Messico e Guatemala: guida alla sopravvivenza
Esiste un simpatico sito di riferimento per tutti coloro che vogliono sapere in anticipo a cosa andranno incontro scegliendo una compagnia aerea piuttosto che un’altra: si chiama epinions (www.Epinions.Com) e riporta i giudizi dei viaggiatori su quasi tutte le compagnie aeree di questo mondo. È li che, per la prima volta, ho aperto gli occhi sulla qualità della nostra compagnia di bandiera, Alitalia, che credevo fosse una delle migliori al mondo e invece è ritenuta tra le peggiori (un simpatico acronimo americano dice: ALITALIA=Always Late In Take-off Always Late In Arrival – sempre in ritardo al decollo, sempre in ritardo all’arrivo). Per il nostro viaggio, purtroppo, la nostra scelta era dovuta ricadere per forza su Iberia, altra compagnia di cui su Epinions si dicono peste e corna. Mi dissi: vabbeh, mica è detto che tutti i voli Iberia facciano schifo, dopotutto si tratta di una compagnia spagnola… Arriviamo a Fiumicino con due ore di anticipo sull’orario del volo, vogliamo star sicuri. Ma non siamo preparati a quello che ci aspetta: un simpatico torpedone di gente, in fila a forma di W, attende pazientemente il suo turno al check-in di Iberia. Ci guardiamo intorno: non è un giorno di particolare afflusso turistico, gli altri banconi hanno file più che normali…Boh. Dopo un’ora di fila arriva la prima vera mazzata: la cordiale addetta ci da i biglietti per la coincidenza da Madrid, sui quali leggo che l’imbarco è alle 16.00. “Come alle 16.00?! Ma se il volo parte alle 12.00?!” (le faccio notare con voce stridula). “No”, mi dice lei, “l’unico volo parte alle 16.40. Strano che sul suo biglietto ci sia scritto alle 12.00…Si vede che in agenzia hanno sbagliato”. Già, peccato che io non abbia fatto il biglietto in agenzia, ma direttamente sul sito di Iberia! Vabbeh, in Messico incontreremo altre persone che avranno vissuto la stessa disavventura…Mal comune mezzo gaudio! In compenso, all’aereoporto di Madrid riescono ad aggiungere un’altra oretta di ritardo sul volo per Città del Messico, che alla fine decolla con fatica alle 17.45.
2. Città del Messico…En passant La prima simpatica conseguenza del ritardo clamoroso del volo Iberia è che, anziché arrivare a Città del Messico nel pomeriggio, ci arriviamo alle 22.00, con l’aereoporto mezzo chiuso, le pratiche doganali da sbrigare e la divertente prospettiva di doverci trovare un albergo in nottata, nella ridente capitale mondiale del crimine. Già, perché avevo prenotato un albergo via e-mail, ma alle 23.00 probabilmente la mia prenotazione sarà già bella che andata. Fico. La Guida Routard ci avverte che a Città del Messico c’è un mezzo di trasporto giusto per ogni ora: la metropolitana è sicura di giorno, la sera meglio i taxi verdi tipo maggiolino, di notte bisogna evitare pure i taxi verdi e ripiegare sui Sitio. Ragioni di sicurezza. Pensate che, qualche giorno dopo il nostro rientro in Italia, ho appreso dai giornali di una banda di rapinatori sgominata dalla polizia messicana: attendevano i turisti all’aereoporto di Città del Messico, travestiti da tassisti (!!!), dopodichè li portavano in qualche luogo tranquillo per alleggerirli di tutta quella inutile paccottiglia che di solito si tiene nei portafogli… Per fortuna il servizio dei taxi ufficiali dall’aereoporto funziona bene: si paga una cifra prestabilita al botteghino (88 pesos) e ci si infila in un taxi con un bello stemma ufficiale dell’aeroporto sulla fiancata (un aereo nero su sfondo giallo). Ci facciamo portare in “centrissimo”, all’albergo che avevo prenotato per e-mail, l’Hotel Principal…Magari mi hanno tenuto la prenotazione (ah, ah!). Ma Città del Messico di notte mette i brividi: il coprifuoco parte alle 19.00, dopodichè chi è in giro per strada o è un delinquente, o è un vigilantes (i cui volti non sono comunque rassicuranti), o è un turista appena sceso da un volo Iberia in ritardo, con un ricco fardello sulle spalle che strizza l’occhio a tutti i ladri. Vabbeh, il nostro piano è il seguente: arrivati all’hotel io schizzo dentro e vedo se hanno posto, Vivi scarica i bagagli assieme al tassista e lo tiene fermo li’, che nel caso ci facciamo portare da un’altra parte. Ok. Arriviamo all’hotel: il tempo di varcare la soglia e il tassista ci ha già scaraventato fuori i bagagli e si è dileguato nella umida notte messicana. Per fortuna all’hotel ci danno una stanza ( della mia prenotazione nessuno sapeva nulla…). Squallida quanto basta, ma tanto domani alle 7.30 abbiamo il volo per Tuxtla Gutierrez! 3. San Cristobal de las Casas Il volo della Mexicana ci scarica a Tuxtla Gutierrez. All’aeroporto c’è la fila per il taxi: una signora, in fila, ci domanda da dove veniamo, poi, gentilissima, si adopera per farci imbarcare sul primo taxi. Ai messicani piacciono gli italiani, per cui ricordatevi sempre di provare a parlare spagnolo, o tutt’al più italiano, evitando l’inglese che è la lingua dei poco apprezzati gringos (gli americani, con il loro imperialismo economico). Ci facciamo scaricare alla stazione degli autobus di prima classe, da dove partiamo per San Cristobal: un paio di ore, su un autobus molto comodo, con aria condizionata e tv. San Cristobal è un posto decisamente simpatico, con le sue cattedrali coloratissime (meglio fuori che dentro, ad ogni modo), i suoi locali e i suoi alberghetti con deliziosi cortili interni. Noi ci fermiamo all’Hotel San Cristobal, proprio sulla via principale, dove al prezzo di 320 pesos a notte ci danno una camera molto carina, arredata con gusto, con due letti matrimoniali e uno singolo (!!!) finestra e bagno con doccia. Molto bello. Il rovescio della medaglia è che, a pranzo e a cena, il ristorante dell’albergo ospita suonatori di Marimba, lo strumento tipico della regione (una specie di gigantesco Xilofono di legno, che suonano in due persone). Insomma, se vi svegliate presto la mattina, camminate tutto il giorno e la sera volete andare a dormire presto, sappiate che la Marimba non da tregua sino alle 22.30. Il che, per come di solito siamo combinati quando viaggiamo, vuol dire notte fonda! Il primo giorno facciamo visita al celebrato Canyon del Sumidero: una gita interessante, a bordo di velocissime lance su un tragitto di 2 ore circa, che vi farà vedere bellezze paesaggistiche (il canyon è rappresentato sullo stemma del Chiapas) e faunistiche (mira el coccodrillo!). Per il giorno seguente, la nostra intenzione era quella di unirci al tour della celebre Mercedes (vedi guida Lonely Planet): dietro al nome da pornodiva si cela una vera discendente del popolo maya, che con il suo ombrellino colorato da appuntamento ai gruppi di turisti ogni mattina alle 9, sulla piazza principale, per condurli in visita ai villaggi dei maya Tzotzil di Chamula e Zinacantan. Ma alle 18.00 Viviana è squassata da un dubbio: e metti che questa domani non c’è? Metti che ha un attacco di dissenteria e non si presenta, che facciamo? Ci salta la visita ai villaggetti, visto che il giorno dopo dobbiamo andar via. Alla fine decidiamo di optare per la via più sicura, un tour con un’agenzia, che ci dà appuntamento il giorno seguente alle 9.20 per pagare (con partenza alle 9.30). Gli sviluppi sono da brivido. Il giorno seguente, infatti, dopo