Egitto: tè nel deserto e un botto di figure
Nel frattempo, però, avevamo anche preso contatti via e-mail con una agenzia del Cairo, suggeritaci dalla guida Lonely planet, che è risultata fare al caso nostro. Anche se siamo partiti con un po’ di ansia perché non eravamo certi, poi smentiti completamente dai fatti, della affidabilità di tale agenzia, che comunque non aveva voluto alcun anticipo in denaro.
Così il nostro viaggio è cominciato, con l’arrivo a Il Cairo in piena notte e con l’omino che ci è venuto a raccogliere all’aeroporto e ci ha portati nell’albergo stabilito. A cominciare da lui, tutti gli egiziani che abbiamo incontrato nel corso del nostro viaggio ci hanno detto di essere grandi amici degli italiani, si proclamavano i nostri vicini di casa, addirittura i nostri cugini. “Si vabbè, lo fanno per avere una mancia più grande o per spillarci più soldi ed addolcire la pasticca” pensavamo noi “poi addirittura cugini!?!” Ma quando mai! Se si parla di cugini noi italiani pensiamo subito ai Francesi, i cugini d’oltralpe e mai a quelli d’oltremare. Però, a pensarci bene, un po’ di ragione gli Egiziani ce l’hanno. Un rapporto speciale con l’Egitto noi italiani ce l’abbiamo, o almeno, lo abbiamo avuto quando, per esempio, esso divenne forzatamente il granaio dell’Impero Romano o, appena pochi anni prima, quando Giulio Cesare cominciò una lunga relazione con la strafamosa regina d’Egitto Cleopatra, dalla quale ebbe persino un figlio, Cesarone. Quest’ultima, alla morte di Giulio Cesare, non si perse assolutamente d’animo e si mise con Antonio insieme al quale fu sconfitta da Ottaviano consegnando appunto l’Egitto in mano ai Romani.
Ma quale regina d’Egitto poi! Cleopatra era di origine greca-macedone poiché apparteneva alla dinastia dei Tolomei, il cui capostipite Tolomeo I era stato il miglior generale di Alessandro Magno che aveva “liberato” il Paese dal dominio persiano, ed alla morte di questi ne aveva preso il potere in Egitto. Ma torniamo ai nostri giorni, all’Egitto moderno. La moderna civiltà egiziana sembrerebbe non avere niente a che fare con la grandiosità del suo passato che ci viene trasmessa dalle imponenti vestigia rimaste intatte, o quasi, nel corso di centinaia di secoli passati. Ai giorni nostri l’Egitto è, purtroppo, un paese povero la cui economia si fonda essenzialmente sui proventi del Canale di Suez prima di tutto, poi sul turismo, da quando si è capito il valore del patrimonio storico-archeologico presente in esso, e infine sull’agricoltura, in particolar modo per la grande produzione di cotone di ottima qualità esportato in tutto il mondo. Possiamo farci un’idea dell’importanza dell’agricoltura nella vita della popolazione egiziana se usciamo fuori, anche di poco, dai più classici circuiti turistici andando, per esempio, a visitare le oasi presenti nel Deserto Occidentale.
Queste mostrano al visitatore curioso una realtà estremamente rurale, semplice ed ancora molto tradizionale, come immaginiamo dovesse essere l’Italia circa un secolo fa. Le donne indossano tutte un fazzoletto intorno alla testa ed alcune addirittura hanno tutto il viso coperto da un velo che lascia loro scoperti solo gli occhi; gli uomini indossano per la maggior parte la Galabiyya, una lunga tunica somigliante ad una sorta di camicia da notte che arriva fino ai piedi, sotto la quale c’è chi indossa i pantaloni e chi niente. Lungo la strada si incontrano innumerevoli carrettini trainati da asinelli i cui frequenti e buffi ragli hanno spesso suscitato la nostra ilarità, con sopra fasci e fasci di erba medica o fieno o covoni di grano appena mietuto, spesso condotti da bambini piccolissimi zozzi luridi da far invidia: “Ma come riescono a sporcarsi così?”. Pochi i turisti incontrati, tra cui un solo italiano, e già questo è positivo. Questo turista italiano era comunque un simpatico ragazzotto ventiduenne di Pesaro, che non la smetteva più di parlare e di raccontarci quanto da lui già visto, felice di poter riparlare italiano dopo tanto tempo, visto che era in giro solo soletto per il Nord Africa già da due mesi. Quando voleva raccontarci di qualcosa che per lui era bellissimo diceva sempre che quel qualcosa era “una roba fuori di testa” , p.Es. Il Deserto Bianco era fuori di testa oppure l’oasi di Siwa era fuori di testa e così via. Noi gli abbiamo raccontato che mentre stavamo raggiungendo la prima oasi, dopo circa 3 ore di viaggio, in pieno deserto, il nostro autista si ferma dicendoci che era arrivata l’ora di prendere un the. Quindi comincia a raccogliere delle sterpaglie ma che a noi sembravano essere vere e proprie piante del deserto (addio ecosistema desertico, se tutti fanno così!), le ammucchia in una buchetta e dà loro fuoco. Poi mette in mezzo alle fiamme una cuccuma di metallo smaltato bianco piena d’acqua che in un attimo diventa tutta nera e che dopo soli 5 minuti ci rifornisce di acqua bollente sufficiente per 3 bicchieri di te. Il mio fidanzato continuava a dire che secondo lui l’ultima volta che i bicchieri erano stati lavati era quando erano usciti dalla fabbrica, meno male che l’acqua era davvero bollente! Una sensazione che ci è rimasta impressa di queste oasi è il loro essere polverose perché anche se c’è acqua in abbondanza e le terre sono fertili, appena fuori c’è il deserto con le sue tempeste di sabbia che travolgono e stravolgono tutto intorno a loro. Una cosa difficile da credere in pieno deserto è la presenza di innumerevoli sorgenti di acqua solfurea che sgorga a varie temperature che possono arrivare a sfiorare gli 80 gradi C°. Per questioni igieniche legate alla mancanza di strutture adeguate di convogliamento di queste acque e per l’abbeveraggio degli animali in queste pozze di acque sorgive, solo in alcune di esse è possibile immergersi, ma questo vale solo per noi turisti che rischiamo di prenderci qualsiasi cosa da cui gli Egiziani sembrano invece essere immuni. Essi si immergono dappertutto, Nilo compreso, che per noi è ad altissimo rischio bilartzia. Anzi per molti di loro questa è l’unica possibilità di lavarsi, non disponendo molto spesso di un bagno in casa e mancando totalmente di reti fognarie adeguate. Noi ci siamo immersi, dietro suggerimento del nostro autista che ha approfittato anche lui per lavarsi, in una pozza dell’Oasi di Farafra, ed è stato veramente piacevole, sia per la temperatura calda ma non bollente dell’acqua, sia perché avevamo anche noi necessità di lavarci di dosso tutta la sabbia che avevamo accumulato durante la notte precedente trascorsa in pieno Deserto Bianco, nell’infuriare del vento in quella che aveva tutta l’aria di essere una vera tempesta di sabbia. Per fortuna l’indomani mattina era tutto finito ma noi avevamo la sabbia dappertutto, in qualsiasi orifizio del nostro corpo. La sera successiva abbiamo dormito nella casa di un Beduino (i Beduini, da nomadi che erano, sono diventati ormai completamente stanziali) presso l’Oasi di