Quattr’occhi sul messico: il chapas
Il nostro viaggio in Messico: periodo: 28 luglio – 16 agosto Itinerario in sintesi: Citta del Messico-Chiapas-Yucatan-Isla Mujeres Clima: ventilato e fresco a Citta Del Messico; vario in Chiapas (umidissimo a Tuxtla; buono a San Christobal e villaggi Tzotzil;umidissimo e caldo a Palenque); umido e caldo nello Yucatàn; caldo a Isla Mujeres.
Mezzo principale utilizzato per gli spostamenti: pullmann Vaccinazioni: profilassi antimalarica Budget: 3 milioni e 200 mila a testa, volo intercontinentale incluso
IL “MIO CHAPAS” 1 AGOSTO: VERSO SAN CRISTOBAL PASSANDO PER TUXTLA Atterriamo a Tuxtla alle quattro e mezza del pomeriggio. Caldo afoso. L’aeroporto è un baracchino in mezzo alla Jungla.I nostri zaini vengono scaricati e riversati su una sorta di scivolo interno all’aeroporto.
Prendiamo un taxi cumulativo con altre tre persone e arriviamo a San Cristobal in un ora e mezza.
Il tempo è brutto. Passando per la via principale del paese non resto particolarmente impressionata da nulla, probabilmente è troppo presto e il taxi non è il mezzo giusto per conoscere un paesino tra le montagne del Chiapas.
Arriviamo all’albergo prenotato da città del Messico (via telefonata): il Parador Mexicano, un po’ fuori dal centro del paese, molto tranquillo e pulito. La proprietaria è una ragazza gentile con la scucchia sorridente.
Per cenare troviamo un ristorante tipicamente messicano, pieno di turisti che hanno in mano la nostra guida: mangiamo carne alla griglia, baked potato e un aguacate da urlo.
Iniziamo a nutrire un rispetto reverenziale nei confronti delle nostre guide, quasi fossero una sorta di bibbietta da viaggio.
Qualche suggerimento: – trovare posto per dormire non è stato mai un problema in Messico: abbiamo quasi sempre prenotato per la tappa successiva con uno, due giorni di anticipo rispetto all’arrivo.
2 AGOSTO I VILLAGGI MAYA E TODA SAN CRISTOBAL Verso le otto e mezza siamo allo zocalo. E’ una bellissima mattina di sole. Nel percorrere la strada dall’albergo alla piazza cominciamo a fare conoscenza con la città. E’ molto graziosa, un insieme di stradine costellate di case basse colorate. Su qualche gradino, fuori dalla porta di ingresso, vediamo delle ceste di vimini intrecciato piene di papaya. Non posso non fare una foto.
La piazza principale di San Cristobal è un concentrato di quello che ci si può immaginare pensando a come potrebbe essere un paesino messicano; da una parte portici e giardini, dall’altra la chiesa, tutta gialla e rosa, messicanissima. In piazza ci sono bancarelle che vendono frutta e matasse di fili colorati.
Le escursioni possibili sono parecchie. Ma noi vogliamo andare ai villaggi Tzozil di San Juan Chamula e Zinacantàn, dove vive ciò che resta dei veri maya. Nonostante ci sia un buon ufficio del turismo in piazza, restiamo incuriositi da un articolo della nostra bibbia di viaggio che parla di una tale Mercedes, guida specializzata in questo genere di escursioni. Contattarla sembra facile. Pare che tutti i giorni alle 9 di mattina si faccia trovare nei giardini della piazza. Segno di riconoscimento: un ombrellino colorato aperto che fa roteare sulle spalle . Tommy ed io siamo un po’ scettici, sembra la descrizione di un personaggio delle fiabe… alziamo lo sguardo e…eccola, eccola là, la vediamo davvero con il suo inseparabile ombrellino.
E’ una donna sui quarantantacinque, rotonda, di razza maya, capelli raccolti in due trecce lunghe e lucide, occhi scuri grandi ed espressivi.
Ci avviciniamo e le chiediamo se possiamo fare l’escursione con lei: fa cenno di si con la testa e, in perfetto inglese, ci dice di aspettarla più avanti, insieme ad altri ragazzi che vediamo fare capannello nel giardino della piazza.
Alle 9 ci muoviamo, seguiamo Mercedes che ci porta nella piazza del mercato (bellissima, anche qui giardini a tutto spiano). Lì ci aspettano dei pulmini per andare a San Juan Chamula. Siamo tanti, ne riempiamo ben cinque.
Alla guida del nostro minibus allegramente sgangherato sale un ragazzetto. Lo guardiamo: avrà non più di dodici anni. I due tedeschi di fianco a noi aprono d’istinto la portiera e con indifferenza cercano di abbandonare il mezzo. Il tentativo fallisce miseramente. La ragazza francese dietro parte con una raffica di “mondieu”. Tommy ed io assistiamo pietrificati all’avvio motori : cerchiamo di convincerci a vicenda che non sia un bambino ma solo uno che dimostra moooolto meno della sua età. Fatte due curve a destra e tre a sinistra ci rendiamo ben presto conto tutti quanti che “il bambino”, o puffo che dir si voglia, guida meglio di uno con vent’anni di patente. Quindi ci rilassiamo e ci godiamo il panorama delle colline del Chiapas, verdissime e lussureggianti. Una musica autoctona che gracchia dall’autoradio rende il tutto ancor più suggestivo e piacevole.
Arrivati al villaggio, Mercedes ci porta a visitare la casa dedicata a un santo venerato secondo la religione Tzozil attuale. Ci sediamo all’interno della struttura sul pavimento coperto da fieno. La casa è costituita da un’unica stanza, con in mezzo un altare ricco di doni e di ghirlande di fiori.
La Religione Maya di oggi- ci spiega Mercedes chè è seduta in mezzo a noi- è un misto tra cristianesimo e paganesimo, una sorta di sincretismo in cui i santi hanno a poco a poco sostituito le varie divinità pagane ; anche i voti sono un misto di paganesimo e ortodossia e le cerimonie dei culti originari sono state contaminate dal cristianesimo e dal consumismo.
Nel suo perfetto inglese Mercedes ci racconta la storia, la struttura politica e amministrativa di questi villaggi. Il suo modo di spiegare e descrivere i fatti e le cose, coinvolge, spiazza, cattura l’attenzione in modo totale e fascinoso. E’ un’attrice nata, il suo monologo è intervallato da pause e gesti che portano la nostra attenzione ancor più su di lei e sulle sue parole. E’ davvero una donna particolare: ha creato intorno a noi un’atmosfera unica. In quei momenti è riuscita a portarci dentro il mondo, la natura e l’essenza maya.
Prima di accompagnarci nella chiesa di San Juan Chamula, ritratta da metà delle cartoline che si vendono in Messico (non solo in Chiapas), Mercedes ci spiega il rito delle candele, basato sulla filosofia dei sette chackra, punti di energia del corpo umano a ciascuno dei quali corrisponde un diverso colore.
La facciata della chiesa è di quelle che non si dimenticano: bianca con i profili verde acqua e tutti quei fili pieni di bandierine colorate, è un’icona di “messicanità”.
Dentro è straordinaria, unica nel suo genere. Qui i sacerdoti maya e gli sciamani pregano per risolvere tutti i loro problemi. Ogni problema è rappresentato da una candela di colore diverso, posta sul pavimento davanti a loro. Vicino alle candele ci sono oggetti votivi pagani, fiori piante e bottigliette di e con cocacola, subentrate in sostituzione dell’originario Poch (si legge posc con la sc di sciamano), bevanda alcolica derivata dal mais.
Una volta usciti dalla chiesa, abbiamo un’ ora per fare i turisti al mercato di San Juan: il mercato è un ammasso di colori sgargianti: ci sono frutta, matasse di lana, oggetti di legno, di tutto: io compro per pochi pesos una piccola borsa a tracolla di lana marrone e fucsia, molto particolare.
Ci sediamo a un tavolino a bere una bibita, ci sono tantissimi bambini. I maya di San Juan sono vestiti di bianco blu e nero: da piccoli sono molto belli, poi peggiorano parecchio…almeno secondo i nostri canoni occidentali…..
Alcuni bambini si avvicinano a noi, vogliono qualche soldo.
Mercedes ci redarguisce:”non date soldi così per darli. Dateglieli solo se prendete in cambio qualcosa. Questo li aiuta a capire il valore del denaro, dello scambio”. Una bimba mi si avvicina, mi tocca i capelli e, visto che non oppongo resistenza, inizia a farmi le trecce. Io interpretando le parole della nostra guida-oracolo, le dò in cambio qualche pesos. Lasciamo San Juan per andare al villaggio di Zinecantàn: ci arriviamo facendo una passeggiata di 3 km nel bosco. E’ molto bello questo contatto diretto con la natura di quei luoghi, guidati da una donna carismatica come Mercedes.
Arrivati a Zinacantàn, ci accorgiamo subito che i colori del paese sono il rosso e il rosa fucsia. Ed è commovente vedere con quale fierezza questi maya indossano i loro costumi.
Anche qui visitiamo una casa Tzotzil e il mercato, pieno di profumi e colori.
Torniamo a San Cristobal e sulla via del rientro un senso di armonia e serenità mi pervade : in quel preciso istante i miei stress, le mie paure, i miei problemi mi sembrano del tutto privi di fondamento.
Camminando per le strade di San Cristobal nel pomeriggio, scopriamo case dai colori talmente forti e vivaci da sembrare quasi innaturali: muri azzurro intenso, rosa acceso, giallo ocra. Così incappiamo nel Naa Balam, centro culturale fondato da una coppia di inglesi in aiuto alle popolazioni locali. Il luogo è molto bello: un patio giallo ocra, fiorito, e tutt’intorno portici con sale piene di fotografie in bianco e nero del luogo e della sua gente.
Pare si possa mangiare lì spendendo poco…..Così prenotiamo.
LA SERATA AL NAA BALAM La sala da pranzo rettangolare e con i muri color ocra è attraversata da un lunghissimo tavolo di legno e arricchita da mobili di artigianato in stile coloniale: fa una gran scena.
Tutti noi ospiti sediamo allo stesso tavolo. Non siamo molti. Una coppia di maya venuti in paese “da la selva”- per festeggiare il compleanno di lei; un belga professore di inglese e spagnolo; un’altra coppia di italiani evidentemente spossati e di pessimo umore. Un ragazzo australiano un po’scoppiato.
La persona che si occupa di noi nella sala si chiama Raul. Ci rivelerà in seguito di essere un vero sciamano (….) La cena è molto piacevole, anzi è proprio divertente: ad un unico tavolo sono raccolti personaggi totalmente differenti. Il belga, trasandatissimo ed eccentrico, è una persona di grande cultura ma molto buffo e pedante;i due italiani sono di Lecco e ne hanno passate di tutti i colori da quando sono partiti per il Messico: furto dei bagagli, dimenticati vestiti in albergo, volo annullato, ruota della macchina a noleggio bucata……una serie di sfighe inenarrabili. Lui, Eros, ricorda un po’, nel modo di parlare, lo Zampetti della tv. Solo nel parlare però. Lei, Marghe, è una ragazza genuina e simpatica che fa la maestra d’asilo. Il loro itinerario passa per alcune tappe che anche noi abbiamo previsto; l’australiano è molto cordiale e ci racconta che si sta facendo sei mesi sabbatici in giro per il mondo (beato lui!); i due Maya sono molto dolci, probabilmente vivono in un paese simile a quelli che abbiamo visto oggi. Con l’arrivo del Poch, superalcolico che-non-scherza offerto dal nostro amico sciamano, la serata si anima, le battute si sprecano, si ride e si chiacchiera molto bene.
Raoul ci racconta la sua improbabile storia di figlio ribelle di un Cachico, amato da questo padre poligamo, fratello di novantanove fratelli , nonché lavoratore dall’età di 6 anni; sciamano per aver ereditato questa dote e conoscenza dalla madre indios. Non so, sono un po’ perplessa, sarà tutto vero? Il dubbio mi assale ma in fondo non ha alcuna importanza perché il suo racconto è talmente incredibile e imprevisto da regalarci attimi d’emozione irripetibile.
Al momento dei saluti Raul ci raccomanda particolare attenzione per questa notte: pare che il Poch sia un potente afrodisiaco.
Salutiamo anche i due italiani: con loro ci diamo un appuntamento volante a Palenque, alle 8 di sera del 4 agosto.
Io e Tommy però, un po’ annebbiati dal Poch e un po’ esaltati dalla giornata, non abbiamo alcuna intenzione di andare a dormire: così finiamo la serata con una Caipirinha al mitico bar Marguerita, dove un complesso locale suona musiche straordinarie accompagnato da bonghi e chitarre.
Sono molto bravi, il ritmo e l’atmosfera che si crea sono incredibili; anche la caipirinha è da guinnes.
3 AGOSTO IL MERCATO E LA PARTENZA PER PALENQUE Ci svegliamo abbastanza presto e andiamo al mercato di S.Cristobal: la piazza seppur decadente è tutta sui toni del giallo pallido ed ha un gran fascino; non so da che parte girarmi, dappertutto vedo solo colori e Maya.
Compriamo qualche regalo per amici e parenti.
E’ divertente trattare sul prezzo, fa parte del gioco, purchè non si esageri.
Dopo un buon piatto di huevos estrellados con tocino e huevos rancheros alla Tierra Madre, piacevole ristorantino su calle Insurgencia, ci avviamo mesti mesti con i nostri bagagli alla fermata del pulman per Palenque. “partire è un po’ come morire” dice un proverbio, se non sbaglio.
Il pulman ingrana la marcia alle quattro. Dalla bibbietta e dalla vox populi apprendiamo che il tratto San Cristobal-Palenque è tra i più pericolosi del Chiapas: bandidos e rivoluzionari vari. Pare che nei giorni precedenti siano stati depredati e saccheggiati due pullman nonchè le uniche tre automobili passate per quella strada. Molto bene. Come inizio non è male.
In effetti i nostri compagni di viaggio, per lo più locali, non mostrano facce serene e tranquille: anzi, sono tutti parecchio nervosi, sussultano al minimo rumore o alla più piccola frenata.
Tommy ed io, intesiti anche dall’atmosfera che regna sul mezzo, trascorriamo metà del viaggio a ingegnarci per trovare nascondigli insospettabili per i nostri soldi. Si prospettano le ipotesi più fantasiose: -sotto le suolette delle scarpe da ginnastica; -nelle mutande; -dietro il sedile del pullman così se ci perquisiscono non trovano nulla addosso; -arrotolati e nascosti in mezzo alle mie trecce…… Una frenata improvvisa ci fa sobbalzare tutti.
Niente paura, sono solo i militari che salgono per un controllo.
Arriviamo a Palenque incolumi. E’ molto tardi e l’aria è soffocante. Palenque città è tremenda. Bisogna fermarcisi giusto il tempo necessario a visitare il sito e poi schizzare via, più veloci della luce. Come se non bastasse il nostro albergo è un’autentica ciofeca: squallido e puzzolente.
Pazienza, è tardi e abbiamo sonno. Ci penseremo domani.
Qualche suggerimento: – il pullman è il mezzo più comodo, economico e sicuro per viaggiare. Il livello dei mezzi è spesso molto buono: si tratta di pullman molto moderni, alcuni sono dotati addirittura di frigobar!
4 AGOSTO LE ROVINE DI PALENQUE Ci svegliamo prestissimo con tre obiettivi: 1) visitare il sito 2) comprare immediatamente il biglietto del pullman per lasciare Palenque domani mattina, alla volta di Merida, prossima tappa prevista.
3) nel caso fosse impossibile trovare uno straccio di biglietto, individuare quantomeno un albergo sostitutivo Andando al terminale dei bus ci rendiamo immediatamente conto che partire oggi è fuori discussione: non c‘è neanche un buco sul pullman più scalcinato.
Ci concentriamo quindi sul secondo obiettivo e troviamo un albergo alternativo bello e nuovo, la Cabeza Maya, che per di più sta facendo una specie di promozione; per cui paghiamo lo stesso prezzo pagato nella ciofeca ma con tutt’altro trattamento: pulitissimo, nuovo, con piscina e giardino tropicale. Perfetto, pure troppo. Adesso siamo pronti per visitare il sito di Palenque! Mercedes ci aveva spiegato che le piramidi maya sono costruite in punti strategici individuati dagli astronomi del tempo, punti in cui l’energia cosmica è più forte. “Le piramidi sono quindi- diceva lei- dei veri e propri poli di energia”. Anche Sergio della Distileria ce lo disse quella sera a Città del Messico. Cercherò di ricordarmelo al momento giusto.
