Altro Messico

E finalmente ci siamo: è il momento delle tanto agognate e sudate FERIE! ! Tanto per cambiare sono da solo e tanto per cambiare non so dove andare. So già che vincerà il primo amore, il Messico, ma provo a resistere e cerco altre destinazioni che, guarda caso, mi tocca scartare per un motivo o per l'altro. Ma ormai non fingo neanche di essere...
Scritto da: Gianluca Bigotti
altro messico
Partenza il: 07/01/2003
Ritorno il: 30/01/2003
Viaggiatori: da solo
Spesa: 1000 €
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E finalmente ci siamo: è il momento delle tanto agognate e sudate FERIE! ! Tanto per cambiare sono da solo e tanto per cambiare non so dove andare. So già che vincerà il primo amore, il Messico, ma provo a resistere e cerco altre destinazioni che, guarda caso, mi tocca scartare per un motivo o per l’altro. Ma ormai non fingo neanche di essere dispiaciuto. Ma è solo all’aereoporto che realizzo dentro di me che sto partendo alla volta del Messico, stavolta con la scorta dei libri e delle suggestioni di Pino Cacucci (e Sepulveda: ma il Cile è nel mirino) e dei suoi libri (e di molti altri) bene impressi nella mente, con una voglia di “messicanità” da non stare nella pelle. Finalmente Città del Messico mi accoglie tra le sue braccia (dopo un volo impeccabile con Continental, non foss’altro per i quasi scandalosi controlli agli aereoporti U. S. A, ma si sa, la sicurezza. ) e mi ricorda i suoi milioni di abitanti con una folla incredibile: cominciamo bene, ma è questo che sto cercando. L’albergo prenotato (Lepanto) dall’Italia non è male, anche per la posizione, vicino all’Alameda ed anche se è già sera non resisto alla tentazione ed esco, ma mi pento subito perchè mi sono fatto convincere dal portiere ad andare nella “mitica” Zona Rosa, la culla della vita notturna del D. F. : non solo non c’è nessuno (forse sarà presto), ma è veramente squallido e scappo via, facendomi vincere dalla fatica e dal letto. Dopo il meritato riposo, giretto classico: si comincia dall’irrinunciabile colazione al Cafè Popular, vero rifugio per tutte le ore e tutti gli appetiti all’inizio di 5 de Mayo, ma la vista richiede lo shock dello Zocalo di mattina, inondato di sole e già traboccante di ambulanti, passanti, poliziotti, turisti e chi più ne ha ne metta. Cerco di cambiare i pochi euro che mi sono portato dietro e scopro che soltanto lo Scotiabank Inverlat li accetta, dietro presentazione del passaporto, altrimenti solo traveller’s e dollari: decido di cambiarli tutti per non avere più problemi. Dopo aver ammirato i murales di Rivera (non il calciatore) nel Palacio Nacional, mi dirigo nella Piazza S. Domingo, leggermente a Nord, con la sua incredibile collezione di scrivani e stamperie “fin de siècle” sotto i portici, mentre al ritorno non posso credere alla fila ancora lunga dentro il Monte de Pietad, mentre fuori chiunque mi chiede se voglio vendere qualcosa, magari d’oro. Passo davanti alla lunga fila di elettricisti, idraulici, tappezziere e chissà cosa in attesa di ingaggio appoggiati all’inferriata della Cattedrale ed entro per ammirare. I lavori di restauro e affogare nella polvere alzata dagli stessi. Termino il lato religioso della giornata con il santuario di Guadalupe che raggiungo in metro e che non finisce mai di stupirmi per tutta una serie di motivi e finisco la giornata al roof del Majestic, sorseggiando una cerveza davanti alla bandiera del Messico più grande del mondo, mentre sotto di me, la città si spegne piano piano e vedo scomparire gli aereoplani dietro una muraglia di antenne, pensando che ormai atterrano direttamente fra le case. Mi sveglio con la chiara intenzione di andare fino a Coyocan, regno incontrastato