Ayuantepuy – La Montagna del Dio del Male
Ayuantepuy la Montagna del Dio del Male
Anche questa volta mi sono fatto condizionare dal mio amico Marco……. Novembre 2000 – Casa di Marco – Udine Marco “……sai……Quest’anno ho deciso di fare un giro a “Los Roques”………Ho visto un documentario alla televisione secondo il quale entro pochi anni quelle meravigliose isole spariranno per colpa dell’innalzamento del livello del mare ……e non vorrei perdermele…………” Luca “… (che cazzate) ….Ma dove si trovano esattamente queste isole…..Sono proprio così basse sul livello del mare da essere così a rischio, più delle Mauritius o della Polinesia ?…….” Marco “ …sono in Venezuela…..Al largo di Caracas……” Luca “……mai stato …..Allora vengo anch’io…. (ogni scusa per partire è buona)” Marco “….Ok…solo 15 giorni però…. Il prossimo gennaio……”
…… così iniziavo ad organizzare questo ennesimo viaggio in giro per il mondo.
Dopo aver analizzato le informazioni rinvenute nelle mie guide e in qualche sito internet, sottopongo a Marco il piano di massima comprendente la capitale Caracas (nonostante la fama di cui gode non sia delle migliori), il Parco Nazionale Mochima vicino a Puerto La Cruz, il famosissimo Salto Angel vicino Canaima, una breve sosta tecnica all’Isla de Margarita e quindi chiusura in relax all’arcipelago di Los Roques (sempre che il mare non ce lo porti via prima del nostro arrivo……). Decidiamo volutamente di tralasciare altre località del paese non meno interessanti come Merida con le sue meravigliose Ande, Maracaibo con il suo lago, le pianure dei Llanos o la zona del Roraima perché non abbiamo molto tempo a disposizione. In tutta onestà, all’inizio avevo espresso ai miei compagni di viaggio forti riserve sulla scelta di questa destinazione; infatti non capivo per quale motivo vi fosse una così forte carenza di informazioni turistiche sul Venezuela che ho scoperto essere un paese quasi completamente sconosciuto ai grossi tour-operator. Naturalmente una situazione del genere ha anche i suoi aspetti positivi (l’eccesso di turisti non è quello che cerco nei miei viaggi) ma non mancavano le perplessità. Pensavo: se non ci sono informazioni né villaggi turistici in Venezuela forse non c’è niente di interessante da vedere; mi sbagliavo di grosso.
Comunque era stato deciso di partire e saremmo partiti comunque……..Come sempre……. Anche perché ci piacciono le sfide.
Convinco Sandro a seguirci incondizionatamente. Saremo solo tre maschietti….Un po’ datati…. Ma pieni d’esperienza.
Martedì 2 gennaio 2001 Sono ancora invaso da un certo torpore provocato dai bagordi di fine anno. Così la partenza, o meglio i preparativi per la partenza (valigia grande o piccola, cosa porto, cosa non porto….Quanti dollari, quante carte di credito) sono strazianti più del solito…… Inoltre, cosa che non mi era mai successa prima (forse condizionato da mia moglie che ha stipulato a suo favore una grossa polizza caso mia morte) sono assalito da una infinita serie di strani e brutti presagi ………. Faccio abbondantemente le corna …e tocco ferro.
Il vettore è Lufthansa così da Venezia faremo scalo a Francoforte. Dalla Germania al Venezuela impiegheremo circa dieci ore di volo……(sigh…)… in comoda classe turistica (termine usato recentemente dalle compagnie aeree per indicare la vecchia “economy” che faceva tanto barboni i suoi occupanti). Mercoledì Siamo sopra Caracas e non mi pare vero. Con l’età che avanza riesco a resistere sempre meno chiuso in queste scatole volanti. Il mio limite è di circa otto ore, pertanto quelle successive fino allo scalo sono un’inferno… come al solito, sono capitato vicino ad un omone gigantesco che occupa anche buona parte del mio già striminzito sedile.
Arriviamo di sera abbastanza tardi e siamo un po’ preoccupati nonostante la nostra modesta esperienza in città malfamate. Stando alla mia inseparabile Lonely Planet abbiamo altissime probabilità di essere subito rapinati o coinvolti comunque in una sparatoria…staremo a vedere. Per esperienza, l’importante è assumere un atteggiamento non troppo difensivo o impaurito nei confronti della gente del posto; meglio assumere un atteggiamento sicuro (di quello che sa dove sta andando…in ogni caso, anche quando ci si perde) girare sempre almeno in due, togliersi di dosso orologi e collanine, vestire in modo casual minimalista, assumere un aspetto leggermente trasandato (intendo con un pò di barba…..Chi vuole però può fare a meno di lavarsi per una settimana) ed evitare le zone dichiaratamente off-limits. Queste sembrano le solite raccomandazioni che tutti conoscono perfettamente prima di mettersi in viaggio, eppure vi assicuro che immancabilmente il turista tonto con Rolex d’oro e telecamera digitale non manca mai. Un tipo del genere l’ho visto (anche se solo per pochi minuti..…..) anche nel mezzo della nerissima Soweto mentre tentava di filmare con la sua “Sony Digicam” da dieci milioni di dollari la casa natale di Nelson Mandela. Sono questi soggetti che sballano le statistiche……..
All’aereoporto annusiamo subito l’aria calda e umida che ci ricorda subito che siamo nel continente caraibico e che ci fa dimenticare all’istante il freddo inverno padano. Sbrigate velocemente le formalità doganali ricerchiamo un tassista dall’aria un minimo raccomandabile; cosa non facile considerato come sono conciati i taxi da queste parti. Scopriamo infatti immediatamente che il Venezuela vanta il più antico e malandato parco veicoli del mondo; tutti i rifiuti automobilistici degli Usa, (che il Messico non vuole), finiscono qui. Autovetture circolanti cosi malconcie non le ho mai viste nemmeno ammucchiate dagli sfasciacarrozze e tutte dotate di motori di almeno 5000 cc; d’altronde qui la benzina non costa niente. Il Venezuela infatti, nonostante economicamente non se la passi molto bene (…ed è incredibile) è il terzo produttore al mondo di petrolio per non parlare delle altre mille risorse naturali di cui dispone abbondantemente. Dall’aereoporto Maiquetìa di Caracas che si trova sul mare e scalando la montagna che lo sovrasta ci addentriamo nel cuore della città attraversando una squallidissima periferia. Baracche fatiscenti ricoprono ogni centimetro quadrato delle colline che ci circondano e le piccole lampadine che le illuminano nella notte rendono il posto surreale. Manca qualsiasi riferimento, è tutto uguale, e mi chiedo come possa uno ritrovare la propria casa uno volta che se n’è allontanato. Il nostro taxi è a dir poco in putrefazione, ma rispetto alla media non possiamo lamentarci (di fronte a noi ne vedo uno talmente storto che la ruota anteriore destra e la posteriore sinistra toccano terra alternativamente…..E non scherzo…ho anche la foto). L’importante che il nostro non si fermi per strada e che ce la faccia ad arrivare in centro. Infatti la nostra destinazione sono i quartieri “bene” di Altamira e Las Mercedes, dove sembra si possono trovare delle buone sistemazioni senza correre grossi rischi. Dopo un lungo tunnel in salita percorso con i finestrini aperti (mente fuori aleggiano concentrazioni di gas di scarico inverosimili) cambiamo leggermente colore ma vediamo finalmente il downtown.
Caracas, tutto sommato, urbanisticamente non è peggio di molte altre grosse metropoli dell’america latina, disturba però quella fama di città senza legge che la precede, fama che sicuramente vanta a pieno merito visto come sono protette le case. La cosa che mi colpisce di più (sicuramente unica al mondo) è vedere condomini altissimi blindati con inferriate alle finestre anche fino al ventesimo piano. Ci fermiamo a La Floresta, un albergo di medio livello con ottima vista nel quartiere di Altamira. Mancano solo delle vere porte alle camere e quindi perdiamo un po’ di tempo a nascondere i nostri averi. La compagnia è abbastanza silenziosa ma affamata; decidiamo quindi di andare a rifocillarci nonostante l’ora tarda. Un tassista di origini italiane (che poverino, non sembra aver fatto per niente fortuna) ci conduce ad uno dei migliori ristoranti di carne di Caracas “La Estancia”, dove assaggiamo quasi tutto il menù. Sarà la fame provocata dal viaggio o il ricordo dei pasti che servono in aereo ma il cibo qui mi sembra veramente strepitoso, e soprattutto la carne. Per il bicchiere della staffa concludiamo la serata in un locale consigliatoci dal tassista di turno che si chiama Miguel . Com’era prevedibile finiamo in uno squallidissimo night club di enormi dimensioni situato al piano terra di un condominio e strapieno di “donnine”. Ce ne rendiamo conto solo quando vediamo bene la faccia del tassista che ci ha consigliato il locale. Ma ormai è troppo tardi perché prima di arrivare alla porta d’ingresso abbiamo già attraversato due check/point dotati di buttafuori palesemente armati con fucili a pompa. Decidiamo così di bere lo stesso qualcosa prima di lasciare il posto; non si sa mai che l’oste abbia qualcosa da ridire o si offenda …… Per uscire dobbiamo necessariamente farci accompagnare dal tassista che sicuramente, da come si comporta, deve essere un socio del locale. Presa questa cantonata (il drink è costato come la camera d’albergo..) ce ne torniamo in albergo per un meritato riposo. Una volta a letto prima di addormentarmi mi convinco che la parte più pericolosa del viaggio tutto sommato è stata già affrontata. Così mi addormento felice… Giovedì Sveglia improvvisa con un sole caldissimo che illumina la stanza; dalla finestra vedo per la prima volta il meraviglioso parco che si trova di fronte all’albergo. Il fuso orario non ci ha creato problemi e così partiamo subito per una piccola esplorazione pedonale della zona. Altamira è un bel quartiere e ne approfittiamo per fare un’abbondante colazione in un bar\pasticceria che qui chiamano panaderìas. Solo dopo qualche ora riteniamo però che tutto sommato non valga la pena di fermarsi più di tanto in questa caotica e inquinata città dove l’unica cosa segnalata dalla mia guida è la presenza di un sacco di monumenti e musei dedicati a Simon Bolivar il Libertador; un nome che praticamente invade ogni aspetto di questo stato. Ogni città ha vie e piazze a lui intestate, come anche la montagna più alta del paese, e poi diverse scuole, alberghi, ristoranti; non si fanno più di 50 metri senza leggere da qualche parte questo nome…. Ah dimenticavo hanno intestato a lui anche una città; Ciudad Bolivar (e stranamente non l’hanno fatta capitale). Provate poi a indovinare come si chiama la valuta Venezuelana….Vi aiuto comincia con la B…… E pensare che questo personaggio nato nel 1783 è famoso per aver pronunciato in punto di morte “…nella storia vi sono stati tre grandi folli: Gesù, Don Chisciotte e io…” …mah !!!!! Viste le premesse, nel primo pomeriggio organizziamo la trasferta ad oriente verso Puerto La Cruz. Miguel il tassista intrallazzone (molto intrallazzone) ci viene addirittura a trovare in albergo offrendoci un passaggio a prezzo politico fino a destinazione. Naturalmente non sarà lui l’autista ma un suo parente, Henry, che per fortuna si presenta con un auto un po’ più decente (d’altronde dobbiamo fare diversi chilometri). Si parte così a tutta birra e mi stupisco che da queste parti si possano organizzare delle cose così in fretta.
