Dai vulcani alla selva

Ecuador ottobre 2002 appunti di viaggio Gordon Sono le sei del mattino quando i raggi del sole penetrano attraverso i vetri della camera dell' hostal Auberge, qui l' alba non esiste, e' subito giorno, e imbrunisce presto. Siamo arrivati ieri sera dopo un viaggio durato ventiquattro ore (Roma-Malpensa-Caracas-Bogotà- ...
Scritto da: Marco Di giorgio
dai vulcani alla selva
Partenza il: 21/10/2002
Ritorno il: 05/11/2002
Viaggiatori: da solo
Spesa: 1000 €
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Ecuador ottobre 2002 appunti di viaggio Gordon Sono le sei del mattino quando i raggi del sole penetrano attraverso i vetri della camera dell’ hostal Auberge, qui l’ alba non esiste, e’ subito giorno, e imbrunisce presto. Siamo arrivati ieri sera dopo un viaggio durato ventiquattro ore (Roma-Malpensa-Caracas-Bogotà- Quito), e’ nostra intenzione fare il giro degli altopiani per poi entrare nella selva amazzonica. Per Gianni è il suo primo Sud-America, per me e’ la conclusione di un itinerario che partendo dal Perù, toccando il Cile, il Guatemala e Messico approda in Ecuador, quindi il mondo andino con la sua storia , con i suoi eterni conflitti, alla vigilia di una globalizzazione economica incipiente.

Prima visita alla città, il centro storico ha come baricentro la città coloniale spagnola; i palazzi bianchi con le tegole rosse, la cattedrale, il palazzo presidenziale con la guardia in divisa storica, il teatro, le vie strette e lastricate, il traffico è costituito in prevalenza da bus pubblici e taxi, quindi abbastanza scorrevole ed a buon prezzo. Visitiamo il museo dedicato ad un eroe dell’indipendenza ecuadoriana, Antonio Josè Sucre, assomiglia molto ai nostri eroi risorgimentali, mi piacerebbe chiedergli che cosa ne pensa della dollarizzazione della valuta avvenuta un paio di anni fa’, trasferendo di fatto la sovranità popolare a Washington.

Le strade di Quito sono una vetrina interessante, una immensa umanità densa e varia, ciò che colpisce è l’ età media della popolazione che e’ molto bassa, la varietà delle razze con tutti gli incroci possibili, le donne, piccole ma carine, accentuano nel loro abbigliamento i caratteri femminili. Le strade sono incorniciate da piccoli negozi, alcuni ricordano un po’ i nostri negozi degli anni cinquanta. Al limite della città coloniale c’è la Quito moderna, si tratta della zona dei grandi alberghi, delle sedi delle multinazionali, delle compagnie aeree, poi verso nord inizia una sterminata periferia che si sviluppa come un cuneo nel fondovalle del vulcano Pichinca. .. La corriera corre sull’ altopiano, tra le nuvole si intravedono i primi vulcani, venditori di caramelle, patatine, e oggetti vari, salgono e scendono continuamente, ogni volta ripetono noiosamente le virtù delle loro merci. Tra i passeggeri silenziosi molti sono indigenas, probabilmente campesinios, le donne indossano gli abiti tradizionali dei loro pueblo, nei loro volti quasi scolpita la dignità sottomessa. Superiamo le città di Lachatunga e Ambado, dopo circa tre ore e mezza raggiungiamo la città di Rio Bamba in prossimità del vulcano Chimborazo. Troviamo alloggio nell’ hostal “Tren Dorado” vicino alla stazione ferroviaria. La città si trova a circa 2600 mt. Di altitudine, probabilmente ha subito nel tempo svariati terremoti, poco è rimasto della città coloniale, le case sono modeste, spesso incomplete, la mancanza di mezzi economici fa si che vengono costruite quel tanto che è sufficiente a renderle abitabili. Lo stesso la città e’ vivace, la presenza del vulcano Chimborazo attira molti turisti. Intorno alla stazione ferroviaria ci sono molti alberghetti, botteghe…