una pantagruelica colazione all’ottima Casa del Pan, ci ritroviamo alle 9.00 in giro per San Cristobal. Abbiamo 20 minuti, che si fa? Decidiamo di fare una puntatina in piazza per vedere se la mitica Mercedes esiste o è una leggenda metropolitana. Esiste, porca paletta! E’ li, con il suo ombrellino colorato che già arringa una piccola folla di 8-10 turisti zainati. Appena arrivo mi invita ad avvicinarmi e mi chiede con gentilezza se sono interessato al giro. Capperi, il suo inglese si capisce a meraviglia e io e Vivi siamo dilaniati dalla voglia di andarcene con lei, leggenda vivente, piuttosto che con l’anonimo gruppo dell’agenzia. Alla fine, però, ci sentiamo ambasciatori del nostro paese all’estero, e decidiamo che non vogliamo fare la figura degli italiani che tirano il bidone. Lasciamo il nostro cuore da Mercedes e ci avviamo mestamente verso l’agenzia. Sono le 9.20, quando arriviamo. Sorpresa delle sorprese: l’agenzia è chiusa, non c’è nessuno fuori ad aspettare, nemmeno un turista. Gocciolina di sudore. Aspettiamo le 9.29, non si muove una paglia. Ci hanno tirato un bidone clamoroso! Sacripante, il sarcasmo del destino a volte è devastante! Ripercorriamo a ritroso Real de Guadalupe finchè non vediamo un minivan fermo davanti a un’agenzia: “andate ai villaggi Tzotzil?”, chiedo speranzoso. Affermativo, il tour parte in un paio di minuti e ci sono due posti liberi. Un’oasi verde nel deserto della sfiga! Le cose vanno di bene in meglio: la nostra guida, infatti, è il simpatico Alejandro, un tipo che ha davvero a cuore la storia dei maya Tzotzil, e che conosce praticamente 6 o 7 lingue, compreso l’italiano. Resto affascinato dalla storia della croce maya, un simbolo che esisteva in queste regioni ben prima dell’arrivo degli spagnoli, e dal fatto che, per questa gente, ognuno ha un animale guida, che vive in una dimensione parallela, da cui dipende la propria salute spirituale (i ricchi hanno animali guida come il giaguaro o il puma, mentre per i poveri ci sono il topo, la puzzola, lo scoiattolo…). Quando una persona ha un raffreddore, un mal di testa o un mal di denti, gli Tzotzil credono che sia un male inerente la sfera fisica, per cui accettano di farsi curare da un medico tradizionale, e di ingollare un paio di aspirine. Quando però il male è qualcosa di più grave, di più profondo, allora gli Tzotzil ritengono che ad essere affetta sia la sfera spirituale, per cui, con loro immenso sollazzo, possono rivolgersi allo sciamano locale, che tasterà loro il polso e individuerà, di solito, un qualche guaio capitato al loro animale guida. Per curare il male, bisogna curare l’animale guida. E come si fa a curare un animale che vive su un’altra dimensione, vi starete chiedendo? Semplice, con un rito sciamanico: un tempo si usava il sangue umano, adesso ci si accontenta di tirare il collo a qualche pollo, tra un’astrusa cantilena e l’altra. Nella chiesa di Chamula abbiamo avuto la fortuna di assistere a un rito sciamanico, (non ci siamo avvicinati troppo, per non disturbare, ma abbiamo visto una bambina con la sua gallina, con la sciamana che a un certo punto prendeva la gallina e le tirava il collo…Cose belle), oltre che alle preghiere a base di candele e rutti. Già, Alejandro ci ha spiegato che, per gli Tzotzil, si entra in comunicazione con il divino soltanto producendo energia: il fuoco delle candele è una forma di energia; anche le lacrime sono considerate una forma di energia; e anche i rutti, ed è per questo che a Chamula si prega in ginocchio, davanti a un tappeto di candele accese, con una bella bibita gassata al fianco! Esperienza memorabile. Torniamo a San Cristobal e andiamo a nanna presto, poiché l’indomani dobbiamo partire per Palenque. Purtroppo la serata è allietata da una rumorosa comitiva di francesi, che ci danno dentro fino a notte fonda, ubriacandosi di brutto e cantando a squarciagola accompagnati dai suonatori di Marimba (non gli pareva vero di trovare dei francesi ubriachi che mostravano di apprezzare le loro scombinate sonorità!). “Un, dos, tres…Tequila!” oppure “E glu, e glu, e glu”, e così andando per ore e ore. A un certo punto, nel dormiveglia, mi scopro a fare i seguenti calcoli: se prendo quella busta di calzini sporchi e ci faccio un gavettone, riuscirò a richiudere la porta della stanza prima che avvenga l’impatto sul tavolo dei francesi? In realtà ero combattuto se fargli un gavettone o unirmi a loro. Scelsi la terza soluzione, mi addormentai.
4. Da San Cristobal a Palenque…Con pernottamento in ospedale! La mattina seguente sento che c’è qualcosa che non va. Mi sembra di avere la febbre, e scopro con orrore che, tra i 700 medicinali che ci siamo portati, non figura il termometro. La mia ragazza mi tocca la fronte e dice che sto benone. Sarà… Chiamiamo un taxi e ci facciamo portare alla stazione degli autobus: abbiamo due posti prenotati su un autobus di prima classe per Palenque. Prima della partenza faccio un salto in bagno a vomitare. Poi inizia il viaggio più allucinante della storia: in 2 ore e mezzo vado a vomitare ben 6 volte…E per fortuna che sull’autobus c’era il bagno. Quando ci fermiamo per la sosta di metà percorso, a Ocosingo, le orecchie mi fischiano, e sento la mia voce provenire da altri pianeti. Il sole è devastante, specie dopo l’aria condizionata dell’autobus. Mi butto per terra da qualche parte e chiedo a Viviana di andarmi a prendere dell’acqua fresca: un ineffabile turista spagnolo mi osserva e sentenzia: “Ma mi spieghi come conti di arrivare in Guatemala ridotto in queste condizioni”. Se avessi avuto la forza di rispondergli, la mia risposta sarebbe stata un calcione sui testicoli. In realtà, sentii da lontano la mia voce proferire due parole, l’una più inequivocabile dell’altra: “Dottore” e “Ospedale”. Con l’aiuto di Anna, una gentilissima barista della stazione, vengo issato su un taxi che mi porta al più vicino ospedale (si fa per dire, è l’unico nel raggio di chilometri!). La barista cerca i medici, spiega la situazione e si ostina a voler pagare pure il taxi. Io, intanto, sono ai limiti del collasso, ma l’aria fresca dell’ospedale, i camici bianchi e l’odore di pulito mi mettono addosso una strana euforia, come se fossi ubriaco. Mentre i medici iniziano a praticarmi una serie infinita di flebo, mi produco in una serie di cazzate nel mio spagnolo approssimativo (del tipo “ahi, me siento un poquito rincojonido”), e sento i medici e gli infermieri che si squassano dalle risate. Arriva il primario, e l’infermiera mi dice con orgoglio che parla un po’ di italiano. Il primario si schermisce: dice che conosce qualche parola perché ascolta Eros Ramazzotti, e io mi faccio una grassa risata e gli dico senza molto tatto che in Italia Eros lo sentono le ragazzine! Dopo tre ore di flebo mi sento meglio, anche se la mia pancia cominci a dare segni inequivocabili che la maledizione di Montezuma si è abbattuta su di me. Il primario ci spiega che, se vogliamo, possiamo restare per la notte, anche se dobbiamo provvedere da noi a prendere da mangiare, visto che l’ospedale non ha il servizio cucina. Poco male, tanto non trattengo nulla, quindi è inutile che mangi. Intanto sono le 18.00, e Viviana decide di tornare alla stazione a prendere gli zainoni, che la