Quattr’occhi su citta del messico
Il nostro viaggio: periodo: 28 luglio – 16 agosto Itinerario in sintesi: Citta del Messico-Chiapas-Yucatan-Isla Mujeres Clima: ventilato e fresco a Citta Del Messico; vario in Chiapas (umidissimo a Tuxtla; buono a San Christobal e villaggi Tzotzil;umidissimo e caldo a Palenque); umido e caldo nello Yucatàn; caldo a Isla Mujeres.
Mezzo principale utilizzato per gli spostamenti: pullmann Vaccinazioni: profilassi antimalarica Budget: 3 milioni e 200.000 a testa, volo intercontinentale incluso
La mia “Ciudad” 28-29 luglio – In volo Guardo dal finestrino dell’Airbus e vedo azzurro e nuvole.
Siamo quasi arrivati alla meta, mancano poche ore per atterrare a Città del Messico. Voliamo Aeroflot, per spendere meno. Spesso la spesa di un volo è inversamente proporzionale al numero di ore necessarie per arrivare a destinazione. E’ il nostro caso, appunto: un lungo, interminabile viaggio di trenta ore, scali inclusi: Milano-Mosca;Mosca-Shannon; Shannon-Miami; Miami-Città del Messico. Drammatica la sosta a Mosca: infinita; spiazzante quella a Shannon, nel cuore della notte; asettica e “super airconditioned” quella a Miami: grandi partite a briscola con Tommy. L’Aeroflot non è poi così male come dicono: cibo e servizio sono dignitosi. La fauna passeggeri è piuttosto variegata: famiglie di russi che vanno a trovare i parenti oltreoceano, gruppetti di ragazzi italiani che hanno organizzato autonomamente il viaggio come noi e poi la banda allegra e temeraria di “Avventure nel Mondo”.
Una curiosità: a sorpresa, sul nostro stesso volo sono imbarcate due, dico due, persone che conosciamo. Una mia collega e un ragazzo dal’aspetto fighetto, meglio conosciuto nel nostro entourage come “Panattone” dato il ciuffo a onda sugli occhi e data l’infausta abitudine di indossare, all’aperto e al chiuso, occhiali da sole modello “Panatta allenatore agli Open di Roma”. Conosciamo anche un gruppo di ragazzi romani,simpatici, alla mano, organizzati con guide, cartine e materiale vario: anche loro come noi inizieranno la vacanza a Città del Messico per poi continuare con Chiapas e Yucatan.
Tra meno di un ora atterreremo.
Guardo fuori ancora una volta: solo azzurro e nuvole.
29 luglio – Dopo l’atterraggio – Città del Messico Tutto bene. Bagagli arrivati intatti nelle nostre mani;cambiati un po’ di dollari all’aeroporto; confermato subito volo di ritorno per l’Italia (questo è quello che prevede il regolamento prenotazioni della compagnia russa): all’ufficio Aeroflot facciamo conoscenza con il mitico Gerardo Fernandez, impiegato dell’ufficio in questione, personaggio genuino ed eccentrico che con flemma e gentilezza proverbiali conferma i nostri due biglietti di ritorno.
Il pezzo di città che riusciamo a vedere nel tragitto dal taxi all’albergo mi mostra un luogo fuori dal tempo dove modernità, decadenza e squallore si mescolano in una girandola di vie e di palazzi: la sensazione è quella di essere tornati indietro negli anni.
Arriviamo in albergo verso le quattro del pomeriggio: il Ritz (niente a che vedere con quello famoso: solo un caso di omonimia) è carino, la nostra camera, in stile vagamente coloniale, è pulita e silenziosa. La sua posizione è strategica, a quattro passi dalla piazza principale della città.
Dopo una doccia rigenerante Tommy ed io decidiamo di fare una pennichella prima di cena: giusto un paio d’ore per riprendersi un po’. Ci svegliamo alle otto. Del mattino dopo.
Suggerimenti e Dritte: – Comprare acqua minerale: per bere e lavarsi i denti (no all’acqua corrente) – guide: meglio due se si può; io mi sono trovata bene con la mitica Lonely e la Guide de Routard
30 luglio Una colazione con la C maiuscola Sono bastati una notte e Gerardo Fernandez per entrare in sintonia col modus vivendi messicano: con grande (grandissima) flemma ci prepariamo per uscire. Obiettivo: il museo di Antropologia, il più importante al mondo nel suo genere.
Prima però, una bella colazione s’ha da fare. Così, seguendo le indicazioni della mitica Guide de Routard facciamo quattro passi a piedi e ci ritroviamo alla “Casa de Los Azulejos”.
Se fuori l’edificio si fa notare subito per la miriade di piastrelle bianche e blu (gli azulejos, appunto) che ne ricoprono i muri, dentro è un trionfo di bellezza: affreschi alle pareti, colonne di pietra istoriata, soffitti a vele e architravi di pietra scolpita. Qualche fontana zampilla distrattamente qua e là.
In questo contesto inaspettato, una domanda affiora fulminea alle nostre menti: non ci giocheremo mica parte del budget così, subito, su due piedi? Troppo tardi per farsi domande: una sorridente donnona messicana vestita di colori sgargianti ci fa accomodare a un tavolo. Facciamo una colazione da urlo (sarebbe più indicato definirla pranzo). E spendiamo meno di diecimila lire. Inizio a ridere da sola: penso a quanto sarebbe potuto costare un semplice caffè a Milano in un posto del genere. La donnona che ci porta cibo e succhi è gentilissima e simpaticissima. Che siano tutti così, i messicani?
Usciti dalla casa de Los Azulejos assistiamo un po’ basiti ad una rissa per la strada: è strano notare come tutta la gente in quel frangente si blocchi e si appiattisca rasente i muri . Noi ovviamente facciamo lo stesso.
Poco dopo prendiamo un taxi per il museo: è un maggiolino verde, Città del Messico ne è piena.
I maggiolini costano poco e sono molto comodi. Nel tragitto diamo uno sguardo alla città che è un curioso e contrastante mix di modernità assoluta e decadenza.
Il tempo è buono, il sole ventilato: siamo a 2000 metri di altezza, dopo tutto.
Il Museo di Antropologia “TODA LUNA, TODO ANO, TODO DIA, TODO VIENTO, CAMINA Y PASA TAMBIEN.
TAMBIEN TODA SANGRE LLEGA AL LUGAR DE SU QUIETUD” Chilam Balam dio giaguaro Questo è scritto sopra l’entrata di una delle porte che si aprono nell’immenso cortile del Museo di Antropologia: mi piace, ha un che di soprannaturale questa scritta.
La costruzione è ciclopica e lascia un po’ senza fiato, specialmente l’enorme fontanone centrale costruito in modo da convogliare sul tetto tutta la pioggia che ricade all’interno del cortile nel mezzo, lungo un enorme cilindro di pietra, formando così un cilindro d’acqua scrosciante che scorre fragorosa tutt’intorno alla struttura: un colpo d’occhio mica da ridere.
Il Museo è organizzato bene, è facile seguirlo in tutte le sue sezioni. Rimango imbambolata davanti al calendario azteco, meravigliosa scultura dal significato perfetto e sorprendente; su quella pietra circolare tutto, ogni simbolo, ogni disegno, ha una sua ragione d’essere; la rappresentazione del sole, dei giorni, dei mesi, la costellazione delle Pleiadi che ogni 52 anni., il tempo di un ciclo di vita, solca i cieli del Messico, la raffigurazione del giorno e della notte, volti di uomo bianco e nero le cui lingue unite simboleggiano la continuità ininterrotta dei due momenti della giornata.
Ci sono reperti eccezionali, grandi ricostruzioni di templi e la tomba di Pakal, antico re di Palenque., insomma passiamo lì quattro ore.
Io sono un po’ rintronata, forse risento ancora dell’ameno viaggetto firmato Aeroflot, fatto sta che a metà visita facciamo una pausa al bar del museo, mi bevo una pepsi e aah, mi sento rinascere. Sembra una pubblicità, lo so, ma è stato proprio così. Calo di zuccheri probabilmente.
La Madonna di Guadalupe, Lo Zocalo e la Cena Usciti dal museo ci facciamo portare da uno dei soliti maggiolini verdi alla chiesa della vergine di Guadalupe. O meglio “alle chiese”, perché sono due: la prima antica e piegata come la torre di Pisa, l’altra nuova e orrenda come nonsocosa! La vecchia Guadalupe è in stile barocco, un po’ decadente ma nell’insieme l’effetto è particolare.
A me e Tommy viene spontaneo piegarci in modo parallelo alla facciata, con l’illusione di guardarla meglio.
Per arrivare alle chiese passiamo in mezzo a una sorta di mercato pieno di locali improvvisati, immaginette sacre e quadri della Madonna, cibi vari e sacche sportive della Mike (?).
Camminando, dietro il piazzale della chiesa scopriamo dei bellissimi giardini pensili di cui non riusciamo a trovare traccia sulle guide. Boh…
Torniamo in centro verso lo Zocalo, la piazza immensa di Città del Messico. Scopriamo poi che è da lì che prendono nome tutte le piazze principali in Messico .
Lo Zocalo è infinito. Non lo definirei bello ma pieno di fascino; nel centro troneggia una gigantesca bandiera che batte i colori del Messico e sventola fiera sotto il vento del tardo pomeriggio.
Dopo una tappa e una rinfrescata in albergo ci dirigiamo a piedi verso il ristorante scelto sulla guida. Comincia a piovere a dirotto ma noi estraiamo dallo zainetto, soprannominato “Eta beta” per ovvie ragioni, il nostro bravo giubbino impermeabile e ripartiamo sotto l’acqua.
Appena varcata la soglia del ristorante avvertiamo una strana sensazione, come di…Pacco in arrivo. Il luogo ha tutte le caratteristiche della classica “trappola per turisti”. Che,caso vuole, però, stasera non ci sono! Siamo gli unici clienti. I soli. Imperturbabili e pietrificati, davanti a mura strollate e pesci imbalsamati dalle sfumature improbabili, scrutiamo dalla finestra la strada, dove si sta riversando un acquazzone biblico.
Con lo stesso entusiasmo dei condannati al patibolo, prendiamo posto nella sala del decantato ristorante (mannaggia alla guida, mannaggia!). Ordiniamo due paelle con gamberoni e frutti di mare, la cui vista ci fa rabbrividire all’istante: gamberi d’annata, frutti di mare dalle delicate sfumature d’azzurro (ma…Di solito non sono arancioni?), riso un po’ rinsecchito. Il piatto lascia trasparire una ricerca coreografica della presentazione, realizzata probabilmente in epoca precolombiana. Ce ne guardiamo bene dal mangiarlo, visto che la vacanza è ancora lunga e vorremmo farla in salute. Tommy, con il suo spagnolo colorito ma molto efficace, chiede subito il conto spiegando al cameriere che “ se vee que la pella està vieja.” Il cameriere azzarda una risposta ma viene stroncato sul nascere da un secondo attacco hispanico del mio fidanzato: “No es fresca! Tu l’hai misa sul fuego a scaldar. Desculpe ma no me gusta ”.
Per fortuna i ristotratori si riprendono al momento del conto non facendoci pagare niente, a parte le due birre. Mi viene da pensare che in Italia questo non sarebbe mai successo: ci avrebbero fatto pagare tutto fino all’ultima lira.
Nel frattempo la pioggia si è calmata e noi ripartiamo alla ricerca di qualcosa di commestibile da mettere sotto i denti. Camminare per Città del Messico è bellissimo. Il clima è piacevole e in una strada parallela a quella dell’albergo , fidandoci ancora una volta della nostra guida, troviamo “l’Opera”, locale apparentemente datato e suggestivo, tutto in legno con stucchi e ori sul soffitto; un bell’impatto , non c’è che dire: lì mangiamo un ottima carne asada e sentiamo un po’ di musica; guardo fuori e vedo le strade illuminate, la gente che cammina, le foglie che ondeggiano pigre sugli alberi: vengo presa da una sottile euforia, andrei ovunque in questo momento ma Tommy è a pezzi . Quindi tutti a letto e buonanotte. Domani ci aspettano le rovine di Teothihuacàn.
