Marocco, terra di contrasti

Marocco, una meta inattesa, non pianificata, ma sempre un nuovo luogo da aggiungere al mio bagaglio di “avventure”. Marocco, un paese pieno di contrasti sia geografici che culturali. Approfitto del fatto che Elisa e Matteo ora si sono trasferiti a Marrakech per fare “un salto” a trovarli. L’organizzazione della partenza è fulminea. In...
Scritto da: Roberta Scapinello
marocco, terra di contrasti
Partenza il: 06/04/2001
Ritorno il: 23/04/2001
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 1000 €
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Marocco, una meta inattesa, non pianificata, ma sempre un nuovo luogo da aggiungere al mio bagaglio di “avventure”. Marocco, un paese pieno di contrasti sia geografici che culturali. Approfitto del fatto che Elisa e Matteo ora si sono trasferiti a Marrakech per fare “un salto” a trovarli. L’organizzazione della partenza è fulminea. In una settimana in ordine: decido di chiedere le ferie, sento la disponibilità di Elisa, convinco Lella a partire, prenoto il volo e parto. Meglio fare così, senza pensarci troppo, altrimenti ogni scusa o contrattempo sono buoni per bloccare il progetto di viaggio. Il volo aereo non è dei piu’ tranquilli. Bologna-Marrakech, circa 3 ore tra shakkerate, vuoti d’aria e vibrazioni dovute ad una perturbazione particolarmente affezionata al nostro aereo. Per fortuna non soffro di mal d’aria e non ho paura di volare. In qualche modo riusciamo ad atterrare. L’ aereoporto di Marrakech, o perlomeno la sala dove io sono arrivata, è di nuova costruzione. Puzza di vernice fresca e pittura. La polizia di frontiera è estremamente lenta. Subito si forma una lunga e disordinata fila di italiani con documento in mano. Bisogna poi compilare anche quel foglio per l’ufficio immigrazione. A cosa serviranno poi tutti questi dati nessuno ha il privilegio di saperlo. Elisa , Matteo e Tish, il loro cane, sono all’uscita. Elisa è dimagrita tantissimo chissà come ha fatto… Saliamo in macchina. I sedili della macchina sono pieni di peli del cane. Non importa, tanto a me non da fastidio. Il paesaggio è interessante. Le strade sono molto ma molto caotiche, popolo molto indisciplinato nel guidare. Nelle strade si vede di tutto: macchine, camion, motorini extracarichi, carri trainati da muli, biciclette, pedoni…Insomma un vero caos. Subito mi rendo conto che le regole del codice della strada qui sono del tutto ignorate. Non riesco a capire se esiste il senso di dare la precedenza a destra. Non credo glielo abbiano insegnato alla scuola guida. Il paese dei suonatori di clacson. Per loro deve essere una grande soddisfazione strombazzare. Le strade sono dei gran concerti di trombe e trombette. L’appartamento dove vivono Elisa e Matteo mi affascina. E’ in tipico stile marocchino. Mi sembra quasi irreale. Pero’ mi piace, è davvero particolare. Elisa e Matteo si sono sistemati bene. Abitano a Marrakech da qualche mese, ma ormai la conoscono bene. Il giorno dopo si va alla piazza di El Ya F’na,(la traduzione dall’arabo è un vero tabù…In tutti i cartelli stradali di Marrakech il nome è tradotto in modo diverso!)E’ qualcosa di incredibile… Mi sembra di essere piombata nel film di Salvatores, Marrakech Express, i suoni e la confusione sono i medesimi. Ci sono gli incantatori di serpenti, i giocolieri, gli uomini dell’acqua…Il tempo sembra essersi fermato in questa cittadina dalle case rosse. Poi ci incamminiamo nel souk. Vengo presa da una irrefrenabile eccitazione: i colori, i profumi, gli oggetti, vorrei portarmi a casa tutto. Ci fermiamo in un negozio di babouches (ciabatte). Voglio comprarne un paio. Il vendere e il comprare in Marocco diventano un’ arte. Non una cosa da fare con i ritmi che abbiamo noi. Ci vuole tempo, devi contrattare, vietata la fretta. Devi e sorbirti tutto il rito del the alla menta, che se all’inizio puo’ essere una novità fantastica, dopo giorni diventa una frustrazione… Il thè alla menta è dolcissimo e ha un buon sapore. Quando lo si beve bisogna fare rumore. Dicono che significa che si gradisce. Si parla del piu’ e del meno e poi, via inizia la lunga trattativa d’acquisto. I marocchini sono molto fisici. Gli piace toccarti mentre ti parlano. Non gradisco molto questo modo di gesticolare, ma poi mi faccio prendere e allora via con strette di mano, abbracci, varie ed eventuali…Tutto cio’ per comprare un paio di ciabatte! Contrariamente al mio solito, in Marocco sono frustata nel fare acquisti. Non riesco a comprare nulla a cuor leggero. Dopo qualche giorno non sopporto piu’ questa tiritera di offerte e controfferte e soluzioni eque e solidali. Marrakech è una città abbastanza grande, ma bastano pochi giorni per visitarla. Poi un pomeriggio si parte alla volta di Ouzud. E’ sulle montagne, E’ incredibile come il paesaggio repentinamente cambi. Ogni tanto ci troviamo davanti camion stracolmi. Di capre, montoni, mucche e persone. Tutti insieme. Qualcuno dall’alto di questi autocarri vivacemente colorati ci saluta e ci sorride. E’ strano, comico e un po’ triste vedere questa gente, uomini, donne e bambini mescolarsi con gli animali. Le strade sono spaziose, intere distese di olivi, di palme, di sterpaglie, di rocce, di sabbia si susseguono sotto ai miei occhi. I nomi dei paesi sono scritti in arabo sul costone delle montagne con un mosaico di sassi che ne formano le lettere. Sopra al nome (indecifrabile) ovunque c’è anche il simbolo del Marocco: una stella. Dopo circa un’ora di curve e strade dissestaste, di paesi fantasma e di grossi nidi di cicogne, si arriva a Ouzud. Elisa e Matteo mi assicurano che di questo posto mi potrei innamorare. Effettivamente è così. Scendiamo le mille scale che portano al guado e poi, eccole, imponenti e maestose queste cascate che compiono un salto di oltre 100 metri. E’ bellissimo. Tutto intorno è bellissimo. Qui la gente mi sembra anche meno appiccicosa. Penso che ci tornero’ in questo posto incantevole dove la notte dicono che scendono le scimmie e rubano le cose ai campeggiatori di passaggio. Infatti dimenticavo di dire che proprio ai piedi delle cascate c’è un camping, o perlomeno un posto dove è possibile mettere le tende. Devo assolutamente andare in bagno. Mi sembra di essere ai tempi della guerra. Una baracca costruita con lamiere con un buco al centro è la latrina del “campeggio”. L’operazione che bisogna compiere per tirare l’acqua è altrettanto artigianale. Un secchio con acqua e detersivo serve per disinfettare questa “turca”poco moderna. La carte igenica è costituita da fogli di giornale. Viva il riciclaggio!! Qualche giorno piu’ tardi partiamo verso il sud del Marocco. Matteo, Elisa, Lella io e Tish, il cane. Non è molto confortevole viaggiare con un cane di 40 kg, ma impariamo ad adattarci tutti, anche Tish, che impara a volermi bene, nonostante questa convivenza forzata. Divento la dogsitter di Tish. Mi diverto a portarla in giro, a farla giocare e correre e a parlarle. E’ docile e ama la compagnia. Ci inerpichiamo nella catena dell’Atlante, un susseguirsi di curve e vallate infinite. Per la strada bisogna fare attenzione alle persone che cercano di fermarci per venderci fossili e minerali.

