Guatemala, tenendo occhi e cuore ben aperti

Se mi fosse stato chiesto due mesi fa: “chi è un guatemalteco?” Avrei risposto: “è un abitante del…Guatemala”. La definizione, di per sé, non è sbagliata, ma è estremamente riduttiva. Quanti di noi sanno la storia di questo piccolo paese a sud del Messico, quanti di noi sanno della guerra civile, dei soprusi dell’esercito, delle...
Scritto da: Sonia Cremonino
guatemala, tenendo occhi e cuore ben aperti
Partenza il: 30/07/2002
Ritorno il: 23/08/2002
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
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Se mi fosse stato chiesto due mesi fa: “chi è un guatemalteco?” Avrei risposto: “è un abitante del…Guatemala”. La definizione, di per sé, non è sbagliata, ma è estremamente riduttiva. Quanti di noi sanno la storia di questo piccolo paese a sud del Messico, quanti di noi sanno della guerra civile, dei soprusi dell’esercito, delle torture, degli assassinii, della ventennale repressione di un intero popolo? Possiamo chiamarla ignoranza o mancata informazione o strategia politica da parte di chi non vuole far sapere ciò che accade nei paesi sfruttati del terzo mondo, fatto sta che i guatemaltechi esistono e che la loro più grande paura è proprio quella di essere dimenticati dal resto del mondo. Chi è un guatemalteco allora? E’ un bambino, senza papà e con dieci fratellini, che ogni mattina si alza e, se ha la fortuna di poter ricevere un’istruzione, cammina per ore prima di raggiungere la sua scuola. E’ una mamma, con un marito massacrato e ucciso durante la guerra, non sa come sfamare le sue creature e come difenderle dalla strada polverosa e violentatrice. E’ un contadino, che non ha più la sua terra e lavora 12 ore al giorno, sotto il sole cocente, per una cifra che calpesta la dignità umana. E’ un vecchio, che a 70 anni viene cacciato dal campo che ha coltivato per tutta la vita e che si ritrova, con tutta la sua famiglia, sul ciglio di una strada, senza un tetto che lo ripari dalla crudeltà della vita. Un giorno una bimba, prima di lasciarci, ha voluto cantare una canzone che raccontava la storia del suo popolo: le cruente cifre delle vittime dell’esercito, le barbariche conseguenze delle torture e dei massacri sono penetrate in noi fino allo stomaco, attraverso la sua timida voce; sarà difficile anche solo che si sbiadisca il ricordo del sorriso di quella piccola guatemalteca, mentre terminava il canto con le parole: “allegria e speranza”.

In queste persone, maltrattate dalla sorte e prese a schiaffi dal resto dell’umanità, ho trovato la vera ricchezza che, ovviamente, non è quella del portafoglio, ma è quella della semplicità, degli affetti, della gratitudine per quel poco che si ha, del vero spirito di comunità. L’individualismo nelle realtà più povere non esiste, la comunità non è solo un insieme di persone che abita nella stessa zona, ma che vivono insieme, nell’accezione più complessa del termine. Erano commoventi tutti gli sforzi che facevano per farci sentire parte integrante della comunità, per farci percepire l’amore e il rispetto che tengono unita quella loro grande famiglia.

L’esperienza intrapresa aveva lo scopo di sconvolgerci e di cambiarci nel profondo: tutte le volte che ho trattenuto le lacrime davanti al sorriso di un bambino, tutte le volte che, invece, ho pianto, per i racconti fattici dalle persone che hanno vissuto il terrore sulla loro pelle, tutte le volte che ho abbracciato o stretto la mano alle persone che mi erano vicine durante la messa, “scambiandoci un segno di PACE”, tutte le volte che ho incrociato lo sguardo triste e affaticato di un campesinos che tornava dai campi e tutte le volte che ho compartito con i miei compagni di strada i miei pensieri…Ognuno di questi momenti mi ha cambiata, certe situazioni hanno lasciato un segno più forte, altre meno, ma so che oggi non sono la stessa che ero due mesi fa.

Non importa come andate in guatemala (con un tour operator di turismo consapevole sarebbe sicuramente meglio!) quel che importa è lo spirito con cui ci andate: tenendo occhi e cuore ben aperti!



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