Il giorno successivo prendiamo il “ferrocarril” (treno) per raggiungere “le nariz del diablo”, si tratta di un capolavoro di ingegneria ferroviaria realizzata all’ inizio del secolo, ormai lo stato della ferrovia e’ al limite della percorribilità, raramente le traversine hanno tutti i bulloni, praticamente è un tratto ad esclusivo uso turistico, ma è interessante, dopo aver superato un lungo tratto di altopiano la ferrovia scavalca letteralmente una montagna, una serie impressionante di tornanti, i passeggeri per godere meglio la vista viaggiano sopra la carrozza. Penso a quegli uomini che alla fine del secolo scorso l’ avevano progettata, quali speranze di sviluppo erano riposte in questo mezzo, proprio il treno un mezzo di trasporto collettivo per antonomasia. Oggi in Sudamerica dove tutto ciò’ che e’ collettivo sta’ capitolando, l’ economia vuole sacrifici economici, e chi paga sono quelle strutture che erano a disposizione di tutti. I treni vengono dismessi e i campesinos continuano a zappare la terra come all’ inizio del secolo. Domenica ci sono l’ elezioni presidenziali, ciò vivacizza la vita della città, sembra di essere a carnevale; cortei di macchine, gaget, pubblicità asfissiante sui giornali e televisione, concerti pagati dai candidati, purtroppo anche gli indigenas sono coinvolti passivamente in questo circo equestre. Comunque qualcosa sta’ cambiando, il candidato favorito sembra che sia il colonnello Lucio Gutierrez, gode l’ appoggio delle popolazioni indegenas, qualche giornale lo definisce il candidato antisistema..

Il giorno successivo con un camioncino con tanto di divano, ci facciamo portare sulla strada del Chimborazo, la giornata non promette bene, infatti ci troviamo rapidamente immersi in una nebbia, faticosamente e senza vedere quasi nulla raggiungiamo il primo rifugio, l’ unica cosa che riesco a vedere sono una serie di lapidi a ricordo di sfortunati alpinisti, non mi mette allegria, con fatica raggiungiamo il rifugio Whymper a quota 5000 mt. Sono “mucho cansado”, il tempo non cambia, Gianni capisce che non ci sono le condizione per proseguire per cui non ci rimane che scendere.

La serata la trascorriamo per le vie di Rio Bamba, e’ venerdì, c’e’ maggiore movimento in giro, capitiamo in un locale (cafeteria-tacheria) decisamente occidentale, e’ affollato di gioventù, le ragazze hanno l’ abbigliamento molto curato, lo stile e’ quello delle nostre veline, in mano esibiscono il telefonino come corredo del loro “look”, capisco che e’ questa la globalizzazione, ovvero un modello culturale unico, organico al sistema di produzione neo liberista. Quì il contrasto è stridente, e’ proprio vero esiste il denaro per la Coca-Cola, per gli ordigni elettronici, per le armi, per il superfluo e manca per le cose fondamentali.

Lasciamo Rio Bamba, salutiamo il proprietario dell’ hostal, è stato veramente gentile, prendiamo un taxi per la stazione dei bus quindi la prima corriera per Ambado. Comincio a dare significato alla parola altopiano, si viaggia costantemente tra i 3000-3500, le colline incorniciate dalle nuvole sembrano un “plaid” formato da quadrati di terre destinate alle varie coltivazioni, qli arbusti sono rari. Cambio al volo di corriera e prendiamo la direzione per Banos, una cittadina all’ ombra del vulcano TUNGURAUA. Prendiamo alloggio in un modesto hostal ” Il Transilvania” (2 $ per camera) . Banos per le sue terme di acqua calda e’ una cittadina turistica, e per la sua posizione un’ ottima base per le escursioni nella selva amazzonica. Il centro e’ carino, animato da ristorantini, negozi di artigianato locale, buono.. il passaggio serale sulla via principale. In serata contattiamo una guida, e’ un indiano “quichuas” della regione amazzonica, il suo nome è Leonardo (sic), ci accordiamo per un giro di tre giorni nella selva. La mattina successiva con una corriera prendiamo la strada per Puyo una cittadina all’ inizio della selva amazzonica, la strada è molto bella, la vegetazione cambia rapidamente, il tracciato è costantemente esposto, l’ autista e’ molto disinvolto. E’ un percorso ideale per la mtb, una lunga discesa con ritorno in bus. Raggiunta Puyo, un fuori strada ci porta al limite della “carrettera” dove scarichiamo gli zaini. Indossiamo gli stivali e ci inoltriamo nella foresta, primo impatto è di meraviglia per una grandissima varietà di forme di vita: tra i grandi alberi, che possono raggiungere i 50 m di altezza, e il suolo si sovrappongono strati di vegetazione di aspetto diversi; felci, orchidee. Le liane, si appoggiano agli alberi, crescono fino a raggiungere le altezze dei grandi alberi, naturalmente la quantità di luce che raggiunge il suolo e talmente ridotta che lo strato erbaceo viene a mancare.. Leonardo apre il sentiero a colpi di machete, mi chiedo come faccia ad orientarsi, raggiungiamo una piccola cascata che precipita in una laguna, è fantastica, mi immergo nell’ acqua, sotto la cascata il getto ti toglie il respiro. Riprendiamo il percorso, superato un largo torrente con l’ ausilio di una canoa fatta con il fusto di un acero negro. Arriviamo presso una comunità indigenas, composta da due famiglie. Essendo queste comunità al limite della foresta gli indigenas sono abituati al passaggio dei “gringos” , anzi ne traggono un vantaggio economico che integra la loro povera economia, fatta da un po’ di agricoltura, un po’ di caccia e pesca, in ogni caso ci mettono a disposizione una capanna per la notte e la possibilità di preparare la cena. L’ amaca mi dondola dolcemente, osservo Leonardo che intorno al fuoco prepara la cena; avrà circa trentanni, il fisico è asciutto e robusto, i capelli sono lunghi e neri, il viso ha tutta la nobiltà del suo popolo. L’ audio della foresta e’ in piena azione credo che non ci lascerà per l’ intera notte. Mi fumo una buona sigaretta, sento un piacere pervadermi, è una sensazione inaspettata, penso che questo contatto ravvicinato con la natura sia il dolce colpevole. Dopo una ottima cena al lume di candela, la nostra guida indiana con il suo castigliano scolastico ci parla della sua vita, dei rischi che corrono le comunità indigena; gli interessi delle compagnie petrolifere, la politica del governo centrale, l’ aiuto delle istituzioni non governative occidentali. Mi rendo conto che per gli indigeni la loro identità e’ più’ importante della vita. Con questi pensieri mi infilo dentro la zanzariera. La pioggia sul tetto di stuoie di palma e lo scroscio del rio vicino mi accompagnano in un dolce sonno.

