LA POESIA DEL DESERTO: Giordania fly & drive
Quindi, se qualcuno volesse approfondire qualche informazione, non ha che da scriverci.
Ci siamo anche divertiti a preparare un foglio EXCEL contenente, oltre al racconto che segue ed integrate con esso, informazioni e note di carattere pratico, carte degli itinerari, 51 foto e oltre 150 link turistici relativi alla Giordania. Per chi fosse interessato… Basta chiedere! Intanto, buona lettura! Dove dirigerci per una vacanza breve, primaverile, ma non per questo meno ricca di interessi? Quale destinazione migliore della Giordania! Un paese non molto esteso, ma una ghiotta meta turistica ricca di attrattive. Un angolo del vasto universo arabo che non pone grossi problemi per un itinerario “fai da te” e, poi, siamo in Medioriente e, forse, la Pasqua è proprio il momento migliore per avventurarsi in quelle lande desertiche! Questa volta partiamo in quattro: Roberto e Lisa, Massimo e Fiorella, due coppie di amici mediamente quasi alle soglie degli …“anta”.
E’ la prima volta che viaggiamo insieme, anche se ci conosciamo ormai da anni, ma la comunione di interessi e di stile sono una garanzia per la sicura riuscita di quest’avventura! Gli scambi di opinioni e di ricordi sui nostri viaggi trascorsi ci hanno fatto capire, nel tempo, che ci accomuna la necessità di vivere il turismo nella massima libertà, indipendentemente dagli schemi e dai ritmi che il turismo organizzato vuole imporre, alla ricerca di un rapporto genuino con i luoghi e con la gente.
Tutti quanti abbiamo alle spalle diverse esperienze di viaggi autogestiti – a volte fatti in coppia, a volte con altri amici, a volte con i gruppi pseudo-organizzati di “Avventure nel Mondo” – dal Marocco alla Turchia, dall’India alla Thailandia, dal Messico alla Romania, dal Portogallo alla Grecia. Viaggiare, finalmente, insieme non può essere che un piacere! GIORNO 1 – DOMENICA 23 MARZO 1997 E’ mattina presto, l’appuntamento con Massimo e Fiorella, i nostri compagni di viaggio, è alla stazione degli autobus, dove loro dovrebbero arrivare con lo stesso autobus, preso direttamente nel deposito. Ma, panico!, loro a bordo non ci sono! Aspettiamo fino all’ultimo momento e poi saliamo comunque, sperando per il meglio! Li vediamo aspettare alla fermata successiva, e tutto è bene quel che finisce bene! A dire la verità, non ci lascia del tutto tranquilli salire su un aereo della MEA – Middle East Airlines, le neo-rinate linee aeree libanesi – ed anche la prospettiva di uno scalo a Beirut ci lascia un misto di ansia e curiosità, dopo tanti anni di notizie televisive di scontri e distruzioni che hanno martoriato quel paese, ma le tariffe erano davvero concorrenziali e non abbiamo saputo dire di no.
L’aereo che ci si presenta a Fiumicino, però, è una vera sorpresa! E’ nuovissimo e dotato di ogni comfort, così il viaggio per la metropoli libanese scorre più che tranquillo e ci godiamo, prima dell’atterraggio, lo stupendo panorama della città, adagiata in splendida posizione tra il Mediterraneo e le montagne. Qui dobbiamo prendere un altro volo per Amman; abbiamo giusto il tempo di approfittare della bibita offertaci dalla MEA e di trovare il nostro cancello di imbarco perché l’aereo non ha recuperato l’ora e mezzo di ritardo con cui è partito da Roma. L’aereo che ci aspetta è un po’ diverso dal precedente, deve averne viste di avventure! E’ vecchio e visibilmente malandato. Ci capitano dei posti accanto ad un portello d’emergenza così malridotto che ci aspettiamo uno spiffero d’aria da un momento all’altro. Ma, nonostante tutto, arriviamo a destinazione sani e salvi.
Perdiamo un po’ di tempo in aeroporto tra bagagli, cambio, visti e dogana. Ormai è sera, non ci resta che prendere un taxi – ovviamente dopo la contrattazione del prezzo – e farci portare allo “Shepherd Hotel” , l’albergo che abbiamo prenotato dall’Italia su consiglio di amici.
Appena arrivati, alla reception, incontriamo un gruppo di “Avventure nel Mondo” di rientro dalla giornata di visite. Incredibile! E’ proprio il gruppo di cui ci ha parlato la nostra amica Laura, che conosce il coordinatore, e, quindi, gli portiamo i suoi saluti.
Lasciamo andare a cena da soli Massimo e Fiorella al ristorante dell’albergo, noi ci ritiriamo esausti in camera. L’albergo è carino e sembra tranquillo, la nostra prima notte in Giordania non poteva essere migliore; proprio quello che ci voleva dopo una giornata lunga e movimentata come quella di oggi! Ma non avevamo fatto i conti con la moschea che sta proprio di rimpetto (e con il suo richiamo alla preghiera delle 4 di mattina!).
GIORNO 2 – LUNEDI 24 MARZO 1997 Facciamo colazione in albergo, ascoltando i racconti di Massimo che è di ritorno dal suo primo jogging mattutino in Giordania, curiosi di sentire come hanno reagito i locali ad una situazione per loro così insolita.
Oggi ci dedichiamo alla visita della città, dopo aver cambiato albergo per rientrare nei budget di spesa prefissati, visto che qui passeremo diverse notti. Un altro taxi ci accompagna al “Canary Hotel”, sulla collina di fronte, più o meno alla stessa distanza dal centro, anch’esso molto tranquillo, ma decisamente più… ”mediorientale” !! L’albergo è molto più semplice e “casereccio” (del resto anche il prezzo lo dice), ma è pulito e ha tutto quello che ci serve, con un po’ di spirito di adattamento.
Amman non è una città molto appariscente, ma la prima cosa che balza agli occhi di chi la visita è la sua conformazione contorta tra valli profonde e ripide alture completamente coperte di costruzioni chiare, tutte moderne. In effetti la città ha una storia piuttosto recente, dopo secoli di abbandono di quella di epoca classica.
Il centro giace sul fondo della valle principale e decidiamo di scendere a piedi. Il tempo non è un gran che, è freddo e c’è vento, a tratti cade anche la pioggia. Certo non è quello che ci aspettavamo venendo a queste latitudini e tra di noi c’è chi non è stato molto previdente facendo la valigia.
Passiamo nella zona del suk, intorno alla moschea Al-Hussein, vivace ed affollata di gente indaffarata tra i negozi che vendono ogni sorta di articolo, comprese ricche botteghe di oreficeria. Poi ci dirigiamo verso il teatro romano passando per il ninfeo – o meglio ciò che resta di quella che doveva essere una grande fontana – schiacciato tra anonimi palazzi moderni e lasciato nell’abbandono più totale. Una improvvisa grandinata ci costringe a ripararci di corsa sotto i portici di un palazzo vicino, ma è questione di pochi minuti e tutto torna tranquillo.
Il teatro romano è ormai distante pochi passi. E’ certamente il monumento più imponente della città e ne caratterizza il panorama del centro. Costruito addossato alla collina sfruttando il suo declivio, non è un edificio imponente (anche perché manca tutta la parete della scena), ma sovrasta comunque tutte le altre costruzioni, anche per il contrasto di colore che c’è tra la pietra e gli intonaci delle altre costruzioni circostanti, sempre di tonalità molto chiare.
Nelle due ali del teatro si trovano altrettanti piccoli musei, uno dedicato alle Tradizioni Popolari e l’altro al Folklore: sono veramente minuscoli, ma sono gli unici di tutta la Giordania e solo per questo motivo vale già la pena di visitarli! Non ci resta che salire alla cittadella, il che significa scalare una delle colline che dominano la zona del teatro e la cosa non è da poco! Be’, almeno il tempo brutto ha i suoi aspetti positivi, ci confortiamo pensando quello che deve essere una salita così in piena estate! Prima ci ritempriamo in un piccolo bar della piazza che una volta era il foro romano e poi affrontiamo la salita.
Della cittadella araba e della precedente acropoli classica è rimasto ben poco, la visita si risolve velocemente in una passeggiata tra i resti – che sono quasi sempre semplici basamenti – e le poche colonne superstiti. Qui si trova anche il Museo Archeologico, di gran lunga il museo più importante di tutto il paese, ma… Tutto è relativo!! La vista sul centro sottostante e sulle altre alture circostanti vale, invece, da sola tutta la fatica che ci è costata salire quassù: di sicuro la caratteristica più peculiare della città è la sua posizione e questo è forse il punto migliore per godere del panorama.
Dobbiamo scendere di nuovo fino al centro e, quindi, risalire all’albergo; lungo la strada ci fermiamo in un invitante forno per assaggiare quello che le tradizioni locali ci possono offrire in fatto di dolci, spuntini salati e pane. All’unanimità viene reputata un’ottima idea tanto che il negozio sarà più volte oggetto delle nostre attenzioni anche nei prossimi giorni.
Ci rilassiamo e ci godiamo il caldo della hall ed un buon tè chiacchierando per un’oretta abbondante, poi usciamo alla ricerca di un ristorante, ma non è un’impresa facile. Siamo costretti ad andare fino in centro con un taxi e qui, finalmente, approdiamo al “Restaurant Jerusalem”, che ci riconcilia definitivamente con la città (la cena ci costa la bellezza di tre dinari a testa). Il ritorno a piedi è una lunga passeggiata digestiva.
GIORNO 3 – MARTEDI 25 MARZO 1997 E’ ora di prendere la nostra auto a noleggio ed iniziare il tour vero e proprio, anche se, per la verità, per qualche giorno continueremo a far base ad Amman per visitare la regione settentrionale del paese. Dopo la colazione in albergo ci facciamo accompagnare da un taxi all’ufficio dell’AVIS dove abbiamo prenotato la nostra vettura. Le pratiche burocratiche non pongono problemi e in breve tempo siamo a bordo di una Hyundai Accent quasi nuova e molto comoda.
Siamo già su una grande strada di circonvallazione e uscire dalla città non è difficile, ma ci dà l’opportunità di vedere per la prima volta i quartieri periferici fatti di comode strade a scorrimento veloce, moderni palazzi in vetro e cemento e zone tranquille di signorili palazzine con giardino.
La giornata è molto ventosa, così decidiamo su due piedi di rimandare l’escursione al Mar Morto, che era in programma per oggi, ad un giorno più propizio. Prendiamo la strada del deserto – quella che si dirige verso il confine con l’Iraq – alla caccia dei castelli del deserto.
Il primo, quello di Hallabat, a dire la verità è un po’ deludente. I resti non sono particolarmente interessanti e un episodio sgradevole con dei soldati che lo stanno visitando insieme a noi ci guasta ulteriormente l’atmosfera.
Ripartendo vogliamo chiedere informazioni sulla strada da prendere. C’è solo una donna in giro, proviamo lo stesso, ma lei continua a camminare ignorando perfino la nostra esistenza, dovremo cavarcela da soli! Dopo una breve sosta ai resti dell’antico Hammam as-Sarah, il castello successivo si trova ad Azraq ed è decisamente più suggestivo: è in condizioni migliori e la pietra nera con cui è costruito gli conferisce una personalità diversa; e poi la sua storia si intreccia con la leggenda di Lawrence d’Arabia, che ne fece il suo posto di comando.
E’ ormai ora di pranzo. Ci fermiamo in un poverissimo ristorantino in paese, proprio accanto ad alcune teste di montone che – in mostra lungo la strada – fungono da insegna per una pseudo-macelleria. Ordiniamo degli spiedini di carne, ma per Massimo, che non mangia carne, non ci sono grosse alternative; pensa di aver trovato alla fine una soluzione in una bella omelette, finché l’oste non gli porta una “sbobba”, fatta più di strutto che di uova!! Il pomeriggio ci riserva i monumenti più interessanti.
Ad Amrah del “castello” resta molto poco, tanto da faticare a credere che un tempo si sia davvero trattato di un vero e proprio castello. Più probabilmente si trattava di un palazzo “di campagna” dedicato agli svaghi dei califfi, lo farebbero pensare gli affreschi che adornano gli interni dell’unico padiglione rimasto, quello dove si trovavano la sala del trono, le alcove e i bagni termali. Sono affreschi vivaci che rappresentano, tra le altre cose, vegetazione rigogliosa, scene di caccia e – scandalo degli scandali per l’Islam – alcune donne al bagno. L’unicità ed il pregio di questi affreschi ha fatto sì che il sito sia stato dichiarato dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.
Pochi altri chilometri ed arriviamo al Qasr al-Kharanah, praticamente una fortezza quadrata in mezzo alla piana desolata del deserto. Ci ricorda molto i caravanserrai turchi, ma è più piccolo e più massiccio, alto e con tanto di torricine agli angoli.
Proseguendo incappiamo in un controllo di polizia mentre stiamo andando ad una velocità decisamente al di sopra del limite (d’altra parte bisogna anche dire che siamo praticamente da soli sulla strada). L’agente ci chiede i documenti e, verificato che siamo turisti stranieri, si limita ad un bonario “Go slowly, Massimo, go slowly!”.
E’ ancora presto e decidiamo di fare una deviazione per arrivare fino alla cittadina di Madaba, dove, nella chiesa di S. Giorgio, c’è la più antica mappa della Palestina, ancora visibile quasi per intero nello splendido mosaico pavimentale. Ormai è orario di chiusura, non ci resta che tornare verso Amman: arriviamo in albergo che sono da poco passate le diciotto ed ha appena fatto buio.
Per la cena optiamo per il ristorante piacevolmente scoperto la sera prima e, tornati in albergo, ci concediamo la prima birra giordana. Assolutamente inattesa in un paese arabo e, soprattutto, in un locale semplice come il nostro albergo. Tutto sommato anche un fatto così piccolo la dice lunga sul carattere più aperto e tollerante della società giordana rispetto a tanti altri stati arabi.
GIORNO 4 – MERCOLEDI 26 MARZO 1997 La nostra prima meta di oggi sono le vestigia della città di Jarash. Scavi imponenti hanno riportato alla luce molte parti del centro di epoca romana e molti dei monumenti sono in buono stato, come l’arco di trionfo e il teatro, ma la caratteristica principale e più spettacolare di questo sito è la lunga via colonnata che, partendo da un originale foro – anch’esso colonnato – di forma ovale, ne costituiva il cardo massimo, congiungendo i monumenti più importanti come il gigantesco ninfeo ed il tempio di Artemide. Passiamo tutto quello che resta della mattina girovagando tra i resti di epoca classica e i mosaici delle chiese dei Ss. Cosma e Damiano e di S. Teodoro. Quando è ora di pranzo, dopo essere usciti dagli scavi, arriviamo a comprarci “Felafel” ed altre specialità locali in un negozietto del centro per poi tornare a fare un “pic-nic” sul prato sotto l’arco di trionfo.
Proseguiamo, sempre verso nord, alla volta di Ajlun, dove si trova il castello detto Qalat ar-Rabad – aggrappato sulla cima di una collina dominante tutta la zona circostante – che è considerato uno dei migliori esempi di architettura militare araba. Mentre arriviamo sulla cima della torre più alta, un elicottero compie rumorosamente degli stretti giri, a bassa quota, sopra le nostre teste: è dotato di una telecamera esterna in un contenitore sferico, certamente sta facendo riprese del castello dall’alto! Deve essere stata una fortezza poderosa al tempo del suo splendore, ma anche oggi ciò che ne resta ci impressiona per la sua potenza, per la sua posizione e per l’inatteso paesaggio che la circonda. La regione a nord di Amman, infatti, è inaspettatamente verde e, spesso, intensamente coltivata; intorno al castello, poi, si estendono i boschi di pini di Aleppo del parco nazionale di Dibbin.
Non è esattamente quello che ci si aspetta pensando ad un paese mediorientale come la Giordania! Ancora verso nord ed arriviamo ad Irbid, ad un tiro di schioppo dal confine siriano, piccola cittadina tranquilla dove arrivano ben pochi turisti. Dovrebbe esserci un piccolo museo archeologico curato dalla locale università, ma non riusciamo a trovare né l’una, né, tanto meno, l’altro. A questo punto ci eravamo posti l’obiettivo di arrivare agli scavi di Umm Qays, ma siamo sensibilmente in ritardo sui piani originali e ci accontentiamo di ritornare verso Amman seguendo la strada che scende nella valle del Giordano e ne segue il corso fino al Mar Morto.
Avvicinandoci al corso del fiume – lungo il quale corre il confine con Israele – incontriamo un posto di blocco militare, con tanto di postazioni protette da sacchi di sabbia e mitragliatrici spianate; il soldato che ci controlla è molto gentile e dopo aver verificato il contenuto del baule della macchina e i nostri documenti, quando si accorge che siamo italiani, ci indica ripetutamente il suo fucile mitragliatore facendoci capire con orgoglio che viene dall’Italia. Va be’, contento lui!! Per noi è sufficiente che ci lasci andare senza tanti problemi e con il sorriso sulle labbra.
L’ultima sosta la facciamo deviando leggermente dalla strada principale – su una stradina sterrata – verso le colline che risalgono subito verso est. Qui c’è un sito archeologico minore, si chiama Pella e ancora presenta ben pochi spunti architettonici o artistici perché gli scavi sono tuttora in corso, ma la posizione merita la deviazione, tanto è tranquilla e silenziosa (ci siamo solo noi), adagiata in una piccola valle laterale con il panorama della verde valle del Giordano. Già, il biblico Giordano, che domina i nostri chilometri successivi, anche se la vegetazione è così fitta che si può solo intuire la sua presenza sul fondovalle. Una vegetazione molto diversa da tutta quella che abbiamo incontrato durante la giornata: una vera e propria oasi.
Pochi altri chilometri (ed altri posti di blocco) e siamo di nuovo in albergo, c’è giusto il tempo di riposarci un attimo ed è già ora di cena: stavolta al ristorante (sempre quello) ci andiamo in macchina! Sorseggiare una birra in tutta tranquillità prima di andare a dormire sta diventando una piacevole abitudine.
GIORNO 5 – GIOVEDI 27 MARZO 1997 Alla periferia ovest di Amman comincia la breve valle di Wadi as-Sir, disseminata di villaggi e casette sparse che vivono di agricoltura e pastorizia grazie al piccolo corso d’acqua che la percorre. In fondo alla valle la strada finisce a Araq al-Amir, dove sorge il palazzo di Qasr al-Abd. Il palazzo ha una forma rettangolare molto semplice, ma è abbellito da logge e da alcune sculture molto interessanti raffiguranti leoni in stile assiro: una cosa unica in Giordania. Restiamo da soli per tutto il tempo della visita a queste rovine abbandonate; sopraggiunge un’altra famigliola di turisti occidentali solo mentre stiamo per andarcene: si vede che questo è un sito poco visitato, nonostante la sua vicinanza alla capitale e la facilità di accesso, meglio così! Questo gli ha permesso di mantenere una atmosfera più genuina.
Ci spostiamo ad as-Salt, capoluogo della regione ai tempi della dominazione ottomana. Anche questo centro giace in una stretta valle di cui occupa entrambi i declivi, ma qui, finalmente, abbiamo per la prima volta l’impressione di trovarci in una città con una storia alle spalle. Ci avventuriamo tra i saliscendi delle ripide viuzze e le scalinate della città vecchia, fra le caratteristiche case ottomane. Qui c’è poca gente in giro e non ci sono particolari attrattive dal punto di vista artistico, ma l’atmosfera vissuta e un po’ trasandata – tipica di tutti i suq arabi – ci affascina, come sempre.
Riscendiamo nella zona commerciale più moderna e vivace alla ricerca di un posto per il pranzo e troviamo una sorta di ristorantino che prepara “Felafel” praticamente per strada. Aggiudicato! E già cominciamo a leccarci i baffi. Il cibo in effetti è squisito, tasche di pane arabo con i famosi Felafel, abbondanti verdure e una salsa saporita. Quello che invece è piuttosto inquietante è il comportamento del “cuoco” che, a due passi dal nostro tavolo, nel friggere i Felafel, ruota continuamente con il piede – probabilmente per sfruttarne il contenuto fino in fondo – l’enorme bombola da cui proviene il gas. “Insch’Allah” terminiamo il nostro pasto e ce ne andiamo incolumi! Il Mar Morto non è molto distante. Percorriamo per qualche chilometro la litoranea che segue la costa orientale, verso sud, con stupende viste sulle rocce che dominano la strada, alla ricerca di un posto accessibile per provare l’esperienza di un bagno in questo “mare” unico. Niente da fare, si intravede qualche curiosa concrezione salina fra le rocce del bagnasciuga, ma di posti comodi neanche l’ombra. Decidiamo di dar retta ai consigli della guida e di ritornare sui nostri passi fino alla Rest House statale, che è un vero e proprio stabilimento balneare. Qui c’è una spiaggetta che permette un accesso facile all’acqua e tutti i servizi necessari.
Ci mettiamo subito in costume ed entriamo in acqua. La sensazione è stranissima! Non si riesce ad affondare neanche volendo, è come avere una grande mano che sorregge prepotentemente il tuo corpo, ma – d’altro canto – bisogna stare particolarmente attenti ad evitare che l’acqua arrivi sul viso e, in special modo, negli occhi! Insieme a noi c’è qualche altro turista occidentale e, stranamente, parecchi uomini che sembrano locali; la spiegazione è semplice: sono lì ad approfittare della presenza delle “peccaminose” donne occidentali in abiti così succinti e, magari, per lanciarsi in “occasionali” – ma troppo frequenti – e “casualissimi” scontri in acqua. La presenza delle docce è assolutamente irrinunciabile uscendo da quelle acque, che ti lasciano una patina oleosa che dà una sensazione piuttosto spiacevole. Dopo esserci ripuliti ci fermiamo a sorseggiare una bibita al bar del complesso e poi siamo pronti a rientrare ad Amman.
Stasera vorremmo cambiare ristorante, ma la ricerca, come era già accaduto la prima sera, non è affatto semplice e alla fine, dopo due tentativi andati a vuoto, ci accontentiamo dell’immancabile ristorante cinese, nel quale, però, non si vede una faccia cinese neanche a pagarla oro.
E dopo…Non può mancare una birra, prima di ritirarci nelle nostre camere! GIORNO 6 – VENERDI 28 MARZO 1997 Lasciamo la camera e in un’oretta siamo al monastero di Monte Nebo, il luogo dove, secondo la tradizione, morì Mosè in vista della Terra Promessa e dove tutt’ora dovrebbe riposare il suo corpo. Del monastero, in effetti, non restano quasi altro che le fondamenta, ma il suo splendore risiede nei ricchissimi mosaici che sono sopravvissuti in condizioni spesso eccellenti. Davvero stupendi: oltre ad essere artisticamente molto significativi, questi mosaici sono così dettagliati che vengono addirittura presi in considerazione come fonte di informazioni sulla fauna e sulla flora locale dell’epoca. Il monastero si trova perfettamente sulla cima di uno dei monti più alti della zona e da qui lo sguardo può spaziare a perdita d’occhio: anche il Mar Morto sembra a due passi.
Riscendiamo a Madaba – detta, non a caso, la “città dei mosaici” – ma il tempo stringe e ci limitiamo a visitare soltanto la Chiesa dei SS. Apostoli, che è la più importante – ovviamente sempre per i suoi mosaici – tra quelle che non avevamo avuto modo di vedere nella nostra visita precedente.
Da Madaba inizia la Strada dei Re, la vecchia strada per il sud, che ci regala panorami mozzafiato su lande desolate e sulle valli sottostanti, come quello sul Wadi al-Mawjib.
Arriviamo a al-Karak che è circa l’una e il nostro stomaco comincia a reclamare attenzione: non ci resta che resistere alla tentazione di iniziare subito la visita del castello e fermarci a mangiare degli squisiti sandwich (alla giordana) poco fuori del portone di ingresso.
Poche vestigia lasciano immaginare quello che deve essere stato il castello nei suoi tempi migliori. I crociati qui avevano costruito una delle loro fortezze più imponenti fortificando uno sperone di roccia con mura a strapiombo alte, in alcuni punti, decine di metri. Oggi non resta molto delle strutture superiori, ma i contrafforti più bassi sono sufficienti a testimoniare la potenza della roccaforte franca.
Un’altra ora di macchina e arriviamo al castello di ash-Shawbak. Anche questo fu un castello crociato e oggi è in condizioni ancora peggiori del precedente. C’è, però, un’atmosfera più suggestiva, forse perché ci siamo noi soli contro i parecchi turisti che visitavano l’altro, forse perché questo castello non sorge in un centro abitato, ma ai suoi piedi giacciono soltanto poche case beduine abbandonate, oppure perché il panorama qui intorno è più rude e misterioso.
Per la prima volta (e sarà anche l’ultima) ci si appiccica dietro un uomo che ci vuole fare per forza da guida, noi perlopiù cerchiamo di ignorarlo, ma alla fine ci rimane male quando ce ne andiamo senza dargli un soldo e ci tira dietro qualche improperio.
Il vento, che già aveva accompagnato la visita di al-Karak, soffia sempre più gelato; cominciamo a preoccuparci per l’intera giornata che domani dovremo passare a Petra.
La strada per Wadi Musa è veramente breve; appena arrivati ci dirigiamo al primo albergo che troviamo, appena preso il bivio che scende in paese. Il “Moussa Spring Hotel & Restaurant” è poco più che un ostello – frequentato solo da giovani e soprattutto da “backpackers” nordeuropei – ma è molto economico e ha il vantaggio che il prezzo comprende anche la cena: non sarà un gran che, ma almeno eviteremo la scocciatura di dover cercare un ristorante. Mentre siamo a cena conosciamo un gruppo di quattro simpatiche ragazze italiane, vengono da Treviso e viaggiano da sole anche loro.
GIORNO 7 – SABATO 29 MARZO 1997 Abbiamo programmato un solo giorno per la visita di Petra e, quindi, ci alziamo di buon’ora per sfruttare al massimo la giornata.
Facciamo colazione prima di uscire e, con la macchina, scendiamo all’ingresso del parco archeologico. Entriamo che hanno aperto i cancelli solo da poco e i turisti in giro non sono ancora molti, ma ci sono già un buon numero di “indigeni” pronti a trasportare quelli più pigri su cavalli e dromedari fino al cuore dell’antica città. Noi, un po’ per questioni economiche – l’ingresso ci è già costato una cifra esorbitante per gli standard giordani – e un po’ per goderci l’avvicinamento passo a passo, optiamo per proseguire a piedi. Ci vuole quasi un chilometro di strada battuta per arrivare all’ingresso del Siq – la stretta fessura nella roccia che, dopo una altrettanto stretta gola lunga oltre un chilometro – da accesso alla città, ma già percorrendo questo primo tratto si comincia a vedere qualche tomba, come la Tomba degli Obelischi, e alcuni resti del sistema di canalizzazioni che raccoglieva l’acqua piovana.
Quando si entra finalmente nel Siq si aprono le porte di un altro mondo. Si prova una strana sensazione a camminare in questo contorto corridoio di altissime pareti verticali con un irreale fondo assolutamente piatto, aspettandosi ad ogni passo di scoprire qualche gioiello incastonato nella pietra. Ed il primo che appare è, forse, il gioiello più bello: al-Khaznah, il Tesoro del Faraone.
In quel punto la gola è cosi stretta che è persino difficile prendere una bella inquadratura delle prime colonne che spuntano al di là delle rocce; poi, all’improvviso, la gola si allarga in un vero e proprio spiazzo e l’elegantissimo frontone scolpito nella roccia compare in tutto il suo splendore.
In effetti si ritiene che si tratti di una tomba, anche se deve il suo nome alla leggenda che vorrebbe un tesoro nascosto al suo interno, cosa che – nel tempo – ha più volte spinto i beduini a farlo oggetto di colpi di fucile all’improbabile ricerca di quel tesoro. L’erosione della roccia friabile ha fatto il resto distruggendo per sempre alcuni dei dettagli più fragili.
Proseguiamo fino al Teatro, le cui gradinate sono anch’esse scavate nella roccia della montagna mentre le pareti di roccia tutt’intorno sono punteggiate di aperture che potrebbero essere state tombe come anche abitazioni.
Lasciamo la valle per prendere un ripido sentiero che sale velocemente (e faticosamente!!) sul fianco delle colline fino alla sommità, dove si trova il Madhbah, l’area sacrificale detta Luogo Alto dove avevano luogo i sacrifici agli dei. Un altare scavato nella roccia, dotato di scanalature per lo smaltimento del sangue delle vittime, ne dà testimonianza. Da quassù si vedono, in lontananza, pareti rocciose punteggiate di aperture praticamente in ogni direzione.
