Sahara libico

Dopo tutte le ansie e le tensioni precedenti il viaggio (ottenimento dei visti, passaporti tradotti in arabo da inviare un mese prima al consolato libico), partiamo da Roma con aereo noleggiato dalla Lybian Arab Airlines. Aereo vecchiotto ma funzionante e volo tranquillo. Dopo due ore giungiamo a Tripoli dove ci aspetta il corrispondente locale....
Scritto da: Giorgio Bodini
sahara libico
Partenza il: 03/10/2003
Ritorno il: 10/10/2003
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Ascolta i podcast
 
Dopo tutte le ansie e le tensioni precedenti il viaggio (ottenimento dei visti, passaporti tradotti in arabo da inviare un mese prima al consolato libico), partiamo da Roma con aereo noleggiato dalla Lybian Arab Airlines. Aereo vecchiotto ma funzionante e volo tranquillo. Dopo due ore giungiamo a Tripoli dove ci aspetta il corrispondente locale. Intanto che tutti ritirano i bagagli cambiamo subito gli Euro in dinari libici presso la banca dell’aeroporto, dato che poi sarà difficile sincronizzare i nostri orari con quelli delle banche (visto che andremo nel deserto). Telefoniamo a casa dall’aeroporto ( i cellulari non sono operativi): un dialogo normale costa 3 dinari (circa 2,50 €). Giro turistico guidato di Tripoli con la guida italiana che vive lì, è di Palermo e parla l’arabo come un locale, circostanza da me mai riscontrata in tanti anni. La città è decadente, con rovine romane, tracce sensibili del passato fascista, palazzi stile ventennio ancora in ottimo stato ed utilizzati come uffici pubblici. Ci fermiamo presso la Piazza dell’Orologio per il primo tè alla menta del nostro soggiorno: buono. Tramonto sul lungomare, un po’ triste ma pittoresco. La sera, da un aeroporto minore misto militare, ci incontriamo con un poliziotto che ci scorterà per il viaggio ( per evitare forse che rubiamo reperti archeologici preziosi) e ci imbarchiamo per Sebha su un bimotore ad elica di fabbricazione russa di una compagnia privata che serve di massima gli operai dei pozzi petroliferi del sud libico. A parte il terrificante rumore, le vibrazioni interne e la fiammata tipo girone dantesco all’accensione dei motori, il volo è buono e senza inconvenienti e dura due ore. A Sebha togliamo le sacche (morbide mi raccomando) dall’aereo ed incontriamo i “tuareg” che ci accompagneranno nel tour con le loro fuoristrada. Sono come quelli dei film, con il vestito lungo e lo chas (turbante) sulla testa e sul viso, fuori solo gli occhi. Sono belle persone, alte, qualcuno con gli occhi chiari, la pelle scura ma soprattutto gentilisssimi. Ci accomodiamo sulla fuoristrada, una Land Cruiser che avrà almeno 15 anni, e ci dirigiamo per altre due ore verso Germa, alle porte del Sahara. Qui c’è un Hotel modesto ma dignitoso, gestito da un operatore libico di concerto con un italiano, Sergio Scarpa, che bazzica la Libia da molti anni e che ha scoperto molti dei graffiti preistorici del deserto. Da qui partiamo in varie giornate per la scoperta dei laghi dell’Erg Ubari, dei Gatti Mammoni del Wadi Mathendush e delle dune altissime dell’Erg Murzuq. Giornate di trasferimenti stancanti, su sabbia e pietraie, ritorno in hotel verso sera, distrutti ma felici per le cose viste.

Quindi si parte verso il profondo sud libico, l’Akakus, con trecento kilometri di strada asfaltata dritta come un fuso, con un paesaggio di una monotonia snernvante di piani di sabbia a perdità d’occhio, qualche pozzo petrolifero all’orizzonte, sperduto nell’infinito. Entriamo nel deserto dell’Akakus verso mezzogiorno e lo spettacolo è da togliere il fiato: guglie, archi enormi, pinnacoli di arenaria erosi da millenni di vento, cumuli di sabbia che sembra borotalco giallo li avvolgono e ne modificano i contorni. Quando i motori si spengono per il pic-nic di pranzo, il silenzio ti avvolge come una coperta, senti solo il lieve sibilo del vento e il leggero ronzio dei granelli di sabbia che scivolano sulle dune…Sembra di essere sulla luna, lontani dal tuo mondo, dalla realtà come la conosciamo. Siamo consapevoli della nostra dimensione minuscola di uomini nell’immensità della natura. La sera giungiamo al campo tendato fisso di Aouis, fra torri di granito e sabbia rosa. La corrente elettrica la dà un generatore a gasolio che viene spento alle 22. Ogni tenda ha un bagno separato con una dotazione di 50 litri d’acqua a testa che viene prelevata quotidianamente da un pozzo li vicino, il Wc ed una pittoresca doccia. Ci si lava come si può (ma ci si riesce) e tutto viene riciclato. Cena in un romantico ristorante dove mandi giù volentieri anche la piccantissima “chorba” o zuppa di pomodoro che ti propone il cuoco tuareg. Alle 22 si spengono le luci, noi siamo sotto la tenda beduina coi tuareg a bere il tè: d’improvviso rimangolo solo il chiarore del fuoco di legna, la luna e le stelle. Il deserto di notte non è buio pesto, ma la luna e le stelle, uniti al riflesso chiaro della sabbia, ti consentono di vedere in penombra ogni cosa. Le stelle sembrano vicinissime ed alcune si accendono ad intermittenza: dopo anni mi capita di commuovermi. Mi sento piccolo ma felice. Dormiamo in tende confortevoli, letti con piumino (che ora non serve ancora ma sarà utile in autunno ed inverno). Al mattino alla sveglia ci portano te e caffè alla tenda, insieme ad una brocca d’acqua calda (scaldata col fuoco ovviamente) per lavarci il viso. L’acqua del lavabo della camera, dallo scarico, finisce in un secchio che verrà poi utilizzato per il Wc: non viene sprecato nulla. Qui ti rendi conto come l’acqua sia preziosa, in un’ambiente dove viaggi per ore senza vederne traccia… Due giorni di scoperte, graffiti, sabbie, tramonti e lo spirito che decolla verso quote infinite…I tuareg guidano i loro moderni “cammelli” a motore sulle dune sabbiose alte anche 200 metri, le carezzano, si lasciano scivolare dai pendii come in un gigantesco luna park senza confini.

Ritorniamo a Tripoli con lo stesso bimotore dell’andata, dopo un commosso saluto agli amici tuareg, gente orgogliosa, di grande dignità, e ci tuffiamo nel caldo abbraccio di un nuovo hotel a 5 stelle in attesa del volo dell’indomani per Roma. Mi sembra di essere fuori posto: dopo una settimana nel deserto sei un po’ spaesato e ti sembra di avere fin troppo. Ritorniamo a Roma felici e tristi nello stesso momento: quello che spiritualmente ci ha donato il deserto ed il suo popolo ha superato ogni aspettativa. Crediamo oggi di essere un po’ migliori…

Ciao a tutti.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche