(dis)AVVENTURE PERSIANE

Iran 2003/2004 Teheran, 23 dicembre 2003 Ancora in Asia, ma questa volta è un viaggio particolare, almeno per quanto mi riguarda. Primo: sono in quella Persia culla di civiltà e crocevia di genti che ho studiato per mesi attraverso i diari di viaggio di gente che si è dichiarata sempre entusiasta dei luoghi e delle persone. Secondo: per la...
Scritto da: downlegal
(dis)avventure persiane
Partenza il: 23/12/2003
Ritorno il: 05/01/2004
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
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Iran 2003/2004 Teheran, 23 dicembre 2003 Ancora in Asia, ma questa volta è un viaggio particolare, almeno per quanto mi riguarda.

Primo: sono in quella Persia culla di civiltà e crocevia di genti che ho studiato per mesi attraverso i diari di viaggio di gente che si è dichiarata sempre entusiasta dei luoghi e delle persone.

Secondo: per la prima volta sono venuto qui con un viaggio “organizzato” da Avventure nel Mondo e per me, che sono solito preparare autonomamente i miei viaggi e a non condividerli con più di una persona, trovarmi in un gruppo di 25 è un bello shock.

Dopo aver raggiunto Milano con un volo Alitalia ed essere partiti con tre ore di ritardo da Malpensa con l’Iranair, siamo alfine arrivati a Teheran, dove le nostre compagne di viaggio hanno per prima cosa dovuto indossare l’hijab, ovvero coprirsi i capelli con un foulard, cosa che ha destato le prime flrbili lamentele soprattutto a causa del caldo opprimente dovuto al forte riscaldamento degli ambienti interni.

Con un pullman affittato per l’occasione già dall’Italia abbiamo raggiunto l’Hotel Kowsar che si è rivelato, nonostante si trovi in un vicolo stretto e buio, pulito e con stanze grandi, dotate peraltro di frigobar e TV; anche qui, riscaldamento “a palla”.

Arrivati verso le 22, siamo riusciti ad ottenere una cena nel ristorante dell’albergo e siamo andati a dormire a mezzanotte, con sveglia prevista per domani alle 4 (aereo alle 7 per Shiraz).

Divido la stanza con un mio omonimo, ingegnere della provincia di Milano.

Nel gruppo pare esserci un pò di tutto: il mio tavolo a cena contava, oltre me e il mio compagno di stanza, un architetto (donna), un insegnante di russo, un medico (donna), un naturopata.

Sono l’unico romano.

Shiraz, 24 dicembre Dormito poco e male, parte per lo scarso tempo a disposizione, parte per il riscaldamento infernale.

Colazione alle 4,30 e via, verso l’aeroporto, dal quale un Fokker 100 ci ha portati a Shiraz.

Con due pullman, assolutamente inutili visto che gli originari due gruppi di “Avventure” sono stati unificati in uno solo, siamo giunti sempre più distrutti dal sonno all’Hotel Sadra, proprio nel centro della città.

Il tempo di prendere possesso delle stanze e siamo ripartiti per Bishapur (sulla Lonely Planet chiamata “Shapur”): tre ore ad andare ed altrettante a tornare per visitare dei grandi bassorilievi incisi sulle pareti di roccia e le rovine di un’antica città, il tutto opera dei Sasanidi in occasione della loro vittoria sulle armate dell’imperatore romano Valeriano; secondo me, il viaggio fin qui è stato inutile se si rapporta la perdita di tempo e le cose da vedere, ed avrei preferito recarmi piuttosto a Firuz Abad ma, si sa, quando si viaggia “organizzati” le possibilità di decisioni autonome sono piuttosto scarse.

Certo, da quando siamo partiti da Roma abbiamo visto poco e faticato parecchio.

Cena al Shater Abbas, buon ristorante dove per 50.000 rial per uno (5 euro) abbiamo mangiato ottimo ed abbondante cibo, tra cui spiccava un delizioso spiedino di carne allo yoghurt.

Shiraz, 25 dicembre A letto troppo presto, e sveglio alle 4,30! Dopo la colazione siamo saliti tutti sui pullman, che ci hanno scaricato davanti al mausoleo di Shah-é Cherag.

Immaginando che sarebbe successo quello che poi è successo, ovvero che all’entrata di un luogo di pellegrinaggio tra i più importanti per i musulmani sciiti avrebbero impedito l’ingresso ad una masnada di 25 persone (infedeli, per di più), ho allungato il passo e, anticipando l’arrivo del gruppo, sono entrato indisturbato, accedendo alla tomba di Sayyed Mir Ahmad, collocata in un edificio il cui interno è “piastrellato” di specchi e specchietti, dall’effetto quasi psichedelico e, comunque, molto bello a vedersi.

Solo pochissimi fortunati del gruppo erano riusciti ad entrare quando sono uscito e, considerata la situazione, in sette abbiamo deciso di proseguire la visita di Shiraz per conto nostro e a piedi.

La lunghissima camminata ci ha portato a isitare tutte le moscheee (aperte o chiuse per restauri: ci siamo infilati dappertutto), il bazar e la Madrasé-yé Khan.

Abbiamo persino mangiato (con 21.000 rial, 2 euro!) in un bellissimo ristorante ricavato in quello che era l’Hamun-é Vakil, accanto all’omonima moschea (tra l’altro, Vakil in farsi significa “avvocato”!); il giro si è concluso con la visita all’Emamzade-yé Ali Ebu-é Hamzé, tomba del nipote del settimo imam sciita.

Purtroppo all’interno dei mausolei, tutti coperti da specchi, non è stato possibile scattare fotografie, ma gli esterni e le moschee hanno meritato la profusione di scatti operata da tutti noi.

Dato il pasto luculliano avuto in mattinata, contro le mie abitudini di viaggio, in serata ho deciso di non unirmi al gruppo che andava al ristorante (peraltro, quello della sera precedente), e sono rimasto in albergo con il resto della “fronda dissenziente” composta da parte dei più giovani, passando il tempo a giocare a UNO.

Il gruppo, purtroppo, annovera molti membri che più che accoliti di Avventure nel Mondo sembrano soci di un CRAL ministeriale: etaà media anni 60, parecchi insegnanti.

Decisamente tali presenze non possono non stridere atrocemente con i miei usi e costumi in materia di viaggi anzi, questo pare non essere un viaggio bensì una vacanza aziendale.

Shiraz, 26 dicembre Oggi gita a Persepoli: siamo partiti di buon’ora e abbiamo fatto benissimo, dato che è venerdì – giorno di festa come in tutti i paesi musulmani – e il sito archeologico si è riempito di gente nel corso della mattinata.

Certo, il mio più famoso omonimo non è che ne abbia lasciata in piedi molta, ma quel poco rende l’idea di una serie di costruzioni grandiose, dominate dall’alto dalle due tombe rupestri di Artaserse II ed Artaserse III.

Non ho visitato il piccolo museo interno, dato che costava ulteriori 30.000 rial (oltre agli altrettanti sborsati per entrare nel sito archeologico) e che gli oggetti più belli rinvenuti sono notoriament esposti al museo di Teheran.

Dopo tre ore passate a Persepoli, siamo andati a Naghsh-é Rostam, a vedere le tombe rupestri di Dario I, Artaserse I, Serse I e Dario II; qui ci è giunta la ferale notizia, che mi ha completamente rovinato il viaggio già al terzo giorno: un terremoto ha sconvolto questa mattina la zona di Bam, la cui cittadella dicono sia stata completamente distrutta.

Considerato che sono venuto in Iran appositamente per vedere Bam, ho preso malissimo la cosa, ovvero sono incazzatissimo.

Intanto, siamo passati a Pasargade, o quel pochissimo che ne rimane.

La tomba di Ciro, purtroppo coperta da una tettoia fissata su di un ponteggio metallico, è imponente, e spicca in mezzo alla vasta pianura; da vedere c’è poi la parte frontale di quello che era un tempio del fuoco, ed infine sono salito con pochi altri del gruppo in cima alla collina ove è sita la piattaforma in pietra del Trono della Madre di Salomone.

Al rientro in albergo ci confermano che la strada per Kerman è aperta, ma che di andare a Bam non se ne parla perchè l’intera zona è chiusa e vi fervono i soccorsi alla popolazione (pare che i morti siano svariate migliaia); devo ammettere che, al momento, non me ne possa fregare di meno dei morti, quanto piuttosto che lo scopo principale del viaggio mi sia saltato.

Dopo una cena al ristorante Soofi abbiamo deciso di partire domani per Yazd, eliminando la tappa di Kerman, ove non ci sarebbe comunque nulla di rilevante da vedere.

La reciproca antipatia con la parte anziana del gruppo aumenta (io a Bam sarei andato lo stesso, anche con mezzi di fortuna e da solo, e anche solo per fotografare ciò che rimane del castello).

Yazd, 27 dicembre Dopo una notte quasi insonne per la rabbia di perdermi Bam, siamo partiti alla volta di Yazd.

Il pullman ha percorso in più di 8 ore il tragitto, dovendo moderare la velocità a volte per il traffico di camion (mai però veramente intenso), ma in primo luogo perchè qui la polizia controlla – come è successo a noi – il dischetto cartaceo di registrazione della velocità che hanno tutti i mezzi “pesanti”.

Lungo la strada, che scorre su altopiani circondati da montagne a volte innevate, abbiamo trovato un vecchio caravanserraglio in rovina, caratterizzato da un’insolita pianta ottogonale.

A Yazd l’Hotel Nabavi aveva solo 19 posti letto liberi e disponibili, e così noi della “fronda” abbiamo alloggiato all’Hotel Farhang.

Entrambi gli alberghi sono un tantino sporchi e decrepiti ma, in fin dei conti, accettabili, anche se ci si muore dal caldo per il riscaldamento afoso e lenzuola e coperte sono di puro finto acrilico.

Speriamo bene per la colazione di domattina! Cena – niente di che, quanto a quantità – al ristorante Malek-oTojjar, e partita a UNO nella stanza che ancora condivido con il mio omonimo.

Yazd, 28 dicembre Colazione, come già a Shiraz, non eccezionale, ma la marmellata di carote surclassava quella di ciliegie trovata in precedenza.

Dopo aver trovata chiusa la piccola fortezza zoroastriana dei leoni, abbiamo proseguito il giro dedicato ai seguaci di Ahura Mazda recandoci con il pullman del gruppo prima alle torri del silenzio, ove fino a non molti anni fa i cadaveri venivano fatti spolpare dagli avvoltoi, e poi al tempio del fuoco, ove arde ininterrottamente un fuoco acceso nientepopodimenochè nel 470 d.C..

Tornati nel centro cittadino, il gruppo si è diviso, ed in cinque siamo andati a spasso per la città vecchia, inoltrandoci per vicoli pressocchè deserti, ma riuscendo a trovare – nonostante la estremamente lacunosa mappa della Lonely Planet – tutti i luoghi che ci eravamo prefissi di visitare, ed anche qualcosa in più.

Dalla Masjed-é Jamé al mausoleo di Seyed Roknaddin, alla Prigione di Alessandro, alla tomba dei Dodici Imam, per finire alla quasi introvabile Husseinia, dal cui tetto abbiamo goduto di una splendida vista della città, ed il cui portone è stato sbarrato non appena siamo usciti dagli operai che stavano ristrutturando l’edificio.

Dopo aver acquistato un paio di programmi informatici (in Iran non pagano i diritti di copywright, quindi programmi per un valore di centinaia o migliaia di euro sono liberamente venudti per pochi spicci) ed aver preso un tè caldo in albergo (fuori fa parecchio freddo), siamo ripartiti per un pò di shopping nel bazar, dove però abbiamo trovato pochissime cose decenti.

Cena all’Hamum-é Khan, altro ristorante “elegante” (=da turisti) ambientato in un ex hammam, dove, come al solito, non ho mangiato un granchè bene (quanta nostalgia per il mio ristorante persiano di fiducia a Roma!); dopo il pasto ci siamo trasferiti in un salone dedicato al fumo del narghilè, il cui tabacco al retrogusto di menta era anch’esso scadente.

Strano posto, Yazd, con le sue viuzze deserte, i suoi edifici color terra, le sue due religioni, le sue siringhe ed i suoi cannelli di carta usati per fumare oppio lasciati nelle costruzioni diroccate vicino alle torri del silenzio, oppure negli angoli dei vicoli del centro storico, con il suo freddo invernale che ti congela le mani ed il naso, e con il suo aspetto allo stesso tempo invitante ed inquietante.

Sarebbe curioso sperimentare anche il suo famoso caldo estivo, ma 50 gradi forse sono troppi anche per me.

Isfahan, 29 dicembre Due le tappe lungo la strada: Meybod e Nain.

Nella prima ho visto solo dal di fuori una piccola fortezza di fango e mattoni crudi, e poi un deposito estivo per il ghiaccio; ho comprato del pane in un forno, faticando non poco per pagarlo visto che il fornaio voleva per forza regalarmelo.

A Nain, invece, c’era da vedere solo una quasi insignificante moschea.

Ad isfahan le cose sono completamente diverse.

Alloggimao al Sadaf Hotel, un quattro stelle (“avventure” de che?) a due passi dalla famosa Piazza Emam Khomeini: l’albergo non è citato dalla Lonely Planet, stranamente, ma è comodo (anche se con le consuete lenzuola acriliche ed un riscaldamento esagerato).

Appena arrivati siamo andati in quattro verso la piazza, e lì ci siamo via via sempre più stupefatti, nella fioca luce crepuscolare, innanzi alle meraviglie che incontravamo.

La moschea Sheikh Loftollah era chiusa, ma il solo frontale ci ha lasciati a bocca aperta, con le sue tonalità di blu.

Siamo poi passati alla moschea dell’Emam, al cui interno eravamo i soli turisti, assieme a non più di una decina di iraniani: il luogo è sconvolgente, tanto è bello! Non si sa dove poggiare lo sguardo, per la grandezza e la maestosità insieme, e ritengo che nessuna foto possa rendere l’idea di questo sublime monumento eretto nel 1600 per la gloria di Allah.

Intorno alla piazza, che sarà ampia quattro volte Piazza Navona, sono allineati negozi di artigianato e souvenir, mentre al centro vi è una grande vasca d’acqua contornata da giardini.

La cena è stata consumata dietro alla moschea dell’Emam, al ristorante Bastani, che ha deluso non poco (tanto per cambiare).

Isfahan, 30 dicembre Dovendo trovare un altro posto da vedere per supplire alla mancata (per forza maggiore) visita a Bam, abbiamo preso informazioni presso gli uffici dell’Iranair per andare – eventualmente – a Mashad.

Con la jella che ci accompagna dall’inizio del viaggio, i voli sono tutti pieni, dato che la moschea di Mashad (splendida, si racconta) è la maggiore meta dei musulmani sciiti qui in Iran.

Ci sono disponibili voli per Bandar-Abbas, sul Golfo Persico, e domani mi informerò invece per una possibile gita alle rovine di Susa e alla ziggurat di Chogha Zambil, via Ahwaz.

Stamattina giro corrispondente, più o meno, all’itinerario “1” consigliato dalla Lonely Planet, dopo aver speso tempo e soldi inutilmente per vedere i minareti oscillanti di Manar Jomban (una sòla clamorosa) e – da fuori – il tempio del fuoco zoroastriano, arroccato su di una rupe ed in rovina.

L’itinerario “1” ci ha portato alla Majed-é Hakim, la più antica di Isfahan (piena di tubi innocenti che rendevano estremamente difficoltoso fare foto: non bellissima, comunque), la Masjed-é Jamé, il mausoleo di Harun Vilayet, il minareto della moschea di Alì, per poi giungere nella piazza principale per un’approfondita visita della due moschee principalmente attraenti dal punto di vista architettonico.

La Majed-é Sheikh Loftollah, nella sua semplicità, è splendida, con un portale azzurro, una cupola chiara, e degli interni verdi e blu arricchiti da disegni di ottimo gusto.

La Majed-é Emam, già vista ieri sera, alla luce del giornoo appare ancora più spettacolare, anche se di sera (ricordarsi che chiude alle 18,30!) è secondo me più suggestiva.

Siamo tornati in albergo per ,angiare delle provviste acquistate per strada, oltre che qualche dolciume portato dall’Italia; questa volta, al forno non sono riuscito a pagare tre dischi di pane, che il proprietario ha voluto per forza regalarmi: in altre occasioni ho comunque dovuto faticare non poco per pagare il pane.

Pomeriggio dedicato allo shopping non tanto mio (mi sono limitato alle cartoline), quanto delle tre ragazze del nostro gruppetto “alternativo”, che ho accompagnato per acquisti di tappeti.

Il gruppo della “fronda”, ridotto a cinque, ha deciso di cenare per proprio conto e ha scelto un bel ristorante, lo Sherazade: peccato che, dopo appena dieci minuti che ci siamo messi seduti, sia entrato tutto il resto della comitiva, che ha iniziato a cenare ad una lunga tavolata appena accanto al nostro posto.

Va bene che in città i locali di qualità sono pochi, ma qui si esagera…

Isfahan, 31 dicembre Stamattina, finalmente, l’accordo per una separazione del gruppo: la cancellazione di Bam dalla faccia della terra – sugli schermi delle televisioni locali passano in continuazione immagini raccapriccianti, che in Italia nessuno si azzarderebbe a trasmenttere – ha lasciato aperto un “buco” di due giorni nel nostro programma preventivato, e una parte (sei persone, tra le quali il sottoscritto) partirà domani da Isfahan alla volta di Kashan, come da programma, mentre il resto rimarrà un giorno in più a zonzo qui e poi farà il nostro stesso percorso fino a Teheran, ma con un giorno di ritardo, e quindi passerà più tempo nelle capitale mentre dei nostri sei, arrivati a Teheran, quattro ragazze andranno in aereo a Bandar-Abbas, proseguendo poi fino al villaggio di Minab; io ed un’altra ragazza invece prenderemo un volo per Ahwaz, e finiremo per vedere le rovine di Susa e della ziggurat di Chogha Zambil.

La tensione tra i più anziani ed i più giovani è al limite della rottura, ma noi siamo andati all’Iranair per prenotare i biglietti e non vediamo l’ora di andarcene domani con uno dei due pullman.

Abbiamo dato un’occhiata ai tre famosi (?) ponti antichi della città, nonchè alla chiesa armena di Santa Maria, dopodichè ci siamo fatti scaricare in cinque lungo la strada e abbiamo provato un panino kebab in un piccolo e non eccessivamente pulito localino (speriamo bene…).

Altro giro di shopping, ultima visita alla Emam-é Majid, non rimane che prepararsi per la cena di capodanno con il resto della truppa.

Siamo andati a cenare nel quartiere armeno, al ristorante dell’Hotel Julfa; ovviamente, gran casino in sala, bevande calde e pane freddo, ma il cibo era abbondante e non male.

Alle 23 ci hanno praticamente cacciato fuori, e abbiamo “festeggiato” (boh?) la mezzanotte in una Emam Khomeini Square silente e deserta, se si eccettua un piccolo gruppo di giovani locali che giocava a pallone.

Per fortuna, qui il capodanno è un giorno come gli altri.

Kashan, 1 gennaio 2004 Oggi abbiamo lasciato ad Isfahan il grosso del gruppo e io, con cinque fanciulle, sono partito alla volta di Kashan.

Mi sembra superfluo dire che, dei due autisti a disposizione, ci hanno dato quello che non parla inglese ma solo farsi, ed è dotato di un’ascella fulminante che fa sentire i suoi effetti fin quasi a metà pullman.

Per fortuna, essendo solo in sei possiamo distribuirci più o meno comodamente sul nostro mezzo.

Durante il tragitto, che si è svolto con un tempo favorevole che ci ha regalato un bel cielo azzurro, abbiamo fatto tappa prima a Natanz, piccola cittadina con una strana moschea, la quale al posto della cupola ha un prisma a punta; esplorando a piedi la parte vecchia del paese siamo anche finiti in un vecchio hammam diroccato.

Ci siamo poi recati, con una piccola deviazione, ad Abyaneh, paesino arroccato sulla montagna, e qui abbiamo trovato la neve (che già timidamente aveva fatto la sua comparsa ad Isfahan): grazie alla bella giornata abbiamo potuto ammirare il panorama delle montagne innevate e gironzolare per le stradine infangate del posto.

Kashan offre di particolare solo alcune case di mercanti, grandi e – all’epoca – ricche, ma che non mi hanno granchè impressionato; il bazar è molto grande, ed al suo interno ci sono un paio di case da tè niente male, di cui una ricavata (tanto per cambiare) in un vecchio hammam.

Alloggiamo, anzichè all’Amir Kabir che ci aveva indicato “Avventure” ma che si trova molto distante dal centro, al Sayyah, a due passi dal bazar, e paghiamo ogni doppia 200.000 rial (20 euro, 25 dollari), mentre per la cena scegliamo un ristorante ben celebrato sulla Lonely Planet, il Dellpazir, ove ciu rechiamo in compagnia di una coppia di italiani conosciuti in albergo; non abbiamo mangiato male, anche se non erano disponibili molti dei piatti elencati nel menù.

Teheran, 2 gennaio Dopo un’ulteriore visita ad una delle case mercantili di Kashan e non essere entrati al giardino di Bagh-é Fin perchè il custode si rifiutava di farci lo sconto per insegnanti (ha guardato il tesserino di un adelle mie compagne di viaggio e lo ha definito “bullshit”), siamo ripartiti per Teheran, via Qom.

Abbiamo provato a corrompere l’autista per farci portare – strada facendo – al lago salato nel deserto del Dasht- è Kavir, ma ci ha fatto vedere che la strada è interdetta ai pullman, e che ci saremmo dovuti procurare una jeep.

A Qom, città santa ove è nato Khomeini, grazie al nostro numero esiguo e ad una piccola dose di diplomazia siamo riusciti ad entrare – di venerdì! – nei cortili della moschea e del santuario, autorizzati dalla sicurezza locale e scortati da una guida che non parlava inglese ma con la quale alla fine siamo riusciti a comunicare grazie alle traduzioni di una diplomatica iraniana e di una delle mie compagne, che parla l’arabo; ovviamente, le ragazze hanno dovuto indossare un più castigato chador.

Il brutto cielo nuvoloso non gioverà alle foto, ma stare qui a vedere l’afflusso della folla per il venerdì di preghiera non è cosa di tutti i giorni.

Sulla strada per Teheran, in mezzo alla neve, abbiamo visitato il luogo in cui è posta la bara di Khomeini; nulla di spettacolare, ma in fin dei conti lo stesso ayatollah chiese di poter stare in un posto sobrio, dove la gente potesse essere felice e tranquilla e i bambini poter giocare.

All’interno non sono ammesse macchine fotografiche, si lasciano fuori le scarpe e si viene sottoposti a perquisizione.

Alla fine siamo riusciti a raggiungere l’Iran Hotel, che si trova proprio di fronte al Kowsar, dove abbiamo alloggiato all’arrivo ma che costa il doppio; pagheremo 35 dollari per una doppia, senza la colazione, ma per stanze abbastanza grandi.

Akbar, il nostro autista, appena abbiamo scaricato i bagagli è ripartito sgommando con il pullman, senza salutare o discutere il programma di domani.

Bah! Teheran, 3 gennaio Akbar non si è più visto, dobbiamo vedere il Museo Nazionale e poi andare all’aeroporto, nevica; chiamiamo il corrispondente di “Avventure” a Teheran e spieghiamo la ituazione: dopo circa un’ora arriva un pullmino con un autista sveglio (anche se pure lui non parla una parola di inglese), che cio porta al museo.

Il Museo Nazionale Iraniano ci accoglie con dei reperti del V° secolo avanti Cristo (!), e mostra via via oggetti di ottima fattura che risalgono fino a circa il 500 a.C.; non è molto grande, anzi, ma quanto esposto merita assolutamente la visita ed il prezzo (60.000 rial), che comprende anche l’ingresso alla sezione del periodo islamico, secondo me non eccessivamente interessante.

Ci siamo poi fatti portare dall’autista in una sala da tè vicino a Ferdowski Square, la Ayyarah Tea House, dove abbiamo gustato, oltre al tè, un ottimo dolce, riparandoci dalla nevicata e prendendo tempo per giungere in orario all’aeroporto.

Arrivati lì, amara sorpresa! I voli in partenza erano tutti cancellati per il maltempo, e quindi l’esserci distaccati dal gruppo per andare a vedere le mete di nostro esclusivo interesse si è rivelato inutile: che sfiga, roba da matti! Prima il terremoto che distrugge Bam, poi la tormenta di neve che blocca i voli… Imprecando contro la sorte ria, cerchiamo un taxi per tornare in albergo ma, ovviamente, tutti gli iraniani che pure hanno dovuto rinunciare a recarsi in aereo dove volevano andare hanno anche loro avuto bisogno di rientrare in città, sicchè di taxi o non se ne trovano, o chiedono prezzi “da giapponesi”, tipo 75.000 o 100.000 rial (quando il prezzo “giusto” è 30.000).

Per fortuna siamo stati aiutati da un simpatico ragazzo italo-iraniano, che ha fatto in modo di trovarci due taxi, di prendere un passaggio su uno di essi, e di pagarlo perfino, nonostante le mie proteste.

Quando ci ha proposto di uscire tutti a cena insieme, abbiamo colto l’occasione al volo e lo abbiamo raggiunto nella parte nord della città.

Da lì, con due taxi sempre pagati da lui, siamo andati in un ristorante tradizionale iraniano con tanto di allegro spettacolo dal vivo, fonte di numerosa chiusure d’autorità in passato.

Durante l’ottima ed abbondante cena (il ristorante è l’Alì Qapu, il conto è salato per qui, ma è frequentato dalla Teheran “bene”) siamo venuti a sapere che lo stipendio medio di un operaio è di circa 150 euro al mese, mentre un impiegato specializzato prende all’incirca 250 euro, che la benzina costa l’equivalente di 4 centesimi di euro al litro, il gasolio 1 centesimo (e lo Stato ci guadagna pure!).