gentilissima barista ci aveva tenuto. Il primario, Eduardo Montesinos, ci fa una mappa della zona, e Viviana si incammina. Io sono preoccupato, perché inizia a fare buio e Ocosingo non è proprio un posticino tranquillo come la Città del Vaticano. Allora mi imbarco in una surreale conversazione con il primario. Gli chiedo: “Dottor, ma Ocosingo es una ciudad tranquilla?”, e lui mi risponde rassicurante: “Siiii, muy tranquilla. Aqui non pasa nada” (qui non succede mai nulla, è un posto molto calmo). Pausa. “no hay bandidos?”, chiedo. “Bandidos? Siiiii, hay mucho bandidos” risponde solerte il buon Eduardo. Sobbalzo dal letto. Ma come, abbiamo appena mandato Viviana in giro in mezzo ai banditi! Ma Eduardo mi spiega che i banditi escono di solito dopo le 22.00. Sarà, ma non sono tranquillo. Dopo 2 minuti viene giù un acquazzone terrificante. Finalmente, un’ora mezza dopo, arriva Viviana con due zaini da 20 chili l’uno. Anche lei aveva passato i suoi 3 minuti di terrore. In pratica, uscita dalla stazione con gli zaini, inizia a piovere e un tassista si ferma e si offre di caricarla. Lei accetta con un po’ di timore, e dice al tassista di andare all’ospedale central. Immaginate il suo terrore quando il tassista imbocca la strada dell’ospedale e lo sorpassa a velocità smodata, senza accennare a rallentare. Viviana si vede già rapita, fatta a pezzi e venduta come anatra essiccata allo spaccio di Tuxtla Gutierrez. “Aaaah!” Urla. “L’ospedale, era quello li!” Il tassista basito si ferma, e Viviana gli mostra sul dizionarietto la parola hospital. Insomma, per un bizzarro qui pro quo, il tassista aveva capito “ospedaje central”, che in spagnolo vuol dire “Albergo centrale”, e la stava portando a qualche hotel vicino alla piazza! Alla fine veniamo sistemati in una stanzetta con bagno privato, un lusso che probabilmente tocca a pochi, all’ospedale di Ocosingo. Il dott. Eduardo Montesinos ci ha adottati, ed è bello sentirlo di notte mentre impartisce istruzioni alle infermiere, e ogni 7 parole ci infila il mio nome. Prima, mentre aspettavamo Viviana, avevamo parlato un po’ del più e del meno: degli zapatisti, dell’Italia, della situazione economica messicana (lui vorrebbe andar via, perché è convinto che entro due anni il Messico farà la fine dell’Argentina…). Prima di darci la buonanotte, Eduardo torna a trovarci e ci porta una pastarella per Viviana (ehm, io non potevo mangiare). L’indomani, prima di partire, Eduardo mi spiega che ho avuto una brutta infezione intestinale, e che all’ospedale non hanno medicinali specifici da darmi, se non un integratore e delle confezioni di Ampicillina, un antibiotico generico. Mi spiega che l’Imodium non è consigliabile, in questi casi, perché blocca semplicemente l’intestino permettendo ai batteri di proliferare. Mi da una ricetta per prendere un medicinale, Skapar, che dice che è molto più efficace. Io gli faccio vedere il Rifacol che mi ero portato, e lui dice che va bene, che è lo stesso principio di Skapar, e che mi conviene prendere quello e lasciar perdere l’Imodium. Salutiamo tutti e ce ne andiamo. L’esperienza all’ospedale di Ocosingo è stata per me una di quelle cose che non si dimenticano, per il calore e il contatto umano. Tornato a casa, ho scritto a Eduardo una lettera di ringraziamento e ho allegato una compilation fatta da me con i migliori successi di musica italiana…Così la smette di sentire Eros! 5. Palenque Un consiglio da amico. Quando state per salire su un autobus di prima classe, vestitevi a cipolla. Ossia, portatevi qualcosa di caldo da indossare, pantaloni lunghi e felpa. Il motivo è semplice: lo shock termico tra l’aria condizionata di un bus di prima classe e la temperatura esterna può essere molto deleterio. In questo modo, potrete coprirvi quando salite e scoprirvi quando scendete. L’impatto con Palenque, in questo senso, è stato tremendo, dal momento che siamo scesi dal pullman sotto il sole delle 13.00! La cittadina non è esattamente da mille e una notte, e contrasta con il sito archeologico, che è invece una meraviglia. Pernottiamo all’hotel Nikte Ha, sulla via principale, che non è esattamente un paradiso e costa anche abbastanza. Il mattino seguente ci alziamo presto e alle 8 in punto siamo al sito, per evitare la folla di turisti. Purtroppo, non sembra esserci un ufficio centrale dove reperire delle guide ufficiali: appena arriviamo un paio di guide si fanno avanti, offrendoci una visita guidata. Uno ci chiede 50 pesos a testa, per un tour in inglese con altre persone, un altro invece ci parla in italiano e ci offre il tour con partenza immediata alla modica cifra di 300 pesos. Solo per noi, si offre a 250. La guida in lingua inglese ci dice che la guida in lingua italiana non è capace, e che la fa in italiano perché non sa l’inglese (forse non ha chiaro un punto: siamo italiani, che ce ne frega se non sa l’inglese?). Comunque, non è proprio un bello spettacolo. Aspettiamo qualche altro italiano per dividere la guida in italiano, ma gli italiani che arrivano sono perlopiù torme di turisti con lo zainetto dei Viaggi del Ventaglio e la guida già compresa nel pacchetto. Alla fine dopo 40 minuti, ci rassegniamo ad andare con la guida in inglese. Alejandro era un’altra cosa, sia ben chiaro. Comunque il sito è bellissimo, immerso in un parco molto curato, con un fiume che scorre tra le rovine. Purtroppo, io sono ancora debilitato, e giro sempre con la macchina fotografica in una mano e la bottiglia di ricostituente nell’altra. A un certo punto c’è da scendere una scaletta di legno, resa assolutamente viscida dall’umidità. I miei scarponi da trekking se ne fregano della suola antiscivolo, e io volo in picchiata puntando dritto sul calcagno del tedesco che mi precede. Riesco a fermarmi in qualche modo, provocandomi delle abrasioni sulle braccia. Nel frattempo, la mia autostima, già duramente provata, sprofonda verso abissi inesplorati. Alla fine la guida riesce pure a dire una cosa interessante, che mi fa riflettere e, per la prima volta, mi fa sentire in un certo qual modo orgoglioso di essere italiano. Stiamo scalando una piramide, assieme alla consueta flotta di turisti di Viaggi del ventaglio, quando sento la guida che parlotta con i tedeschi. Spiega loro che gli europei in genere, e gli italiani in particolare, sono tra i visitatori più frequenti, a Palenque. E questo perché l’Italia è un paese dove la storia e la cultura si respirano sin da quando nasci. E così nasce la curiosità per le altre culture, le civiltà del passato così diverse dalle nostre. La guida ci fa guardare intorno, ci chiede se abbiamo incontrato americani, in giro. Effettivamente è vero, io non ne ho visti. Ci spiega che gli americani hanno una cultura relativamente giovane, e per questo sono meno interessati alle rovine archeologiche, e più alle belle spiagge dello Yucatan. Oltretutto, non sopportano l’umidità, il calore, il sudore sulla pelle. Il che spiegherebbe il celebre amore degli statunitensi per l’aria condizionata. Ci spiega, infine, che gli americani che si spingono alle rovine sono perlopiù colti signori di mezz’età, che hanno studiato e imparato a conoscere le civiltà del passato sui libri, rimanendone affascinati. Un discorso molto interessante, quello della guida.
Di ritorno dalle rovine il nostro minivan si ferma e imbarca due turisti italiani. Come sempre, siamo un po’ diffidenti con gli italiani e non spiccichiamo una parola. Ma appena ci scarica, gli zainetti Invicta parlano da sé, e in due secondi facciamo amicizia e ce ne andiamo a pranzo insieme. Si chiamano Elena e Paolo, da Siena, sono appena sposati e in viaggio di nozze, e hanno passato la loro prima notte di nozze dormendo su una panchina dell’aeroporto di Madrid. Tutto per colpa di un clamoroso spostamento d’orario non segnalato… anche loro volavano con Iberia! Purtroppo non c’è molto tempo per stare insieme: alle 17.00 abbiamo prenotato il bus per Villahermosa. Ma io mi sento già meglio, e non ho voglia di lasciare così presto la simpatica coppia. Così decidiamo di annullare la prenotazione e partire insieme, il giorno seguente, per un tour a Bonampak e Yaxchilan.
6. Yaxchilan e Bonampak La sveglia è all’alba, perché il minivan passa a prenderci in albergo alle 6.00 in punto. La prima tappa, dopo 3 ore e mezza di viaggio, è l’imbarco per Yaxchilan. Si prende una lancia per raggiungere, in 40 minuti, il remoto sito archeologico immerso nella foresta. Il sito è molto bello, assai più selvaggio di Palenque: per la prima volta vedo i pappagalli in libertà, e quando volano sono uno spettacolo. Ma la cosa più emozionante in assoluto è stato l’impatto con le scimmie urlatrici. Pensavo a scimmie tipo babbuini che facessero urla stridule, e non ero assolutamente preparato a questo tipo di…Sonorità! La prima volta che le ho sentite sono rimasto folgorato: eravamo saliti su una lunga scala che conduceva a un tempio molto rialzato, e, a qualche decina di metri, abbiamo sentito degli spaventosi ruggiti provenire dalla volta della foresta. Erano scimmie urlatrici, anche se non le vedevamo potevamo sentirne il possente richiamo: sembravano orchi! Avrei voluto un registratore per fermare quell’istante, le urla spaventose che si inseguivano echeggiando per la foresta. Davvero impressionante. Ho appreso in seguito che le scimmie urlatrici sono il secondo animale sulla terra per potenza di emissione vocale, subito dopo la balenottera azzurra.
Rispetto al sorprendente Yaxchilan, invece, il sito di Bonampak è stato un po’ una delusione. E’ celebre per lo stato di conservazione dei suoi affreschi, ma in realtà mi aspettavo davvero qualcosa di meglio… 7. Villahermosa, Merida, Miguelon e gli autobus messicani Salutati a malincuore i nostri provvisori compagni di viaggio senesi, il mattino seguente ci rechiamo a Villahermosa, dove dobbiamo semplicemente prendere l’aereo per Merida. E non ci dispiace granchè, visto come parlano di Villahermosa le guide… In attesa che ci chiamino all’imbarco, mostro per scherzo a Viviana un barattolo con le ali che giace inerte sulla pista e le dico “quello è il nostro aereo!”. E giù risate. Tuttavia, quando chiamano il nostro volo e dal barattolo si apre il portellone, capiamo subito di essere destinati a un’altra esperienza memorabile. L’aereo a elica ci attende sulla pista, è un po’ paffutello e il nome “Miguelon” che ostenta orgoglioso sul muso sembra quanto mai azzeccato, e ce lo rende simpatico. A bordo c’è posto per ben 12 persone, e se respiriamo troppo il vetro del pilota rischia di appannarsi. Siamo io, Viviana e un allegra comitiva di francesi, tutti contenti per l’avventura che li aspetta. E mentre Michelone si libra nell’aere con la leggiadria di una farfalla (vabbeh, magari di una falena), decido di compendiare il mio stato d’animo in una struggente lirica: Michelone vola in alto, sfiora il cielo con un salto.
E’ di taglia assai robusta, ma la stazza è quella giusta.
Perché il nostro Michelone È un ciccione viaggiatore! Arriviamo a destinazione dopo due ore, con straordinaria puntualità, e appena tocchiamo terra scatta l’applauso corale: Michelone è già un beniamino.
Ed eccoci a Merida, uno scalo intermedio verso Chitchen Itza e Playa del Carmen, dove dobbiamo assolutamente svaccarci per un paio di giorni. Le guide ne parlano come di una città carina, in realtà l’impressione è che sia un posto bruttarello assai, e anche un po’ inquietante, la notte. Da salvare solo la bellissima piazza centrale. L’indomani, all’alba (sai che novità), siamo già alla stazione degli autobus. Urge a questo punto un breve approfondimento sul sistema degli autobus messicani: semplicemente strabiliante per puntualità ed efficienza! Noi abbiamo viaggiato sempre in prima classe, spendendo due lire, e gustandoci interessanti film inglesi con sottotitoli in spagnolo (a parte una volta che l’autista si è sparato un intero album dei Limp Bizkit a tutto volume, oscurando di fatto l’audio in inglese!). Negli autobus si entra con il posto già assegnato (è possibile scegliersi il posto preferito consultando la piantina del bus in biglietteria!), vi danno la ricevuta per il bagaglio, c’è il bagno e l’aria condizionata. Che volete di più? Col senno di poi, ci sarebbe molto piaciuto provare gli autobus di lusso, che coprono le tratte più lunghe e, da quel che abbiamo visto in depliant, sono davvero spettacolari, con vere e proprie poltrone letto! Oltretutto, costano non molto di più degli autobus di prima…Altro che spendere un fottio di soldi in voli interni! Se volete farvi un’idea del servizio dei bus di prima classe messicani cercate i siti delle compagnie Cristobal-Colon (http://www.Cristobalcolon.Com.Mx/), o Ado, o Estrella de Oro dove potrete vedere gli itinerari e fare anche una prenotazione online; per quelli di lusso cercate Uno ) o Ado GL Service ). Altra chicca: alla stazione centrale degli autobus di Merida, davanti a ogni addetto alla biglietteria ci sono 3 pulsanti, verde giallo e rosso (come il semaforo); finita la transazione potete giudicare l’operato dell’addetto premendo il pulsante corrispondente (verde=buono, giallo=normale, rosso=cattivo)! Ah, per dovere di cornaca vi informo che la Guida Routard sconsiglia ASSOLUTAMENTE di prendere l’autobus nella tratta Puerto Escondido-Acapulco, dove si registra un’entusiasmante media di un autobus ogni tre aggredito dai banditi.