In poco tempo siamo lontani dalla grande e unica metropoli Venezuelana. Henry è di poche parole ma ogni tanto è disponibile a fornire informazioni e a fermarsi per le soste tecniche. Per strada ci rifocilliamo a dei chioschi che vendono un po’ di tutto ma prevalentemente arepa, cachapa, hallaca, hervido, lechon, mondongo, muchaco, pabellon criollo, sancocho e naturalmente cerveza; io e Sandro prendiamo una birra, Marco, come sempre prende uno di tutto e poi pretende di farci assaggiare ogni cosa….… Nonostante l’infestante puzza di fritto e i vani tentativi di indovinare il contenuto di queste frittate frittelle fritte, il viaggio è piacevole ma non offre spunti degni di particolare nota.
Arriviamo in serata a Puerto La Cruz. Il paesotto assomiglia tanto alle nostre moderne città rivierasche dell’adriatico pertanto non mi fa impazzire più di tanto. D’altronde qui vicino ci sono alcuni dei più bei parchi marini di tutto il Venezuela e siamo in un crocevia importante per isole come Margarita, Trinidad, Tobago, le Grenadine, S. Vincent e Barbados. Puntando invece a sud ( ma solo in aereo perché le strade terminano a Ciudad Bolivar) ci si inoltra nelle province di Bolivar (ancora…) e Amazonas, dentro la selvaggia foresta tropicale e si raggiunge il massiccio della Guayana dove fra qualche giorno ammireremo i favolosi Tepuy dai quali saltano le cascate più alte del mondo. Per trovare un albergo ci mettiamo un po’ di tempo perché l’offerta non è poi così valida. O alberghi carissimi o posti bruttissimi a prezzi stracciati; le vie di mezzo poche e non disponibili. Convinciamo Henry a rimanere a nostra disposizione ancora per un po’ e gli facciamo fare dieci volte su e giù per Paseo Colon, la via degli alberghi. Al Carribean INN Marco riesce a spuntare un buon prezzo per due camere doppie ( non avevano triple disponibili). Le camere sono buone e la vista niente male. Henry si guadagna una lauta mancia. Così, dopo un piccolo riposino e una rinfrescatina, aperitivo in camera e poi a cena dove gusteremo un ottimo churrasco mero (così mi sembra di aver scritto….Comunque era una grigliata mista di pesce). La faticosa giornata ci consiglia poi di infilarci a letto prima di cenerentola. Oggi la compagnia è poco loquace……stiamo meditando o rimbambendo !!!?? Venerdì Decidiamo di esplorare i dintorni di Puerto La Cruz perché la cittadina di per sé non offre niente di particolare. Così ci facciamo un giretto in barca nella baia con sosta ad una delle vicine Islas Chimanas. Mi colpisce subito il paesaggio molto caratteristico; a parte i pochi metri di spiaggia situata a sud, tutta la zona circostante è ricoperta fittamente di enormi cactus che crescono su una terra color rosso fuoco. A nord, l’isolotto termina invece a picco sul mare aperto, creando grossi e rumorosi frangenti. Paesaggio unico.
La popolazione locale invece stupisce per l’esagerato consumo di alcolici e l’assoluta mancanza di educazione ambientale. Rimango stupito di quanto si beve in questa spiaggia; già prima di mezzogiorno sono praticamente tutti alticci. Non oso immaginare cosa stia succedendo nella vicina “Isla el Borracho”. E sicuramente a causa di questa abitudine non proprio sana, noto un grado di obesità tra la popolazione ultraventenne da far impallidire le Big Mama della Virginia. Le nostre misere pancette, a confronto, sono invisibili, nemmeno valutabili, anzi siamo tutti e tre da considerare sottopeso ….Che pacchia….. Gettare poi ogni genere di rifiuto in ogni luogo è praticamente lo sport nazionale. E questa circostanza ci fa riflettere su quanto progresso, soprattutto in termini culturali, abbiamo fatto noi europei in materia ambientale. Tutte le persone incontrate in questo posto, giovani compresi, dimostrano di non avere il minimo rispetto per l’ambiente ma solo perché per loro è un concetto assolutamente sconosciuto; notiamo che disperdere rifiuti nella natura è un comportamento normalissimo e accettato da tutti. Col passare dei giorni purtroppo avremo modo di constatare che questa brutte abitudini sono diffusa in tutto il paese. Mentre riflettiamo su tutto ciò il primo vero sole ci regala la prima vera scottatura. Sandro, curioso come un gatto, in perlustrazione fuori sentiero proverà invece l’esperienza unica della “spina di cactus all’allucione” (il suo) provocando l’ilarità di tutta l’isola.