Dopo qualche incertezza, intraprendiamo la discesa sul fianco opposto della collina, lungo un sentiero, a volte fatto di gradini scavati nella roccia viva, che ci porta a scoprire pian piano i segreti della roccia di Petra. Quella che esternamente sembra una roccia qualsiasi, rossastra e friabile, assume un aspetto completamente diverso, magico, se viene scavata. Emergono sfumature di cento tonalità, dal bianco al blu, dal salmone al grigio e al rosso brillante, e disegni che sembra impossibile siano frutto del caso. Certe pareti, all’interno delle camere scavate nella montagna, sembrano fatte di stoffe delicate, anziché di pietra.
Passiamo prima per la Tomba del Giardino, poi per la Tomba del Soldato Romano, per il cosiddetto Triclinium, quella del Frontone Spezzato e tante altre, finché arriviamo nell’ampia valle dove sorgeva il centro della città al tempo di Roma – protetta e resa invisibile all’esterno dalle montagne circostanti – e dove oggi non restano che poche cose, oltre alle possenti mura del tempio di Dushara (oggi chiamato Qasr al-Bint). In un angolo, in una macchia di verde, è stato costruito un piccolo museo moderno che custodisce i reperti venuti alla luce nella zona. Lì accanto comincia anche il sentiero che sale fra le rocce e conduce prima alla Tomba dei Leoni e, poi, al famoso Monastero (in arabo ad-Dayr). Appena arrivati consumiamo un semplice spuntino sul prato che gli sta di fronte – godendoci l’elegante equilibrio delle sue forme scolpite, come sempre, nel fianco della montagna – poi, anche se probabilmente è vietato (ma la curiosità è troppo grossa! ), ci arrampichiamo fino sulla cima dell’imponente facciata. Da lassù ci si rende finalmente conto delle reali gigantesche dimensioni dell’edificio quando ci si misura con la tholos, alta ben nove metri, che adorna la facciata e che, dal basso, sembrava minuscola.
Torniamo sui nostri passi e terminiamo la visita dirigendoci verso le Tombe Reali, le più imponenti, che abbiamo lasciato per ultime perché la luce del pomeriggio è la migliore per apprezzarle in tutta la loro grandezza. Le linee architettoniche sono molto provate dagli agenti atmosferici che qui hanno spesso eroso in maniera profonda la roccia friabile, ma le dimensioni di questi lavori restano comunque impressionanti e le sfumature di colore dell’arenaria screziata, esaltate anche dalla luce battente del sole serale, sono ancora più accentuate che altrove.
Con il tempo non poteva andare meglio di così: il cielo è stato per la prima volta di un azzurro intenso e quel poco vento che c’era è servito a stemperare il sole cocente di queste latitudini.
Siamo di nuovo ai cancelli che sono le 18, dopo ben undici ore di visita. Non possiamo non fermarci a curiosare tra i negozi che vendono souvenir creati, ci dicono, con le stesse tecniche usate dai Nabatei, gli abitanti di Petra. Chissà se poi sarà vero? ma i vasi sono belli e le sfumature della pasta ricordano davvero le sfumature della roccia di Petra.
E’ finita un’altra giornata molto faticosa. Siamo esausti, ma incantati da questo incredibile abbraccio tra meraviglie dell’uomo e della natura. Non ci resta che rientrare alla nostra guesthouse e recuperare un po’ le forze. Ceniamo guardando il video di “Indiana Jones e l’ultima crociata”, manco a dirlo girato a Petra.
GIORNO 8 – DOMENICA 30 MARZO 1997 Prima di partire facciamo un ultimo giro nel “visitors’centre” davanti all’ingresso del parco archeologico e una puntatina in banca, poi riprendiamo la Strada dei Re verso sud e verso il mare, ma la nostra meta di oggi è il deserto di Wadi Rum. Se fino a Wadi Musa la strada era poco trafficata, il tratto da qui alla “desert highway” è quasi deserto. La strada è molto panoramica e domina sulla destra, per chilometri, una zona di formazioni rocciose – simili a quelle tra cui sorge Petra – divise da profondi canjon, dove a tratti appaiono, come piccole oasi, delle macchie di improvvisa vegetazione.
Il paesaggio cambia arrivando sull’autostrada che costituisce la spina dorsale del traffico del paese unendo i suoi due centri più importanti: Amman ed Aqaba.
Siamo tornati sulla pianura desolata del deserto.
Sebbene sia ancora presto, preferiamo fermarci a mangiare nel semplice ristorantino isolato che sorge nei pressi dell’incrocio con la strada per Wadi Rum – su cui anche noi dopo pranzo dovremo proseguire – piuttosto che farci “spennare” nelle strutture turistiche del villaggio. Si tratta di una casetta azzurra persa nel niente – poco più che un chiosco – ma che ci offre la possibilità di mangiare piatti genuini (il menù non è molto fornito, ma lo “hummus” è squisito), a prezzi praticamente irrisori, all’ombra di una specie di pergolato dove soffia un gradevole venticello.
Quando arriviamo a Wadi Rum siamo subito abbordati da uno stuolo di ragazzi che ci offrono giri guidati nel deserto. Resistiamo un po’ all’assalto, poi scegliamo quello che ci dà più fiducia – o forse il più insistente? – e ci mettiamo d’accordo per iniziare il nostro giro alle tre del pomeriggio; nell’attesa ci godiamo un tè nella tenda beduina della Rest House. All’ora stabilita il nostro amico, puntualissimo, ci carica tutti sul cassone del suo pick-up e iniziamo l’avventura.
Qui la temperatura è cambiata e, nonostante mitigati dalla brezza, i raggi del sole picchiano già duro: un cappellino, oppure la locale “kefiah”, sono d’obbligo.
Scorrazziamo nel deserto per oltre tre ore toccando quasi tutte le attrattive della zona: dall’immancabile (ed improbabile) casa di Lawrence alle dune di sabbia rossa e finissima, dagli antichi disegni di animali graffiti sulla roccia ad una impressionante fenditura sul fianco di una montagna, dagli spettacolari archi naturali formati dall’erosione agli accampamenti dei pastori beduini. Al di là di queste attrazioni, però, qui la vera bellezza del deserto – una bellezza che lascia a bocca aperta – è il paesaggio stesso che ti circonda, fatto di alture, dall’aspetto quasi monolitico e dalle pareti quasi verticali, che sorgono direttamente dalla sabbia, pressoché piatta, e si alternano con questa in un intreccio a perdita d’occhio che, quasi subito, diventa un labirinto.
Non vogliamo perderci il tramonto sulle montagne del deserto, ma il sole scende rapidissimo e la nostra guida fatica ad arrivare in una posizione utile, tanto che, nella fretta, il furgoncino si insabbia e dobbiamo partecipare tutti quanti alle operazioni di recupero. Per fortuna bastano pochi minuti e, tutto sommato, la disavventura (che non lo è, poi, così tanto) non incide molto sui nostri progetti.
E’ in questa zona che sono state girate molte scene del celebre film “Lawrence d’Arabia” perché è proprio qui che molti fatti si svolsero davvero, ed è da qui che iniziò la marcia attraverso il deserto verso Aqaba, che è laggiù, dietro le alture.
Anche noi stasera saremo ad Aqaba, ma sarà una comoda strada a portarci fin là.
Partiamo mentre sta facendo buio. L’aria è così tersa che le stelle sono brillanti come raramente si vede in Italia, riusciamo anche a distinguere la “cometa dei faraoni” che inutilmente avevamo a lungo cercato a casa: anche il viaggio “notturno” avrebbe il suo fascino, se non fosse che l’indicatore del carburante si sta pericolosamente avvicinando allo zero e questo ci mette addosso un po’ d’ansia.
Tiriamo un sospiro di sollievo dopo un’ora e mezza quando vediamo le prime luci della città e in pochi minuti arriviamo al “Nairoukh Hotel 2” che, secondo quanto indica la guida, potrebbe fare al caso nostro. Massimo, con un abile contrattazione, riesce a spuntare un ulteriore sconto e prendiamo possesso delle nostre camere. Sono comode e decisamente al di sopra della media precedente, ci colpiscono, in particolare, le dimensioni molto contenute della finestra e quelle del gigantesco condizionatore: d’estate quaggiù il clima dev’essere davvero invivibile!! Usciamo in cerca di un posto per mangiare ed abbiamo subito una buona impressione della cittadina: molto vivace ed aperta, ricca di locali e di negozi, con l’atmosfera tipica di una stazione balneare. Per la cena scegliamo un localino del centro dove preparano un buon kebab in maniera molto spettacolare e poi possiamo passeggiare, finalmente, nell’aria piacevolmente tiepida della sera.
GIORNO 9 – LUNEDI 31 MARZO 1997 Colazione in albergo e poi di corsa a cercare un posto per infilarci in acqua. La ricerca non è molto semplice; passiamo per prima cosa alla spiaggia in città, ma il posto non è molto attraente e poi c’è il porto abbastanza vicino! Meglio saltare in macchina e andare fuori città. Prendiamo la strada costiera che si dirige verso l’Arabia Saudita e dopo una ventina di chilometri troviamo il Royal Diving Centre. Il posto sembra carino e abbastanza attrezzato, decidiamo di interrompere qui le nostre ricerche.
L’aria è già piacevolmente calda, ma l’acqua ancora risente dell’inverno appena trascorso. Nonostante siamo nel Mar Rosso c’è proprio bisogno delle mute anche soltanto per fare snorkeling. Per fortuna il centro le affitta, anche se le condizioni del materiale non sono delle migliori ci adatteremo! Aspettiamo che il sole sia alto – prima di entrare in acqua per il primo bagno – oziando sulla spiaggetta ed “occupiamo” uno degli ombrelloni di paglia di cui è attrezzata, per ora non serve a gran che, ma, se il buon giorno si vede dal mattino, più tardi diventerà indispensabile. E’ arrivata finalmente l’ora di tuffarsi. Una passerella ci porta oltre gli scogli e solo da lì si può entrare in acqua. Questo è indispensabile per evitare di toccare (e danneggiare) il delicatissimo corallo che vive sulle rocce. Siamo all’interno di un parco marino istituito proprio per proteggere questa meraviglia. L’acqua è fredda e la muta è proprio indispensabile, ma, superato un attimo di smarrimento, lo spettacolo, a pochi metri dalla riva, è superbo. I colori dei pesci, dei coralli e di multiformi creature marine riempiono gli occhi addirittura più che nei mari di Thailandia.
Rimaniamo in spiaggia tutta la giornata a rosolarci ad un sole che è diventato torrido (e qualcuno ne pagherà le conseguenze!); non lontano da noi ci sono anche le ragazze trevigiane che abbiamo conosciuto nell’albergo di Petra e pian piano facciamo amicizia, scambiandoci opinioni e racconti sul paese e, in particolare, sulla giornata di ieri che anche loro hanno passato a Wadi Rum. Per un pranzo veloce ricorriamo al bar del complesso e nel pomeriggio ci tuffiamo ancora tra la folla variopinta dei pesci, che ci lasciano di nuovo a bocca aperta. E’ uno spettacolo che vorremmo non finisse mai, ma alle 16.30 il centro chiude e, quindi, siamo costretti a raccogliere le nostre cose e a rientrare in albergo per una bella doccia rigenerante.