31 luglio Theotihuachan Fedeli ai consigli delle nostre guide, ci svegliamo di buon’ora e facciamo colazione al “Grand Hotel de Ciudad del Mexico”, proprio sullo Zocalo . Grandioso e decadente allo stesso tempo. La hall dell’albergo, con la sua altissima cupola coperta da vetrate piene di uccelli coloratissimi, ci fa fare un salto indietro negli anni trenta. La sala della colazione, su al quarto piano, non è un granchè ma si può stare anche sulla balconata che gira tutt’intorno all’edificio e che dà proprio sul piazzale; ci sediamo lì e guardiamo in silenzio: davanti a noi la vista dell’immenso Zocalo all’alba, i suoi palazzi i stile coloniale, la grande basilca, tutto in unico colpo d’occhio, mentre uno sciame di maggiolini verdi si riversa per la strada e sparisce poco più in là.
La metropolitana che ci porta alla fermata del pulmann per Theotihuacan non è male, è veloce, molto frequentata e serve bene tutta la città.
Un ora di pullmann e siamo arrivati alla meta.
Tehotihuacan. Il nome ha un suono armonioso e lontano. Theotihuacan. Sembra una formula magica . E’ il mio primo sito prehispanico e il mio istinto da archeologa mancata è in fibrillazione.
Il battesimo precolombiano lo faccio con il tempio di Quetzalcoatl, il serpente piumato. Nel centro della ciudadela dopo l’altare, la facciata conservata del tempio è nascosta, bisogna passare per un sentiero di pietra: eccole, le teste di drago, far capolino dalla facciata, le volute di conchiglie e pesci in bassorillievo. L’ho vista mille volte in fotografia, in televisione ma l’emozione è fortissima – e piantala, dai!- mi dico tra me e me.
Il tempio del Sole è molto più imponente e in ottimo stato.
Prima di salirci leggiamo alla base della piramide un cartello che dice più o meno così: “vietata la salita alle persone oltre i cinquant’anni e ai deboli di cuore”. Molto bene, ne prendiamo atto.
Una volta lassù in cima, la sensazione è indescrivibile: inizio a capire sulla mia pelle il senso di una simile opera ciclopica, la naturale tensione dell’uomo verso il cielo, dio, l’ignoto. L’illusione è quella di poter spiccare il volo in un cielo azzurro forte scaldato dal sole. La vista lassù è imponente, si domina tutto il sito: a sinistra la Ciudadela con il tempio di Quetzalcoatl, , davanti la Strada della Morte, lunga quattro chilometri (!) , a destra la piramide della Luna.
Tornando in pullman passiamo vicino alle “favelas”: qualsiasi parola sarebbe solo banale e scontata. La realtà di Città del Messico è anche questa.
Lo so che è stupido e inutile, ma passando lì a fianco non ho potuto fare a meno di sentirmi un po’ in colpa: dopo tutto sto facendo una vacanza, sono qui per vedere cose, riposare la mente e divertirmi. E loro che vivono là dentro, che vacanze faranno mai?
Il “simpatico ristorante mexicano” e la Distileria Torniamo a Città del Messico e dopo una meritata pausa in albergo usciamo per la cena. Cambiamo zona , andiamo al Polanco: “lì- ci dice il nostro albergatore- c’è l’Hacienda de Los Morales, un simpatico ristorante messicano in una hacienda ristrutturata”. Suona bene; da come ne parla lui sembra un posto autentico e particolare..Perché no, proviamo.
Arrivati al Polanco grazie ai soliti maggiolini verdi, realizziamo subito che il quartiere è la terra dei “ciccetti” di Città del Messico: strade alberate, aree residenziali, villette niente male e negozi del calibro di Armani, Chanel e compagnia. Comincia a insospettirci di brutto la storia della “Hacienda de los Morales, simpatico ristorante messicano”. Una volta arrivati en frente a l’ingreso de l’Hacienda, ci cade la mascella: una vera hacienda rosso mattone di grande presenza scenica, con saloni da mille e una notte e lampadari di cristallo che intravediamo dai finestroni affacciati sul cortile. Qua e là vaga qualche smoking inamidato. Non è esattamente quello che io intendo per “simpatico ristorante messicano”.
Credo sarebbe stato più realistico definirlo “spettacolare ristorante messicano ricavato da un hacienda ristrutturata” o “costosissimo ristorante messicano apparentemente molto in auge” ; Fatto sta che ci guardiamo, mentre i nostri piedi e le nostre gambe invertono la rotta senza neanche aspettare l’input del cervello.
Davvero un posto splendido se si vuole passare una serata indimenticabile con la propria metà senza badare a spese.
Dovendoci noi badare, entriamo a “la Destileria”, poco lontano dall’inaccessibile “simpatico ristorante “ di cui sopra.
Il posto è allegro, pieno di messicani benestanti, molti giovani ma c’è anche gente di mezza età.
Pur essendo un posto un po’ “ciccetto”, l’ambiente è informale, il cibo è di ottima qualità e il servizio straordinario. In più, siccome la Destileria è anche “Tempio de la tequila” ci viene servita una Tequila Reserva ghiacciata che non ha niente a che vedere con le tequile che beviamo in Italia. Il profumo, il sapore sono tutt’altra cosa. Poi proviamo il “Tequilibrio” un cocktail di loro invenzione servito in uno speciale bicchiere: mai bevuto nulla di più buono. Un mix di arancia tequila, lime e chissà quante altre cose mescolate in modo talmente magistrale da rimanere impresso sulle mie papille gustative per i prossimi dieci anni. Ne beviamo quattro. La ricetta? Segreta, purtroppo. In compenso ci regalano tutti e quattro i bicchieri.
Il nostro cameriere che ci segue per tutta la cena si chiama Sergio ed è il meglio che si possa desiderare (definirlo “cameriere”è riduttivo): gentile, affabile cordiale e simpatico. E’ una persona molto positiva, ci chiede notizie sul nostro viaggio e quando viene a sapere che andremo a Palenque ci dice: “quel luogo è speciale. Sentirete l’energia che emana, cercate di assorbirne il più possibile”. Ci proveremo.
Mentre camminiamo distrattamente per le vie del Polanco provo un senso di soddisfazione e un allegria istintivi: qui le cose da vedere e fare sarebbero tante, tutto costa molto meno che in Italia, e la gente , il loro modo di fare e trattare è così diretto, così contagiosamente positivo.
Entriamo in un locale mezzo caffè mezzo libreria, mezzo ristorante: molto piacevole.
Qualche suggerimento: – se andate a Città del Messico ricordatevi di portarvi un bel golfino: di mattina fa fresco.
– se volete vedere i siti al loro meglio (temperatura decente e pochi turisti) dovete svegliarvi presto, in modo da essere sul sito non oltre le 8.
1 agosto Chapas Verso San Christobal passando per Tuxtla Colazione a Los Azulejos e poi via, verso l’aeroporto, destinazione Tuxtla Gutierrez, Chiapas per poi arrivare a San Christobal de las Casas.
Per raggiungere l’aeroporto prendiamo il solito maggiolino verde. Il conducente è un indio con la faccia da Maya, molto affabile, sa tutto su Città del Messico e sulla sua storia. Passiamo davanti al mercato nero e ci dice che qui si può trovare di tutto, dalle zapatas alle granate.
Arriviamo all’aeroporto e abbiamo la definitiva conferma che il taxi dell’andata ci aveva bellamente impapocchiato: spendiamo 20 pesos contro i 90 del primo giorno! La regola quindi è: mai prendere taxi senza tassametro, prendere maggiolini verdi più che si può.
Dopo aver cambiato altri dollari facciamo il check in.
Ma la sorpresa è in agguato. Il nostro volo delle 11.45 è “pendiente” che significa “ in ritardo ma non si sa di quanto”. Poco dopo ci diranno che si parte alle 14.30 e che nel frattempo saremo ospiti del ristorante Meridien. Siamo un po’ scocciati, ma d’altra parte, anche questo è Messico.
Atterriamo a Tuxtla alle quattro e mezza del pomeriggio. Caldo afoso. L’aeroporto è un baracchino in mezzo alla Jungla.I nostri zaini vengono scaricati e riversati su una sorta di scivolo interno all’aeroporto.
Prendiamo un taxi cumulativo con altre tre persone e arriviamo a San Cristobal in un ora e mezza.
Il tempo è brutto. Passando per la via principale del paese non resto particolarmente impressionata da nulla, probabilmente è troppo presto e il taxi non è il mezzo giusto per conoscere un paesino tra le montagne del Chiapas.
Arriviamo all’albergo prenotato da città del Messico (via telefonata): il Parador Mexicano, un po’ fuori dal centro del paese, molto tranquillo e pulito. La proprietaria è una ragazza gentile con la scucchia sorridente.