Cena da “Luigi” in un locale dotato di karaoke (che disgrazia…..) dove abbiamo mangiato piuttosto male. Marco insiste poi per un giro in discoteca ma anche da queste parti c’è l’abitudine di frequentare i locali danzanti molto tardi, ben oltre la mezzanotte; così dopo aver comunque visitato verso le 23 un paio di discoteche della zona praticamente deserte (La Lecheria e L’Inferno) decidiamo anche stasera di rientrare ad un ora decente. Sabato Colazione a base di uova formaggio e pancetta abbrustolita (la mia passione quando viaggio e ho tempo per la colazione). Così con grande energia affrontiamo il piccolo viaggio fino al famoso Parque Mochima. Contrattiamo con un tassista il trasporto che dovrebbe garantirci anche il rientro in serata (alla fine del viaggio la voce “spese taxi” sarà quella più rilevante). Raggiungiamo quindi la località di Mochima dalla quale a bordo di piccole imbarcazioni è possibile esplorare l’enorme e intricatissima baia piena di spiaggette bianchissime, mangrovie che crescono in acqua salata (e che danno supporto e vita a piccole ma gustosissime ostriche) ed enormi pellicani. L’acqua ha dei colori meravigliosi, anche se ci accorgiamo subito che il concetto di parco qui è molto vago (tanto per ritornare alle considerazioni fatte prima in materia ambientale). Tra le tante baiette infatti ci sono degli attracchi petroliferi ( da non credere) e bisogna stare attenti alle grosse petroliere circolanti in rada. La navigazione a motore poi è molto caotica e ci sono tantissimi motoscafi di tutte le dimensioni che, sfrecciando da una parte all’altra delle varie baie, non disdegnano qualche puntata in mezzo ai bagnanti. Lo sport più diffuso qui pertanto è lo sci nautico on the beach; consiste nell’utilizzare le teste dei bagnanti a mò di paletti da slalom …..Divertente no !!!! ….…… Sosta per bagno, sole e pranzo in una delle più belle spiagge del Parco, “Playa blanca” ; dal colore della sabbia…..Naturalmente! Il rientro invece sarà un po’ difficoltoso; in primo luogo dopo il lauto pranzo, che abbiamo innaffiato abbondantemente di birra, Marco si addormenta sotto una palma e fatichiamo non poco a svegliarlo (mi sembra che l’abbiamo preso anche a calci….Oltre che a parolacce) poi all’arrivo alla darsena non troviamo il tassista ad aspettarci. Dopo un momento di smarrimento (non esistono in questo luogo mezzi di trasporti pubblici ufficiali e la più vicina fermata dei bus è a diversi km) riusciamo a farci dare un passaggio sul cassone di una Jeep già affollatissimo di donne del posto. Durante il viaggio noto che queste ragazze bellissime ci guardano in uno strano modo….Sempre più intenso.….Non capisco…. Sono sguardi concupiscenti ……SVEGLIA stazione dei bus…….Scusate mi sono appisolato. Il viaggio in bus è molto divertente nonostante abbiamo dovuto sorbirci diverse ore di coda a causa di un enorme camion che con il motore fuso bloccava completamente la strada (l’inconveniente della fusione è molto ricorrente in Venezuela e viene rigorosamente risolto sul posto senza spostare neanche di un metro il mezzo.…..); insieme a noi infatti viaggiano dei ragazzi, forse olandesi, che fanno una gran confusione (erano un po’ alticci a dir la verità…) tenendo però alto il morale di tutti i passeggeri. Non ho ricordi ho appunti sul resto della serata….Sarà un bene o un male ? La stanchezza comincia a farsi sentire. Per domani previsto imbarco per Isla de Margarita.
Domenica Prima parte della giornata da dimenticare Per prima cosa Marco prende a male parole l’addetto al check\in-out dell’albergo (mi astengo dal riportare l’esatto contenuto del colloquio); il soggetto infatti, diverso da quello con il quale era stato effettuato il check\in-in si rifiuta in modo sgarbato e senza nemmeno accertarsi dei precedenti accordi, di farci lo sconto sulle camere; e la differenza è notevole. La discussione degenera in lite, con offese reciproche a diverse generazioni di parenti e affini, ma purtroppo non c’è modo di risolvere la situazione. Mai fidarsi mai degli accordi verbali. Nella concitazione Sandro dimentica anche un paio di pantaloni in camera e questo gli comporterà un mezzo esaurimento nei giorni a venire (avevano un valore affettivo…Sob! Sob!). Dopo la furiosa lite ci rechiamo di corsa all’imbarco della Conferry, uno dei traghetti in partenza per Isla de margarita dove troviamo una coda allucinante al botteghino dei biglietti. Impressionante il tempo che i due impiegati impiegano per emettere una carta d’imbarco; oltretutto manca poco alla partenza ma non ci resta altro da fare che aspettare il nostro turno. Dopo una mezz’ora mi rendo conto che al ritmo di un biglietto emesso ogni 10 minuti c’è il rischio di non riuscire a imbarcarsi. Infatti dopo un’ora e mezza di coda lo sportello mi si chiude praticamente in faccia; time-limit per l’imbarco biglietteria chiusa quando ormai avevo solo una persona davanti. La gente tutta intorno, e quella ancora in coda comincia ad urlare ed imprecare; ma niente da fare. Presi su i nostri bagagli corriamo alla ricerca dell’altro unico traghetto in partenza per quel giorno. Saliamo sul taxi e via…….Ma via dove ?; l’altro imbarco si trovava a 50 metri in linea d’aria, ed il taxi, percorrendo l’intasatissima strada c’ha impiegato un quarto d’ora…..E non solo non ci ha avvisato che a piedi bastava attraversare un vialetto ma ha anche preteso, altrimenti non ci consegnava i bagagli chiusi nel cofano, che gli pagassimo la corsa e ad un prezzo spropositato. Nervi a fior di pelle, corriamo verso lo sportello del nuovo imbarco. Dopo un’altra ora di coda questa volta ce la facciamo (ma per un pelo) e saliamo a bordo del potente catamarano che ci porterà a Margarita. Siamo sfiniti ……………
Margarita vista dal mare non offre spunti di particolare interesse. Dopo essere scesi a terra veniamo controllati dalla dogana in quanto l’isola e “porto franco” e per questo dovremmo attendere i nostri bagagli sulla banchina sotto un sole cocente per oltre un’ora. Molto curioso il sistema di smistamento bagagli: in pratica tutto è stato caricato su un grosso camion a sponde alte e delle persone dall’interno lanciano giù le valige alla gente che le riceve sotto a braccia aperte. Naturalmente, visto com’era iniziata la giornata, il mio bagaglio si trovava in fondo al camion, ridotto a una figurina.