Dakla, il quale aveva in bella mostra sotto il portico della casa, e questo potrebbe fare la gioia di qualche buon turista che decide di avventurarsi da quelle parti, una rigogliosa pianta di mariuana dalla quale secondo noi, visto il tipo, attingeva continuamente per rifornire il suo narghilè. Nelle Oasi quasi tutte le case sono fatte di mattoni di fango con una struttura interna portante fatta di foglie di palma da dattero. Grazie al clima favorevole piuttosto secco (a volte non piove per anni) alcune di queste case sono in piedi da circa 2000 anni. Le più antiche spesso costituiscono i centri storici ormai quasi completamente disabitati di alcune delle diverse cittadine del deserto. Alcuni di questi sono in ottimo stato di conservazione e bellissimi da vedere come quello di “Al Qasr”, a Dahkla, di epoca medievale perfettamente conservato o come l’antica necropoli copta di Kharga, con le sue tombe tutte sormontate da cupole e cappelle risalenti a pochi secoli dopo Cristo. E che dire delle numerose mummie d’oro di epoca bizantina ritrovate in una necropoli di Barayyia, in ottimo stato di conservazione, quattro delle quali, bellissime, si possono ammirare presso il locale “Museo”? Persino in pieno Deserto, molto lontano da tutte quelle antichissime vestigia più conosciute, più studiate e decisamente più visitate d’Egitto, abbiamo ritrovato le tracce e le testimonianze storiche di un antico e glorioso passato. Inoltre nelle Oasi ci sono boschi e boschi di palme da dattero, coltivazioni di olivi e piante da frutta, immense distese di piante di cocomeri con i relativi frutti attaccati. Il nostro autista, di sua spontanea iniziativa, ha rubato un cocomero per noi dicendoci che eravamo in terra beduina e che i Beduini sono gente molto generosa e che se il proprietario del campo avesse saputo della nostra presenza ce l’avrebbe regalato spontaneamente egli stesso. Fuori dalle Oasi c’è appunto il Deserto vero e proprio del quale riusciamo solo a dire che è spettacolare, altrettanto quanto lo sono i grandi monumenti di Luxor e di Assuan: c’è il Deserto Nero dove la sabbia è spolverata di polvere lavica, c’è il Deserto Bianco con le sue stupefacenti formazioni di calcare bianco che assumono le forme più strane, ci sono le dune di sabbia fine color giallo ocra che si spostano di volta in volta modificando continuamente l’aspetto del paesaggio e ricoprendo inevitabilmente persino la strada asfaltata tanto da costringere gli Egiziani a doverne modificare spesso il tracciato asfaltandone ex novo nuovi tratti un po’ più in qua o un po’ più in là. Dopo i 5 giorni trascorsi nelle Oasi Occidentali godendo di un soggiorno piuttosto spartano e di ben poche comodità, arriviamo a Luxor dove ci aspetta l’imbarco su una nave a 5 stelle, piacevolmente dotata di ogni confort, grazie alla quale faremo la classica crociera sul Nilo. Bisogna dire che ciò che si vede con 4 giorni di crociera lo si potrebbe vedere nella metà del tempo utilizzando una macchina, ma il viaggio attraverso il Nilo è decisamente più rilassante, più emozionante e senz’altro più romantico. Tuttavia quattro giorni sono più che sufficienti per non arrivare ad averlo a noia. Luxor avrebbe bisogno di numerosi giorni di sosta per poter vedere il più possibile del tantissimo che ci sarebbe da vedere e per poterlo fare senza fretta. Poiché la nave sarebbe partita solo il giorno successivo, al nostro arrivo a Luxor siamo riusciti ad organizzarci, nonostante le limitazioni poste dal dover viaggiare in convoglio scortato dai soldati e quindi solo in orari già prestabiliti senza alcuna possibilità di movimento indipendente, tramite il personale d’accoglienza della nave stessa, una visita al Tempio di Dendera, il Tempio più intatto dell’epoca Tolemaica, ad una quarantina di km. A nord di Luxor. Il giorno successivo, poichè la nave sarebbe salpata solo a mezzogiorno, siamo riusciti ad andare a vedere il museo di Luxor, piuttosto ignorato dal turismo di massa ed invece da non perdere perché è piccolo, contiene pezzi notevoli ed è ottimamente e modernamente organizzato.