8. Chitchen Itza e Playa del Carmen Sul sito di Chitchen Itza non spenderò molte parole: è arcinoto e vale certamente la pena di visitarlo, se non altro per ammirare il bellissimo Castillo, o visitare il più grande campo del “juego de la pelota”, o ancora il misterioso cenote che i maya consideravano la porta per l’aldilà. La cosa che mi preme segnalarvi è la presenza, nell’area antistante l’ingresso al sito, di un bel mercatino, dove vendono di tutto, ma soprattutto eccellenti artefatti in legno dipinti a mano, che non ho mai più trovato in giro, e che mi sono rimasti nel cuore. I locali amano barattare, perciò preparatevi un paio di valide ragioni per cui non volete assolutamente separarvi dal vostro orologio, dalla vostra scarpa destra o, chesso’, dalla vostra fidanzata (ho provato a barattare Viviana con una bellissima testa olmeca, ma lei si è opposta). In serata giungiamo a Playa del Carmen, una località deliziosamente turistica, piena di negozietti che vendono chincaglierie, ristoranti di tutte le etnie e alberghi addobbati neanche fosse Disneyland. Il posto ideale per rilassarsi un po’, prima di mettere piede in Guatemala. Noi abbiamo alloggiato all’ hotel Cohiba, molto carino, dove il simpaticissimo Enrique ci ha scalato la stanza da un prezzo iniziale di 650 pesos a un accettabile 450 (una bellissima doppia con ventilatore, aria condizionata, tv via cavo, balcone e bagno con doccia). Se poi siete in grana, c’è un complesso meraviglioso che guarda dritto dritto verso l’oceano: ci siamo passati davanti passeggiando sulla spiaggia e ne siamo rimasti folgorati. Si chiama Hotel Las Palapas ) ma non è per tutti i budget… Il mare a Playa è come ci si aspetta, con la sabbia bianca e l’acqua turchese. Se avete la pazienza di camminare un po’ lungo la costa, verso sinistra, troverete molta più spiaggia e stabilimenti simpatici (turtle beach, coco beach), che per due lire vi affittano sdraio e ombrellone per tutto il giorno. A proposito, se avete intenzione di fermarvi, procuratevi una crema solare ad alta protezione: sembra un’ovvietà, ma qui il sole brucia in maniera impressionante. Io, che sono scuro di carnagione e ho avuto l’avventatezza di spalmarmi con una misera protezione 4, ho trascorso il secondo giorno a letto ustionato (dopo essere stato al sole per un paio d’orette!). Intanto Viviana, in spiaggia da sola, subiva le avances di un sedicente praghese trapiantatosi in Messico, che si vantava di saper cucinare degli eccellenti spaghetti (ormai lo sanno tutti che a noi italiani bisogna prenderci per la gola!).
9. Cancun-Flores: proposta indecente… Finito il nostro soggiorno marino, siamo pronti per il Guatemala. Arriviamo in bus all’aeroporto di Cancun, dove ci attende un comodo aereo che in un’oretta e mezza ci porterà oltre confine, a Flores. In fila per il check-in…Che strano, non c’è nessuno. Mossa a compassione, visti i nostri sguardi basiti, una signora spagnola ci avverte che il volo Cancun-Flores è stato cancellato, e che devo recarmi negli uffici dell’Aviateca per avere maggiori informazioni. Mollo Viviana con i bagagli e il suo insopprimibile desiderio di andare in bagno, e mi inoltro nella giungla degli ufficetti dell’aeroporto. Davanti a me ci sono Christian e Lina, due simpatici danesi che condivideranno con noi questa lunga, lunghissima giornata. In pratica, il volo è stato cancellato anche se nessuno sa darci una motivazione plausibile…Forse il fatto che noi 4 fossimo gli unici passeggeri E’ una motivazione plausibile, rifletto assieme a Christian. In una trentina di minuti le addette della Aviateca formulano la loro proposta indecente: prenderemo un volo per Città del Messico (!), poi una coincidenza per Città del Guatemala (!!), dove passeremo la notte (!!!) per poi prendere il volo per Flores (!!!!) la mattina successiva, alle 6.30 (!!!!!). I danesi sbrigano la pratica e si imbarcano subito per Città del Messico, ignari del fatto che le solerti addette si erano dimenticate di dar loro il biglietto finale per Flores. A fare da fattorino ci pensiamo noi, che li raggiungiamo dopo qualche ora all’aeroporto di Città del Messico, prima di imbarcarci insieme per Città del Guatemala. L’arrivo a Città del Guatemala è interessante. La compagnia aerea ci aveva riservato due stanze all’hotel Melia, assicurandoci che ci sarebbe stato un servizio navetta direttamente dall’aeroporto. Ma quando arriviamo noi, alle 22.00, non c’è un bel niente, e l’idea di andarsene in giro di notte per Città del Guatemala non ci solletica neanche un po’. Vado a parlare con l’addetto della compagnia, che ci assicura che farà arrivare quanto prima un taxi pagato dall’albergo. Il taxi arriva, ma il tassista premette subito che la corsa non è pagata. La cosa ci mette in difficoltà, visto che non abbiamo valuta guatemalteca, e il tassista non vuole dollari. Il tassista chiude la porta e se ne va. Mentre noi ci osserviamo perplessi, arriva un signore sulla sessantina, che ci chiede cosa succede. Non ho idea di chi diavolo sia costui, ma deve essere qualcuno che smista i taxi, o roba del genere. Nessuno si ritrova il numero di telefono del Melia, così il signore mi accompagna dentro l’aeroporto e si fa prestare un elenco e un telefono all’ufficio informazioni. Poi telefona e fa un solenne cazziatone a quelli del Melia, dicendo loro di vergognarsi, lasciare per strada dei poveri turisti, e intimandogli di far venire subito un taxi pagato, e di chiamarlo al cellulare per comunicargli il numero di taxi. Così è. Dopo qualche minuto, arriva la telefonata del Melia, che comunica al nostro nuovo amico che un 77 giallo è in arrivo. Così, il signore ci stringe la mano e ci saluta, e noi ci inchiniamo di fronte a tanta gentilezza. Ancor più quando lo vediamo salire a bordo del servizio navetta del Marillion un albergo di lusso concorrente del nostro Melia…Roba da matti! Il Melia è un albergo di gran lusso, e avremmo anche la cena pagata dalla compagnia. Ma il tagliente sarcasmo del destino vuole che siano già le 23.30, e la sveglia per il giorno successivo sia per le 4.30! Mentre crollo sul lettone king-sized, sento l’acqua che scroscia: Viviana, inebriata da cotanto lusso, ha deciso comunque di concedersi una doccia by night (anche in Guatemala, le donne restano un mistero).
Il mattino seguente ci imbarchiamo alle 6.30 per Flores, dove giungiamo alle 8.00, pronti per dirigerci a Tikal.