Dopo tante vicissitudini arriviamo in un albergo (Margabella Suite) sul lungomare di Porlamar, la capitale dell’Isola, con ottima vista panoramica. Siamo veramente felici di essere arrivati a destinazione anche se il posto non è particolarmente bello (per essere un isola caraibica). La serata trascorre tranquilla nella vicina spiaggia dove Marco approfitta per fare un giro con la moto d’acqua. Poi per fortuna capitiamo in un chiosco dove il barista ci prepara una delle migliori caipirigna mai bevute prima. Con l’aperitivo decidiamo di assaggiare anche le ottime specialità culinarie a base di pesce e così alla fine facciamo notte lì. Per fortuna che la serata ha risollevato il morale altrimenti avremmo dovuto classificare la giornata come una delle peggiori di tutti i tempi. Sonno profondo.
Lunedì La mattina esco per visitare il centro di Porlamar e per cercare un amico che lavora qui da qualche anno. L’amico non lo trovo ma la passeggiata mi consente di vedere le vie principali della città. Molto moderne e commerciali ma senza alcuna originalità; piuttosto movimentate. I prezzi non sono per niente convenienti nonostante siano tax free; pertanto mi limito a fare qualche acquisto alimentare in un supermercato. Adoro visitare i supermercati perché sono lo specchio fedele delle abitudini di un popolo. Tutto sommato non differisce molto da quelli Italiani e per fortuna niente a che vedere con quelli del vicino Nord America (se penso ai supermarket che ho visto a Los Angeles mi viene l’orticaria). Per telefonare sono disponibili delle cabine collettive trasparenti situate agli angoli delle strade e assistite da operatore, dove si può approfittare anche per fare una veloce sauna vestiti. Per girare il resto dell’isola noleggiamo degli scooters che ci consentiranno di spostarci in altre località senza dover spendere ancora follie di taxi.
Partiamo così subito per il secondo paese più importante dell’Isola, che anche se più piccolo è decisamente più carino in quanto di origine coloniale. La Asuncion vanta una bella piazza ed una antica chiesa che è perfettamente integra. Infatti nel tardo pomeriggio assistiamo alla celebrazione della messa con grande affluenza di locali. Vicino alla chiesa, in un bazar, Marco si esibisce in uno dei suoi sport preferiti; spendere montagne di denaro in gadget più o meno turistici e più o meno inutili (ma generalmente pesanti e ingombranti). Nel nostro successivo giro motociclistico visitiamo le belle spiagge di Playa Agua e Playa Manzanillo dove approfittiamo anche per rinfrescarci tra le onde dell’Atlantico. A Cena gustiamo una deliziosa pizza in Calle Fermin.
Martedì Mattinata dedicata all’organizzazione dei successivi giorni di viaggio. Agenzia viaggi, banche per prelievi (con Visa è impossibile prelevare dagli sportelli; qui funziona solo il circuito mastercard\maestro) e altre seccature portano via tutta la mattina. Con l’agente di viaggio, l’italiana Sonia, decidiamo per i prossimi giorni di volare da qui a Canaima per ammirare il Salto Angel e da lì di spostarci direttamente a Los Roques dove passeremo gli ultimi giorni a bordo di una barca a vela. Il pomeriggio ci rechiamo a Playa Caribe dove incontriamo un altro immigrato italiano, Marcello, che gestisce il locale Brisa Y Mar. Qui in spiaggia ci sbaferemo in tre, niente meno che 300 (giuro 300, ho le prove in video) ostriche di “manglara” freschissime direttamente dal lettino; strepitose. Marco poi conoscerà un’anziana signora del posto che, per finire in bellezza, gli confezionerà all’istante un gigantesco sigaro con del tabacco fresco. In serata, visto che le ostriche non hanno dato effetti secondari di alcun tipo, decidiamo anche di cenare. Stiamo recuperando…… Mercoledì Giornata di relax totale. Conferma e pagamento voli da Sonia. Poi di nuovo da Marcello (questa volta di nuovo in taxi) che in serata ci invita anche a visitare la sua casa. Marcello vive qui da diversi anni con la moglie venezuelana, (che noi poi chiameremo la miracolata che ci racconta essere sopravvissuta ad una caduta dal decimo piano di un palazzo), e suo figlioletto. Marcello ci racconta un po’ la storia della sua vita, (che come sempre in questi casi prendo con le pinze ……), e i suoi progetti futuri nel settore turistico. Ma i suoi progetti e le sue aspettative a mio avviso si scontrano un po’ con la realtà circostante che non sembra molto promettente sotto questo punto di vista….. Ce ne accorgiamo soprattutto quando in strada aspettiamo il taxi che ci riporterà a Porlamar;……gli auguro comunque tanta fortuna, è stato molto gentile con noi, e anche se cercava di non farlo trasparire, si capiva che gli mancava un po’ l’Italia.
In serata ceniamo alla “Castellana” dove oltre a gustare una buonissima carne, assisteremo ad un mitico ballo di flamenco; strepitosa in tutti i sensi la ballerina principale che però disdegna l’invito al nostro tavolo (eppure siamo carini educati e….. Abbronzati). La serata poi termina al Disco Woody, modesto ma frequentatissimo disco bar ; non si chiude occhio prima delle 5 del mattino. Abbiamo recuperato….
