Due topi di prima classe di Bamako – Dakar Express
Con lui parlavo inglese perché è del Gambia, una piccola enclave anglofona che interrompe la costa senegalese a sud di Dakar. Con il suo compagno di avventura Ahmadou, invece, parlavo francese. Tra loro parlavano in Wolof, lingua comune sia al Senegal che alla Gambia. Il toubab della prima classe ha fatto amicizia con i due topi clandestini che viaggiano sul tetto del treno. Da Bamako a Dakar: Ebrima e Ahmadou se la sono fatta gratis sul tetto del treno grazie alla sorniona benevolenza del grasso capo stazione di Bamako. Ahamadou non mi ha seguito e mi ha salutato con un sorriso felice e ottimista appena fuori del parcheggio della stazione, senza chiedermi nemmeno 100 franchi. Due storie differenti quelle di Ebrima e Ahmadou, ma in comune i loro 14 anni e un viaggio di 55 ore sul tetto dell’espresso Bamako-Dakar. Ebrima aveva un viaggio da terminare, doveva ritornare a casa sua in Gambia e quando ci siamo salutati mi ha detto che avrebbe provato a prendere un taxi brousse o un bus oggi stesso. I 2000 franchi che gli ho regalato non sono sufficienti per comperare il biglietto, ma il ragazzo se la caverà in qualche modo.
Se l’è cavata quando si è ritrovato da solo a Bamako, dopo che gli amici di famiglia che dovevano venirlo a prendere in stazione non si sono visti e qualcuno gli ha rubato il borsone con tutte le sue cose. All’arrivo a Dakar era sporco quanto me e tanto quanto Ahamadou. A dire la verità loro erano molto più sporchi di me. Ma la differenza tra me ed Ebrima da un lato ed Ahmadou dall’altro stava nel tipo di vestiti che avevamo addosso. I miei da trekker semi-professionista, da ragazzino gambiano che va in vacanza a Bamako quelli di Ebrima, da ragazzo di strada africano quelli di Ahmadou.
Ahmadou é rimasto alla stazione di Dakar, risucchiato dal suo mondo di gente, polvere, bancarelle e tassì a clacson spianato. Cosa avrebbe fatto ora che era ritornato a Dakar, gli ho chiesto. Mi ha risposto col suo grande sorriso allegro che non lo sapeva e io ho avuto come l’impressione di avergli fatto una domanda che più che stupida era proprio sbagliata.
Quando il treno ieri sera al tramonto si é fermato a Tambacounda, la città più grande del Senegal orientale, i due sono scesi dal tetto del vagone di prima classe e come al solito sono venuti a chiamarmi da sotto al finestrino per fare due chiacchiere. Eravamo a sedere sul binario, di fronte a due grandissimi campi da calcio dove due squadre di ragazzini stavano facendo il loro allenamento. Si sono allora avvicinati di corsa due bambini e hanno salutato ridendo Ahmadou. La famiglia di Ahmadou è di questa città ma lui è fuggito qualche mese fa quando sua madre è morta e lui è dovuto andare a vivere con il fratello maggiore che lo picchiava continuamente. Dopo dieci minuti è arrivato anche il suo giovane maestro che sorridente mi ha raccontato la sua storia anche se sembrava più interessato a chiacchierare con il toubab che alla sorte del suo giovane allievo.
Iniziava a fare notte, la seconda del viaggio, ed Ebrima mi ha chiesto se avevo un giubbotto. A me non era rimasta che una camicia pulita e così ha passato la notte là fuori con la sua maglietta e la sua camicia sporca. Stamattina ero preoccupato di vedere come stesse, ma si è presentato verso le 6 sotto al finestrino con il solito sorriso buono e curioso senza mostrare evidenti segni di fatica. Ieri sera qualcuno diveva che il treno sarebbe rimasto fermo tutta la notte nella stazione di Tamba perché ad ovest, sulla ferrovia era deragliato un treno merci.
Puzzavo come una capra e ho deciso di andare a lavarmi. Sono salito sul vagone, ho preso la mia bottiglia d’acqua e l’asciugamano cercando un posto un po’ appartato dove farmi una doccia en plein air. Niente alberi per nascondersi, ma a circa 20 metri dal binario c’era un muretto e ho deciso che lì poteva andare. Dopo due minuti mi ha raggiunto Ahamadou e si è messo lì sul muretto ad osservarmi divertito. Mi ha lasciato fare per un po’ e infine mi ha detto che se volevo lì vicino c’era un posto dove potevo fare una doccia per 100 franchi. Al ricordo della doccia rigenerante che avevo fatto durante il viaggio d’andata ho accettato entusiasta. Purtroppo questa volta si trattava semplicemente di una turca con dentro un secchio d’acqua calda e una porta semovente da appoggiare allo stipite del bugigattolo. Mentre mi lavavo e allo stesso tempo grondavo sudore mi sono sentito di affidargli i miei pantaloni con soldi, portafoglio e passaporto. Sono uscito dalla doccia e lui rideva soddisfatto. Non avevo monete e lui velocemente ha tirato fuori 100 franchi e ha pagato per me.
Siamo tornati al binario, ho preso dalle tasche 1500 franchi e li ho dati ad Ahmadou per comperare tre panini uno per ciascuno. Abbiamo mangiato assieme scherzando sotto la luce del vagone a fianco del treno. I due topi della prima classe… qualche ora prima me ne stavo in fondo al vagone a chiacchierare con loro, un po’ in francese e un po’ in inglese. Ci divideva la porta chiusa con lucchetto che dava sulla passerella tra la prima classe e il primo vagone merci. I due topi sporgevano le loro testoline simpatiche da una finestrella rotonda tagliata sullo sportellone e io me ne stavo a sedere sulla sedia del responsabile della sicurezza.
Il tipo, un ragazzo robusto con appesa alla maglietta sudicia una targhetta con scritto Service de securité, è sbucato all’improvviso imprecando in Wolof. Per poco non è riuscito a mollare un gran ceffone ad Ahmadou che ha ritirato indietro la testa giusto in tempo. I due ragazzini si sono precipitosamente arrampicati sulla parete del vagone per rifugiarsi sul tetto mentre il treno correva in mezzo alla boscaglia. Monsieur, dovete fare attenzione, quelli sono dei voleurs, sono come topi, vi strappano la prima cosa che hanno a portata di mano, fuggono sul tetto e scompaiono, ha concluso il ragazzo della sicurezza dopo aver urlato qualcosa di minaccioso con la testa dentro la finestrella. Good luck my friend!, Bon courage mon ami Ahamadou! Sono qui a scrivere in questa camera d’albergo sotto la luce al neon blu che balla con le pale del ventilatore e sento una dolorosa nostalgia per i due pericolosi e dolcissimi topi della prima classe. Il racconto completo: