Ricordo

Quello che desidero raccontare è un viaggio del cuore e della memoria che a un viaggio del corpo sempre più lontano e confuso fa riferimento. Desidero raccontarlo proprio per questo, perché non si cancelli del tutto. Nel 1999 ho trascorso un mese e mezzo in Messico lungo un itinerario improvvisato quotidianamente che da Chihuahua mi portò, in...
Scritto da: Simona Scolari
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Quello che desidero raccontare è un viaggio del cuore e della memoria che a un viaggio del corpo sempre più lontano e confuso fa riferimento. Desidero raccontarlo proprio per questo, perché non si cancelli del tutto.

Nel 1999 ho trascorso un mese e mezzo in Messico lungo un itinerario improvvisato quotidianamente che da Chihuahua mi portò, in compagnia di due amici, fino a Cancun seguendo l’ispirazione del momento, le suggestioni fantasiose di qualche film, il caso.

Così come è stato il caso a farmi partire per questa destinazione che prima di allora non avevo mai desiderato. Potrei raccontare dei posti che ho visto, dei monumenti, delle persone che ho incontrato, delle decine di pulman che ho preso e dei chilometri a piedi che ho fatto, dei numerosi letti in cui ho dormito. Ma quello che in realtà mi preme rievocare è altro: ancora oggi, qualche volta mi capita, mentre cammino per le vie di questa città, non so per quale misterioso mescolarsi di odori, di sentire improvvisamente un aroma, un profumo che mi riprecipita indietro nel tempo. E non sono più in piazza Duomo ma in una piazza messicana, seduta sui gradini della chiesa davanti allo zocalo, con gli occhi chiusi; un raggio di sole mi riscalda la faccia e un alito di vento mi sfiora. Sento la gente che cammina e chiacchiera intorno a me e odore di cannella e di cuoio, di sciroppo e di sudore. Oppure mi ritrovo in piedi sul tetto davanti alla mia camera, di fronte i tetti delle poche case diroccate, la chiesa e una distesa di cactus e colline di ghiaia a perdita d’occhio. Sole a picco e vento glaciale, dalla strada sottostante l’odore acre di un mulo. O in un autobus sigillato ma con l’aria condizionata guasta, a sudare tra donne che mangiano con bambini in braccio e anziani che dormono. O ancora in cima alle rovine di qualche tempio, nessuno intorno, solo verde e orizzonti disabitati più ampi di quelli che potrò mai vedere da qui. Alcuni non capiscono perché allontanarmi da casa di tanto in tanto sia per me così importante. Altri non capiscono come faccia a non aver paura a viaggiare senza sapere dove sto andando. In verità, io ho sempre paura prima di partire. Ma mi chiedo come facciano loro a non avere paura sapendo sempre dove si trovano, cosa devono fare e dove devono andare. Tutti si lamentano del fatto che dopo tanti anni ancora parlo di questo viaggio sempre più lontano e ormai più simile a un sogno che a un ricordo. Ma non si rendono conto che io non sono più stata la stessa persona da quel momento: le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone (John Steinbeck).



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