10. Tikal Ancora non si sono spente le eliche del fastoso bimotore, che già sentiamo urla terrificanti provenire dal piccolo aeroporto di Sant’Anna: non si tratta di scimmie urlatrici, stavolta, ma di solerti tour operator che propongono a squarciagola le loro tariffe per il trasporto a Tikal. Alla fine ci imbarchiamo con un tipo simpatico, che parla inglese meglio di Bruce Springsteen (lo so, ci vuole poco, ma siamo pur sempre in Guatemala!). Si chiama Mike, e di qui a Tikal, seduto sui sedili anteriori del minivan, faccio un po’ di conversazione, cercando di estorcergli racconti di qualche tragedia locale (chesso’, turisti rapinati, ruzzoloni dalle piramidi o cose del genere). Senza fortuna: sembra che, da qualche mese a questa parte, l’insediamento di corpi di polizia ad hoc abbia drasticamente ridotto gli episodi di furto a danno dei turisti. Naturalmente sono più tranquillo, ed è un bene che non sappia quello che era accaduto appena un mesetto prima del nostro arrivo. Lo scoprirò una volta tornato a casa. Ebbene, nel giugno 2002, un minivan di turisti diretto a Tikal da Flores, come il nostro, si è trovato improvvisamente la strada sbarrata da grossi tronchi e pietre: appena il tempo di rallentare, e il minivan veniva circondato da un centinaio di facce poco raccomandabili. Si pensava a un’ aggressione a scopo di rapina, invece il succo era ben altro: si trattava di ex-guardie assoldate dal governo nel periodo della guerra civile, che, una volta finita la guerra, erano state licenziate, senza aver mai visto il becco di un quattrino. Ragion per cui, erano intenzionati a far valere le proprie ragioni tenendo in ostaggio un nugolo di turisti, come in effetti avvenne. Noi non siamo stati altrettanto fortunati, nessuna avventura con i ribelli: Mike ci porta dritti a destinazione, senza intoppi di sorta. A Tikal alloggiamo al Jungle Lodge, una delle 3 strutture disponibili per il pernottamento a Tikal.
Se avete intenzione di pernottare a Tikal, per svegliarvi la mattina e fare colazione con le scimmie, o ritrovarvi a guardare l’alba dalla cima di qualche tempio, vi conviene prenotare, vista la carenza di strutture. Io ho prenotato per e-mail. Il Jungle Lodge è abbastanza costoso, per la verità: paghiamo 77 dollari per un bungalow con bagno e mini-veranda, colazione esclusa. Ma era l’unica struttura disponibile, visto che le altre erano già esaurite. Parliamo un po’ di Tikal. Il sito è immenso e grandioso, con i suoi templi che di tanto in tanto fanno capolino tra la fitta vegetazione. Alcuni di essi sono stati completamente liberati dalla vegetazione, altri solo parzialmente, altri ancora sono ancora del tutto sepolti: un vero spettacolo. Dalla cima del Tempio 4, alta 85 metri e raggiungibile tramite una scaletta di legno, si può ammirare la giungla sottostante come fosse un tappeto verde, dal quale, qua e là, emergono gli altri edifici più alti. E’ questo il luogo preferito dai turisti per godere dello spettacolo dell’alba e del tramonto sulla giungla. Ma non chiedetemi come sia, perché non avevo alcuna intenzione di svegliarmi all’alba un’altra volta. Oltretutto, verso le 16.00 inizia a piovere con una certa insistenza, e la cosa si protrarrà fino a notte inoltrata. In serata ci congediamo da Lina e Christian, i due danesi, che avevano già prenotato un viaggio in autobus di prima classe da Flores a Città del Guatemala, per quella stessa notte. In principio sono un po’ preoccupato per loro, vista la qualità del servizio autobus in Guatemala. In realtà, Christian mi racconterà al nostro successivo incontro che il viaggio è stato molto comodo…Un’esperienza da provare, se volete risparmiare i soldi del volo per Città del Guatemala. Prima di andare a dormire facciamo in tempo a notare un paio di scimmie che si rincorrono per i tetti dei bungalow. La mattina successiva ci rechiamo al centro di accoglienza del parco, decisi a prenderci una guida in italiano, magari da dividere con qualche altro connazionale. Purtroppo (o per fortuna, dipende dai punti di vista), luglio non è un mese d’oro per il turismo italiano in Guatemala: sembra che agosto sia molto più affollato. Morale della favola: ci prendiamo una guida in due, pagandola 30 dollari (15 a testa). La guida ci fa fare un itinerario che dura 2 ore e mezzo, mostrandoci le cose più evidenti (i templi) e quelle meno evidenti (le varie piante della giungla che possono essere usate a scopo medicinale): tutto sommato un buon investimento. Veniamo anche a sapere che, nel laghetto antistante il centro di accoglienza, qualche mese fa soggiornavano un paio di coccodrilli: ma avevano dovuto trasferirli dopo che uno di essi aveva pensato bene di far merenda con le chiappe di un turista! In giornata sentiamo nuovamente il richiamo delle scimmie urlatrici, e stavolta riusciamo anche a individuarle, sulla cima degli alberi: magari se non avessi lasciato il binocolo nel bungalow avrei anche potuto darvene una descrizione più approfondita… Avvistiamo anche due diversi tipi di tucano. Ma la scoperta più interessante è quella sull’odore della giungla. Un odore che era tale e quale a quello della giungla del Borneo, e che pensavo fosse dovuto al tappeto di foglie marce sul terreno: in realtà la guida ci spiega che l’odore forte che si può avvertire in alcune zone della giungla è dovuto a…I fiori di cedro, piccoli e bianchi, che, una volta calpestati, secernono questa sostanza particolarmente odorosa (e non particolarmente gradevole!). Un giorno potrò mostrare la giungla ai miei amici, e strabiliarli con queste conoscenze da Uomo Del Monte! In serata prendiamo un minivan per tornare a Flores.
11. Da Flores a Antigua Di Flores le guide parlano assai bene, anche se la piccola cittadina non mi sembra poi questa grande meraviglia. Di buono c’è il lago che la circonda, anche se un qualsiasi laghetto delle Dolomiti offre uno spettacolo assai più appagante, dal mio punto di vista. Eh, già, la verità è che per apprezzare le meraviglie del nostro paese, di tanto in tanto, val bene farsi un viaggetto! A Flores non resistiamo alla tentazione di prenderci una pizza da Picasso, che minaccia addirittura di usare il forno a legna! La pizza è decente, ma nulla di memorabile. Il mattino successivo ci imbarchiamo nuovamente per Città del Guatemala, dove il programma è di prendere un minivan dall’aeroporto sino ad Antigua. In realtà le cose stanno diversamente: una volta giunti a Città del Guatemala scopriamo che vi sono 4 modi per arrivare ad Antigua: 1) A piedi (sto scherzando); 2) In Taxi; 3) In Minivan; 4) In Autobus. La nostra prima scelta sarebbe naturalmente il minivan, ma veniamo a scoprire che il minivan parte dall’aeroporto solo quando ha racimolato un numero sufficiente di persone…Il che potrebbe voler dire aspettare per ore! Decidiamo per l’autobus, apparentemente complicato (bisogna raggiungere la stazione degli autobus da un’altra parte della città) ma certamente più economico. Appena usciti dall’aeroporto un tassista ci tenta maledettamente: 25 dollari per portarci dritti ad Antigua. E, fosse per me, sarei già salito…Ma Viviana insiste, e fa bene, nel voler prendere l’autobus, che costa appena 1 dollaro, o giù di li’. E così ci mettiamo in marcia verso la stazione degli autobus…Che poi una vera e propria stazione