Siamo sulla valle delle mille Casbah. Ce ne sono tantissime. Gli inquilini delle piu’ diroccate sono diventate le cicogne, che con i loro imponenti nidi sovrastano i ruderi delle torri. Peccato che da noi, in Italia, gli avvistamenti di cicogne siano estremamente rari. Non ne avevo mai viste così tante, forse solo anni fa quando ero in Polonia ero capitata in un luogo dove per la prima volta avevo potuto avere un incontro ravvicinato con questi uccelli bicolori ed eleganti. Alcuni nidi sono di dimensioni spropositate. Sembrano dei coni fatti di un impasto composto da fango e paglia. Decidiamo di non fermarci a Quarzazate. Piu’ di dare una sbirciata agli Atlas studio dalla strada non c’è altro da fare. Proseguiamo per M’Kela M’guna (anche in questo caso il nome è tradotto in mille modi diversi!), il paese nella valle delle Rose. Le case sono basse e fatte di terra rossa. Le donne sono vestite in modo diverso qui. Sempre molto coperte naturalmente, ma in questo paese hanno il velo nero merlato con lustrini e frange colorate. Al sole luccicano ed è uno spettacolo di sicuro effetto. L’albergo è pulito e delizioso. Ha una grande terrazza con veduta su un piccolo guado. Sembra di essere dentro ad una cartolina. Le donne in fondo raccolgono l’erba, un bimbo a cavalcioni di un mulo s’inerpica per una sentiero sassoso, un’ upupa zompetta sulla riva del guado, sullo sfondo una vecchia Casbah con annesso nido di cicogna…Le cicale e le rane improvvisano una melodia che sa di pace e rilassamento. Tutta questa tranquillità ogni tanto è rotta da Tish che scappa, rincorre le rane, abbaia agli altri cani, spaventa i gatti. Per la serata mangiamo nel ristorante dell’albergo: una tenda berbera dai tappeti colorati. Facciamo una scorpacciata. Io sono così piena, che non riesco nemmeno ad alzarmi!! La cucina marocchina è davvero molto particolare. E’ il risultato di tradizioni differenti: berbere, Arabe, Andaluse e Francesi. Fa grande uso di frutta, di spezie e di erbe aromatiche, spesso mescolate insieme onde formare un sapore agrodolce.

Il paese è piccolo e si sviluppa tutto ai margini della strada principale. C’è un mercato alquanto squallido e diroccato, un brutto spettacolo. Però nell’aria c’è un fragranza di rose…Alcuni piccoli negozietti vendono infatti prodotti a base di rose, la specialità di qui. Creme, fragranze di rose, acqua di rose, shampoo, saponette…Ci sono anche gli incensi alla fragranza di rose che pero’ mi accorgo che sono stati fatti in India. Ad un certo punto qualcosa attira la nostra attenzione. Nel centro della strada c’è stato un tamponamento. C’è una folla di curiosi. Niente di grave, ma la gente si piazza lì a guardare come se fosse l’anteprima di uno spettacolo cinematografico. Addirittura vengono chiusi i negozi per poter assistere a quello che deve essere l’avvenimento della giornata del paese. Il giorno dopo ci dirigiamo verso Erfoud. Il paesaggio continua a cambiare. Sembra di passare attraverso diverse dimensioni, ma quando ci avviciniamo al deserto lo spettacolo è unico. Panorama lunare. Una distesa desertica, brulla e secca. All’orizzonte piccole trombe d’aria fanno volare le sterpaglie. Sporadici pastori si fermano con i loro montoni o con i cammelli in prossimità dei rari pozzi. La strada è dritta e lunga ed è costeggiata da tantissimi crateri, come quelli che si intravedono sulla luna nelle notti particolarmente limpide. Proviamo a fermarci ed arrampicarci su uno di essi. Il buco del cratere è molto profondo, saranno almeno 20 metri. Penso siano stati generati da fenomeni tipo i gaiser. In fondo c’è un gruppo di turisti tedeschi che fanno delle foto. Arriviamo ad Erfoud. Sembra una fabbrica di turisti. La gente ti ferma per strada proponendosi come guida. Sono particolarmente insistenti e la cosa mi da’ un po’ fastidio. Matteo vuole assolutamente raggiungere Merzouga, un po’ per spirito d’avventura, un po’ per rincorrere i posti che ha visto quando era piccolo. E’ convinto che non ci