In quella stessa mattina, molto molto presto, eravamo stati a vedere la valle dei Re e delle Regine con una guida, l’unica in tutto il viaggio, che parlava italiano. Questo ragazzo parlava un discreto italiano, e utilizzava dei specifici termini tecnici meravigliandosi del fatto che noi eravamo in grado di capirne il significato, ci diceva che eravamo italiani colti, roba da non credere! Era molto simpatico e quando ad un certo punto, per mostrarci quante figure umane c’erano su una parete ha detto: “E qui potete vedere un botto di figure” noi ci siamo davvero sbellicati dalle risate. Io gli chiesto dove aveva imparato l’italiano e lui mi ha risposto:”Ma perché? Non si dice così?” e poi mi ha detto che aveva lavorato tanto coi Romani. “Adesso si spiega tutto” abbiamo pensato noi, e si spiega anche il suo “ ‘Nnnamo reca’ che ogni tanto tirava fuori.
Al termine di quella mattinata forsennata e sfiancante finalmente salpiamo, e con 3-4 ore di viaggio arriviamo in prossimità della chiusa di Esna dove aspetteremo pazientemente fino a circa le 10 di sera il nostro turno per poterla superare. A conti fatti non è bastata mezza giornata solo per oltrepassare la chiusa. La nave viaggia tutta la notte fino ad attraccare, la mattina presto, ad Edfu, dove visiteremo un bel tempio anch’esso Tolemaico, per poi ripartire alle 12 e attraccare di nuovo, nel tardo pomeriggio, a Kom Ombo, dove visiteremo un altro bellissimo tempio. Il giorno dopo si riparte per Assuan dove si arriva sul far della sera e il giorno seguente si sbarca. Assuan è una calda ma a tratti piacevolmente ventilata città del sud dell’Egitto, decisamente rilassante, dove si possono fare delle splendite passeggiate lungo le sponde del fiume, godendo della vista delle feluche che scivolano silenziose nell’acqua, le cui vele si ergono maestose da ogni parte verso cui si volga lo sguardo. Assuan ha inoltre un vivace e variopinto mercato da non mancare e che per alcuni aspetti ci è piaciuto più del mercato del Cairo. I venditori sono meno assillanti perché questo non è un souk solo per turisti ma lo si potrebbe paragonare ad un nostro mercato rionale, ci dà quindi anche un’idea della vita quotidiana e delle necessità della gente locale. Inoltre qui le spezie, diversamente dal souk del Cairo, vengono vendute non solo sfuse ma anche già confezionate in singole bustine salvaguardando, almeno per un minimo, l’igiene che in Egitto lascia un po’ a desiderare. Assuan è la sede di un’ imponente diga costruita per la produzione di energia elettrica che, con la creazione del lago Nasser, ha fatto si che le acque del Nilo invadessero una intera regione, la Nubia, sommergendo tutto ciò che si trovava in quella zona, dai villaggi ai monumenti agli habitat e costringendo le persone ad emigrare per poter sopravvivere. La maggior parte dei monumenti è dunque andato perduto sott’acqua ma per alcuni di essi, grazie all’intervento dell’UNESCO, si è proceduto ad un lavoro pazzesco di spezzettamento, spostamento e ricostruzione che attualmente ci permette di ammirare in tutta la loro imponenza e bellezza svariati templi fra i quali quelli di Abu Simbel e di Filae. Da Assuan partiamo con il wagon-lit fino a Il Cairo da dove era cominciato il nostro viaggio e dove avevamo già sostato 2 giorni utilizzati per andare a Giza a vedere le Piramidi e per visitare il Museo Egizio. Un’altra cosa degna di nota per Il Cairo, oltre a quelle appena nominate, è il traffico, che è considerevole a tutte le ore del giorno e della notte. Esso è costituito principalmente da tassì bianchi e neri e da minibus. I tassisti guidano come pazzi spericolati e strombazzano continuamente, spesso