Il giorno successivo riprendiamo il cammino nella selva, la pioggia della notte ci costringe a camminare nel fango, bisogna stare attenti dove metti i piedi altrimenti ci lasci dentro gli stivali. La selva ti sovrasta, ho l’ impressione di essere un insetto. Durante il percorso Leonardo ci mostra le varie piante medicinali utilizzate dagli indigeni; il sangue del drago; e’ una resina che viene spalmata sopra le ferite da taglio per una rapida cicatrizzazione, la cagnia- agria come antiparassitario, il “lallo” come disinfettante. Più interessanti sono le cose con cui puoi nutrirti; la frutta (banane, naracillas), le radici (iuca), il cuore di palma, vera prelibatezza. Infatti lungo il percorso Leo raccoglie tutto ciò che è utile per la “comida”. Il percorso si snoda lungo vari piccoli corsi d’ acqua, i piedi dentro i stivali sono ormai costantemente a bagnomaria. Raggiungiamo una capanna vicino una laguna, e’ un ottimo posto per passare la notte e buono per osservare la laguna, sembra che sia battuta dai caimani. Ci cambiamo per poter asciugare quello che abbiamo addosso, ormai è tutto bagnato, fortuna che basta un po’ di sole che filtra tra le chiome della selva. E’ il momento del relax, una buona sigaretta e in silenzio l’ occhio scruta questo immenso orto botanico della natura, una quantità di svariati e variopinti uccelli volteggiano tra i rami, un caimano entra fragorosamente nella laguna per poi immobilizzarsi. La sera trascorre intorno al fuoco, Leo ha preparato del riso condito con il cuore di palma tagliato finemente, un buon caffè’ accompagna una delle ultime sigarette, Nel buio della laguna le lucciole fanno i fuochi artificiali, i caimani si preparano alla caccia notturna, sento il respiro della selva, e’ un vero piacere. Il giorno successivo riprendiamo il percorso che si dirama su una altura fino a raggiungere l’ abitato di Carlos un indigeno shuar, si tratta di diverse costruzioni in legno poste a corona di un ampio spiazzo, qui mettiamo in acqua una canoa, carichiamo gli zaini e iniziamo la via di ritorno, e’ un percorso fantastico, la canoa in legno di acero scorre dolcemente dentro questo paradiso della natura, per gli indigenas la vie fluviali sono come per noi il nostro sistema stradale. Tratti dolci si alternano a tratti ripidi, Leo con una lunga canna di bamboo guida abilmente la canoa, noi abbiamo il problema di abbassare la testa quando la vegetazione si fa fitta e alzare le chiappe quando l’ acqua entra nell’ imbarcazione. Molliamo la canoa in un punto dove arriva una “carretteras”, In attesa dell’ arrivo di un fuoristrada approfittiamo per farci un bel bagno nel Rio … questa volta con tanto di sapone. Qui si conclude questo piccolo assaggio di selva amazzonica, e’ stata una bellissima esperienza, oserei dire un viaggio nel tempo, in quello che la natura ci ha dato generosamente, e che oggi quasi con disprezzo l’ uomo forse per ignoranza o più probabilmente per ingordigia tende a distruggere. Loro, gli indigenas lo hanno capito, assistono ormai da secoli a questa continua profanazione, difendono a denti stretti la loro civiltà perché sanno che e’ l’ unica via possibile per la sopravvivenza dell’ uomo. Ritorniamo a Puyo, dopo aver cenato prendiamo la prima corriera per Banos, con tristezza salutiamo Leonardo, è stato uno splendido compagno, spero che abbia percepito la nostra stima e la nostra solidarietà. Adios. E’ notte fonda quando arriviamo alla stazione dei Bus di Quito, alla larga dei ladrones ci infiliamo nel primo taxi e raggiungiamo l’ Hostal Auberge. La mattina successiva dopo un giro