Per cenare troviamo un ristorante tipicamente messicano, pieno di turisti che hanno in mano la nostra guida: mangiamo carne alla griglia, baked potato e un aguacate da urlo.
Iniziamo a nutrire un rispetto reverenziale nei confronti delle nostre guide, quasi fossero una sorta di bibbietta da viaggio.
Qualche suggerimento: – trovare posto per dormire non è stato mai un problema in Messico: abbiamo quasi sempre prenotato per la tappa successiva con uno, due giorni di anticipo rispetto all’arrivo.
La “Ciudad” di Tommy 28 29 luglio Il viaggio Dopo quasi un giorno di viaggio (ventidue ore) mentre il nostro airbus scende verso Miami, il mio viso rimane incollato al finestrino dal quale scorgo il mio primo scorcio di Stai Uniti. Quello che vedo è un immenso ricco, desolante, mastodontico plastico. Miami è esattamente ciò che l’italiano medio si aspetta dagli Usa. E’ così uguale alle cartoline da non capire se sono le foto molto realistiche o questa città eccessivamente finta.
Nonostante questo senso di “prefabbricato”non riesco a distogliere lo sguardo da queste strade dritte, piscine ordinate e campi da golf regolari, dispiace quasi rovinare quest’armonia passandoci in mezzo con l’aereo. Il mio stupore è pari a quello di un bambino di fronte ad un’immensa costruzione di lego. Ma quello che vedo è vero (forse).
Chissà, forse questi pensieri mi sono dettati dallo sconquasso derivante dal viaggio e dai Jet lag (quattro fusi in meno di un giorno).
Aspetto Città del Messico come uno studente attende la campana dell’ultima ora.
Quando suonerà saremo arrivati! Quando suonerà inizierà il viaggio.
L’arrivo a Città del Messico Sono strani questi messicani, l’aeroporto è pieno di personale di servizio che dovrebbe darti informazioni ma, seppur volonterosi, fanno più casino che altro.
La Città del Messico che va dall’aeroporto al centro, vista dal taxi, sembra una città italiana alla fine della guerra.
Gran senso di decadenza, tutto sembra lasciato andare al proprio destino, non esiste palazzo senza vetri infranti, intonaco scrostato e murales sbiaditi.
Deve essere una di quelle città il cui fascino si scopre vivendone la quotidianità.
Siamo in albergo, sono le 6 e mezza , decidiamo di riposare un paio d’ore, poi andremo a cena.
Ore otto. Ben svegliati. Sono le otto…Di mattina…Evidentemente eravamo un po’ stanchi.
Al mio risveglio alcuni pensieri si accavallano confusamente nel mio cervello: 1) chissà come è andata la visita di mia mamma 2) chissà se pioverà 3) chissà se Pantani è ancora maglia gialla 4) chissà se troverò una gazzetta in grado di darmene notizia 5) meno male che siamo già riusciti a confermare il volo di ritorno, grazie all’aiuto di Gerardo, l’impiegato più simpatico (e più lento, ma non importa) del mondo.
Tutti questi pensieri mi appartengono mentre faccio la doccia nella mia camera 410 dell’Hotel Ritz.
Hotel Ritz: mai avrei pensato di poter dormire al Ritz Hotel. Se non sbaglio anche Lady D e Dodi Alfayed pernottavano al Ritz…Ma forse la loro stanza era un po’ diversa.
Comunque non mi lamento, la camera e il bagno sono buoni e la 410 dà sull’interno, quindi non sentiamo i rumori di Calle Madero.
30/7 Colazione da nababbi in un posto incantevole:la Casa de los Azulejos . Speriamo che le foto siano venute.
Col mio solito fiuto ordino un piatto imbarazzante, considerato che sono le nove di mattina: zuppa di trippa. Il nome in messicano sul menù, ovviamente, non era chiarissimo.
La gentile cameriera, in un vestito fin troppo turistico, mi cambia la portata senza farmela pagare! Spendiamo meno di 10000 lire.
Abbiamo preso il primo maggiolino verde, il taxi più diffuso a Città del Messico.
Sono più i maggiolini di tutte le altre macchine Costano poco e fanno un casino infernale. Dal nostro maggiolino sono appena scese sei persone tutte sedute dietro: i maggiolini verdi non hanno il sedile anteriore.
Museo antropologico All’entrata la prima nota positiva: costa solo 4500 lire. Inconcepibile in Italia. I Messicani sono però un po’ sciovinisti. Concedono sconti solo agli studenti del luogo.
L’entrata nel cortile è subito spettacolare, al centro troneggia una gigantesca torre dalla quale scende una cascata di 6 metri d’acqua freschissima. Questo monolite sorregge una struttura metallica impressionante.
Il museo è superiore a ogni aspettativa e riesce ad affascinare anche il visitatore meno appassionato.
Lo vivo come un trailer di ciò che vedremo nei prossimi giorni.
E’ difficile scegliere qualcosa da uno scrigno di tesori, ma se devo dire cosa più mi ha colpito, citerei il calendario azteco e la scultura di un guerriero la cui faccia esce dalla bocca di un’aquila: è impressionante, sembra veramente un astronauta con il casco.
La visita è tanto esaltante quanto stancante., senza accorgermene sono passate 4 ore. Si inizia a sentire l’altitudine, l’aria è rarefatta.
Su quello che ormai abbiamo eletto nostro mezzo di trasporto abituale (maggiolino verde) attraversiamo nuovamente la città per raggiungere la chiesa della Virgen de Guadalupe.
Quando giungiamo di fronte alla basilica, ci sorge il dubbio che la Virgen de Guadalupe abbia origini pisane, infatti pende come la famosa torre.
Stanno iniettando colate di cemento per risollevarla e purtroppo al momento non è visitabile.
I messicani, popolo che non si dà per vinto molto facilmente, hanno costruito a fianco della stupenda struttura antica una sua gemella (solo di nome): obbrobriosa e moderna.
La delusione di non poter visitare la vecchia Virgen de Guadalupe è in parte temperata dalla scoperta di un giardino sormontato da un santuario ( non segnalato dalla guida). Grande è il contrasto tra l’ordine e la pulizia di questo luogo e il casino e la sporcizia di gran parte della città.
Ad essere onesti la Città del Messico che vedo oggi, con meno fatica nelle gambe e più voglia nella testa, non è così brutta come la prima impressione mi ha fatto temere.
E’ una città strana, che vive di grandi contrasti e piccole curiosità, alterna continuamente grandi edifici molto moderni a casupole decadenti da terzo mondo.
Tra le cose più belle sicuramente lo Zocalo, la piazza principale. Si tratta di una piazza enorme, nella quale si perdono la basilica e gli stupendi palazzi coloniali che la circondano. L’enormità e la vastità dello spazio trasmettono un senso di grandiosità e libertà totale.
La sera abbiamo una bella soddisfazione. Sotto la pioggia entriamo in un ristorante consigliato dalla guida. Appena dentro ci accorgiamo dell’aria eccessivamente turistica, ma il peggio giunge quando ci servono la paella da noi ordinata: un piatto stantio che probabilmente ha riposato in cucina almeno una settimana.
Chiedo subito il conto e ce ne andiamo,. Con nostra grande gioia non ci fanno pagare la paella! Andiamo a mangiare all’Opera. Molto bene, buon cibo, prezzi moderati.
Boyler che spuntano dovunque. Questa è la periferia di Città del Messico
31/7 Sveglia alle 7. Colazione al grand hotel del Mexico, probabilmente l’albergo più importante della città. La costruzione in stile Art Decò si affaccia sullo Zocalo ed è proprio su un terrazzo all’ultimo piano che mangiamo. La sala non è gran che ma dal balcone, dove siamo seduti, possiamo godere di una vista spettacolare. Vale la pena farci un salto.
Per la prima volta prendiamo il metrò, è moderno ed efficiente, le stazioni ed i treni mi ricordano quelli parigini. Cambiamo tre volte per arrivare al terminal Norte, la stazione da cui partono gli autobus per Teotihuacan.
Teotihuacan Primissime impressioni: luogo pieno di scolaresche. Pieno di venditori; il più originale mi confessa: prendo anche dollari “falsi”.
Impressioni successive: è un luogo fantastico, un mondo a parte.
Dopodichè inizia un ininterrotto percorso di scalinate in salita e in discesa, intervallate da soste per riprendere fiato, sia per la fatica che per il paesaggio: inutile provare a descrivere l’emozione di trovarsi all’interno (fisicamente parlando) di una civiltà ormai scomparsa. La descrizione dei templi e delle piramidi la lascio alle fotografie.
