Isole Gili di LOMBOK
Emme che ha ancora minor pazienza di me, sul pulmino ha etichettato subito i quattro italioti – occhiale scuro con catenella e tattoo dragonato sul bicipite palestrato, gli uomini, zainetto mandarina e Superga, le rispettive fidanzate, che si lamentavano del poco spazio e del gran caldo, ridendo isterici con classica battutona quando l’autista è sceso senza apparente motivo: “E’ andato a bere un caffè!” – con caustica precisione sui loro prossimi spostamenti vacanzieri: “Facce da Sengiggi!” ha sentenziato, e infatti venti minuti dopo li hanno scaricati laddove, pare, ci si diverte un sacco.
Non ho niente contro il divertimento, ognuno cerca di spassarsela come può e come riesce, e neanche contro quello preconfezionato – a volte in discoteca capita anche di non sudare soltanto – però se è a quello che miro, primo non mi porto la ragazza e secondo punto almeno su Miramare di Rimini: banale quanto vuoi, e il mare non sarà blu, ma si risparmia in chilometri e quando ci si è annoiati abbastanza si fa prima a tornare a casa.
Così, scansati i primi connazionali ed evitati un paio di milanesi a denominazione di puzza zotto il naso controllata (lui al baretto, in attesa del barchino, al logorroico mercante che cantava O mia bela madunnina, che ormai in Indonesia si parla anco el milanès, e aggiornava il suo vocabolario con la consulenza della ragazza che dava corda per puro spirito di politicallycorrect, una mano sulla bocca: “Se parla ancora cinque minuti, sclero!”) spediti dritti a Trawalgan, sbarchiamo a Gili Air, giusto in tempo per sentirci ripetere “Full” da tutti i bungalows del perimetro, sobbalzando in tre più i bagagli più l’autista, seppur seduto di sghimbescio, sulla stradina di sabbia, dentro un cidemo, il carretto con gli pneumatici trainato da un pony infiocchettato, e paghiamo cinquantamila rupie, arrivando d’un soffio prima della coppia di nordici partita per il giro inverso con lo zainone in spalla – altra tempra o taccagneria, visto che se a noi costa molto meno di un biglietto della’ATM, per loro dev’essere ancora più economico? – e comunque buon per noi che dormiremo alla meglio, ma fieri di pagare il pedaggio di tanta faticosa diversità alle insufficienti strutture turistiche, in un appartamento di fortuna e semiarredato, senza neanche il mandi ma con divanetto di velluto grigio sulla strampalata veranda.
Dritta: arrivare più presto, meglio la mattina, o nel caso fuggiate da Bali, come noi, puntare senza indugi da pigroni ai cottage dietro il porticciolo, anticipando in battuta i vostri compagni di traversata. Nel caso poi siate così fortunati da poter addirittura scegliere, muovetevi sulla destra dell’attracco, onde evitare di affittare la capanna con tetto di paglia e rifiniture in bambù con splendida vista sulle coltivazioni di alghe.
Gli australiani girano da habitué e di regola non fanno commenti sul salotto di casa; i francesi, invece, assaggiano di tutto, cibo e gite in barca, con aria schizzinosa ma poi puliscono anche il piatto; e gli italiani, addestrati da secoli di fregature, si lamentano in continuazione perché si credono più furbi. Perciò, la barca attracca troppo lontano dalla riva e ci si bagnano le ginocchia, o vanno troppo piano o troppo veloci, e non sanno prendere le onde, o che schifo! ci tocca camminare tra le alghe, e ci avevano promesso di vedere la tartaruga e invece niente (questo è vero: io ho visto soltanto le due tartarughe pettorali dell’australiana bionda con macchinetta subacquea in gita con noi, ma son contento uguale!), mentre a tavola – a Gili Meno, in una baracca attrezzata sulla spiaggia, spizzicando patate fritte e un sandwich egg and tomato, e deglutendo il Bintangone da 0,75 – si sentono discorsi immancabilmente conditi da nostalgiche amatriciane e carbonare, chimere culinarie che aleggiano sopra tubetti di checiap all’aglio e nuvolette ai chiodi di garofano.
E mentre pennico all’ombra dei rami secchi, sotto un sole sciamannato, sento Emme concludere ad alta voce un suo ragionamento tutto interiore, tra il riso e l’amaro, praticamente al nasi goreng: “Certo che come noi italiani non c’è nessuno!”. Apro quel mezzo occhio intorpidito giusto per zumare sulla chiappa tanganata della non più giovane compatriota, che non cià il fisico ma l’importante direbbe la Mariuccia è indossare con ironia (tutta di chi guarda, ahimé!) che zuma a sua volta e in superotto, tra i bilancieri ancorati a sciaguattare, sul di lei compagno, amante, maritino tutto di sub da sbarco vestito – maschera, cannola e pinne affittate al bungalow e slippino modello ‘tuttaminchia’ made in Italietta – il quale la fissa in ammollo con sorriso stentoreo, tutto proiettato già al salottino di casa per la serata amici e parenti intitolata con grande gioia generale “Avete visto dove è stato il Gigi quest’anno?”, e ha il coraggio di pronunciare, in precario equilibrio sui sassetti e tra le onde, rivolto a questi ovviamente, fiero e cinematografico: “Ciao ragazzi, vado a vedere la barriera corallina blu! A più tardi!”: E si tuffa poi, spanzando in mezzo metro, tra le funi degli ormeggi, la testa in alto, da galletto, e spinneggiando fuori dall’acqua fino al primo scafo, dietro il quale si nasconde, per riemergere qualche istante dopo, lui sì davvero blu corallo, la maschera di traverso e sputazzando nel boccaglio, a domandare, paonazzo, verso riva: “Com’è venuta? Bene?”