stressante tra gli uffici delle compagnie aeree per la conferma dei voli di ritorno, prendiamo una corriera per il nord diretta a Otavalo. Durante il percorso attraversiamo violenti acquazzoni che si alternano ad ampie schiarite, sfioriamo il vulcano Cayambe senza vederne la cima, superata la laguna di Pueblo raggiungiamo la nostra meta. Otavalo ci accoglie sotto una leggera pioggia. La città è abitata prevalentemente da indigenas, i negozi sono molto ben forniti di prodotti artigianali e soprattutto prodotti tessili. Direi quasi che gli abitanti sono visibilmente benestanti. Infatti questa città ha una grande tradizione nella lavorazione dei prodotti tessili, è una caratteristica storica di questa comunità indigenas, Prendiamo alloggio presso l’ hostal Indio sull’ angolo della famosa piazza dei Ponchos dove ogni domenica si tiene uno dei mercati artigianali più famosi dell’ Ecuador. Il pomeriggio lo dedichiamo alla fotografia, è un posto ideale; i volti delle ragazze indigene con i loro lunghi capelli neri, le bancarelle dei mercati, le cime dei vulcani che circondano Otavalo, le vie strette e lastricate, sono sufficienti per realizzare un buon servizio fotografico. In questa città ho l’ impressione di trovare un buon equilibrio interetnico, potrei quasi dire che è il primo insediamento urbano dove la popolazione indigena e’ classe economica più importante, ciò è molto interessante soprattutto perché la qualità della vita è inaspettatamente migliore. La sera la trascorriamo in un piccolo ristorantino, dopo due settimane incontriamo i primi due connazionali, sono di Livorno, si tratta di un accademico del CAI tale Crescimbeni, e di un ricercatore di culture biologiche, ci raccontiamo i nostri viaggi, è impressionante il loro curriculum, diversi 7000 dalle catene asiatiche a quelle andine, una vita trascorsa sulle montagne di tutto il pianeta. veramente “connazionali d’ hoc”. La mattina successiva visita al mercato, si spendono gli ultimi dollari; chompas, berretti in lana, tappeti, collanine, ecc. Ancora un rapido giro in questa graziosa città è tempo di tornare a Quito. E’ sera quando arriviamo all’ hostal Auberge, ormai è la nostra base, questa pensioncina merita due parole; il proprietario e’ svizzero, quindi nella sua sobrietà è molto ben organizzata; una libreria, un posto in cui gli ospiti possono cucinare, una sala biliardo, una corte interna con tavolini, le camere semplici ma confortevoli, uno spazio internet, una sala per depositare i bagagli, ed infine un buon bar con buona musica, tassativamente cubana, ed inoltre la possibilità di fare una buona colazione ed eventualmente la sera una buona cena, il personale è cortese, mucho graziosa la Miriam e molto in gamba il cuoco algerino Josef.

Ultimo giorno, visita alla “Mitad del Mundo” ovvero a lat. O”O”O”, si tratta del punto dove storicamente per la prima volta e’ stato rilevato il punto geografico relativo all’ equatore. Si trova a 15 km a nord di Quito, praticamente al termine di una sterminata periferia. All’ interno del monumentoc’è un interessante museo etnografico con la rappresentazione di tutte le realtà indigenas, una visita opportuna perché al termine del viaggio, infatti mi rendo conto di quanto ancora questo paese offre al viaggiatore, quindi un paese che merita un ulteriore soggiorno.

E’ tempo di tornare a casa, un ” ARRIVEDERCI”, un grazie ad un paese pieno di interessi, di problemi, ma alla ricerca del suo futuro possibile. Un grazie a Gianni un compagno di viaggio discreto ed utile.



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