Giovedì Problemi per la sveglia (ore 6.00) e qualcuno rischia di prendersi una secchiata d’acqua in faccia. Arriviamo così all’aereoporto proprio un attimo prima dell’imbarco per Canaima. Il vettore è LTA una delle tante compagnie private nate dopo la grave crisi della compagnia di bandiera “Avensa”. Rifletto che dovremo preoccuparci un po’ di più degli aerei utilizzati per questi voli perché a quanto pare la sicurezza dei mezzi di trasporto è alquanto trascurata. Purtroppo queste considerazioni troveranno tragico riscontro; infatti al nostro rientro a casa verremo raggiunti dalla notizia di un incidente aereo che accadrà fra qualche giorno proprio sulla tratta che ora stiamo per affrontare; i 48 passeggeri morti, tra cui quattro italiani, volavano sul DC3 Dakota della Rutaca Airlines di cui posseggo foto scattata a Canaima pensando si trattasse di un cimelio storico in esposizione La sua costruzione risaliva al 43 ed era uno degli aerei più vecchi ancora in servizio al mondo. Noi ci imbarchiamo su un Dash turbo elica e il fatto che abbia meno di 40 anni non ci rende particolarmente euforici. In genere uno vola relativamente tranquillo perché ritiene che il comandante di un aereo non sia un suicida e sia il primo a preoccuparsi della affidabilità del velivolo. Ma in Venezuela esiste una realtà particolare. Diversi piloti sono da anni senza lavoro e pensione a causa della grave crisi che ha investito alcune compagnie. Per questo semplice motivo qui potete trovare piloti alla cloche di qualsiasi cosa riesca a staccarsi da terra.
Il nostro volo termina comunque bene anche se atterriamo alla Indiana Jones……nei pochi metri di terra rossa dello pseudo aereoporto del villaggio di Canaima. Il posto è incantevole soprattutto perché non è collegato da alcuna strada al resto del mondo. Siamo in piena foresta tropicale a metà strada tra il Rio delle Amazzoni e l’Orinoco; entusiasmante. Il villaggio è molto piccolo e si affaccia su una laguna dalla quale sono già visibili gli enormi monoliti chiamati Tepuy, alti anche più di mille metri, che si ergono verticali sulla foresta. Dalla parte opposta della laguna si vedono già le enormi e fragorose cascate d’acqua del Parco; i fiumi qui sono di un color rosso acceso a causa della presenza di una fortissima quantità di tannino rilasciata dalla circostante vegetazione. Questo comporta una scarsa presenza di fauna ittica che non gradisce la presenza della sostanza. Nonostante ciò la natura è meravigliosa e trasmette una sensazione primordiale.
Conosciamo subito le nostre guide che, ci dicono essere degli Indio Pemòn. Sono molto serie e nonostante l’aspetto un po’ selvaggio si danno da fare in modo molto professionale. Saliamo in dieci su una canoa in legno molto stretta e lunga circa 8\10 metri motorizzata con un potente fuoribordo. L’equipaggio è composto da un marinaio a poppa che ha il compito di direzionare la parte anteriore dello scafo sulle rapide per mezzo di un grosso e corto remo (un lavoro faticosissimo) ed il comandante Basilio che per la sua audacia soprannomineremo Basilio J Bond che starà sempre al timone del fuoribordo. Con questa imbarcazione raggiungeremo in due giorni di navigazione il mitico Salto Angel. Oggi navighiamo senza problemi, anche se controcorrente, in un paesaggio da lasciare senza fiato percorrendo il largo Rio Carrao serpeggiante tra gli strapiombanti Tepuy offrendo scorci di natura insuperabili. Il fiume d’acqua rossa all’inizio impressiona ma poi ci consola il fatto che a causa del tannino qui non sopravvivono i piragna molto abbondanti invece nelle foci dell’orinoco. Non mancano però le anaconde ed infatti ne troviamo subito una gigantesca…per fortuna morta. Sono estasiato da questi luoghi e la cosa più bella è sapere di essere a migliaia di km da un vero e proprio insediamento umano. Qui ci siamo solo noi dieci e la natura. In prossimità del Salto Sapo (una cascata dotata di passaggio pedonale panoramico al suo interno) salutiamo il DC3 della Rutaca che ci sorvola a bassa quota….In uno dei suoi ultimi viaggi…. La prima giornata di navigazione si interrompe solo per il superamento di una rapida che costringe Basilio Bond a sbarcare a riva noi e tutte le masserizie. E così distesi sulla sabbia rosa intenso della spiaggia abbiamo assistito alla prima incredibile esibizione ……contro le leggi della natura. BB è riuscito (anche se dopo diversi tentativi) a risalire una rapida controcorrente con un dislivello di oltre un metro. Ancora a bocca aperta risaliamo a monte del fiume nella barca e ripartiamo per il campo base che raggiungeremo in serata. Nel frattempo il comandante nel giro di pochissimi istanti cambia in corsa la prima elica del fuoribordo ormai completamente maciullata. Queste posto vale da solo un viaggio in Venezuela.
Verso sera arriviamo all’accampamento, tappa intermedia del viaggio al Salto Angel. Siamo tutti felici. Il posto è mitico; una tettoia ripara una zona notte composta da decine di amache poste su due lunghe righe, i bagni (per modo di dire) e la zona cucina\refettorio. Nonostante i mezzi a disposizione siano quelli di una capanna in mezzo alla foresta, gli organizzatori riescono a preparare una cena buonissima a base di pesce. Dopo qualche ora arrivano anche le persone che rientrano dal Salto Angel e pertanto la serata si arricchisce dei racconti di quest’ultimi e passa meravigliosamente tra chiacchiere, birra, rum, musica e infine nel silenzio della foresta (non ci sono porte o muri a dividerci dalla foresta) Già ho imparato i nomi di tutta la band tra cui: emiliano l’argentino, oscar il colombiano, linsien di merida, alain il francese, margarita di bolzano, le guide antonio e il capitan basilio bond ponziano e il fratello panfilio. Troppo bello per essere vero….