Arrivati al sito ci lanciamo alla ricerca di una guida per non incorrere in improvvisazioni “fai da te”, visto che l’archeologia precolombiana e la lettura della simbologia maya purtroppo non fanno parte della nostra formazione accademica.
Veroso le otto ci uniamo a un gruppo del quale fanno parte altri due ragazzi italiani: Mattia e Lara. Sembrano simpatici. La cosa buffa è l’abbigliamento di lei: più indicato per un happy hour in zona Ticinese che per una “scalata” tra le rovine del Palacio di Pakal! La vista che appare ai nostri occhi è davvero impressionante: l’antica Palenque, immersa nella jungla, adagiata nella folta vegetazione tropicale, ha un che di magico e insondabile. La guida non è il massimo, comunque mi faccio un’idea dei Maya e dei loro due grandi re, Pakal e Chan Balam. Il “Palacio”, la residenza di Pakal è fortemente suggestiva. Dentro insieme a un caldo insopportabile, scopriamo le stanze e i letti di pietra dove dormiva la famiglia reale. Impressionante. Impressionante prendere coscienza di come i Toltechi, gli Aztechi, i Theotihuacani ma sorpattutto i Maya , avevano raggiunto uno sviluppo artistico, culturale ed astronomico degno delle civiltà classiche. I maya mi sono subito simpatici, sono il popolo più pacifico tra tutti e hanno stranissimi canoni estetici: scopro infatti che i nobili e i re i si facevano deformare la testa sin da piccoli, in modo che assumesse la forma di un cono nella parte superiore. La testa del re Pakal è ovunque: sui bassorillievi, sui muri dei templi. Sarà difficile dimenticarla.
In cima al Tempio delle Iscrizioni faccio il pieno di “energia cosmica”: ne ho davvero bisogno con questo caldo.
Gli unici biglietti che riusciamo a trovare per Merida sono per il 5 agosto alle 9 di sera.
Viaggeremo di notte. Con noi verranno anche Laura e Matteo, i due ragazzi conosciuti al sito, entrambi ventitreenni, quindi un po’ più giovani di noi. La sera mangiamo tutti insieme, ci rincontriamo con Ezio e Rosy e fissiamo un nuovo appuntamento a Merida per il 6 agosto sera.
Con Mattia e Lara invece ci vedremo domani mattina per un’escursione alle cascate di Misol Ha e Agua Azul.
5 AGOSTO LE CASCATE DI MISOL HA E AGUA AZUL E LA PARTENZA VERSO LO YUCATAN Alle 9 della mattina partenza per Misol Ha e Agua Azul. Prima tappa: Misol Ha. E’ una cascata sottile ma molto alta che si tuffa in una conchetta di acqua verde. Il tutto in mezzo alla jungla. Si può anche passare “sotto” la cascata grazie a un sentiero di pietra e vederla scendere davanti a sé : è come se in quel momento un muro d’acqua in movimento ci separasse dal resto del mondo.
Partiamo poi alla volta di Agua Azul. Sul nostro pulmino si aggiungono due locali, un uomo e una donna. Lei prende posto davanti, di fianco al conducente.. La strada per Agua Azul non è bellissima è piena di curve e io non sto granchè bene. Non sono la sola, pare: la donna salita a Misol Ha infatti sta evidentemente male; ha il respiro affannoso e sta sudando. Movimenti inconsulti la scuotono, sembrerebbe epilessia ma subito dopo è lei stessa a dirci con una voce straziante quello che le sta accadendo: “me estoy paralizando!” –ci sussurra terrorizzata.
Noi, io in particolare, siamo allibiti e sconvolti. Che significa, come è possibile? Eppure è vero, basta guardare come tiene mani e braccia. Il resto del tratto per Agua Azul lo facciamo in silenzio, mentre il marito della donna si prodiga per calmarla, spiegandoci che purtroppo non è la prima volta che le accade. Noi non sappiamo cosa dire o fare, sembriamo quattro imbecilli afoni. Una volta giunti alle cascate i due vengono subito riaccompagnati indietro all’ospedale di Palenque.
Io rimarrò impressionata dall’episodio per le ventiquattro ore successive.
Cerco di distrarmi insieme agli altri, guardando e fotografando le cascate di Agua Azul. Probabilmente notevoli, se l’acqua fosse stata davvero “azul” come le cartoline mostrano in tutta la loro “patinatitudine”. In realtà noi vediamo un’ acqua azzurro-torbido. Anche perché- ci dicono- siamo nella stagione delle piogge, motivo per cui l’acqua è meno cristallina del solito.
Avremmo voluto fare il bagno ma pare che, nei punti che reputiamo più belli, sia muy peligroso. Decidiamo allora di soprassedere, scattiamo qualche foto, risaliamo il corso delle cascate che , contrariamente a quelle di Misol Ha, hanno uno sviluppo più ampio e “orizzontale “ fatto a terrazze.
Verso le quattro siamo di ritorno in quel di Palenque. Con gli zaini pronti, passiamo il nostro tempo da un bar all’altro, tra una coca e un zumo de naranja, in attesa di prendere il pullman per Merida, capoluogo dello Yucatan.
Sono le 9 e la notte sta oscurando il cielo.
Il pullman non è gran che nonostante sia stato spacciato per vettura di prima classe.
In corrispondenza dei nostri sedili manca il filtro dell’aria condizionata, il che implica la fuoriuscita di un getto d’aria siberiana rumoroso e continuo. Rimediamo alla ben e meglio con un tapòn fornitomi prontamente dalla ipercollaborativa compagnia dei pullman: un gnocco di carta di giornale accartocciato, che infiliamo a guisa di tappo nell’antro siberiano. Il viaggio si rivela un po’ pesantuccio, considerato che si tratta di un percorso di 10 ore, che spifferi d’aria ghiacciata mi sputano in faccia di continuo e che, confidando nelle nostre capacità di resistenza modello “Daitarn Tre “, abbiamo pianificato di visitare Uxmal in mattinata, una volta scesi dal potente mezzo.
Ma si, facciamo anche questa!
IL CHAPAS DI TOMMY 1 AGOSTO Alle tre e qualcosa finalmente lasciamo Città del messico e salpiamo verso il Chiapas. Abituati a viaggiare in airbus, gli sballottamenti del DC 9 ci mettono un poi’ d’ansia. Niente paura. Ecco la pista di atterraggio.
All’arrivo nel “mega” aeroporto dopo aver recuperato i bagagli che un omino ci passa da una finestra, prendiamo un taxi semicollettivo che ci porta fino al nostro albergo su a San Cristobal de las Casas.
Albergo pulito e belle stanze, anche se al piano terra. Rapido giro del paese e cena in un simpatico ristorante La Parilla.
2 AGOSTO Quando immaginiamo il tipico paesino messicano, con le sue case basse e colorate, la sua cattedrale sotto un cielo azzurro e bianco, le vie strette e scosciese, noi stiamo pensando a San Cristobal de las Casas. Sembra quasi finto tanto è la rappresentazione fedele di tutte le immagini più stereotipate del Messico. Tutto questo, ben intesi, in senso molto positivo. Dà una sensazione piacevole di sicurezza: come quando si torna a casa e si trova tutto come lo si è lasciato, così arriviamo in un posto a mille miglia (molte di più!) da casa e lo troviamo esattamente come immaginavamo sarebbe stato. La mattina, facciamo una gita nei villaggi maya vicino alla città. Ci avvaliamo della guida ottima di Mercedes, donna maya, che per soli 75 pesos ci spiega i segreti più reconditi delle popolazioni indigene: storia, religione, politica, tradizioni. I villaggi li raggiungiamo su dei minibus. Possiamo scegliere su quale salire. Io, dall’alto della mia esperienza, scelgo senza esitazione quello più “moderno, così, a prima vista mi rassicura un po’ più degli altri. Questo sentimento crolla nel momento in cui sale l’autista: un bambino di 12 anni. Sguardi atterriti tra i compagni di viaggio.
Nonostante Mercedes sia molto brava nello spiegare cosa significhi essere Maya e quale dovrebbe essere il giusto approccio dei turisti nei confronti dei nativi, mi rendo conto che nonostante gli sforzi, non riesco a superare completamente quello che potremmo definire “effetto zoo”. In fin dei conti io guardo queste persone con la curiosità e lo stupore con cui un bambino si avvicina alla gabbia delle scimmie o dei leoni. Me ne dispiaccio.
A San Juan Chamula vedo una delle cose più strane della mia vita. Entriamo nella chiesa del paese e ci troviamo di fronte a uno spettacolo surreale. La chiesa, che viene utilizzata dagli sciamani anche come clinica per guarire i malati, è piena di persone sedute per terra che sorseggiano cocacola e cantano nenie. Il pavimento è ricoperto di fieno. Davanti a loro, candele di diversi colori accese.
Mercedes ci aveva spiegato il significato delle candele, delle nenie e di tutto ciò, ma quando la scena mi appare nella sua realtà, mi trovo totalmente spaesato. E’ una via di mezzo tra un girone dantesco e un’allucinazione religiosa. Non fa paura, fa solo un grande effetto.
Quando camminiamo in mezzo alla foresta per raggiungere il villaggio di Zinacantan il mio senso di colpa, relativo all’effetto zoo di cui sopra, subisce un forte ridimensionamento: infatti scorgo gli indios che, da dietro le finestre ci scrutano e ci studiano con lo stesso interesse e stupore con cui noi guardiamo loro. In fin dei conti non si tratta altro che di umana curiosità e naturale interesse per tutto ciò che è nuovo e diverso.
Il villaggio di Zinacantàn e il suo mercato sono meno affascinanti di quelli di San Juan, ma la sua chiesa, una mistura di cattolicesimo e riti pagani è comunque molto interessante.
Di ritorno in città facciamo due passi per le stradine polverose con i marciapiedi più alti del mondo.
La sera, cena al Naa Balam, una specie di centro culturale (era la dimora di due studiosi europei) dove si mangia su un lungo tavolone tutti assieme. Siamo in otto: io, Pepa, due Maya, un australiano e un’altra coppia di italiani. Cena piacevole e compagnia simpatica.
Dopo cena andiamo in un locale dove prendo una quesadilla e una birra e Pepa prende una Caipirinha che non ha nulla a che vedere con quelle italiane. Nel locale, il Margarita, suona un tipico gruppo Messicano: bravissimi i percussionisti.
3 AGOSTO Mattinata al mercato per i regali. L’intera giornata è psicologicamente incentrata sul viaggio in pullmann che nel pomeriggio ci porterà a Palenque.
C’è un po’ di tensione perché la tratta è un po’ pericolosa, causa aggressioni dei briganti.
L’ultima, ai danni di un pulmann è avvenuta due giorni fa. Dobbiamo studiare la logistica di soldi e documenti.
Durante il tragitto ogni rallentamento del bus mi fa sobbalzare (comunque sono in buona compagnia). Dopo pochi chilometri il primo posto di blocco. Militari.
Da un lato sono sollevato, dall’altro non mi sento troppo tranquillo.
Ogni “ topes” (cunetta artificiale per far rallentare i mezzi in concomitanza di centri abitati ) un colpo al cuore.
Stop. Di colpo ci fermiamo. Ecco ci siamo. Sistemo i soldi sotto l’inguine, prendo in mano la carta di credito, pronto a spezzarla in due. Siamo fermi da qualche ora ormai (macchè, in realtà non saranno passati che pochi secondi)e ancora non succede niente. Le facce intorno a me non devono essere troppo differenti dalla smorfia di tensione che disegna i lineamenti del mio viso.
Inizia a spargersi una voce incontrollata. Pare ci sia un incidente. E’ così. E dopo circa 15 minuti si riparte. Siamo quasi in città, è praticamente fatta, quand’ecco che il conducente blocca nuovamente il bus.
Sale un ragazzo in maglietta e conun cappellino a visiera, Mentre percorre il pullman dice qualcosa che, dato il mio stato confusionale, non riesco a comprendere. Mi volto, il ragazzo è in fondo al pullman e come un miraggio riesco a leggere la scritta sulla tshirt: Policia por l’imigracion.