serva nessuna guida del posto, noi ci fidiamo e gli lasciamo fare. Passiamo il centro di Erfuod, un misto tra sacro e profano, alberghi freddi e moderni, mescolati con costruzioni basse e rosse. Qui le donne sono completamente velate di nero. Nessun gingillo, nessun colore, il nero totale. Fa molto caldo, il sole brucia, vedendole ringrazio dio di non essere nata marocchina! Armati di guida tascabile, seguiamo le indicazioni che ci portano al deserto. Imbocchiamo la strada sterrata. La guida dice che, con attenzione, è possibile percorrere la pista anche senza fuoristrada. Certo è che in quattro adulti, un cane di 40 kg, e bagagli al seguito la hunday si appiattisce nel terreno. Questo avrebbe dovuto farci riflettere, avremmo dovuto immaginare che se in questo luogo transitano solo fuoristrada un motivo deve esserci. Infatti, dopo qualche chilometro, la macchina si insabbia. E’ una situazione ridicola. L’incredulità invade il senso di paura. Quattro adulti, un cane di 40 Kg ed una hunday blu sotto al sole cocente di mezzo giorno. Intorno a noi: il nulla. Dune e dune e dune. Non ci sono rumori, solo il vento ogni tanto ci ricorda la sua presenza. Dopo svariati tentativi di rimessa in strada, quando ormai l’odore della frizione bruciata si fa forte, all’orizzonte, con passo lento una sagoma si avvicina. E’ un tuareg, si , proprio un uomo blu, quelli che vanno in giro con il turbante color indaco. E’ giovane, avrà 20 anni. Parlocchia un po’ di italiano e subito ci dice di stare tranquilli , lui ci aiuterà. Infatti è così. Con infinita maestria riesce a tirarci fuori la macchina dalla sabbia. Deve succedere spesso che qualche turista incauto si addentri nel deserto senza le dovute precauzioni.. Matteo vorrebbe proseguire, Lella non ne vuole sapere, il tuareg si fa insistente nel volere accompagnarci. Poi succede il patatrac. Sarà il sole che ha battuto forte in testa, sarà stata la stanchezza, sarà stata quella antipatia che senti a pelle, ma d’improvviso nasce una colluttazione tra i due ragazzi. La scena diventa tragicomica. I ragazzi si azzuffano nella sabbia, il cane vuole giocare con loro, Lella è in preda al panico, Elisa urla ed io non riesco a realizzare cosa stia effettivamente accadendo. Dopo lo sfogo, gli animi si placano. Le hanno prese entrambi, ma entrambi sono troppo orgogliosi per ammetterlo. Fanno pace, si chiariscono, si scusano. Sono entrambi mortificati. A questo punto stabiliamo che non è proprio il caso di proseguire e ritorniamo ad Erfoud dove passiamo la notte. Il giorno seguente facciamo un’indigestione di kilometri. In un giorno raggiungiamo Agadir. La voglia di relax e mare è tale che sopportiamo un viaggio lungo e scomodo pur di guadagnare un giorno di spiaggia. L’albergo è decisamente kitch. Il soffitto sembra una bomboniera, mancano i confetti. L’aria condizionata è troppo alta e molto fastidiosa. Usciamo per la cena. E’ freddo, tira vento. Il paesaggio non mi piace per nulla. Una catena di ristoranti ed alberghi troppo europeggianti invadono la costa. Un’altra fabbrica di turisti. I camerieri dei ristoranti con fare insistente cercano di farci entrate nel loro locale. Provo un vero senso di fastidio. E’ possibile che non sia libera di camminare per la mia strada? Optiamo per una pizza (orribile). L’alzata la mattina seguente è una delusione. Il tempo è uggioso. L’acqua della piscina che vedo dalla mia camera è increspata dal vento. Vado a bussare ad Elisa, ma mi informa che per tutta la notte Matteo è stato male. Intossicazione alimentare. Brutta storia. Pensiamo abbia anche la febbre. Lo lasciamo riposare e ci avviamo in spiaggia. Siamo sconsolate per via della brutta giornata. Agadir non ha nulla da spartire con il Marocco. E’ troppo moderna, troppo fredda, troppo commerciale. Non c’entra niente. Potrebbe essere una località balneare di un qualsiasi altro paese. E’ anonima. Comunque la spiaggia è profonda, e la sabbia è fine e bianca. C’è molta gioventù e i ragazzi che circolano