La passeggiata serale nel centro di Aqaba è dedicata agli acquisti, dal momento che troviamo la città molto più vivace di tutti gli altri posti che abbiamo visto ed abbiamo già adocchiato qualche negozio che sembra interessante. Il nostro acquisto più importante è una bella caffettiera beduina. Nel magazzino – che per certi aspetti sembra quasi un rigattiere – dove entriamo ce ne sono a centinaia di tutte le fogge e di tutte le dimensioni, alcune bellissime, altre ridotte in pessime condizioni, ma tutte indubbiamente originali, niente ciarpame per turisti! Andiamo a cena in un ristorantino in centro, il “Set el-Sham Restaurant”, consigliatoci da un ragazzo egiziano che è il capo cameriere del nostro albergo e con cui abbiamo scambiato due parole anche in spiaggia, ci ha detto che se poteva ci avrebbe raggiunto anche lui, ma non si vede. Riusciamo così a mangiare, ad un prezzo più che ragionevole, dell’ottimo pesce arrosto, ma con un insolito sapore un po’ speziato assolutamente gradevole. Ancora quattro passi e rincontriamo il solito gruppo di ragazze italiane, anche per loro domani è l’ultimo giorno in Giordania e in serata prenderanno l’aereo per l’Italia.
Non possiamo esimerci dal prendere con loro un appuntamento ad Amman: è il destino che ha voluto intrecciare per buona parte i nostri rispettivi viaggi in questa terra e vogliamo concludere in bellezza.
GIORNO 10 – MARTEDI 1 APRILE 1997 Come sempre, colazione in albergo e Massimo ci racconta il suo ultimo jogging giordano.
Decidiamo di prendercela comoda, in fin dei conti la strada per la capitale non richiederà più di poche ore e abbiamo tutto il tempo! Facciamo una puntatina fino alle rovine del castello di Aqaba, praticamente sulla spiaggia, che è tutto quello che rimane della città vecchia. Dev’essere proprio qui che l’onnipresente Lawrence ha sbaragliato la guarnigione turca! La città non offre molto altro da visitare se non il piccolo acquario – dedicato a flora e fauna del Mar Rosso – che si trova fuori, sulla solita litoranea per il confine saudita. Insieme a noi c’è una numerosa e rumorosa scolaresca che movimenta un po’ la visita, altrimenti di scarso interesse.
Un ultimo, breve, stop in centro città e poi, verso le 11, siamo sulla strada per Amman. Il viaggio è lungo e noioso, non c’è niente da vedere ed è interrotto soltanto da una sosta per il pranzo in un ristorantino, orgogliosamente libanese, che troviamo molto caro e non particolarmente raccomandabile, né come ambiente, né come cibo. Arriviamo, verso le 16.30, senza problemi, all’ormai usuale “Canary Hotel”. Una veloce rinfrescata è sufficiente per rimetterci in sesto e possiamo scendere in centro a goderci la città con una temperatura migliore. L’appuntamento è davanti al ristorante “Jerusalem” all’ora di cena e fino ad allora passeggiamo senza meta per le vie del centro.
L’aria primaverile deve aver risvegliato gli istinti dei locali perché, contrariamente a quanto avvenuto nei giorni precedenti, nel giro di poco tempo Fiorella, nonostante un abbigliamento “castigato” rimedia, tra la folla, una serie di anonimi pizzicotti al fondoschiena e alla fine sbotta, costringendoci a procedere in fila indiana con le “femminucce” al centro e i “maschietti” a proteggere le estremità.
L’appuntamento per la cena è rispettato quasi al minuto e il proprietario del ristorante ci riconosce (del resto siamo stati clienti quasi abituali) e ci accoglie cordialmente. Ma la sua cordialità dura poco: la cena è lunga e molto rumorosa: le nostre compagne sono proprio casiniste, ma, forse proprio per questo, molto simpatiche! Alla fine abbiamo l’impressione che non vede l’ora che ce ne andiamo.
Ci salutiamo con baci e abbracci sul marciapiede davanti al ristorante dando “scandalo” ai passanti e, poi, le guardiamo allontanarsi alla volta dell’aeroporto.
Un’ultima birra giordana e una telefonata a casa (che ci costa una fortuna), poi è meglio andare a letto perché domani ci aspetta un’alzataccia.
GIORNO 11 – MERCOLEDI 2 APRILE 1997 Il nostro aereo parte di buon’ora e, quando arriviamo, troviamo l’aeroporto quasi deserto. Anche l’ufficio a cui dobbiamo restituire la macchina è deserto, e il tempo stringe! Decidiamo di telefonare alla centrale, in città. Da lì ci rispondono di non preoccuparci, probabilmente il sorvegliante si è addormentato! Ma non c’è problema, possiamo lasciare le chiavi in macchina senza problemi! Seguiamo le istruzioni – un po’ increduli di tanta “fiducia” – e poi ci imbarchiamo.
Ad aspettarci non c’è “Furia” (così avevamo battezzato il “purosangue” dell’aria che ci aveva portato qui), ma un velivolo moderno e Beirut ci sembra dietro l’angolo.
Questa volta c’è un po’ di tempo da aspettare per la coincidenza, ma non abbastanza per pensare di uscire dall’aeroporto. Nell’attesa, ammazziamo il tempo dando una rapida occhiata in giro per l’aerostazione. A dire la verità non c’è molto da vedere! E’ piccola e semplice, come l’offerta dei negozi e dell’unico bar. I lunghi anni di guerra hanno lasciato un segno profondo anche nell’atmosfera pesante che è data dalle strutture trasandate e dalla presenza di parecchi militari. Sulle pareti campeggiano grandi ritratti di Assad – il “padre-padrone” siriano – e fa bella mostra di sé qualche sparuto vecchio manifesto pubblicitario che illustra le bellezze del paese e che ci fa sognare per un altro possibile viaggio futuro.
Un ultimo balzo e siamo di nuovo in terra italiana, più che in tempo per prendere l’autobus che ci riporterà a casa.
E’ il momento dei bilanci e di un po’ di nostalgia, come sempre quando finisce un viaggio. Torniamo soddisfatti. Abbiamo visitato un paese interessante e vario, nei paesaggi naturali come nelle testimonianze della storia. E poi c’è Petra – unica e bella da togliere il fiato – che da sola vale un viaggio in Giordania!!