e paglia,… Contrattiamo un po’ per la pregiata vaniglia e compriamo anche qualche cd dell’allegra musica malgascia. Ripartiremo portando con noi un po’ di profumi e di suoni di questo paese meraviglioso.
La domenica scorre, già piena di nostalgia, tra le chiacchiere con i nostri ospiti, il prendere il sole e una breve passeggiata su e giù per le scalinate e i vicoli della città.
Siamo alla fine del nostro viaggio. Attraversiamo la città nella notte, e con tutte queste luci, senza traffico e rumore ha un suo fascino. E’ un bel modo di lasciare questo accogliente paese… Ci siamo riempite gli occhi e il cuore di immagini bellissime, di sorrisi, di magnifici occhi profondi e scuri, e di cieli. Abbiamo fatto incetta di odori…Abbiamo viaggiato con tutti e cinque i sensi. Siamo state a contatto con questa gente gentile… Ed è un privilegio.
Elo dice che occorre sempre lasciare indietro qualcosa, per avere la scusa di tornare…Forse allora torneremo per vedere lo Tsingy, navigare sullo Tsiribhina e vedere il passaggio delle balene…
Antananarivo: ** Hotel Les Harmoniques, ancora assente dalle guide. Lot. II K 14 Mangarivotra Faravohitra. Telefono 261 20 22 223 09. Attorno ai 100-120’000.- FMg a notte, colazione regale compresa, bel giardino, camere appena ristrutturate e pulitissime, wc e doccia private, gentilezza estrema della famiglia che gestisce l’hotel, possibilità di cenare con la famiglia nella casa padronale. Cena regale ed abbondante per la modicissima somma di 25’000.- FMg a testa. Imperdibile. Coup de coeur. Rapporto qualità prezzo eccezionale. Posizionato in collina, a pochi minuti di cammino dal mercato delle pagode e dal centro. ** Elo & Cinzia eloisa.Vacchini@bluewin.Ch caviettaperuviana@virgilio.It