non sono per niente male. Cercano di abbordarci con la scusa del cane, ma Elisa non è proprio in vena oggi e li liquida velocemente. Proviamo a fermarci un altro giorno, con la speranza vana che il clima cambi. Siamo pero’ sfortunati allora decidiamo di partire alla volta di Essauira, con la garanzia da parte di Matteo che quello sarà un posto che mi piacerà tantissimo. La nostra tabella di marcia è ottima: riusciamo a svegliarci relativamente presto, a fare colazione in una bella pasticceria e ad imboccare la strada che ci porterà verso nord quando la polizia ci ferma. Ma che succede? Ci spiegano che proprio oggi c’è il tuor del Marocco in bicicletta. La tappa odierna è Agadir-Essauira. IL brutto è che c’è solo una strada che le collega: quella che noi dobbiamo percorrere, che coincide con quella del tour. Siamo in coda. Davanti a noi c’è l’unico ciclista ritardatario. Durante la prima ora questo inconveniente viene vissuto come un allegro diversivo al viaggio, nelle due ore successive tutti speriamo che il ciclista si ritiri, quando poi, dobbiamo fermarci per attendere che il ciclista faccia i suoi bisogni fisiologici, vorremmo a turno pestarlo e scaraventarlo giu’ dal burrone. In 6 ore arriviamo a Essauira, distante solo 100 km da Agadir. Siamo esausti ed arrabbiatissimi. Il nostro albergo è a Sidi Kauki. Con qualche difficoltà riusciamo a farci indicare la strada che porta a questo villaggio sperduto. Lo spettacolo è fantastico. Sembra di essere arrivati alla fine del mondo… Ci sono pochissime case, molti cammelli ed asini ed una spiaggia grandissima. Nient’altro. Troviamo la nostra dimora. E’ qualcosa di meraviglioso. Le nostre camere, piccole e basse, sono arredare in modo particolarissimo. Non c’è l’elettricità e le candele sono a portata di mano sui comodini. Dalla terrazza si ammira il mare, bello imponente e la spiaggia deserta. Sotto alla nostra camera, in un recinto, ci sono dei cavalli. Sono dei patroni dell’albergo, un italiano e una tedesca.

Passiamo due giorni di relax, fuori dal mondo, per avere “campo” con il cellulare, sono costretta ad andare sul tetto e aspettare l’allineamento con il satellite. Visitiamo Essauira che è decisamente una bellissima cittadina. Dei ragazzi mi spiegano che qui fanno i campionati mondiali di surf, infatti è molto ventosa. Le stradine sono pulite, la gente non è insistente e ci sono dei locali veramente molto belli. Fanno anche diversi festival di musica. Ogni sera c’è un concerto nella piazza principale. Tantissimi i negozi di strumenti musicali dalle fatture originalissime.

Anche per questa vacanza è giunta l’ora di tornare a casa…Prendiamo la via verso Marrakech. La temperatura si è alzata tantissimo rispetto a quando siamo partiti. Faccio a tempo ad essere invitata alla festa di compleanno di Ashna, la bambina che abita sotto l’appartamento di Elisa e Matteo.

Tutte le ragazze sono in costume tipico. Sono molto belle. Bisogna togliersi le scarpe per entrare nella sala. Ci sono anche dei ragazzi. C’è un’enorme torta sul tavolino rotondo. Proprio come da noi. Intonano anche la canzoncina “buon compleanno”, solo che in arabo fa un effetto un po’ strano. Noi italiani, omaggiamo i nativi della versione “made in Italy” cantando a squarciagola. Poi accendono lo stereo a tutto volume. Canta Idir, un mito del Marocco. La musica mi piace molto. Le ragazze ballano facendo vibrare il bacino. Sono affascinanti, questa è proprio la danza del ventre. Mi butto in pista e provo ad imitarle, ma lo spettacolo è deludente. Provano ad insegnarmi, ma mi rendo conto che forse è meglio lasciare perdere, meglio che continuare a dedicarmi al rock!!! Torno a casa, un po’ mi sento sollevata da quel senso di soffocamento che provavo in mezzo a questa gente, cordiale e ospitale, ma un po’ troppo petulante. Lo sbalzo termico pero’ è incredibile. Ho lasciato 40 gradi di sole per tornare ad un inverno primaverile. Pazienza…



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