Torna a casa ulisse
Più o meno questo diceva un signore cieco riguardo un certo Ulisse un po’ di tempo fa. Ed era proprio Ulisse che diceva qualche secolo dopo “fatti non foste a viver come bruti ma per seguire virtute e conoscenza”.
Lui era animato dalla “curiositas”: oggi bisogna averne una buona dose per rinunciare ad una comoda camera d’albergo per un loculo dal soffitto basso e senza bagno, quello della cabina di una barca a vela.
Noi ci riusciamo. E’ deciso: visiteremo in barca le isole greche dello Ionio.
Salpiamo da Leuca “la bianca”, dal tacco d’Italia. Il Salento è un posto splendido, eclettico, affascinante, ma noi, insensibili, molliamo gli ormeggi.
Conosciamo già i posti che visiteremo, ma non possiamo fare a meno di tornarci ogni anno perché su di noi esercitano un’attrazione fatale, ma sarebbe bene dire fetale perché rientrano nell’archetipo della Grande Madre, la dea Cibele. D’altronde nelle nostre vene scorre anche sangue ellenico: abbiamo avuto invasioni turche e colonie greche. Siamo porta d’Oriente. E’ un legame atavico.
Così dopo qualche ora di navigazione all’ orizzonte d’un tratto si staglia la sagoma incerta di Fanò, ma questo non ci sconvolge… Dalle nostre coste siamo abituati a scorgere lo spettacolare monito delle montagne albanesi nei giorni di limpida tramontana, all’alba. Fanò. Uno scoglio a 46 miglia dall’ Italia. Due ore con una barca a motore. Una taverna di bolognesi. Qualche pescatore. Un moletto. Fine. Il bello è questo. Un bagno gelido nella insenatura di Calipso (non mi è nuovo questo nome… Avrà qualcosa a che fare con Ulisse?) che ancora una volta interpreterà perfettamente il ruolo di nasconditrice eterna, assorbendoci in una realtà ovattata di cicale e gabbiani.
Fa buio. In porto. Silenzio.
Domani si replica. Forse anche dopodomani. Qui il tempo è un’opinione.
Lasciamo Fanò. Paxos.
Cosa ci fa Ibiza qui? Approfittiamone… Ragazzi e ragazze si riversano in piazzetta, non abbiamo nessun problema per fare amicizia. Aperitivo. Siamo già invitati ad una festa, il nostro lasciapassare sarà una bottiglia di vodka. Ci prepariamo. Siamo pronti. Ragazzi, che festa! E’ già l’alba. Non voglio più andar via da quest’isola, ho trovato il mio paese dei balocchi. Questa volta hanno vinto le sirene. Improvviso una danza del maestrale che ci blocchi in porto, ma Eolo non mi da retta: credo proprio che il mio karma mi costringa a girovagare! Cosa avrò mai combinato nella mia vita precedente? Lasciamo Paxos mentre due delfini ci rincorrono tra i flutti, come se volessero convincerci a non andar via. Secondo me sono le sirene della notte precedente.
Siamo partiti dalla bianca Leuca e ora ci dirigiamo verso la bianca Levkas, attorno a noi altre decine di barche approfittano del mare calmo per continuare la traversata e il paesaggio azzurro di mare e cielo è interrotto da tanti triangolini bianchi: sono le vele che si gonfiano tra strette boline per chi va a Nord e placidi laschi per chi va a Sud. Io nel frattempo ho un’illuminazione e capisco Baricco quando dice che per ritrarre il mare bisogna partire dai suoi occhi: le vele che lo solcano, che ne fanno trasparire l’anima e i sentimenti, che si confondono con i sentimenti di chi quel mare attraversa. Sono immerso nel blu del Mediterraneo, il cielo è abbacinante, perforato da un sole che oggi si è svegliato in piena forma; attorno a me isole e terraferma si confondono in un marasma di sagome all’ orizzonte che il g.P.S. Per fortuna sa riconoscere meglio di me. Trovare il porto di Sivota Bay sarebbe impossibile senza questa novella stella polare, perché è incastonato in un fiordo verde, nella valle di due colline che si tuffano nello Ionio ed è invisibile dall’ esterno. Forse è per questo che ha conservato la genuinità che la Grecia aveva prima dell’ avvento dell’ era turistica. Si mangia sui moli, con i gatti ai piedi del tavolo, il cameriere ti chiede se hai bisogno di una doccia calda e i bambini fanno il bagno nel porto. Purtroppo anche qui capiscono l’italiano e la comunicazione è semplice. Peccato. Sarebbe stato divertente intavolare una discussione a gesti e verbi all’infinto…
Sivota Bay è in una posizione strategica: oltre ad essere un porto molto sicuro, a prova del peggior maestrale, dà la possibilità di raggiungere mille cale tutte a poche miglia di distanza. Incredibili i bagni alle isole di Arcudi e di Atoko. L’arrivo di un gommone basta per farci ritenere un insenatura troppo affollata e per rimetterci in marcia. Altra insenatura, altro bagno. L’acqua è turchese. Siamo nella baia di Porto Leone. C’ è un piccolo monastero ed intorno il nulla. Passa una barchetta di pescatori. Si decide di fare rada, cioè di non tornare in porto e passare la notte affidati a 50 metri di catena d’àncora. I bagni continuano finché le cicale hanno la forza di stridere e cedono poi il passo ad un immacolato silenzio coperto da un affresco di stelle che poche volte ho visto così nitidamente. D’altronde siamo su una barca persa nello Ionio, il porto più vicino non sappiamo nemmeno quale sia (il g.P.S. È spento) e attorno a noi solo buio e silenzio. Un’ esperienza mistica…
Son passati solo 15 giorni da quando abbiamo lasciato l’Italia ma già ci dirigiamo verso Itaca.
Quest’ Ulisse doveva essere un gran furbone! Vent’anni ci ha messo… Ma perché gli piaceva navigare in questi mari! Itaca e Cefalonia sono due isole che sembrano sfiorarsi. Dopo tanti millenni Itaca la ventosa tiene fede al proprio nome ed è spazzata da un terribile effetto Foen. Decidiamo di abbondare così le “sacre sponde”, e, attraversando il canale approdiamo nel porto di Fiskardo, Cefalonia.
A me sembra di averlo già visto in un quadro di un impressionista francese… Uno qualsiasi. E’ una macchia di colori pastello nel verde dei cipressi selvatici. Le case sono azzurre, celesti, bianche, rosa, albicocca, le bouganville che riempiono le strade hanno colori mai visti… Tutto il porto è disseminato di bar e locali che attirano il turismo greco d’elite… Non male. E’ un po’ la Portofino greca, peccato però che di Grecia ci sia ben poco.
Se pure è piacevole una serata in un posto così, tra negozietti e gioiellerie, tra bar e ritrovi, si perde la sensazione verace che si prova in una tipica taverna, tra puzza di cipolla e cetrioli, tra feta (il famoso formaggio) e kalamata (…E le famose olive nere). Una notte qui ci basta. Forse cerchiamo qualcosa di diverso. Ma chi va per mare senza destinazione è sempre alla ricerca di qualcosa, anche inconsapevolmente. Forse alla ricerca di se stesso. O forse se stesso lo ha già trovato.
Domani si prosegue. Non sappiamo bene dove andare, c’è molta indecisione nell’equipaggio.
O forse non c’è alcun bisogno di decidere: la cambusa è piena e il nostro serbatoio è il vento.
Molliamo gli ormeggi, rumbo perdido.
La nostra chimerica Penelope ci aspetta, tessendo le nostre sorti.