Non mi rimangono che alcune considerazioni molto superficiali: – in Italia sarebbe assolutamente vietato salire sulle piramidi per ovvi motivi di sicurezza.
– Non siamo ancora circondati da nostri compatrioti e ciò è un bene.
Durante il viaggio di ritorno, mentre sono ancora in uno stato di dormiveglia (non credo di avere ancora smaltito il fuso orario) vedo piuttosto da vicino le favelas.
E’ strano come ci si senta quando la realtà ci si presenta di fronte in carne e ossa, e tutti i pensieri risultano improvvisamente pura demagogia. L’unica cosa certa è che si ha la stessa sensazione di quando si riceve un pugno alla bocca dello stomaco.
La sera per trovare il ristorante cominciamo una simpatica ma estenuante caccia al tesoro. Ci affidiamo ai suggerimenti dell’albergatore e di una piantina trovata in albergo.
Il problema è che sulla piantina la “Hacienda de los Morales” , il locale da noi scelto, è indicato in mezzo a due vie, ma quando vi giungiamo, non lo troviamo. Un poliziotto ci dirige 2 isolati più a nord mentre un ragazzo di bottega ci consiglia di tornare indietro di qualche centinaio di metri. Siamo un po’ confusi, la fame inizia a farsi sentire.
Tutto questo peregrinare è stato comunque piacevole, abbiamo infatti potuto visitare il quartiere Polanco, l’”Olgiata” di Città del Messico. E’ proprio vero, nei paesi meno sviluppati i poveri sono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi. Non sembra neanche di essere a CdM, si tratta di un mondo (dorato) a parte. Mentre sciorino queste elucubrazioni, vediamo con la coda dell’occhio un cartello che indica la direzione per la Hacienda de los Morales. Brutto segno per noi che cercavamo un posto non troppo turistico.
Accompagnati da una cortese signorina del loco giungiamo all’entrata del ristorante. Ci accorgiamo che il problema non sta nel fatto che sia turistico, bensì nel prezzo della portata più semplice, che ci costerebbe tre giorni di viaggio.
A dire la verità non arriviamo neppure all’ingresso, ci è sufficiente ammirare la vecchia hacienda ristrutturata per comprendere che il luogo non è alla nostra portata, sensazione che ci viene confermata dal parco macchine in esposizione.
Ripieghiamo su un locale visto in precedenza: la Destileria.
Lo definirei, data la zona, il locale de “los figuetos” di CdM.
Mangiamo molto bene. Beviamo anche della Tequila (tutt’altra cosa rispetto a quella italiana) e veniamo serviti da un cameriere molto bravo e simpatico, il tutto per un prezzo che dovrebbe far vergognare i gestori dei locali messicani in Italia.
Stanchi morti, recuperiamo un maggiolino e torniamo in albergo.
1 agosto Sveglia di buon ora per fare colazione con “huevos estrelladas y tocino”.
Presi armi e bagagli usciamo alla ricerca di un simpatico maggiolino, che non si fa attendere.
Il conducente mentre ci guida all’aeroporto fa anche da guida turistica:passiamo vicino a un mercato in cui è possibile trovare “todo lo que quieren” e se non ce l’hanno, lo inventano. Tra i vari generi di conforto segnaliamo televisori, armi e granate.
Giunti al terminal dell’aeroporto ci viene confermato il dubbio di essere statifregati dal tassista dell’andata. Infatti paghiamo meno di 20 pesos contro i 90 del giorno di arrivo.
Sempre il tassametro, da ricordare.
Arriviamo in aeroporto con largo anticipo, facciamo il check in, cambiamo i soldi, compriamo l’acqua e ci dirigiamo verso la sala di attesa. Sono le 11.Il volo parte tra 45 minuti.
Di colpo, il risveglio: siamo in Messico. Il nostro volo, prima è segnalato come “pendente” poi scompare dal display. Panico.Alle informazioni ci intimano serafici di non allarmarci, che sono cose che capitano e che ci faranno sapere. Alle 13.30 ufficializzano il ritardo e la pratenza delle 14.30.Si va a mangiare a spese della Mexicana (compagnia aerea) al meridien. Al confronto i pasti sull’Aeroflot erano esercizi di Nouvelle Cousine.