non è, dal momento che in Guatemala le stazione dei bus non esistono: si tratta, più che altro di punti di raccolta. Il sistema degli autobus in Guatemala è molto diverso dal Messico: esistono centinaia di compagnie, la gran parte delle quali nasce e muore nel giro di pochi mesi. Spesso una compagnia è costituita semplicemente dall’autista e dal suo autobus. Ce ne rendiamo conto molto presto anche noi. Raggiunto uno dei punti di raccolta, un tipo ci squadra da lontano e ci rivolge un’unica, ficcante domanda: Antigua? Si, diciamo noi, e il tipo ci prende gli zainoni e li issa sul tetto di un autobus dal look un po’ demode’. Io e Vivi guardiamo malinconicamente gli zaini sul tetto, sapendo che potrebbe essere l’ultima volta… Dentro l’autobus le cose non sono poi così malaccio: il corridoio centrale sarà largo si e no 40 cm, ma l’autobus è vuoto e io mi sento già felice di non aver lasciato 25 dollari all’avido tassista. Partiamo. La configurazione dell’autobus è la seguente: sedili tutti vuoti, io e Viviana in terza fila, e un autista grassottello al volante, coadiuvato da un tipo smilzo che passa il tempo affacciato dalla porta dell’autobus, sempre spalancata. Mah. Ogni qual volta l’aiutante intravede un gruppo di persone superiore a 0 si sgola dallo sportello aperto: ANTIGUAAAA! ANTIGUAAAA! E, regolarmente, qualcuno abbocca all’amo e sale. Il bus lentamente ma inesorabilmente si riempie, al punto che decido di stringermi ancor più a Viviana per liberare un posto. Italiani brava gente. Affianco a me si siede una cicciona, che entra soltanto con la chiappa destra, mentre ormai, nel bus stracolmo di gente, io sono costretto ad avvinghiarmi a Viviana (per non dovermi avvinghiare alla cicciona!). Ma il prode scudiero non si perde d’animo, e continua a sgolarsi dallo sportello aperto: ANTIGUAAAAAAAAAA! Io e Viviana ci guardiamo come se fossimo su Marte: l’autobus è palesemente stracolmo, ma continua a caricare. Lo scagnozzo dell’autista smette per un attimo di gridare, solo per impartire concitati comandi a quelli delle file di dietro: fate spazio, urla, inglobatevi l’uno con l’altro, che il peso specifico dell’autobus non ha ancora raggiunto i suoi picchi! Nel tumultuoso caos del bus, faccio notare a Viviana che non abbiamo pagato nessun biglietto, e ci chiediamo come avverrà il pagamento. E’ presto detto: una volta usciti da Città del Guatemala, dopo 178 fermate e altrettanti “ANTIGUAAA!” a squarciagola, vediamo l’efficiente aiutante insinuarsi come una biscia nel muro di persone, sventolando soldi a destra e manca: l’ora del biglietto! Io non credo che il tipo abbia mai potuto raggiungere le persone oltre la 5 fila, ma evidentemente, in Guatemala, tutto è possibile. Intanto, ad un incrocio, l’autista fa salire un paio di venditori che danno il loro umile contributo al caos generale svendendo giornali e caramelle. L’autista aspetta che abbiano finito il giro e siano scesi, prima di ripartire. Ma il pezzo forte deve ancora arrivare. Siamo ormai in prossimità di Antigua quando lo smilzo aiutante, dopo aver scrutato l’orizzonte come un consumato lupo di mare, abbaia un ordine perentorio: io e Viviana osserviamo, sempre più basiti, la gente che si acquatta abbassando le teste. Anche noi ci uniformiamo, gù la testa! Pochi metri e ci rendiamo conto del motivo: un posto di blocco della polizia! Evidentemente, l’autobus stracarico non deve essere proprio in regola (ma allora esistono delle regole!), l’aiutante ci ringrazia per la prontezza di riflessi mentre il bus supera indenne il penultimo ostacolo sulla rotta verso Antigua. A un certo punto, però, mentre nell’aria aleggia un certo tanfo di freni bruciati, il bus si ferma e un tot di persone vengono cortesemente invitate a scendere. Io e Vivi abbiamo rinunciato a capire, e assistiamo alla processione di una ventina di persone che scendono dall’autobus e si mettono in marcia a piedi. Dopo un paio di chilometri c’è quella che, almeno crediamo, sia la spiegazione: un posto di controllo ufficiale, dove un tipo munito di cartellina attende l’arrivo del bus, prima di dare un’occhiata all’interno, ai bagagli, e di dare l’ok definitivo all’aiutante smilzo, visibilmente soddisfatto. Bienvenidos a Antigua Guatemala.
12. Antigua Assieme a San Cristobal, Antigua rappresenta con ogni probabilità la città più bella che abbiamo visitato nel corso del viaggio. Circondata da una suggestiva cornice di vulcani, (tre, per l’esattezza) la vecchia capitale del Guatemala è un miscuglio di bei paesaggi, case coloniali e chiese più o meno in rovina (a causa dei numerosi terremoti che hanno imperversato nella zona). Ad Antigua siamo rimasti due giorni e mezzo, alloggiando allo splendido Hotel Casa Azul, a due passi dalla piazza principale, dove, per la modica cifra di 92 dollari a notte, abbiamo potuto dormire in una stanza (al piano di sopra) con tre grandi vetrate, una delle quali puntava dritta dritta sul vulcano più imponente. Cosa si fa ad Antigua? Si gira per i negozi, si ammirano le creazioni in giada (ve ne sono per tutte le tasche, anche se, tendenzialmente, i pezzi migliori costano un occhio), si pasteggia in simpatici localini, tutti da scoprire. Insomma, un bel posto rilassante. Naturalmente, nemmeno Antigua è immune dal fascino dei bandidos, tanto che , per due delle mete più gettonate, il Cerro de la Cruz e il cimitero, sono assolutamente consigliabili le viste con l’accompagnamento della Polizia Turistica, che partono ogni giorno, alle 8, le 11 e le 15 dall’ufficio della polizia, attaccato alla piazza centrale. Vi sconsiglio caldamente di perdere il vostro tempo con la visita al cimitero: non c’è davvero nulla di interessante da vedere. Se dovete scegliere, optate per il Cerro de la Cruz, una collina dove, nei pressi di un gigantesco crocifisso, si gode la miglior vista di Antigua. A onor del vero noi non ci siamo andati, ma tanto non potrà essere peggio del cimitero… Nei vari negozietti sparsi per la città potrete ammirare (e comprare), tra le altre cose, dei meravigliosi acquerelli dipinti da una pittrice canadese, di nome Claudia Tremblay. Mi sono rimasti nel cuore: io, infatti, credendo di trovarne anche altrove, in Guatemala (e più a buon mercato), non ne ho comprato neanche uno, e sono rimasto fregato. Consigli gastronomici. Ad Antigua si mangia bene assai. Ottima la Posada de Don Rodrigo. Per uno spuntino o un pasto dai prezzi contenuti, non perdetevi l’eccellente Dona Luisa Xicotencatl (sempre che riusciate a sopravvivere alla pronuncia). Io poi, mi ero fissato con Quesos y Vino, ristorantino di ispirazione italiana, e alla fine sono riuscito a trascinarci Viviana. Resistendo alla tentazione di prendere gli spaghetti (un rito sacro da conservare gelosamente per il ritorno a casa), ci siamo lanciati su due panini, davvero buoni. Il mio era mozzarella (e sembrava vera!), salame e salsa di olio e aglio: davvero miracoloso. Il giorno della partenza per Chichicastenango ci siamo soffermati per un po’ nella piazza principale, in odore di festa, ed era un vero spettacolo ammirare le donne maya (e le bambine!) aggirarsi con i loro coloratissimi fagotti sulla testa. Avrei dovuto portare la macchina fotografica, perché il vero spettacolo, in Guatemala, sono le persone: ogni volto una cartolina, davvero.
13. Chichicastenango Da Antigua, con un minivan, ci siamo recati a Chichicastenango, dove eravamo decisi a pernottare per vedere il famoso mercato di Chichi la mattina presto, quando ancora non sono arrivati i turisti. In realtà i tempi cambiano, e i mercanti hanno capito bene che gli affari veri si fanno con i turisti. Per questo, il mercato vero non inizia prima delle 9.00/9.30, orario in cui i minivan provenienti da Antigua e Panajachel scaricano ondate di turisti. Ragion per cui è abbastanza inutile vagare per il mercato prima di tale ora. Decisi a portarci via un bel po’ di souvenir, attacchiamo subito le bancarelle delle maschere (la guida dice che i manufatti in legno sono tra gli oggetti più caratteristici del mercato di Chicchi): naturalmente qui bisogna contrattare con decisione, cosa per la quale non mi ritengo abbastanza portato. La prima maschera ha un prezzo annunciato di 60 Q. Io sparo subito 30, e alla fine ci accordiamo per 40. Ma, nel corso della giornata, capirò in fretta che i prezzi vanno abbattuti sin dall’inizio: se chiedi uno sconto iniziale solamente del 50% sei fregato. Capito l’andazzo le cose vanno subito meglio: di li a poco, per 40 Q. Mi porto a casa ben DUE maschere. L’andamento è il seguente: il venditore ti dice il prezzo, affrettandosi a precisare che questo è un mercato, non una boutique, e che dunque il prezzo si può concordare insieme. Dopodiché ti chiede quanto sei disposto a dare. Come offerta iniziale puntate un quinto (o anche meno) del prezzo del mercante. A quel punto lui si lancerà in un discorso molto articolato sul perché e il per come questo pregiatissimo pezzo è venduto a quel prezzo, e deciderà, solo per voi, di abbassare un po’ il prezzo originale. Voi alzate piano piano il vostro prezzo sino a raggiungere la cifra che siete disposti a sborsare. A quel punto, se non c’è l’accordo, salutate cortesemente e andatevene, che tanto verrete inseguiti dal mercante, che a quel punto ha capito che più di quello non siete disposti a offrire. Una volta, con Viviana, siamo stati inseguiti e raggiunti da una venditrice quando eravamo ormai parecchio distanti! L’importante è non esitare mai: chi si ferma è perduto. E del resto, è difficile che una bancarella abbia pezzi che non si possano trovare presso altre bancarelle dello stesso mercato. Dopo aver fatto il pieno di maschere, cinte e tovagliette, ci imbarchiamo nuovamente sul minivan che ci porta a Panajachel.
14. Panajachel e lago Atitlan Panajachel è un posticino simpatico, che ha il pregio non indifferente di affacciarsi sul bellissimo lago Atitlan. La cittadina è un covo di turisti, per cui non ci si può aspettare di trovare granchè di davvero caratteristico, ma si tratta comunque di un posto gradevole dove trascorrere un paio di giorni, base di partenza per le escursioni ai vicni villaggi. Noi abbiamo pernottato all’Hotel Utz-Jay, bel posto, con un proprietario molto simpatico che è anche guida e organizza escursioni. Per il mangiare, un posto che non è segnalato dalle guide ma è molto buono e a prezzi decenti è il Pajaro Azul, sul corso principale: tra le altre cose, squisiti succhi di frutta è un’eccellente insalata mediterranea, con un saporito condimento fatto da loro. Un bel locale per gustarsi il tramonto sul lago è il Sunset Cafe. A Panajachel ci imbattiamo nuovamente nei simpatici Christian e Lina, i danesi compagni di sventura, che ci parlano incantati dell’Hotel Bambu, a Santiago Atitlan, un posto molto romantico con vista direttamente sul lago. Se avete intenzione di recarvi direttamente a Santiago Atitlan, il Bambu potrebbe essere una buona scelta, ma prenotate prima, perché Christian mi ha detto che era tutto pieno. La prima nottata a Panajachel è surreale: il primo gallo inizia a cantare che saranno le 3 di notte, e di li alle 6.30 è un vero e proprio putiferio di “chicchiricchi”. Una cosa strana, che la seconda notte non si ripete: proprio quando avevo deciso di mangiare pollo mattina e sera per estinguere le riserve del maledetto pennuto! Il mattino seguente ci imbarchiamo per un tour del lago, con visite di un’ora ai tre villaggi più caratteristici: Santiago Atitlan, San Pedro e San Antonio Palopò. In realtà, a parte il meraviglioso contesto del lago Atitlan, i villaggi in sé sono ben poca cosa, in particolare San Pedro. San Antonio è un villaggio di pescatori un po’ più gradevole, ma nel complesso si tratta di località abbastanza deludenti, oltretutto non molto estranee alle logiche del turismo (troverete souvenir anche qui). E quando ti sembra di vedere qualcosa di autentico, tipo 7 vecchietti in abito tradizionale seduti su una panca, scopri che per una foto ti chiedono 20 Q., e allora ti domandi se i vecchietti fossero seduti li per caso o per il sollazzo di noi turisti (e delle loro tasche). Bah. Il mattino successivo è tempo di tornare a Città del Guatemala da dove riprenderemo il volo per Città del Messico. Il nostro minivan si presenta con un’ora di ritardo, e deve ancora caricare altre persone (per inciso: un inglese mezzo brillo e due sue amiche un po’ stordite). Il viaggio verso Città del Guatemala, con tappa ad Antigua per scaricare i tre relitti umani, è a dir poco allucinante, con il conducente che calca l’acceleratore spingendo il minivan verso il bang supersonico. Mentre il mezzo si produce in una serie di sorpassi da pena di morte, cerco di rallegrare Viviana dicendole che tutto questo, un giorno, lo racconteremo ai nostri nipoti. Ma la sua risposta è assai meno prosaica: “ lo racconteremo…Se ci arriviamo!”. Beh, in un modo o nell’altro tocchiamo Antigua e poi arriviamo a Città del Guatemala, dove ci imbarchiamo per Città del Messico.
15. Città del Messico Vista di giorno Città del Messico fa ben altra impressione, e quasi quasi non mi dispiace. Il Zocalo è una piazza molto bella, e il fatto che sia stata edificata sull’antica piazza della città azteca di Tecnotitlan (capitale dell’impero azteco di Moctezuma), sfruttando le pietre delle piramidi letteralmente smontate dagli spagnoli, rende il posto ancora più affascinante. Il Palacio Nacional, su un lato della piazza, meriterebbe una visita anche solo per i meravigliosi affreschi di Diego Rivera, che ripercorrono la storia della conquista del Messico da parte degli spagnoli (compratevi l’opuscoletto che vi spiega tutto sugli affreschi: ne vale la pena). Una cosa che colpisce, comunque, è che, verso le 19.00, la città si svuota e si avverte un senso incombente di pericolo, nonostante il presidio di numerosi poliziotti, che fanno le prove generali in vista dell’arrivo del papa. Alloggiamo all’Hotel Gillow, un posto davvero eccellente, a due passi dalla piazza, per appena 36 dollari la doppia: consigliatissimo. Abbiamo anche la possibilità di visitare il celebre Museo Antropologico di Città del Messico. Il museo contiene una serie di pezzi da favola, ed è davvero immenso. Purtroppo è illuminato molto male, e la grande maggioranza dei pezzi sono esposti senza informazioni, o con scarse informazioni perlopiù in spagnolo. Se ci andate, e comunque ve lo consiglio, prendetevi assolutamente una guida scritta o, meglio ancora, una radioguida. E’ ormai tempo di tornare in Italia: e già pregustiamo nuovi ritardi della Iberia. Detto fatto, il nostro aereo parte con 2 ore di ritardo, che conserva sino a Madrid, facendoci perdere la coincidenza per Roma, nonché la sostanziosa cena di bentornati che era in programma, barattata per un panino all’aeroporto di Madrid (“Baracca” di nome e di fatto). Date retta a me: se dovete andare in Messico lasciate perdere Iberia…Andate a nuoto, piuttosto!