senza motivo ma solo per il gusto di farlo, tanto che abbiamo saputo che il pezzo che si usura per primo in una macchina egiziana è, guardacaso, proprio il clacson. Non esistono strisce pedonali, in alcuni incroci più pericolosi esistono dei passaggi sopra elevati ma la maggior parte della gente preferisce buttarsi a corpo morto nel traffico rischiando letteralmente la pelle perché le macchine corrono e cercano di non fermarsi ma solo di evitare in qualche modo di investire i pedoni. Per quanto riguarda i minibus invece, normalmente coloro che li guidano, giunti in prossimità delle fermate, gridano forsennatamente fuori dal finestrino la destinazione e le persone spesso salgono al volo attaccandosi alle portiere. Prendere un tassì al Cairo significa provare le stesse sensazioni che si provano al Luna Park su una pista di macchinette a scontro con un ulteriore aumento dell’adrenalina in corpo se si viaggia di notte perché quasi tutte le macchine camminano a fari spenti che sono o rotti o proprio mancanti e lì dove possibile vengono usati solo per lampeggiare. Noi alla fine ci avevamo preso gusto e ci divertivamo un mondo ad andare da una parte all’altra della città stando sempre lì a pensare: “Oddio, questo mo’ lo pijia!” e vedendo che poi all’ultimo secondo il tassista riusciva sempre ad evitare l’ostacolo che gli si frapponeva davanti. Ci hanno raccontato che un piccolo decongestionamento del traffico in superficie è avvenuto con la messa in funzione della metropolitana che per noi che abitiamo a Roma, è proprio da invidiare, per la frequenza dei passaggi e per l’aria condizionata. Il problema maggiore sta nel fatto che a volte le direzioni sono esclusivamente scritte in arabo e se non si sa già prima dove andare è veramente complicato capirlo leggendo i cartelli. Abbiamo trovato i negozi aperti fino a tarda sera con tanta gente che gira per le strade, tutti ti osservano passare ma nessuno ti dice niente e ti senti tranquillo pure se sei l’unico turista del quartiere. Alla fine del viaggio, dopo che tutto era andato bene, proprio al momento di ripartire per l’Italia abbiamo incontrato il cosiddetto “coglione di turno”, che fino a quel momento non avevamo ancora incontrato e dal quale ormai pensavamo di essere scampati. Invece no, è toccato pure a noi anzi a me in particolare. Al controllo documenti ho trovato un poliziotto che era convinto che io non fossi quella della foto del mio passaporto e che ha così sollevato un caso nazionale. Prima ha chiamato un collega che si è mostrato anche lui poco convinto della mia foto, forse solo per non contraddirlo, quindi ha annotato qualcosa su un foglio che ha messo nel mio passaporto e mi ha fatto andare in una stanza dove c’era un funzionario al telefono che ha dato solo un’occhiata veloce a quanto annotato e mi ha spedito in un’altra stanza e da qui mi hanno mandata in un’altra ancora. A questo punto ho cominciato a preoccuparmi perché ho pensato che volessero una mazzetta per liberarmi dall’impiccio. Infine, visto che la cosa non si sbloccava, ho tirato fuori un altro documento che avevo con me e che mi è servito per sistemare le cose. Alla fin fine credo che quel poliziotto fosse solo stupido ma mi sono presa un bello spavento.
Siamo arrivati alla fine del viaggio e vorrei fare solo un’ultima piccola annotazione: noi turisti saremo pure mucche da spremere il più possibile (d’altronde chi è che non fa così con i turisti?), la richiesta continua di mance potrà pure darci fastidio, ma gli egiziani sono comunque gente cordiale, sorridente, simpatica (a parte il coglione di turno) e riescono, quasi sempre,a farti sentire a casa; dopotutto siamo cugini no?