Sulla situazione politica e sociale ci è stato detto che, come già sapevamo, la gente è oltremodo stufa delle imposizioni religiose che limitano fortemente la libertà, e la dimostrazione è stata data dall’autentico plebiscito che ha portato all’elezione dell’attuale moderato Capo dello Stato.

In ogni caso, anche se le cose sono molto cambiate negli ultimi due anni, la repressione delle manifestazioni studentesche, il controllo daparte della polizia speciale sugli iraniani che si recano spesso all’estero, le punizioni corporali per quelli che possono essere chiamati “reati da divertimento” (qui se si da una festa e si viene trovati con un goccio di alcool si viene frustati, uomini o donne non fa differenza), fanno ritenere che senza un’altra rivoluzione difficilmente cambiamenti radicali potranno avvenire in tempi brevi.

A pensare che fino a pochi anni fa si poteva essere fremati in mezzo alla strada se si passeggiava con una ragazza (solo chiaccherando, mica a braccetto, ci mancherebbe altro!), e che se la ragazza in questione non era una parente stretta si passavano guai seri per aver “dato scandalo”, vengono i brividi.

Oggi a Teheran si possono vedere anche (rare) coppie che passeggiano tenendosi per mano, e il famigerato hijab, ovvero il fazzoletto che dovrebbe coprire la testa delle donne, fa vedere sempre più capelli; anche il trucco fa la sua discreta comparsa, ma per chi viene dalla realtà occidentale l’impressione è sempre e comunque quella di un paese represso.

Secondo il nostro amico l’Iran non è un paese maschilista, perchè in fin dei conti le donne hanno accesso a qualsiasi carriera, cosa che in altre nazioni musulmane non sempre avviene, come per esempio in Arabia Saudita (pare anche che gli iraniani non vedano di buon occhio gli arabi, per via del cambiamenti culturali che hanno determinato con la loro conquista già a partire dal VII° secolo dopo Cristo), ma noi continuiamo a rimanere perplessi.

Teheran, 4 gennaio Neanche a dirlo, oggi c’è una spelndida giornata di sole.

Prima tappa, la sede centrale dell’Iranair, per farsi rimborsare i biglietti non utilizzati ieri.

Nella mia qualità di “capogruppo” derivante, se non altro, dall’essere l’unico di sesso maschile (incredibile quanto la cosa conti da queste parti: le mie compagne di avventura non sono minimamente prese in considerazione), ho presieduto all’operazione, coadiuvato da un giovane e simpatico impiegato che, come sovente mi è accaduto in questo viaggio, mi ha intrattenuto con una conversazione sul nostro campionato di calcio.

Qui in Iran, come capiscono che sei italiano, iniziano a citare squadre e giocatori, sui quali sono aggiornatissimi.

Ammirano Milan e Roma, Totti, Del Piero e Vieri, non citano molto l’Inter (quando un giorno vinceremo qualcosa forse le cose cambieranno), ma sanno che Cuper è stato cacciato via e che ora l’allenatore è Zaccheroni.

Solo in un’occasione mi è toccato sentire l’abusato “Italia, mafia”, ma forse si riferivano alla Juventus…

Dagli uffici dell’Iranair siamo andati al Museo dei Gioielli, ma solo per scoprire che avrebbe aperto alle 14, e così abbiamo scelto di visitare il Museo Reza Abbasi, che mostra pregevolissimi reperti risalenti a periodi che vanno dalla preistoria, agli imperi persiani, all’epoca islamica; il terzo piano, dedicato agli oggetti più antichi, è veramente notevole.

Dopo una breve tappa in albergo, siamo tornati al Museo dei Gioielli, dove ci simo trovati circondati da quanto di più kitch l’arte orafa abbia potuto concepire con un mare di ori, argenti e pietre preziose (soprattutto smeraldi); il Trono del Pavone faceva la sua figura in fondo alla sala, ma il top del pacchiano era rappresentato da un mappamondo tempestato di gemme, un oggetto tanto prezioso quanto imbarazzante per il suo pessimo gusto.

Dopo aver lungamente cercato, ed alfine trovato dei bei libri fotografici, uno grande sull’Iran e uno piccolo (ed in farsi!) solo su Bam, siamo andati a cena a quell’Ayyarah Tea House dove già avevamo preso il tè.