Arrivati al terminal ci fiondiamo in albergo (definito incredibilmente “chic” dalla guida per un costo di 250 pesos a notte).
Il decadente hotel Palenque è composto di camere impresentabili con bagni improponibili, data la cifra.
Unica reazione che possiamo avere è quella di schifo. L’ara condizionata funziona al contrario: fuori dalla nostra stanza c’è un fresco piacevole, dentro un clima da giungla tropicale.
In effetti è proprio nella jungla tropicale che ci troviamo, con la sua umidità e la sua infinita varietà di insetti. Autan Extreme a tutto campo.
Troppo tardi per cambiare albergo, troppo stanchi e nauseati per cenare. Subito a letto e domani via di corsa.
4 AGOSTO Sveglia alle 6.00. Subito alla stazione degli autobus per trovare una partenza in serata, dopo aver visitato il sito.
I computer non funzionano ma sappiamo già che oggi i bus sono tutti pieni. Fino a domani non si parte.
Andiamo alla ricerca di un hotel. A due passi dal terminal troviamo il paradiso (qualsiasi posto lo sarebbe stato dopo l’inferno dell’hotel Palenque).
Alle 8 siamo al sito, dove conosciamo due ragazzi italiani, Lara e Mattia, che hanno il nostro stesso problema: trovare una via di uscita dal posto più brutto del mondo. Sembra la periferia greca di Sesto San Giovanni.
Per fortuna il sito è sensazionale.
Completamente diverso rispetto a Teotihuacan, infatti in questo caso le rovine sono immerse nella foresta e gran parte della antica città è oggi sommersa dalla vegetazione. Impariamo qualcosa di più sui maya e i loro particolari rituali di deformazione fisica: obiettivo distinguersi dal popolo.
Entriamo nei loro palazzi (quelli dei re) e nello loro tombe, nei loro templi e nei loro spazi. Forse siamo un po’ “usurpatori”. Presentarci qui, nel luogo in cui secondo tradizione ha origine l’energia…presentarci qui, col cappellino di traverso e con le nostre macchine fotografiche non è molto romantico…ma è pur sempre incredibilmente emozionante.
Al ritorno dalle rovine, insieme ai baldi giovani italiani, facciamo il biglietto per Merida. Partenza il giorno successivo alle 21.00 . Si viaggerà di notte.
Alle 8 di sera, meeting italiano di fronte all’hotel Palenque: con Lara e Mattia e la coppia di Italiani conosciuti a San Cristobal al Naa Balam Dopo cena , tutti a bere qualcosa nell’unico locale del luogo. Pessimi Margarita, imbevibili Pina Coladas, discreti i tequila Sunrise.
A vederla con occhi meno angosciati e più obiettivi, la città non è orrenda, solo molto, molto brutta.
Il Chiapas visto dal pullman è bello, è proprio un altopiano con colline, avvallamenti e creste tutte di un verde intensissimo.
Il Chapas è la jungla. Il Chapas sono tante baracche sparse ai bordi della strada, immerse nella vegetazione.
Il Chapas è il verde della foresta e il bruno della pelle dei bambini Maya, bellissimi finchè sono piccoli.
Il Chapas è tensione per gli assalti ma anche gioia per lo spettacolo dei paesaggi.
5 AGOSTO Con Lara e Mattia andiamo a fare il giro delle cascate. Prima Misol Ha, molto bella ma non natabile, poi Agua Azul, meno appariscente ma, in teoria, natabile.
I locali fanno il bagno nella zona consigliata che il buonsenso rende sconsigliabile causa colore marrone e fondo limaccioso.
Risaliamo la cascata e troviamo finalmente un bel punto dove sarebbe proprio piacevole immergersi. Ma ai bordi delle ripide notiamo una serie di croci: ragazzi morti, sia stranieri che del luogo perché tutffatisi in quel punto.
Ci passa tutta la voglia e tutta la poesia. Ci riposiamo all’ombra di un bar con la frescura di un paio di cocacole.
Alle 16.30 siamo di ritorno in citta. Riposo in piscina , cena leggera. Siamo pronti per lasciare la città più brutta che abbia mai visto.
Prossima destinazione: Merida, Yucatan.