dei ricordi di Frida Khalo, Trotzkji, Rivera e mi ritrovo in un ambiente che ha ben poco in comune con la città che ha intorno: quasi un oasi. Il tamonto mi sorprende al banco de La Opera tappa altrettanto irrinunciabile in 5 de Mayo, a due passi dal Palacio des Bellas Artes, a parlare con due signori di mezza età di calcio, del mio viaggio, del loro lavoro, dei loro viaggi, a prdinarsi birre e tequilas a vicenda, finchè non ci ritroviamo fuori, loro ormai in ritardo ed io felice come non mai a scambiarci indirizzi e promesse di chissà cosa. Ma l’indomani è già tempo di andare e così eccomi al Terminal Sur des Autobuses con in mano un boleto per Zihuatanejo, che raggiungo dopo un buon 9-10 ore di viaggio, ma finalmente sono al mare ed ho percorso la famigerata statale 200 di giorno, in piena luce e tranquillità. Trovo alloggio presso la Casa des Huespedes Miriam, non pulitissima ma decorosa ed economica e mi lancio alla scoperta della città che è davvero tranquilla per via della bassa stgione, come mi assicurano un pò tutti: meglio così! ! Mi consigliano spassionatamente Playa La Ropa e Playa Las Gatas (come chi: i camerieri, i baristi, i gestori degli “abarrotes”-veri spacci di merendine, acqua, noccioline, sigarette,. ) e decido di andarci il giorno dopo mentre sono davanti ad un piatto di “tiretas”- filetti di pesce crudo su cipolle, lime e, naturalmente, chile verde-, specialità di Zihua, in uno dei “centri Botaneros” che trovo nelle stradine del centro, dove vengo accolto da due campesinos che sono in paese per vendere la loro verdura ed altri prodotti. Il giorno dopo riesco a tuffarmi nella baia a la Ropa, dove passo tutto il giorno in completo relax ad ustionarmi ed inizio a studiare i prossimi spostamenti. Il rito della colazione lo svolgo al Mercato, dove mi siedo alla cocina più affollata ed ordino un chile relleno, alla faccia della leggerezza, ma oggi mi aspetta playa Las Gatas e quindi vado al molo per imbarcarmi sulla lancia e dopo un 10 minuti eccomi sdraiato all’ombra a due metri dal mare in una delle tante enramadas di pesce che ci sono là (un consiglio: evitate le ultime due sulla destra, piene di gringos boriosi e cotti a puntino, anche se proprio in fondo scopro un resort che affitta bungalows-un pò cari, ma la posizione. -direttamente sulla spiaggia nel più totale silenzio). Giornata dedicata al dolce far niente, ma ormai mi aspettano altri posti e non posso più restare. Mi sposto di poco in realtà, perchè raggiungo Playa Azul via Lazaro Cardenas-da evitare totalmente o comunque usare solo come scalo. Il paradiso: non c’è nessuno, forse neanche gli abitanti, qualche cane e delle bancarelle deserte. Miaffaccio sul mare, una tavola anche se è mare aperto, mangio “qualcosa” (un filetto di pesce ripieno di molluschi) ed affitto un cuarto economico dal fratello del ristoratore a 5 metri dalla spiaggia, per poi godermi quella grande invenzione che è l’amaca, proprio nella enramada dove ho mangiato: basta consumare qualcosa e ci si può sdraiare per tutto il giorno. Sembra che abbia trovato la mia dimensione ma dopo 2 giorni di pacchia e spiaggia deserta (ci sono solo i pellicani) devo ripartire, anche se faccio un pensierino per poterci poi tornare. Ed ecco Guadalajara, che si annuncia enorme come il suo terminal degli autobus: non solo, è anche freddina, sarà perchè siamo sui 1500 metri? Alloggio abbastanza comodo (San Rafael Inn) e pulito ma frequentato da quelli che devono essere studenti U. S. A. Ma che sono senz’altro di uno snob e di una antipatia unica: peggio per loro) : La Cattedrale e le tre piazze dintorno sono davvero belle e smisurata è la piazza Tapatia, forse fin troppo moderna e piena di centri commerciali