Venerdì Sono le 5 e finalmente si vede qualcosa ad oltre un palmo dal naso. Ciò mi consente di andare a fare un bisogno che trattengo ormai da un’ora Ho avuto un po’ di freddo ma tutto sommato ho dormito come un sasso per almeno 5 ore (anche se mi è capitato di aprire un occhio tra uno squittio (?) e l’altro..) Non avrei mai pensato di riuscire a dormire in un posto così selvaggio alla mercè di qualsiasi cosa……non so cosa….
Mi faccio la barba con un coltello a serramanico davanti ad un coccio di specchio e mi sento veramente Indiana Jones…..Sono caricatissimo. Meno male perché oggi ci distruggeremo tutti dalla fatica.
Dopo un’abbondante colazione alle 7 si parte. Dopo 5 minuti però ci rendiamo conto che non sarà una passeggiata come il giorno precedente. Infatti in questo periodo dell’anno, a causa delle scarse precipitazioni, il livello dell’acqua dei fiumi circostanti (ed in particolare di questo ultimo tratto molto stretto chiamato Rio Churun) è particolarmente basso. Questo fatto, oltre che provocare un aumento fortissimo della corrente, ci costringerà a scendere a spingere la barca decine e decine di volte all’urlo di “…o Salto Angel o morte…”. Arriveremo sotto la cascata più alta del mondo (1000 metri, 16 volte le Niagara Falls) dopo sette ore di fatica inaudita e completamente ammollati (mani e piedi lessi, scarpe da buttare e due eliche in meno). Devo dire che lo rifarei……il posto è mitico e non ci sono parole per descriverlo sufficientemente. Il Salto Angel però è talmente alto che l’acqua quasi non tocca terra ma si vaporizza durante il percorso.
Questa zona è diventata nota al mondo solo dopo il 1937 quando un pilota americano è atterrato casualmente sulla cima dell’Ayuantepuy in cerca d’oro. Quel pilota si chiamava Jimmie Angel. Purtroppo, anche se il rientro sarà una passeggiata in confronto all’andata, non possiamo fermarci a lungo perché è gia tardi, e dopo un frugale pranzo preparato nella foresta dal nostro BB (ha arrostito il pollo alla maniera degli indio) ed un brevissimo riposino, si riprende la strada per l’accampamento. L’ultimo tratto del viaggio lo facciamo nel buio totale; non riesco a capire se BB sa quello che fa oppure se abbiamo solo fortuna quando scendiamo in rafting alla cieca le ultime rapide. Meglio assumere un atteggiamento incosciente e godersi le emozioni… BB all’accampamento ha ancora la forza di preparare la cena. Io mi mangio tre etti di spaghetti al ragù poi svengo. Sabato Quando mi sveglio l’ultimo mio ricordo è il piatto di spaghetti….Qualcuno deve avermi messo a letto (anzi in amaca). Ripartiamo con calma per Canaima. Mi ripeto ……che magnifica esperienza. Al villaggio pranziamo e facciamo ciucca con Basilio e suo fratello. Solo in questa occasione veniamo a scoprire che questi bravi e modesti ragazzi per il loro durissimo lavoro vengono pagati in modo assolutamente irrisorio dagli organizzatori del tour (mentre noi all’agenzia abbiamo pagato una cifra non proprio trascurabile), tanto che a conti fatti riescono a comprare appena un paio di bottiglie di rum che poi regolarmente si scolano in poche ore. Quando la ciucca è ai massimi livelli siamo ormai tutti fratelli ….. … Si decolla per Los Roques, con sorvolo d’addio dell’ Ayuantepuy e della sua Angel Fall; in lingua indio Pemòn, Ayuantepuy significa “Montagna del Dio del Male”; non capisco perché i Pemòn hanno identificato il male in questa montagna; vista dall’alto addirittura ha la forma di cuore ….Mah..
Risorvoliamo il tortuoso Orinoco, enormi distese di foreste e savane inesplorate e atterriamo per una sosta tecnica di nuovo a Porlamar. Ora ci aspetta l’ultima tappa del nostro viaggio; la Polinesia dei Caraibi.
L’arcipleago di Los Roques è composto da diverse isole coralline molto piccole sparpagliate in un area di oltre 2000 kmq. Non si tratta di veri e propri atolli con laguna ma i colori sono fortissimi e se non fosse per l’assoluta mancanza di vegetazione potrebbero ricordare proprio le isole del pacifico meridionale. L’isola principale, e l’unica che può dirsi veramente abitata, è Gran Roque; piena zeppa di posadas, (piccole pensioni ad un piano molto curate e dipinte con colori sgargianti) è l’unica che la sera si anima dei turisti che durante il giorno sono dispersi per l’arcipelago. In realtà quasi tutte le altre isole hanno un piccolissimo insediamento, formato anche di una persona sola come a Noronquises dove l’unico essere vivente è un pescatore di aragoste che al posto del cane ha adottato un grossissimo pellicano. L’aereoporto è praticamente composto da una strisca di terra battuta ed una pensilina ed è situato sull’isola di Gran Roque; se il pilota allunga appena qualche metro in atterraggio o in decollo, finisce in mare (quindi nessun pericolo incendio…). Il porticciolo di Gran Roque dista a piedi circa 30 metri dalla scaletta dell’aereo. Quindi appena scesi, ci troviamo di fronte il marinaio Iuanca che ci invita a seguirlo. In pochi minuti di tender siamo a bordo del Velero Sula Sula, un cabinato a vela di 42 piedi dei cantieri francesi Gibbs Sea. Il comandante Fernando ci accoglie a bordo con tutti gli onori. Abbiamo una barca di quasi 13 metri a nostra completa disposizione. Si preannuncia una settimana di vero relax. Poi scopriamo che lo skipper è anche un cuoco eccezionale. Il posto è incantevole, la barca è bella e comoda, l’equipaggio fenomenale, si mangia da Dio, si pesca di tutto, il tempo è bello…..Se ci fossero una dozzina di giovani donne a bordo potrebbe essere il paradiso. Cocktail di benvenuto rum-cola con una spruzzatina di cannella e stuzzichini a base di carpaccio di wahoo e formaggi francesi. In pratica ognuno di noi ha una cabina separata pertanto nessun problema per la sistemazione. Marco, siccome ci dice avere problemi di stomaco, decide di prendere la cabina armatoriale a prua perché è la più ventilata…..Non crediamo alla scusa ma non vogliamo correre il rischio di metterlo alla prova. L’unica cosa che mancherà in quest’ultima parte del viaggio saranno le relazioni sociali; Fernando e Iuanca comunque limiteranno questa mancanza anche perché Fernando parla molto bene l’italiano e quindi ne approfittiamo per farci spiegare meglio alcune cose sul suo paese.