Come ristorante non è affatto male, i prezzi sono contenuti, l’atmosfera è cordiale, c’è un vecchietto in abito tradizionale che serve il tè, prepara il dizi (altrimenti detto abgusht), toglie il malocchio, insomma funge da “maestro di cerimonie” del locale, che è veramente un personaggio.

Purtroppo, l’idilliaca atmosfera conviviale è stata turbata dall’ingresso di qualcuno del quale proprietario e camerieri avevano un apaura fottuta, evidentemente perchè era dotato di sufficiente potere relogioso-integralista per far avere seri guai al locale: da quel momento, musica lagnosa, niente narghilè per le donne, ed atmosfera tetra.

Il capo cameriere si è scusato con noi, ma ci ha fatto capire che era un momentaccio.

Peccato, ma contiamo di tornarci per l’ultima cena prima di ripartire per l’Italia.

Domani gita nel deserto del Dasht-é Kavir, fino al lago salato Namak.

Teheran, 5 gennaio E invece no! La sfiga, che ci perseguita dall’inizio e che non è stata eliminata dalle operazioni anti-malocchio del cameriere dell’Ayyarah, ha colpito ancora.

Avevamo organizzato, tramite il corrispondente locale di Avventure nel Mondo, una gita per l’intera giornata nel Dasht-é Kavir, per vedere il deserto, un caravanserraglio, il lago salato, ma appena ci siamo inoltrati nella zona (peraltro coperta da un bel nebbione che limitava la visibilità a pochi metri) non abbiamo potuto proseguire perchè chi aveva organizzato il giro non aveva provveduto a munirsi dei numerosi permessi (il deserto in questione è una riserva naturale protetta).

Chiaro che non abbiamo pagato un centesimo, salvo dare una mancia all’autista e alla simpatica guida (multilingue, stavolta!), ma siamo pur sempre tornati a Teheran con le pive nel sacco.

Come già avvenne in occasione del nostro rientro dall’aeroporto bloccato dalla neve, ci siamo ripresentati al perplesso personale dell’Iran Hotel con un “hello again!”, e abbiamo preso un paio di stanze per riposarci , in attesa della partenza di stanotte per l’aeroporto alla volta dell’Italia.

Tanto, di interessante a Teheran non era rimasto molto da vedere e quindi, considerata la levataccia mattutina per la gita fallita, tanto valeva dormire fino a sera.

Come preventivato, siamo tornati a cenare all’Ayyarah di Ferdowski Square, eletto nostro locale preferito nella capitale, dove stavolta non ci sono stati impedimenti di sorta al trascorrere di una lieta serata (anche se il proprietario ed i camerieri erano sempre sul chi vive e davano frequenti occhiate all’ingresso).

Ad un certo punto, però, anche le “mie donne” hanno dovuto smettere di fumare il narghilè, poichè qualche altra ragazza presente nel locale ha cominciato a fare discorsi con i camerieri del tipo “se lo fanno loro, perchè io no?”.

Congedatici dal locale, abbiamo fatto ritorno in albergo: appuntamento all’una di notte per la partenza.

*** *** *** Alla fine del viaggio, tanti, tantissimi rimpianti: ero venuto apposta per vedere Bam, ed è crollata prima che potessi vederla, non ho potuto vedere la ziggurat di Choga Zambil perchè la tormente ha bloccato i voli, non sono potuto entrare nel Dasht-é Kavir perchè chi ci ha organizzato la gita era un deficiente, e perfino i tentativi di andare a Mashad sono naufragati perchè i voli erano tutti completi.

Certo, ho visto cose molto belle, ho conosciuto gente molto simpatica, ma questo in Iran è stato per me un viaggio “monco”.

Tutte le preoccupazioni di chi in Italia sentiva della mia partenza per questi luoghi, preoccupazioni dovute solo ad un’abbondante dose di ignoranza, si sono rivelate assolutamente infondate.

Il posto è sicurissimo, ed è stato uno dei pochi, se non il solo, ove ho potuto tranquillamente andare in giro con lo zainetto dietro anzichè davanti.

La gente è cordialissima, e quando chiede “da dove vieni?”, alla risposta immancabilmente dicono “benvenuto in Iran, benvenuto a…” e aggiungono il nome della città ove ci si trova.

Hanno dei seri problemi con il regime, ma pare che le cose stiano lentamente migliorando.

Le mie compagne di viaggio hanno sofferto molto l’imposizione dell’hijab, ma questi sono i costumi locali: prendere o lasciare.

Però… Ammazza che sfiga questa volta!



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