e naturalmente orafi come se piovesse. Più genuino il mercato a tre piani lì vicino e mi prende un pò di tristezza quando raggiungo lì dietro Paza Mariachis, il luogo dove sarebbe nata la musica omonima, ridotto ormai uno spettacolo per turisti, dove i musici sono distratti deal suono dei cellulari che portano in vita. Ma anche qui la fortuna è dalla mia e trovo la cantina giusta dove rompere il ghiaccio e conversare con qualcuno del più e del meno, giusto per passare il tempo. Il freddo mi ricorda che è buio e torno a riposare anche se la vita notturna mi tenta un pò ma è dall’altra parte della città. Il programma del giorno dopo prevederebbe la visita all Herradura, la fabbrica della Tequila che più mi piace (e che + costa! ! ! ) ma non riesco a trovare il n° telefonico giusto e ripiego sulla Perseverancia, la fabbrica della Sauza, che raggiungo dopo tre ore di corriera di 2 classe in un mare di agavi verde-azzurrognoli. Anche se è tutto molto asettico la visita vale il costo del viaggio e poi sulla corriera trovi certa gente! ! ! Si riparte, questa volta con destinazione Zacatecas, una delle città dell’argento, dove arriviamo che è già sera, alla faccia delle indicazioni temporali della Lonely (comunque davvero utilissima). Non posso non andare, visto che è venerdi (forse! ?) alla discoteca ricavata in una vecchia miniera d’argento: e così eccomi sul trenino che mi porta 600 metri nell cuore della montagna dove la gioventù locale sta facendo festa. Conosco Tre ragazzi/e e mi portano in un altro locale in centro, con la loro macchina, questo davvero affollatissimo, dove si balla sui tavoli a musica altissima: alle 4 mi accorgo di averli persi e vado a letto mentre la festa continua, ma devo svegliare il portiere che se la dorme bellamente e mi rendo conto che fa un freddo cane: batto i denti! !. La città il giorno dopo è davvero carina, un bijou, mentre mi scordo il freddo della notte prima in caffè Illy (si può fare pubblicità?) davvero impeccabile: la cattedrale anche qui è in restauro, ma la funivia al Cerro della Bufa, vero belvedere, la visita alla miniera d’argento dell’Eden ed il mercatino degli indios riescono a soddisfarmi ampiamente. Ritrovo per caso i miei anfitrioni della sera prima e riescono a strapparmi la promessa di andare con loro alla sera in giro come la precedente: e così sia! ! Non so come, ma il giorno dopo sono sull’autobus con destinazione prima San Luis Potosì, poi Matehuala e poi, finalmente, Real de Catorce. Qui inizi a renderti conto di quanto sia grande il deserto e di come debba esser dura viverci anche soltanto ai mergini, ma c’è qualcuno che a quanto vedi, ci riesce. Inizio finalmente ad essere intimamente convinto e contento di essere venuto fin quaggiù, da solo: non mi importa di fare neanche le foto, tanto tutto questo mi cambierà. Forse non stravolgerà la mia vita, ma qualcosa, forse anche solo la consapevolezza di questi posti mi ha senz’altro reso più ricco. La parte “finale” della strada per Real, dopo Cedral, è tutta ciottolata e si attraversa quello che è un lontano parente di un villaggio, anzi 2, prima di arrivare all’Ogarrio, Il tunnel che ci condurrà dall’altra parte, tutto questo sotto un sole impietoso e un cielo che si è scordato le nuvole. Al Trasbordo per la corriera più piccola trovo le 3 ragazze di Cuneo con le quali faccio subito combriccola ( a proposito, un saluto alle ragazze del “Buio” se leggessero questo racconto: ciao Silvia, Serenella, Antonella) ed affittiamo le stanze a La Providencia, la prima casa des Huespedes che troviamo in paese, anche perchè è quella che ci ha convinti un pò di più. Adesso capisco perchè la gente viene fin quassù a 2800 metri a girare film o