Domenica Rrrrrelaxxxxxxxxx Si dorme, si mangia, si beve, si dorme, si mangia, si beve………….
La navigazione è tranquilla ma non entusiasmante (per appassionati velisti come me e Sandro) il vento è costante sia in direzione che intensità (e lo stesso vento che ha portato Colombo in America) ma ci consente di spostarci da un isola all’altra in assoluto silenzio senza mai usare il motore. La lenza messa da Fernando a poppa aggancia un pesce mediamente ogni cinque minuti e se non lo recuperiamo in tempo ci pensa qualche Barracuda a fargli la festa. Fernando non ci fa fare niente; io mi approprio del timone ma per la conformazione della barca e con l’andatura che teniamo (un traverso) non serve assolutamente a niente. La barca va da sola. Al massimo ci sforziamo di fare qualche apnea sulla barriera corallina, anche se l’incontro con un grosso Barracuda irriverente, mi fa passare la voglia di immergermi. Ho visto anche una tartaruga……che pace.
Lunedì e martedì Fernando ha recuperato tre meravigliose aragoste dal pescatore di Noronquises e ce le propone in tutti i modi possibili. Visitiamo nuove isole e ci godiamo nuovi meravigliosi tramonti. Sandro si legge tutta la collezione di Diabolik in spagnolo di Fernando. Quasi mi viene da dire che le giornate trascorrono tutte uguali….Ma pare brutto… Mercoledì Il tempo è letteralmente volato. Considerato che il nostro rientro in Italia è previsto in tarda serata, ci godiamo in pieno anche quest’ultimo giorno. Infatti due ore prima del volo da Caracas siamo ancora in slip da bagno a bordo del Sula Sula intenti a preparare i bagagli. D’altronde da qui a Caracas sono circa 30 minuti di volo interno e fa un certo effetto pensare che ora siamo qui e fra pochissimo saremo già diretti verso casa. Salutiamo Fernando e Iuanca ma mentre ci apprestiamo a sbarcare ci rendiamo conto che qualcosa non và…il Dash utilizzato dalla Aerotuy non è parcheggiato da nessuna parte e mancano pochissimi minuti al decollo. Ci informiamo e ci rispondono che siccome c’erano pochi passeggeri su quel volo la compagnia ha deciso di utilizzare un vettore locale…………aiuto… Paura sacrosanta, dopo le considerazioni fatte in precedenza. Infatti ad attenderci sulla pista un pilota di circa 150 kg tutto sudato con il fazzoletto in mano (alla Pavarotti) ci invita a consegnargli il bagaglio. Siamo in 5 persone, io, Sandro, Marco, una coppia di giovani ragazzi tedeschi ed una anziana signora del posto che va a fare la spesa a Caracas. Il velivolo (aereo è una parola troppo grossa) è un Piper che in altre situazioni non avrei utilizzato nemmeno se dotato di paracadute. I bagagli vengono stipati a spinta in ogni pertugio disponibile. La signora anziana viene invece fatta salire sul posto del coopilota con la borsa sulle ginocchia. Sono molto preoccupato e purtroppo non abbiamo alternativa; fra un ora da Maiqueìta parte il nostro volo per l’Italia. Tra noi e Caracas c’è solo mare e penso, che tutto sommato, se voliamo bassi abbiamo buone probabilità di sopravvivere. Il cruscotto è divelto, mancano quasi tutti gli strumenti e funziona solo una radio. Il pilota ci rassicura che il tempo è bello e che navigando a vista l’aereo non avrà problemi…….Ma lui (il pilota) ce la farà ??. Chiudo gli occhi e prego……..Sandro controlla i comandi utilizzati da Pavarotti così, mi dice sottovoce, se l’infarto al pilota gli viene proprio oggi, riusciamo almeno ad estrarre il carrello.
Dopo 30 minuti atterriamo a Maiquetìa e tiro un sospiro di sollievo. Avevo in mente tutti i brutti presentimenti della partenza.
Controlli accurati della Polizia all’imbarco, ma partenza regolare. Volo ottimo, infatti mi sveglio quando siamo già sopra Parigi.
Giovedì 18 gennaio 2001 ore 16.30. Siamo di nuovo a casa. Abbraccio Cristina che è arrabbiata perché ha speso inutilmente i soldi della polizza vita (scherzo….., è arrabbiata perché sono abbronzatissimo).
Conclusioni sul Venezuela : strepitosa la natura un po’ meno i suoi abitanti (a parte Basilio, Panfilio Fernando e Iuanca) …..…comunque ci ritornerò sicuramente.