soltanto ad abitarci: il paese ha qualcosa di magico, e non è soltanto per il mito del peyote che aleggia nelle strade e sulle facce dei molti gueros che si trovano in giro, ma anche per i colori del deserto il giorno dopo, quando faccio un’escursione a cavallo che mi distrugge dalla fatica ma che ricorderò per un bel pezzo, anche perchè è la prima volta che cavalco e camminare sull’orlo dei burroni dopo un pò è anche divertente. Quando decido di girare per il paese l’altitudine mi ricorda che devo fare tutto con calma e sedermi spesso, ma la cantina è davvero da film Western, sia per i frequentatori che per l’ambiente, e mi guardo in loro compagnia una partita di calcio alla tele (ahimè, unico neo, ma siamo nel 2003) che scopro essere LA partita dell’anno per i Messicani: Americas-Guadalajara. Lascio le mie amiche al loro giro che sembrava davvero interessante e riparto alla volta di Saltillo, ma per tornare a Matehuala perdo la corriera ed allora autostop all’Ogarrio dove salgo nel cassone di un pick-up che sfreccia nel deserto a 80 Km/ora. Sono però sempre meno convinto di arrivare fino a Chiuahua, anche per le 12 ore di pulmann che dovrei sorbirmi per la sola andata. Un pò a malincuore ma ci rinuncio, a prendere il trenino per Los Mochis e vedere la Barranca del Cobre, ma altrimenti sarebbe diventata una faticata, e poi così ho il motivo per tornare ancora in Messico, fra 2/3 anni. Mi dirigocosì nuovamente a sud, fino a Guadalajara, dove trovo subito la coincidenza per Manzanillo, per tornare al mare a El Paraiso e Cuyucan, che la guida mi dice essere abbastanza isolata per un meritato riposo. Se non che, quando arrivo a Manzanillo, ttrovo sia la città che i paesi intorni (Tecuman in cima) intenti aleccarsi le ferite che ha lasciato il terremoto di 3 ore prima: la mia vacanza conta ben poco dinnanzi a ciò, ma si sballa completamente. Vedo le case distrutte, macchine sotto le macerie e mi dicono che a Colima, poco distante, è anche peggio. Non sto a dirvi quello che ho provato, ma raggiungere un centro abitato che fosse sicuro (è vero: egoisticamente) e in contatto com il mondo esterno è stato per me di primaria necessità, anche per tranquillizzare a casa: così è stato, e l’autista del pullman che mi aveva portato a Tecuman ma ha visto scendere e risalire subito dopo per poter raggiungere ancora un volta Lazaro Cardenas, che mi dicevano illeso dal terremoto e poi tornare a Zihua, dove avrei trovato anche un aereoporto. Dopo un viaggio allucinante per quella costa che avrebbe dovuto vedere finire le mie vacanze in tutta tranquillità spaparanzato al sole, arrivo a destinazione e posso chiamare a casa dove sento tutti in agitazione, ma anche questa volta è andata bene. Decido comunque (poi mi sarei mangiato non le dita ma anche i gomiti) di rientrare prima e faccio in tempo a farmi cogliere dalla maledizione di Montezuma (leggera, per fortuna e poi avevo le medicine giuste), quasi una punizione per voler lasciare il Messico così. Il ritorno è via Houston-Amsterdam, dove un tre giorni mi fermo proprio, alla faccia del lavoro che mi aspetta a casa! ! ! Ma anche stavolta ho saziato la mia voglia di messicanità, di quella gente, di quel tipo di vita, o meglio di quella filosofia e ritmo di vita che tanto ha saputo coinvolgermi finchè non tornerà (senza ombra di dubbio) a stringermi allo stomaco ed ordinarmi di tornare. Quando ne parlo con i miei amici, dicono che mi brillano gli occhi dalla felicità, ma secondo me, c’è anche un pò di qualcos’altro, forse malinconia, forse tristezza perchè non ho il coraggio di mollare tutto e scappare laggiù, dove FORSE la gente è ancora vera, ma chissà.


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